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Titolo: Gli Dei di Darkover, capitolo 19
Autore: Simona Degli Esposti
Serie: Marion Zimmer Bradely's Darkover
Status: in lavorazione
Archivio: SLC
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Gli Dei di Darkover

Simona Degli Esposti



capitolo 19

Port Chicago

Edric odiava profondamente lo spazioporto costruito dai terrani. Nonostante tutto fosse perfettamente ordinato e disposto in maniera logica e funzionale, persino agli occhi di un darkovano, non poteva sopportarne l'atmosfera perennemente satura di caos e frenesia.
Il comyn ricordava a stento la prima apparizione di quegli alieni che, in realtà, erano i più prossimi parenti della loro razza. Tutti i contatti che si erano tenuti erano avvenuti tra i rappresentati terrani e la casata regnante del Dominio e a loro erano arrivate solo poche e sommarie informazioni.
Dom Kevin non si era fatto abbattere dal tentativo di isolarlo da questa nuova fonte di problemi e, senza il consenso di Dom Aldaran, aveva iniziato a contattare i capi terrani che, certi di poter ottenere più informazioni da lui che dai canali ufficiali, si erano mostrati fin troppo disponibili. Un tira e molla che era durato quasi tre anni e che, al momento attuale, era fermo ad una sorta di stallo.
Per dare una smossa alla situazione Dom Kevin non era riuscito a resistere alla tentazione di invitare i suoi scomodi vicini alla prossima Festa del Solstizio e, nelle settimane che li separavano dalla fatidica data, avrebbero trovato il modo da rendere quell'invito una inevitabile necessità e non un ennesimo atto di ribellione nei confronti del capo del Dominio Rinnegato.
Edric, contro la sua volontà come sempre, era stato costretto a presenziare ad ogni incontro e, anche quel giorno, si era visto costretto a recarsi alla base terrana, per portare una qualche comunicazione al loro contatto.
Come sempre, appena varcato il confine che separava la nuova struttura terrana dalle propaggini della darkovana Caer Donn, Edric subì una sorta di vertigine, a cui reagì chiudendo tutte le sue barriere e indossando la maschera del buon darkovano, preparandosi a mostrarsi entusiasta di tutte le cose che gli sarebbero state mostrate.
Inizialmente, quello che gli aveva dato più fastidio era stata la necessità dei terrani di modificare una cosa naturale come la luce ed aveva considerato la cosa al pari di un'ossessione. Ma si era rapidamente abituato ai potenti fari, installati lungo tutto il perimetro, che illuminavano la zona di una fredda luce gialla, soprattutto dopo che uno degli abituali frequentatori del castello l'aveva sfidato a passare un'intera giornata sotto la loro luce.
Edric sarebbe voluto fuggire dopo solo un paio d'ore. La loro luce gialla era insopportabilmente forte e accecante e decise che, forse, non avevano tutti i torti a voler mantenere l'illuminazione sugli standard a cui erano abituati. Del resto provenivano da un pianeta il cui sole giallo rendeva tutti i colori più sgargianti e abituarsi alla debole luce rossa del sole di Darkover, che, a sentir loro, donava ad ogni oggetto una malsana sfumatura sanguigna, sembrava per molti terrani l'impresa più sfiancante.
Ora, dopo quasi tre anni dal loro arrivo, Edric non faceva più caso all'illuminazione o alle alte costruzioni, necessarie alla manutenzione delle astronavi ed ospitanti gli uffici amministrativi, che si stagliavano contro il cielo color porpora, creando un divario enorme con le basse strutture abitative costruite per il personale e con la vicina Caer Donn. La sola cosa che continuava a frastornarlo era la perenne agitazione in cui ogni terrano sembrava vivere.
Andavano di corsa ovunque e Edric era certo che utilizzassero lo stesso comportamento anche durante le attività del loro tempo libero. Durante i primi contatti, le trattative stavano per essere considerate un fallimento proprio a causa di questa diversità nell'affrontare le cose. Calmi e pacati i darkovani, sempre smaniosi di concludere tutto rapidamente i terrani.
La giusta risoluzione sembrava essere stata quella di passare tutte le trattative preliminari in mano agli storiografi e agli studiosi della cultura aliena di Darkover. Solo un colpo di fortuna, continuavano a ripetere i terrani, aveva indotto gli organizzatori della missione a formare l'equipaggio che avrebbe operato sul campo con elementi di cultura anglo-gaelica, cosa che aveva permesso una rapida integrazione tra i nativi.
A Dom Kevin venne raccontato, durante uno dei primi incontri ufficiali organizzati a beneficio dei nobili del Dominio non coinvolti direttamente nelle operazioni, di come buona parte delle fonti storiche del settore astronavale dell'Impero Terrestre descrivessero alcune delle prime navi mandate a colonizzare lo spazio esterno, trattando poi nei minimi particolari il perché, a causa delle primitive tecnologie, alcune di queste fossero naufragate su pianeti ancor oggi sconosciuti.
La politica imperiale voleva che su ogni nave, per quello che riguardava gli equipaggi, vi fosse una certa omogeneità di etnie. Così tutto il personale tecnico addetto al funzionamento dell'astronave doveva appartenere allo stesso ceppo culturale, cosa valida anche per gli uomini e le donne che sarebbero dovuti restare sulla superficie dei pianeti esplorati. La sola eccezione era che non doveva esserci un rapporto particolare tra i due equipaggi visto che, dal momento dell'atterraggio in poi, ognuno dei due sarebbe stato poi adibito a mansioni completamente differenti ed avrebbero avuto tra loro pochi contatti.
«Tutto questo,» aveva spiegato il responsabile dello spazioporto, «era valido anche durante i primi viaggi stellari, prima della nascita dell'Impero. Nessuno avrebbe mai pensato che alcune delle nostre navi sarebbero rimaste vittime di malaugurati incidenti. La tecnologia di allora non permetteva di evitare tutte quelle turbolenze che, ancora oggi, fanno impazzire i navigatori più esperti!»
Rapidamente Dom Kevin era stato edotto sulla convinzione comune che queste navi avessero compiuto atterraggi di fortuna su pianeti molto al di fuori della loro rotta prestabilita, dando origine a colonie che non avrebbero mai più avuto la possibilità di mettersi in contatto con Terra.
Il primo incontro tra le due civiltà aveva già rischiato di produrre un irreparabile shock culturale, quindi era inutile per il comandante della nave tenere nascoste le loro opinioni riguardo l'origine della civiltà di Cottman IV, Darkover per i nativi. Venne detto loro che, senza possibilità di dubbio, erano i lontani discendenti di una di quelle navi perdute e che, considerando alcuni fattori facilmente riconoscibili, questa nave doveva essere quella dotata di un equipaggio di origine ispanica, il cui scopo era trasportare su un nuovo pianeta un gruppo di coloni di ceppo anglo-gaelico.
