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[J.K. Rowling's Harry Potter] [L'ultimo Horcrux] [capitolo 4] [salva]

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Titolo: L'ultimo Horcrux
Capitolo 5/5: L'ultimo Horcrux
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a JK Rowling, anche quelli che ho inventato io, se li vuole!
Warning: Può contenere SPOILER per HARRY POTTER AND THE HALF-BLOOD PRINCE.
Note: vai al primo capitolo...
Archivio: SLC, Fanfiction.net
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L'ultimo Horcrux

sssilvia



capitolo 5

L'ultimo Horcrux

Harry Potter aveva appena finito di stendere Draco quando ebbe la chiara percezione che c'era qualcosa che non andava.
Si voltò a guardare il campo di battaglia che era diventato lo spiazzo davanti al cancello della scuola.
Sembrava che tutti i mangiamorte fossero a terra, legati e imbavagliati. Avevano vinto. Eppure...
Remus, Hermione e la McGrannit formavano uno stretto capannello e stavano voltando irresponsabilmente le spalle ai prigionieri.
Harry andò verso di loro.
«Che cosa succede?» gridò.
Hermione gli lanciò uno strano sguardo.
«Lene Rice è stata ferita,» disse.
«Chi è stato? Come sta?»
Hermione fece un vago cenno nei confronti di Bellatrix Lestrange, che giaceva a terra schiantata e legata. «L'ha attaccata alle spalle, di sorpresa. Con una maledizione mortale.»
Harry la guardò incredulo.
«E' morta?»
«Non ancora, credo... non... non lo so. Non si muoveva e... Voldemort l'ha portata via... ha detto che era una maledizione che aveva inventato lui: la Lenta Morte. Infatti non ne avevo mai sentito parlare. A giudicare dal nome e dalle reazioni direi che è mortale. Era molto scosso.»
«Molto scosso?»
Hermione annuì. «Piangeva.»
Harry la fissò con espressione stupita.
«Dobbiamo ritrovarli subito,» disse Lupin, pratico. «Prima che... non so. Non mi sento affatto tranquillo.»
«Forse è tornato al castello in cerca di aiuto,» ipotizzò la McGrannit.
Harry scosse la testa.
«Forse è tornato al castello, sì. Ma non in cerca di aiuto.»

***

Fu Piton a trovarlo, nel sotterraneo in cui insegnava pozioni. Prima di entrare pensò bene di chiamare gli altri.
Harry fu il prescelto (tanto per cambiare) per andare in esplorazione.
Lene giaceva su un tavolo, circondata da una sfera di luce rosata, perfettamente immobile. La stanza era particolarmente buia, così che Harry non si rese conto che c'era anche Voldemort finché questi non parlò.
«Non ti avvicinare,» disse, con una strana voce piatta.
«Che cosa...»
«L'ho chiusa in un bozzolo di Tempo Zero. Avvicinarsi è pericoloso.»
Harry girò intorno alla sfera, finché non lo vide. Stava seduto per terra, con un pesante libro aperto sulle ginocchia.
«Che cosa è successo? Che cosa vuol dire che è in un bozzolo di Tempo Zero?»
Voldemort sollevò lentamente lo sguardo su di lui. Sembrava molto stanco e ancora più magro del solito. La pelle degli zigomi pareva di cartapesta e gli occhi assomigliavano a due biglie rosse prive di riflessi.
«Bella l'ha colpita con la Lenta Morte. Questo vuol dire che ci vuole un' ora prima che la persona ferita muoia. E' una specie di veleno. Esteriormente sembra che il corpo dorma, come se fosse in coma, ma interiormente soffre in modo orribile.»
«Hermione mi ha detto che...»
«Sì, è una mia invenzione. Un altro straordinario apporto al mondo della magia,» Voldemort sorrise amaramente, o almeno provò a farlo. «Ho creato un bozzolo privo di tempo, per ritardare il momento della sua morte.»
«Stai cercando un antidoto?»
Voldemort scosse lentamente la testa.
«Non esiste un antidoto.»
«E allora che cosa... Non vorrai lasciarla là dentro in eterno?»
Voldemort appoggiò il libro da un lato. «No. Avevo solo bisogno di un po' di tempo per documentarmi su qualcosa.»
Si alzò lentamente in piedi e frugò la stanza con lo sguardo. Su uno dei banchi da lavoro giaceva un foglio di pergamena. Voldemort lo prese e si chinò per scriverci sopra qualcosa. Scrisse per cinque minuti abbondanti, interrompendosi di tanto in tanto per riflettere. Arrotolò la pergamena e la chiuse con un sigillo magico, poi la appoggiò sul tavolo.
«C'è qualcosa che ti devo chiedere, Harry,» disse, tornando a guardarlo.
Harry si limitò al silenzio.
«Come sai, tempo fa ho spezzato la mia anima in sette parti e ho racchiuso ogni parte in un horcrux. Tre di questi sono andati distrutti, ma nel corso degli ultimi anni io ho recuperato due di quelli rimasti e ho disfatto l'incantesimo che li aveva creati. Ho ripreso dentro di me quei due pezzi d'anima. Adesso ho bisogno dell'ultimo.»
Harry lo fissò vacuamente. «Devo... andare a prenderlo?» chiese.
Voldemort scosse la testa lentamente.
«E'già qua,» disse. «Sei tu l'ultimo horcrux.»
L'altro fece un passo indietro. «Non è possibile...»
«Non l'ho fatto apposta, bada bene. Però è successo. Perché credi di essere un rettilofono, come me? Perché puoi guardare nel mio cervello... e io nel tuo?»
«Ma... ma...»
Voldemort fece un passo in avanti. «Harry? Devi ridarmi quel pezzo della mia anima. Mi serve... mi serve terribilmente,» sospirò. «Non voglio mentirti: se non me lo rendi ti ucciderò. Per me non ha importanza che torni dentro di me o che sia distrutto,» spiegò quietamente.
«Ma come faccio a ridartelo?» gridò Harry.
Voldemort inclinò la testa da un lato.
«Non sarà indolore,» disse, lentamente. «E non parlerai più serpentese, dopo.»
«E le nostre menti non saranno più in contatto?»
L'altro sorrise lievemente. «Oh, questo posso garantirtelo.»
Harry lo guardò con più attenzione. Sembrava incredibilmente calmo e tranquillo, come se niente potesse sfiorarlo.
«Ma a che cosa ti serve l'ultimo pezzo della tua anima?» chiese, cercando il suo sguardo.
«Finché rimane dentro di te non posso morire.»