Dom Kevin aveva ascoltato in silenzio l'intero racconto, meditando sull'avventatezza con cui il primo gruppo di esploratori era sbarcato sugli Hellers. Se anche gli equipaggi di quelle navi perdute avevano utilizzato gli stessi metodi di lavoro, beh… era naturale che fossero esse fossero naufragate.
La nave terrana era rimasta in orbita, prima, e attraccata su una delle quattro lune del pianeta, dopo, per molte settimane prima che si decidessero a compiere il primo sbarco sulla superficie, scegliendo la zona più rocciosa e difficile da affrontare dell'intero pianeta.
La perenne coltre di nubi non aveva favorito le ricerche e, una volta entrati nell'atmosfera, si erano trovati in balia dei forti venti invernali degli Hellers. Solo per pura fortuna non erano andati a schiantarsi contro la parete delle montagne. Rischiando solo un assideramento, evitato grazie alla prontezza dei soccorsi provenienti da Caer Donn, il piccolo gruppo di terrani era stato portato al cospetto del Dom Aldaran.
Grazie alle doti telepatiche dei nobili darkovani, il primo contatto non fu quella cosa drammatica che gli stranieri avevano temuto. Rimasero sconvolti dal fatto che i nativi comprendessero la loro lingua ma, ben presto, approfittarono della situazione, convincendo il signore della zona a dare il suo permesso all'atterraggio dell'astronave ed allo sbarco dell'equipaggio.
Gli xenostoriografi e gli xenolinguisti si buttarono anima e corpo nella ricerca del ceppo d'origine di quella colonia perduta. Non fu un lavoro difficile. Bastarono un paio di ballate tradizionali perché una degli esperti del gruppo che sarebbe dovuto restare sul pianeta localizzasse, senza ombra di dubbio, la loro origine.
Le canzoni erano, modificate quel tanto che bastava per accordarle alla situazione geografica e meteorologica del pianeta, ballate tradizionali vecchie di millenni originarie della Scozia. La nave naufragata non poteva che essere quella trasportante i coloni nativi delle Nuove Ebridi, un gruppo di origine gaelica che aveva deciso di riprendere tradizioni e stili di vita tipici del periodo pretecnologico.
Per loro doveva essere stata una fortuna trovarsi isolati dal pianeta natale, che li avrebbe costretti a mantenere comunque contatti con la civiltà. Convincere l'equipaggio della nave, prevalentemente ispanici, a seguire le loro abitudini di vita doveva essere stato uno scherzo, solo in tal modo potevano sperare di sopravvivere in un clima così ostile.
Dom Kevin aveva ridacchiato silenziosamente quando aveva ascoltato il resoconto del primo contatto tra le loro diverse culture. Era divertente vedere come i terrani si affannavano a cercare collegamenti tra di loro e la civiltà darkovana e, quando fu sicuro che gli stranieri avessero terminato il loro discorso, comunicò che sarebbe stata una cosa difficile convincere il resto del pianeta ad accettare la loro teoria.
Era stato spiegato loro che i comyn, i membri delle sei famiglie che governavano il resto di Darkover, si ritenevano discendenti di un semidio, generati dalla sua unione carnale con una donna mortale. Sarebbe stato difficile convincerli che in realtà discendevano da naufraghi provenienti da un lontano pianeta, arrivati per sbaglio su uno dei territori più ostili di quella parte dell'universo.
Quando Dom Kevin aveva finalmente potuto raccontare agli ospiti terrani la loro versione della storia, si era potuto sfogare non solo contro i sei Domini che li avevano isolati, ma anche contro l'ostilità dei suoi stessi parenti a capo del settimo Dominio.
«Solo noi del Dominio di Aldaran, separati dal resto dei Domini ormai da secoli, ricordiamo qualcosa della nostra origine. Non saprei dirvi i particolari ma, posso essere certo almeno su questo, non discendiamo da nessuna divinità,» aveva concluso. «Ma solo pochi rappresentati della nostra famiglia conosce il luogo che ha visto l'origine della nostra razza.»
Il comandante aveva tentato di farsi spiegare la cosa nei particolari ma tutto quello che Dom Kevin poteva riferire erano antiche leggende delle montagne, storie legate a posti e persone e tramandate oralmente da millenni.
Promise comunque che, all'arrivo della bella stagione, qui tutti i terrani alzarono gli occhi al cielo, poco speranzosi del fatto che su Darkover esistesse una bella stagione, li avrebbe condotti sui luoghi dove queste storie erano ambientate.
Sfortuna volle che anche i comyn venissero a conoscenza dell'arrivo dei terrani e, contravvenendo a tradizioni secolari, decisero di mandare ambasciatori nel Dominio Perduto con lo scopo di studiare i nuovi venuti e, se la cosa fosse stata conveniente, convincerli a spostare il loro luogo di operazioni nelle pianure più a sud.
Dom Aldaran fece buon occhio a cattivo gioco e, dopo aver consentito ai terrani di costruire quello che necessitava alla loro nave e alla loro sopravvivenza, lasciò che l'Erede degli Hastur in persona portasse avanti la sua missione tra gli stranieri.
I mesi passarono rapidamente mentre il gruppo di studiosi di origine scozzese cominciava ad amalgamarsi alla perfezione con la popolazione locale. L'abitudine di indossare abiti darkovani venne presa da molti, con la scusante che erano molto più caldi delle tute in dotazione all'equipaggio, e non era difficile vedere terrani indossare questi abiti anche all'interno del perimetro dello spazioporto.
Dopo un anno, e alcuni incidenti causati dalla presenza del rappresentante ufficiale dei comyn, la situazione sembrava essersi stabilizzata. L'Hastur era tornato dal consiglio con una promessa da parte del comandante: avrebbe pensato alla loro offerta e, non appena dalla Terra fosse giunta comunicazione sulle procedure da seguire su Darkover, si sarebbero premurati di comunicare il luogo prescelto per la costruzione di impianti definitivi.
Alcuni degli esperti che si sarebbero fermati sul pianeta avevano anche deciso di mettere finalmente su famiglia, ma la politica imperiale vietava loro qualsiasi mossa azzardata, almeno fino a quando non fossero stati certi che l'affare era sicuro e che la delegazione terrestre non avrebbe più abbandonato il pianeta.
Solo dopo un altro anno, durante il quale si tentò di rendere Darkover un pianeta aperto e, di conseguenza, assaltabile da industrie e organizzazioni di ogni tipo, le alte sfere decisero che era presto per precipitare un pianeta dalla cultura così anomala, e con un'assoluta mancanza di tecnologia industriale, nel caos dell'avanzata tecnologia imperiale, così come era un peccato renderlo un pianeta chiuso, costringendo tutti i terrestri a lasciare le loro postazioni.
Per la prima volta nella storia, Darkover venne dichiarato mondo semiaperto, dove i terrani sarebbero potuti vivere tra i nativi ma senza influenzarli con il loro stile di vita o apportando economia o industrie terrestri.
La decisione riempì di gioia tutti quelli che avevano deciso di farsi una nuova vita sul pianeta e, alla vigilia del terzo anno dal primo contatto, furono molte le coppie che fecero il passo più importante, decidendo di mettere al mondo la prima generazione terrana nativa di Darkover.

***

Edric era stato costretto a partecipare a tutti gli incontri tra le due fazioni, un po' perché il padre non si riteneva in grado di comunicare direttamente con i terrani, un po' perché riteneva un dovere scoprire perché alcuni degli stranieri sembravano possedere il laran, senza che però dessero segno di essere a conoscenza della cosa, ma soprattutto perché nessuno della casata regnante del Dominio avrebbe voluto Dom Kevin come osservatore durante i difficili incontri tra le due diverse culture.
Edric si era presto disinteressato delle noiose dispute politiche, preferendo portare avanti i suoi studi sulla possibilità che anche i terrani possedessero il laran. Dopo molti mesi si era accorto di riuscire ad individuare senza troppo sforzo le menti dotate di questo potere e, senza troppo stupore, queste appartenevano a buona parte degli studiosi sul campo di origine scozzese, contraddistinti da capelli rossi o, comunque, occhi chiari.
Il resto dell'equipaggio, gente stranissima con una pelle così scura mai vista su Darkover, sembrava essere sprovvisto di laran. C'erano sì delle eccezioni, ma si sarebbero potute contare sulle dita di una mano.
Fortunatamente i contatti maggiori avvenivano con i primi e Edric aveva la possibilità di studiare, senza il rischio di venire scoperto, le capacità di questi terrani relative al loro grado di laran. Si assicurò che nessuno di loro venisse direttamente in contatto con Alaric, sarebbe stato difficile spiegare agli stranieri cosa fosse un catalizzatore o cosa comportasse il risveglio improvviso del loro laran, almeno fino a quando non avessero compreso ed accettato le loro capacità mentali.
Sembrava assurdo agli occhi di Edric, ma i terrani preferivano credere in una straordinaria capacità di apprendimento dei nativi, piuttosto che ammettere l'esistenza di cose come la lettura del pensiero o altre amenità del genere. Aveva quindi preferito non insistere sull'argomento, tentando con successo di tenere i terrani lontani dalle attività del suo piccolo gruppo di telepati, specialmente ora che avevano tra di loro una vera Custode.
Il pensiero di Ellemir si fece strada dolorosamente nella sua memoria. In quel momento di sicuro stava tentando di applicare le prime fasi dell'addestramento a Taksya. La cosa non avrebbe fatto altro che avvicinarle ulteriormente, allontanando ancora di più la possibilità per Ellemir di tornare sulle sue decisioni.
Immerso nei pensieri, Edric arrivò al settore abitativo dell'astroporto senza accorgersene, andando quasi a sbattere contro una giovane donna in abiti terrani. Non fece in tempo a scusarsi che la donna era già sparita oltre l'edificio. Edric si strinse nelle spalle e, senza dimenticare di annunciarsi prima, attraverso uno strano marchingegno che trovava inutile, entrò nella piccola palazzina che aveva davanti.
Ogni costruzione ospitava due piccoli appartamenti, ognuno riservato ad una coppia sposata. L'intera zona era riservata alle coppie mentre, un centinaio di metri più distante, si ergeva una costruzione a più piani, adibita ad alloggio per i singoli. Edric non riusciva a comprendere neppure questa distinzione di ruoli ma, come aveva appreso quasi subito, era inutili cercare di capire i terrani.
Le note di un'antica ballata, una delle tante in comune tra le due culture, gli arrivò attutita dalla porta dell'appartamento. Una risata argentina risuonò oltre di essa e, pochi istanti dopo, una profonda voce maschile lo invitò ad entrare.
L'appartamento dei coniugi Lorne era pratico e funzionale, come tutte le costruzioni terrane, ma il tocco estremamente personale di Elisabeth Lorne aveva trasformato il ristretto bilocale in una tipica abitazione darkovana, se non fosse stata per la fredda luce che illuminava spietatamente ogni angolo della stanza.
«Nobile Edric,» disse con calore, ma utilizzando la tonalità più formale possibile, David Lorne. «Non vi aspettavamo per oggi.»
Edric scosse la testa, sorridendo. «Il solito incontro chiarificatore tra mio padre e il Legato,» rispose, sedendosi sulla piccola poltrona che l'uomo gli aveva indicato.
«Ci sono ancora cose da chiarire?» il tono dell'uomo si era fatto meno formale. «Dopo tre anni ancora ci sono problemi per intervenire ad una festa?»
«Nessuno vuole fare passi falsi,» disse Edric, «e permettere che la colpa di qualche inghippo ricada su di lui. Oggi avrebbe partecipato anche un rappresentante di Dom Aldaran... tanto per essere sicuri che mio padre non tenti di utilizzarvi contro di lui»
«Mi chiedo come andrebbero le cose se fossimo alla corte dei comyn,» la voce di Elisabeth Lorne risuonò dall'altra stanza che componeva il piccolo appartamento. «Credo che saremmo sempre costretti a seguire corsi di etichetta e subire gli ordini di un cerimoniere!»
«Non ci scherzerei troppo sopra,» Edric era comunque convinto che la donna avesse ragione. «Basta chiedere a mio fratello e a sua moglie come funzionano le cose, nella grande città di Thendara.»
«Preferisco non saperlo,» commentò Elisabeth, uscendo dalla stanza con indosso un pesante mantello. «Devo andare al settore storiografico per incontrare una nuova filologa,» disse, rivolta più che altro al marito. «Volete venire, o preferite restare al caldo?»
Edric si alzò prontamente in piedi. «Lasciare che una dama si allontani nel freddo della notte? Questo non sarebbe corretto.»
David guardò perplesso fuori dalla piccola finestra. «Mi pare che sia giorno e che, stando alle vostre abitudini, oggi faccia anche piuttosto caldo,» si voltò a fissare Edric, una finta espressione di sospetto sul volto. «Non starete tentando di portarmi via la consorte, Nobile Edric?»
Edric sorrise, accettando lo scherzo. «Se la vostra signora fosse d'accordo,» esordì, offrendo il braccio ad Elisabeth.