***

Il dolore era stato breve ma lancinante. Voldemort gli aveva semplicemente appoggiato una mano sulla faccia e aveva strappato via qualcosa che era dentro di lui da vent'otto anni.
Quando aveva aperto gli occhi Harry si sentiva terribilmente vuoto, come se lo avessero mutilato.
«Grazie,» aveva detto Voldemort, aiutandolo ad alzarsi.
Harry era rimasto nella stanza, ma per l'altro era stato come se non esistesse più.
«Voldemort,» l'aveva chiamato Harry.
«Oh, che sciocchezza,» aveva risposto lui, aprendo il libro che prima aveva letto davanti a sé.
«Tom, che cosa stai facendo?»
L'altro aveva sfogliato alcune pagine, ritrovando il segno.
«Una magia. Una delle prime magie inventate.»
«Vuoi... morire?»
«No. Ma morirò. Sto facendo scambio.»
Harry fece per avvicinarglisi, ma Voldemort lo tenne lontano con un gesto imperioso del braccio.
«Ma non puoi farlo!»
L'altro sorrise. «Posso, e lo farò. Adesso stai zitto, devo concentrami.»
Chiuse gli occhi, ma li riaprì un istante dopo.
«Ah. Quella...» indicò la pergamena. «E' per Lene. La può aprire solo lei.»
Poi richiuse gli occhi.
Le sue labbra si muovevano piano mentre pronunciava le parole che erano sul libro. Ogni volta che una sillaba veniva pronunciata la carta su cui era scritta bruciava, cancellando ogni traccia.
La sfera di luce rosata intorno al corpo di Lene si dissolse e Voldemort alzò la bacchetta.
Dalla punta uscì un getto di luce bianca, sottile e quasi polverosa, che raggiunse l'altra al petto. La stessa luce si arrampicò lungo il braccio di Voldemort, fino ad arrivare al suo cuore.
Un attimo dopo lo stregone cadeva per terra privo di sensi.