«Allora attenderò comunicazioni… quando deciderete di non poterne più e me la restituirete con gli interessi,» ridacchiò David, precedendoli fuori dall'appartamento. «Sapete… rame… argento…»
I tre scoppiarono a ridere. "Se tutti i terrani fossero come loro," si ritrovò a pensare Edric, tenendo ancora Elisabeth Lorne sottobraccio. "Peccato che siano in pochi ad accettare completamente le nostre abitudini, è una fortuna che abbiano deciso di rimanere loro al castello, per compiere gli studi sulla lingua e sulle nostre tradizioni."
Arrivarono all'alta costruzione che ospitava i laboratori in pochi minuti. Nessuno li aveva fermati per controlli, erano pochi i disperati che avversavano la presenza dei terrani e nessuno si era mai sognato di compiere atti inconsulti contro di loro o le loro installazioni.
L'astroporto aveva dato lavoro agli artigiani di Caer Donn che, in compenso, avevano ottenuto nuove conoscenze e metalli preziosi, apparentemente di poco valore per gli stranieri. Nessuno poteva desiderare un loro abbandono della zona e nessuno faceva nulla per provocarlo.
Le luci all'interno del laboratorio di Elisabeth erano accese, la persona che era venuta per incontrare doveva essere già arrivata. La donna aveva spiegato brevemente a Edric di cosa si sarebbe dovuta occupare la nuova arrivata, commentando il fatto che avrebbe trovato ben poco da studiare.
Il suo campo erano i libri e l'evoluzione della lingua scritta, in contrapposizione a quella parlata e, su Darkover, c'erano ben pochi testi scritti. L'idea di andare a Nevarsin non ispirava nessuno, terrani o collaboratori darkovani, e la possibilità di trovare altrove testi scritti sembravano molto esigue.
«Probabilmente si fermerà solo il tempo necessario per scoprire che non c'è nulla da scoprire,» commentò David, facendo strada oltre la porta d'ingresso. «Benvenuta, Andrea!» esordì all'indirizzo della giovane donna, che stava spulciando i documenti di Elisabeth disposti, in maniera piuttosto caotica, su un alto ripiano. «Non farti spaventare dalla confusione, utilizziamo ben poco questo posto.»
Edric scrutò con scarso interesse la minuta figura della nuova arrivata. Il solo fatto che indossasse ancora abiti tipicamente terrani e che portasse i capelli raccolti in un alto chignon, che lasciava completamente scoperta la nuca, lo metteva in imbarazzo. Sperava che si sarebbe presto adattata ai costumi locali, come Elisabeth e tutte le sue colleghe, oppure che non si allontanasse dal perimetro dello spazioporto.
«Andrea Starlite,» disse David, presentandola a Edric, «questo è il Nobile Edric Aldaran y Aldaran, figlio dei uno dei Nobili più importati di questo Dominio.»
«Edric Ardais y Aldaran, degli Aldaran di Aldaran, sarebbe più corretto,» disse Edric, inchinandosi leggermente alla sconosciuta. «Piacere di conoscervi,» disse poi, in terrano quasi perfetto.
«L'onore è solo mio,» fu la volta di Andrea di stupire Edric, rispondendo al saluto in perfetto darkovano, con l'accortezza di evitare di incrociare lo sguardo dell'uomo. «Non pensavo che avrei incontrato subito uno dei nobili del pianeta.»
«È solo un caso,» David li condusse verso il piccolo studio che condivideva con la moglie. «Prossimamente si terrà una festa e lui deve accompagnare il padre per prendere accordi con il Legato. Sai, problemi sull'etichetta da seguire.»
Andrea annuì, senza rispondere. Stava studiando Edric, cercando di non farsi accorgere, sapeva che era considerato scortese, quasi una sfida, fissare con insistenza un altra persona negli occhi. E una sfida gettata ad uno dei nobili che comandavano il pianeta che li ospitava non le sembrava il modo migliore per cominciare la sua permanenza su Darkover.
Anche Edric si ritrovò a studiare accuratamente la nuova terrana. La trovò troppo magra, l'altezza era giusta per confondersi con il resto degli abitanti, mentre i capelli erano di un nero corvino, molto raro tra i comyn. Solo gli occhi, grigi e freddi come l'acciaio, potevano rivelare una certa capacità che sarebbe potuta interessare al nobile Aldaran.
Sondò con gentilezza la mente della donna ma, a dispetto dei risultati ottenuti con i Lorne, non ricevette nessuna impressione positiva. Non volle eliminare a priori la possibilità che questa Andrea Starlite fosse sprovvista di laran, ma sperava di non dover approfondire la ricerca, specialmente se non cambiava abitudini nell'abbigliamento.
Quasi rispondendo ai suoi dubbi, Andrea trasse Elisabeth in disparte e le chiese dove era possibile trovare abiti come quello che lei stessa indossava. «Hanno l'aria di essere così caldi,» concluse con un brivido.
«Per ora posso darti qualcosa di mio,» Elisabeth fece cenno al marito che potevano tornare nel loro appartamento, almeno avrebbero potuto parlare più comodamente. «In seguito ti guiderò per il mercato di Caer Donn e ti insegnerò come trattare con i commercianti locali.»
«Trattare?» chiese Andrea, interessata. «Vuoi dire che qui si gioca sul prezzo, fino alla migliore offerta?»
«Esattamente.»
«Splendido,» fu l'unico commento.
Rientrati a casa Lorne, subito le due donne si eclissarono, lasciando Edric e David soli nella stanza principale. Presto l'argomento di discussione converse sulla prossima Festa del Solstizio. Era la terza Festa a cui i Lorne partecipavano e, ormai, non aveva più segreti per loro. C'era comunque una novità che David voleva comunicare a tutti quelli che conosceva al castello, cosa di cui non voleva fare parola neppure a Edric.
Per correttezza, questi si trattenne dallo studiare la mente del terrano, cercando l'informazione per apprenderla in anteprima. Avrebbe atteso come gli altri fino alla Festa. Sperava solo che non sarebbe stata una cattiva notizia, non aveva bisogno di altri dispiaceri.
In quel momento Elisabeth e Andrea rientrarono al cospetto dei due uomini. La giovane donna sembrava completamente trasformata, l'abito che Elisabeth le aveva prestato aveva i classici colori degli Aldaran e, strano che non lo avesse notato prima, Edric fu sorpreso nel vedere la lunga chioma corvina scendere fino a quasi sfiorare la cinta dell'abito. Un fermaglio in legno tratteneva i capelli in una semplice coda.
«Domani andremo a comprare qualcosa di più originale,» disse Elisabeth, ammirando l'aspetto tipicamente darkovano che Andrea aveva assunto cambiando solo abito. «Il Nobile Edric ha qualche preferenza?»
L'interpellato, che si era trattenuto appena dall'aprire la bocca per lo stupore, stava ammirando la splendida figura della donna. Trovava incredibile come un abito potesse cambiare completamente una persona.
«Trovo che sia perfetta,» disse dopo qualche istante. «Se interverrete alla festa, sarò lieto di farvi da cavaliere.»
Elisabeth e David si scambiarono un'occhiata maliziosa. Non avrebbero mai immaginato Edric Aldaran interessato a qualcosa che non fosse legato al suo mondo di origine. Forse un altro spiraglio si stava aprendo per la collaborazione tra i due mondi.
Edric si alzò improvvisamente, come ricevendo un messaggio che solo lui era in grado di percepire. «Temo di dovervi lasciare,» disse semplicemente. «Mio padre mi starà aspettando per tornare al castello. Inoltre, non voglio rubare altro tempo al vostro lavoro.» Si inchinò alle due donne. «Spero di vedervi alla Festa, magistre,» disse rivolto sia ad Elisabeth che ad Andrea, ma entrambi i Lorne ebbero la certezza che l'invito fosse rivolto direttamente ed unicamente ad Andrea.
Senza altri convenevoli, Edric uscì dall'appartamento, procedendo a passo spedito verso la città e il castello e, per la prima volta da giorni, non era ad Ellemir o alla Torre a cui stava pensando.

***

Rientrato al castello, Edric dovette bruscamente tornare alla realtà. Riuniti nel suo studio trovò il fratellastro e la moglie, accompagnati dall'ormai inseparabile Domenic Aillard. Prima di entrare, percependo la loro presenza qualche corridoio prima di giungere davanti ad esso, rimase per qualche istante ad origliare appoggiato all'uscio.
La voce di Dorilys si poteva sentire chiaramente anche attraverso la massiccia porta di legno. La cognata stava, in termini piuttosto coloriti, accusando Alaric di un comportamento imperdonabile nei suoi confronti. Purtroppo, Edric era arrivato a metà discorso e non riusciva a capire cosa esattamente avesse commesso il gemello. Conoscendo il carattere di Dorilys e, purtroppo, come era diventato Darren dopo il matrimonio, non se la sentiva di entrare ed affrontarli, non senza aver prima ascoltato il fratello.
Cercò di mettersi in contatto con lui ma, come capitava a volte, specialmente se Alaric stava facendo qualcosa che non voleva condividere con il gemello, sembrava irreperibile. Edric tentò ancora una volta, mettendo più urgenza nella richiesta della sua attenzione, ma non ricevette nessuna risposta.
Solo dopo qualche istante pensò che, molto probabilmente, il gemello poteva essersi recato negli appartamenti di Ellemir per sapere i risultati della prima giornata di addestramento. Se lo smorzatore telepatico che avevano piazzato nella stanza dell'Amazzone era ancora attivato, allora era facile che il suo messaggio non riuscisse a passare oltre la protezione che lo strumento creava. Edric rinunciò quindi ad ulteriori tentativi e, tirando un profondo sospiro, varcò la soglia del suo studio.
«Finalmente sei tornato!» lo assalì Dorilys, alzandosi di scatto dalla poltrona su cui era seduta. «Devi immediatamente prendere dei provvedimenti, il comportamento di tuo fratello sta superando ogni limite di decenza!»
Edric non rispose, si sedette alla sua scrivania, incrociò le mani davanti a se e vi appoggiò il mento. «Posso sapere cosa ha fatto, questa volta?» chiese in tono indulgente.
«Non importa quello che può aver fatto oggi,» si intromise Darren, lasciando che la moglie si ricomponesse. «Il suo comportamento sta istigando la Custode. Con il suo atteggiamento ci mette in cattiva luce.»
«Posso sapere cosa ha fatto?» ripeté nuovamente, in tono lievemente più irritato.
«Lo abbiamo incrociato mentre stava correndo da Ellemir,» cominciò a spiegare Dorilys, con calma e freddezza. «Lei sembrava avere bisogno di aiuto e lo aveva chiamato.»
«Ellemir aveva chiamato Alaric telepaticamente?» chiese Edric.
«Ovviamente,» fu la risposta seccata di Dorilys. «Noi lo abbiamo accompagnato. Se Ellemir aveva bisogno, allora potevamo essere utili anche noi.»
«Voi avete ricevuto un messaggio?» proseguì Edric, incurante delle parole della cognata.
«No,» rispose la donna. «Il messaggio era diretto ad Alaric, non potevamo di certo intercettarlo per caso. Sai benissimo che non si può, a meno di stare in ascolto appositamente.»
Edric annuì. «Quindi,» riprese, «era chiaro che, se il messaggio era stato rivolto solo a mio fratello, era solo lui che Ellemir aveva chiamato da lei.»
Dorilys scosse la testa, facendo ondeggiare la lunga chioma bionda. «Se avesse saputo che eravamo nelle vicinanze…»
«Tutti sanno che, almeno fino alla Festa, vi siete trasferiti al castello. Anche Ellemir,» la riprese Edric. «Non credi che, se avesse voluto te, o Darren, non avrebbe fatto altro che chiamarvi?» Dorilys non rispose, ma Edric poté quasi sentire la temperatura della stanza scendere di qualche decina di gradi. «Suppongo che lei vi abbia cacciati dalla sua camera,» continuò, «lo fece una volta anche con me, quando eravamo a Tramontana, in una situazione simile.»
«Questo non diminuisce la responsabilità di Alaric,» Darren interruppe i ricordi di Edric, cercando di dare sostegno alla moglie. «Poteva dirci, semplicemente, che non eravamo desiderati.»
«Capisco,» Edric aveva voglia di ridere in faccia al fratellastro, era noto a tutti che i due non perdevano occasione per intromettersi in qualsiasi faccenda ufficiale, anche quando non erano stati invitati a parteciparvi. «Se Alaric vi avesse detto che non eravate stati invitati, voi sareste rimasti in un angolo, senza dire nulla.»
«Ci stai accusando di esserci comportati noi in modo discutibile?»
«Dorilys, hai risposto tu stessa. La chiamata era rivolta solo ad Alaric e, ti posso assicurare, sono certo che mio fratello non vi ha invitati a seguirlo.»
Dorilys fece per ribattere ma Darren le poso una mano sul braccio, trattenendola dall'aggravare ulteriormente la propria situazione. Loro potevano avere ragione, e Darren sapeva benissimo che questa volta non era esattamente così, ma mettere la loro parola contro quelle di Alaric, Ellemir e, non era da escludere, anche della Libera Amazzone non avrebbe migliorato la pessima figura che avevano già fatto.
Senza aggiungere altro, i due si alzarono. Domenic stava per seguirli quando Edric lo invitò a restare. Dorilys si irrigidì, temeva che il cognato avrebbe cercato di rivoltare anche lui contro di loro. Ma, riflettendo sul carattere del giovane Aillard, comprese che la cosa era impossibile, prima di tutto perché lui era un vero comyn e, come tale, aveva lo stesso nobile comportamento suo e di Darren.
Edric attese che i due uscissero dallo studio ed invitò Domenic a sedersi accanto al camino. Sentiva d'aver sbagliato nell'affidare l'ospite alle cure di Dorilys, ma lui era stato troppo coinvolto dalle vicende legate ad Ellemir e Taksya per preoccuparsi anche di altri ospiti inattesi.
«Devo scusarmi per il mio comportamento poco ospitale,» disse al giovane. «La presenza della Custode ha assorbito ogni mio istante libero, spero solo che siate stato trattato nel migliore dei modi.»
Domenic annuì, senza fissare Edric negli occhi. Si sentiva in imbarazzo alla sua presenza, dopo tutto quello che aveva sentito dire da Dorilys e dal marito.
«Vi ringrazio dell'interessamento,» disse formalmente. «Spero che non mi abbiate fatto restare per coinvolgermi in qualche altra discussione di famiglia…»
Edric si mise a ridere. «Non temete,» rispose, «conosco fin troppo bene le abitudini di mio fratello e di Dorilys. Ogni volta spero che si rendano conto di essere loro a comportarsi nel modo scorretto ma, fino ad ora, è stata una battaglia persa.»
«Se devo essere sincero,» azzardò Domenic, rinfrancato dal tono schietto utilizzato da Edric. «Vostro fratello li aveva pregati di lasciarlo andare da solo, ma non hanno voluto dargli ascolto. Sapete, Domna Dorilys mi ricorda un po' la mia sorella maggiore,» continuò con maggiore sicurezza, «prima che diventasse vice Custode della Torre di Castel Comyn. Voleva sempre essere presente in ogni situazione, anche a costo di far infuriare nostra madre. Pensavano che il suo carattere sarebbe migliorato, dopo l'addestramento, invece era peggio di prima.»
«Molto spesso il potere rovina le persone che hanno già certe inclinazioni,» commentò Edric, pensando alla trasformazione subita cognata una volta diventata la Signora delle Terre Alte. Solo in presenza di Dom Kevin teneva un comportamento sottomesso, per il resto si riteneva già l'unica padrona del Dominio, essendo lei la sola moglie ufficiale della famiglia.
«Credo che abbiano mandato mia sorella alla Torre di Castel Comyn solo per darle una lezione,» riprese Domenic. «Lavorare con la vecchia Ashara deve essere già difficile possedendo una certa pazienza, per lei deve essere stato un tormento.»
«Ed ora?» Edric era, come sempre, affascinato da tutto quello che riguardava le Torri e sentire parlare della più vecchia Custode esistente su Darkover lo riempiva di curiosità.
«Ho potuto incontrare mia sorella solo all'ultimo Consiglio dei Comyn, rappresentava ancora il Dominio degli Aillard, l'altra mia sorella, adesso a capo del Dominio, era a casa malata e non era potuta intervenire.» Un fremito gelato percorse la schiena di Domenic al ricordo. «Non sembrava più lei, non era semplicemente più responsabile, sembrava addirittura un'altra persona. Non sono un tipo impressionabile, ma mi faceva venire i brividi sottostare al suo sguardo.» Edric annuì, senza capire. Anche lui aveva provato soggezione la prima volta che aveva incontrato Ellemir in veste ufficiale. I ricordi che aveva di lei, legati al periodo del suo malessere, erano in contrasto con l'immagine che doveva dare come Custode. Ma si era abituato alla cosa e, conoscendo altre Custodi, sia pure tramite il sopramondo, aveva appreso che era un atteggiamento comune. Forse Domenic era talmente abituato all'immagine che si era fatto della sorella che, incontratala perfettamente calata nel suo ruolo, aveva stentato a riconoscerla.
«È capitata la stessa cosa a me,» disse ad alta voce, «la prima volta che ho incontrato Ellemir, prima che diventassimo amici.»
«Non credo che sia la stessa cosa. Tutti mi avete accusato di avere ricevuto un addestramento appena passabile,» continuò Domenic. «Forse è vero, ma da Ellemir non si riceve le stesse impressioni che ho avuto da mia sorella… neppure la mia Custode a Dalereuth era così.»
Edric preferì non approfondire ulteriormente l'argomento. Ritornando con la mente a quello di cui voleva parlare con Domenic, passò immediatamente al problema che voleva affrontare.
«Cosa volete fare, una volta terminati i festeggiamenti per la Festa del Solstizio?» chiese senza troppi preamboli. «Capisco che l'ambiente che avete trovato non fosse quello che vi aspettavate. Ma, anche se sembra che consideriamo le vostre capacità al di sotto delle nostre, sarei molto felice se vi uniste al nostro gruppo.»
Domenic guardò, per la prima volta, Edric direttamente negli occhi, incredulo. «Volete davvero che rimanga a qui?»
«Alaric mi ha parlato del rapporto che esiste con la vostra famiglia,» riprese Edric. «Credo che, non offendetevi, potrebbero capire meglio il problema Alyssa o la nostra Rinunciataria, ma se non volete sottostare alle disposizioni del vostro Dominio, non dovrete fare altro che accettare la nostra ospitalità.»
Domenic ridacchiò, era abituato alle battute di scherno da parte degli altri comyn. «Essere un maschio Aillard vale quasi meno che appartenere ai Ridenow,» disse di getto, «considero la vostra offerta come tra le più vantaggiose mai ricevute.»
«Non ripetete simili apprezzamenti,» lo avvisò bonariamente Edric. «Dorilys è una Ridenow, potrebbe decidere che non siete più degno della sua protezione.»
«La mia non voleva essere un'offesa. È un fatto riconosciuto da tutti che i Ridenow sono all'ultimo gradino della scala gerarchica delle famiglie comyn. Persino il Dominio degli Aillard vale di più, anche se solo a causa del commercio,» si difese.
«Non sono all'ultimo gradino,» lo corresse Edric. «Noi siamo in fondo alla scala,» commentò tristemente.
«Vi sbagliate,» disse Domenic, «voi siete fuori scala.»
Edric lo fissò per un attimo, infondo non gli sarebbe dispiaciuto averlo nel suo futuro cerchio. «Allora, cosa decidete?» chiese in tono divertito.
«Non credo che riuscirò ad abituarmi alle stranezze di questa famiglia,» rispose più rilassato Domenic. «Se siete disposto a sopportare le mie scarse conoscenze, allora credo che potrò restare.»
Edric sospirò, aveva percepito chiaramente la presenza di Alaric. Il gemello doveva aver terminato il suo impegno misterioso e stava cercando di mettersi in contatto con lui senza farsi sentire. Era una brutta abitudine che aveva da tempo, quella di origliare le sue conversazioni private, ma non poteva dire nulla per criticarlo. Lui, molto spesso, faceva lo stesso.
«Sono anni che sopporto mio fratello!» rispose a Domenic, ben consapevole del fatto che Alaric avrebbe sentito ogni parola. «Non avete idea di quello che devo passare, per rimediare ai suoi errori di catalizzatore.»
Domenic non fece commenti. Non trovava affatto strano che vari membri della stessa famiglia si dessero addosso l'un l'altro.
«Non voglio che mi rispondiate subito,» riprese Edric, tornando al problema di origine. «Attenderemo che la Festa sia passata poi, con calma, deciderete quello che volete fare. E, se vorrete tornare a Nevarsin, mi preoccuperò di fornirvi una scorta adeguata. Con l'arrivo dell'inverno le bande di lupi sono più fameliche.»
Non riuscendo a capire se l'altro si stesse riferendo agli animali veri e propri o ai banditi che popolavano le montagne, Domenic ringraziò per l'offerta e, considerando chiuso l'argomento, chiese cerimoniosamente il permesso di allontanarsi.
Edric gli concesse quello che chiedeva, domandandosi se fosse il caso di permettere al giovane di passare ad un tono meno formale. Ma, non sapendo se sarebbe rimasto e se, soprattutto, sarebbe caduto definitivamente vittima delle manovre della cognata, preferì mantenere la distanza che l'etichetta richiedeva. Avrebbe avuto tempo per cambiare le cose.
Passarono solo pochi minuti dall'uscita del loro ospite che, con aria eccessivamente inferocita, Alaric irruppe nello studio.
«Così, dopo aver sopportato me, ti senti in grado di sopportare chiunque?» chiese trafiggendo il fratello con un'occhiataccia. «Allora mi prenderò la più gustosa vendetta mai architettata sotto questo tetto!» esclamò, esibendosi poi in una risata volutamente malsana.
«Peggio che scatenarmi contro Dorilys e Darren?»
La domanda colse alla sprovvista Alaric. «Sono già venuti a lamentarsi per la figuraccia che hanno fatto?»
Edric annuì, sorridendo maliziosamente. «Più passa il tempo, più facilmente Dorilys perde la pazienza,» disse poi, in tono più serio. «Non vorrei che, prima o poi, commettesse qualche imprudenza.»
«Spero di non essere nei paraggi, quel giorno,» disse Alaric, stringendosi nelle spalle. «A meno di avere Taksya dalla mia parte!»
Edric lo guardò interrogativamente, senza capire. Alaric ridacchiò e, senza aggiungere altro, gli mostrò la griglia di matrici distrutta dall'Amazzone. Il fratello prese in mano l'oggetto come se brulicasse di formiche scorpione, lo rigirò e lo soppesò con attenzione. Dopo qualche istante si voltò a guardare la sua scrivania.
«Sì,» commentò Alaric. «È proprio la tua griglia, quella che usi di solito per testare la potenza dei nuovi telepati che incontriamo. Forse dovrei dire che usavi,» ridacchiò nuovamente, sfregandosi le mani dalla gioia, era raro per lui vedere il fratello in quelle condizioni.
«Mi sai dire come è successo?» chiese Edric, continuando a tenere la griglia fusa all'altezza degli occhi.
«Taksya non riusciva a sintonizzarsi su nessuna matrice, allora Ellemir ha voluto vedere che potenza poteva raggiungere il suo laran. Le ha solo chiesto di concentrarsi sulle matrici della griglia.»
«Solo?»
Alaric annuì. «Credo che Taksya si fosse un po' irritata, trova stupido passare ore tentando di illuminare sassi. Così si è concentrata.»
Edric annuì, posando finalmente quello che restava della sua griglia sul pavimento. Si era accorto della potenza con cui Taksya sembrava trasmettere e ricevere, ma credeva che la cosa fosse legata alla situazione critica che stava attraversando.
«Se non fosse troppo assurdo,» cominciò sottovoce.
«Si potrebbe dire che possiede il Dono degli Alton?» chiese Alaric, anticipando il suo pensiero.
Edric annuì nuovamente. «Riusciva a trasmettere le proprie sensazioni persino con lo smorzatore in funzione.»
«Ellemir ha saputo qualcosa di più riguardo sua madre,» riprese Alaric. «Di certo era una comynara, ma non sappiamo a quale famiglia appartenesse. Taksya non sa, o non vuole, rivelare tutto. È come se una parte del suo passato fosse barricata dietro un muro impenetrabile che neppure lei riesce ad abbattere. Ricorda solo una parte di quello che è legato alla madre e alla sua infanzia.»
Edric sospirò, alzandosi. «Così hai passato tutto il pomeriggio con loro?» chiese quasi con invidia.
«Nostro padre è rientrato molto prima di te,» ribatté Alaric. «Non credo che tu ti sia annoiato molto, se sei tornato così tardi.»
«Avrai modo di vedere,» disse enigmaticamente Edric. «Credi che Ellemir possa vedermi, oppure è ancora impegnata con Taksya?» chiese poi, cambiando discorso.
«Credo che stia cercando di spiegarle cosa voi due dovrete fare molto presto. Ellemir trova che sia giunto il momento di risolvere quel certo problema
«Allora, dopo cena, avremo modo di metterci d'accordo sul da farsi,» si voltò verso il camino, perdendosi nella contemplazione del fuoco. «Ci dovrai aiutare, Alaric, avremo bisogno di qualcuno che monitorizzi l'intera operazione.»
«Era previsto,» lo rassicurò il fratello. «Non vi avrei lasciato andare da soli, qualsiasi cosa tu abbia in mente. Spero solo che non ti disturbi l'idea di avere spettatori,» disse poi, alzandosi a sua volta, dirigendosi verso la porta.
«Cosa intendi?» Edric era perplesso.
«Taksya non lascerà sola Ellemir,» gli rispose Alaric. «Ha giurato di difenderla.»
«Non credo che potrà fare molto, questa volta!» il tono di Edric era sarcastico. «Saremo solo io ed Ellemir.»
Alaric annuì, poco convinto. Stava per ribattere quando la voce di Alyssa risuonò nelle loro menti, chiamandoli per la cena. I due gemelli uscirono dallo studio, dirigendosi silenziosamente verso la sala da pranzo.
Con grande disappunto di Edric, anche quella sera Ellemir non si sarebbe unita alla famiglia. Preferiva restare accanto a Taksya, entrambe avevano bisogno di riposarsi e non le sembrava il caso di partecipare alla cena con il rischio di crollare con la faccia nel piatto della prima portata.
Le due donne furono comunque l'argomento dominante dell'intero pasto. La notizia dei prodigi di Taksya si era sparsa tra i membri del piccolo circolo di telepati ed Alaric si preoccupò di riferire con dovizia di particolari l'evento a coloro che ancora erano all'oscuro delle novità.
La vecchia leronis, che ormai partecipava per il solo gusto di sentire i giovani parlare dei loro progetti sulla nuova Torre, rimase piacevolmente divertita dal racconto, ma non particolarmente sorpresa.
Quando tutti erano pronti ad alzarsi da tavola, la vecchia donna bloccò Edric al suo posto, trattenendolo mentre il resto della famiglia si spostava nel salotto per i passatempi di fine giornata.
«Farai meglio a prendere in considerazione un aiuto da parte di quella ragazza,» gli disse con tono di rimprovero. «Quello che hai in testa per domani non è un gioco, la tua vita è in pericolo, non solo quella di Ellemir!»
«Non correrò rischi inutili,» la tranquillizzò Edric. «Ma non credo che Taksya potrà fare nulla per noi.»
«Vedrai,» fu la risposta sibillina della leronis.
Edric non fece in tempo a ribattere che la vecchia si era già allontanata da lui. Rimase seduto dove era, non aveva voglia di unirsi agli altri, quella sera non si sentiva in grado di ascoltare le ennesime discussioni o recriminazioni su come o chi aveva fatto cosa. Prima che venissero a cercarlo si alzò e si diresse ai suoi appartamenti e si coricò. Doveva essere riposato per l'indomani. Però, su una cosa la vecchia leronis aveva visto giusto. Quella poteva essere la sua ultima notte.
Era sul punto di coricarsi quando, facendosi timidamente annunciare da una giovane cameriera, il capo delle guardie chiese il permesso di conferire con lui. Edric sospirò ma, rivestendosi in fretta, fece cenno alla donna di dire a Cerdic di entrare.
«Qualche problema?» gli chiese una volta restati soli.
«Non esattamente,» rispose Cerdic, accomodandosi sulla poltrona che l'altro gli aveva indicato. «Avrei potuto dirlo al vecchio o ad Alaric… ma erano impegnati in una discussione e non avevo voglia di entrare per diventare un nuovo bersaglio.»
Edric annuì, sorridendo. Non c'era bisogno di possedere donas particolari per prevedere che l'atmosfera del dopo cena si sarebbe surriscaldata. «Hai fatto bene,» lo rassicurò. «Io ho già avuto la mia parte di lamentele questo pomeriggio.»
«Sono stato il città,» riprese Cerdic, in tono più professionale. «Mi sono fermato alla Casa delle Libere Amazzoni. Avevo già mandato qualche messaggio dopo il nostro arrivo, ma mi sembrava più corretto portare qualche notizia a voce.»
Edric sospirò nuovamente. Non avevano mai avuto problemi con le Libere Amazzoni di stanza a Caer Donn, non era il caso di guastare adesso i buoni rapporti di vicinato. Nessuna di loro avrebbe avuto nulla da ridire sul fatto che Taksya n'ha Roslyn era ospitata al castello, ma Cerdic aveva visto giusto sulla necessità di tenere la Madre della Casa informata in maniera meno impersonale.
«Madre Rowena ha voluto sapere tutto sulle condizioni di Taksya,» riprese il soldato. «Era preoccupata, temeva che le stessimo nascondendo qualcosa… quando le ho detto quale era la causa dei suoi problemi ha alzato gli occhi al cielo ed ha promesso che avrebbe fatto lei un giro da queste parti.»
«La fama di Alaric ha guadagnato un'altra tacca,» ridacchiò Edric.
«Ora ti lascio al meritato riposo,» concluse Cerdic, alzandosi. «Domani mi preoccuperò di informare Madre Rowena sui prossimi spostamenti di Dom Kevin e di Domna Dorilys. Non è il caso che sorgano discussioni alla vigilia della Festa.»
«Non capisco,» si incuriosì Edric. «Non credo che la loro presenza sia fondamentale per la Festa del Solstizio.»
«Vedo che l'Erede non ha studiato ultimamente,» lo rimproverò Cerdic, ben consapevole dell'assoluto disagio con cui Edric ricopriva quel ruolo. «Se l'Ordine delle Rinunciatarie decidesse di non parteciparvi potrebbero sorgere grossi problemi diplomatici con alcuni dei nostri vicini. Sapere la Sorellanza fedelmente al fianco di Dom Kevin è un freno molto efficace alle manie espansionistiche di alcuni signorotti dal sangue troppo caldo.» Cerdic sorrise nel vedere l'espressione sbigottita dell'altro. «Sono piuttosto brave a maneggiare quel loro coltello e nessuna di loro vuole cambiare l'illuminato governo di Dom Kevin con quello di qualche altro nobile dalle idee troppo ristrette.»
«Credo di aver capito,» il volto di Edric si illuminò. «Non l'avevo mai vista in questo modo. I nostri rapporti di buon vicinato con loro, intendo.»
«Fanne buon uso,» lo salutò Cerdic. «Non inimicarti mai una di loro, le avresti contro tutte. Prendi esempio da tuo fratello,» concluse andandosene.
Edric lo salutò con un cenno, riprendendo i suoi preparativi per la notte che aveva bruscamente interrotto e rimuginando su quanto gli aveva appena detto il capo delle guardie.
"Dice bene Cerdic," si disse una volta coricatosi, "per lui sono solamente dei bravi soldati su cui poter fare ciecamente affidamento. Non deve conviverci e discuterci tutti i giorni." Il pensiero andò automaticamente ad Ellemir, ed ai progetti che la donna aveva fatto per il proprio futuro. "Come posso trattare amichevolmente una persona che rischia di distruggere tutto quello per cui ho lavorato un'intera vita."
Si girò con rabbia su un fianco, cercando di liberare la mente dai pensieri che andavano lentamente formandosi. Doveva cercare di passare una notte tranquilla, senza caricarsi di tensione o creandosi inutili problemi. Il mattino dopo, al quale mancavano fin troppe poche ore, lo avrebbe dovuto trovare calmo e rilassato, pronto ad affrontare il pericolo che li attendeva in agguato nel sopramondo.
Tornò nuovamente a distendersi sulla schiena, fissando senza vederlo il grande arazzo fissato sopra il camino ormai spento, raffigurante la Beata Evanda nell'atto di donare un mazzo di kireseth al suo sposo Aldones. Quando il sonno lo raggiunse lo trovò impegnato a contare i fiordistella che la divinità teneva tra le mani, cullato dalla certezza che essi avrebbero risolto tutti i suoi problemi.







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© Simona Degli Esposti