***

Hermione, Piton e la McGrannit avevano mandato tutti gli studenti a dormire. Non avevano detto niente a Tom Junior e a Priscilla, pensando che fosse di gran lunga meglio aspettare.
Quando entrarono nei sotterranei, quindi, non erano preparati allo spettacolo che li attendeva.
Harry era immobile in un angolo, con l'espressione sconvolta.
Voldemort era a terra, e sembrava quasi morto. Era privo di sensi e il sollevarsi e abbassarsi del suo petto era impercettibile. Accanto a lui c'era quello che sembrava un libro carbonizzato.
Lene era stesa su un tavolo, e stava sbattendo gli occhi.
«Che cosa è successo?» chiese Hermione, angosciata. Harry sembrò riscuotersi di colpo. «L'ha fatto!» gridò. «L'ha fatto davvero!»
Si chinò sul corpo di Voldemort e gli appoggiò una mano sulla gola.
«E' ancora vivo,» disse. «Resterà vivo per altri quaranta minuti circa. E sta soffrendo terribilmente.»
Hermione si inginocchiò accanto a lui.
«Lo senti nel suo cervello?»
«No,» rispose Harry. «Ormai non posso più. Ha detto lui che è una morte dolorosa.»
«Ma che cosa...»
Harry la guardò. «Ha fatto scambio. Ha scambiato la sua morte con quella di Lene. E' una magia antica, che...»
«NOOOO!» l'urlo rimbombò nella stanza come un colpo di cannone.
Lene era seduta sul tavolo e guardava fissamente il corpo che giaceva a terra.
«No... no... no...» scese dal tavolo solo per afflosciarsi accanto a lui, piangendo. Gli prese la testa tra le mani come se gliela volesse staccare e se la strinse al petto. «No... come hai potuto... come...»
Piangeva disperatamente e farfugliava parole slegate, accarezzandogli ritmicamente i capelli, ormai stesa a terra anche lei.
Harry le spinse il papiro in una mano. «Mi ha detto di darti questo.»
Lene lo prese e spezzò il sigillo, frenetica.
Ma man mano che leggeva sembrava solo diventare più vuota e più triste, come se le righe che lui aveva vergato stessero risucchiando la sua anima.
Gettò la pergamena a terra e si chinò nuovamente su di lui.
«Che tu sia maledetto... maledetto... maledetto...»

***

Hermione sollevò cautamente la pergamena da terra. La scrittura era allungata e angolosa, e diceva:
"Carissima Magdalene,
l'incantesimo che ti ha colpito è solo un'altra delle mie molte colpe. Tu sai che la magia è stata la mia unica amica per molti anni, la mia amante e la mia famiglia, e in un certo senso è giusto che sia la magia, adesso, a dividerci.
Dobbiamo dividerci, infatti, e tra noi due sei tu quella che deve rimanere in vita. Tom e Priscilla hanno bisogno di te, e tu sola puoi prenderti cura di loro, come io non sarei capace.
Per favore, dì loro che gli voglio immensamente bene, e salutali al posto mio.
In quanto a te, hai cambiato la mia vita in così tanti modi che tenere il conto sarebbe futile. Credo e spero che un giorno ci incontreremo ancora, se è vero che i sentimenti non muoiono.
Per ora, e fino a quel momento,
ti amo
Tom."

Hermione accartocciò la pergamena e la lasciò cadere per terra. Lene stava ancora singhiozzando silenziosamente con la testa di Tom Riddle stretta al petto.
«Ci deve essere un modo di salvarlo,» disse Hermione.
«Ha detto che non esiste un antidoto,» rispose Harry, atono.
«Beh, vuol dire che si è sbagliato!»
Harry scosse la testa.
«Se anche fosse... quanto gli rimane? Mezz'ora? Quante probabilità hai di trovare un antidoto in tempo?»
Il silenzio calò sulla sala.
Poi, lentamente, Lene alzò la testa.
«Già...» mormorò, «... quante probabilità?»

***

Lene era schizzata in piedi come se fosse stata sparata da un cannone. Si era detersa le lacrime con una manica e aveva iniziato ad aprire freneticamente tutte le ante degli armadietti del sotterraneo.
Sembrava che stesse prendendo ingredienti praticamente a caso, e man mano che procedeva li buttava in un vecchio calderone.
Dopo pochi secondi al di sotto di questo ardeva un piccolo fuocherello verde.
«Ma che cosa stai facendo!» urlava Piton. O meglio, l'aveva urlato prima di venir colpito da uno schiantesimo di notevole potenza. A quanto pareva Lene non desiderava essere interrotta.
Ogni tanto si fermava per guardarsi freneticamente intorno.
Ogni volta finiva per buttare nel calderone qualcosa di nuovo.
Quando ci buttò dentro uno dei suoi stivali Harry, Hermione e la McGrannit iniziarono a pensare che fosse semplicemente impazzita.
«Quanto manca?» gridò a un certo punto lei.
«Hem... forse dieci minuti,» disse Harry. «Forse meno...»
«Va bene, va bene...» borbottò Lene, facendo ingrossare il fuoco. «Diciamo che è pronta...»
Infilò una fiala nel calderone e la ritirò piena di una strana sostanza marrone.
«Puzza da far schifo,» commentò, tutta allegra.
Hermione fece un significativo gesto ruotando un dito vicino alla propria tempia.
Lene non la vide nemmeno. Invece si accovacciò accanto a Lord Voldemort e gli aprì la bocca a viva forza. Poi gli infilò la fiala tra le labbra.
Voldemort bevve.
«E adesso svegliati, per favore...» sussurrò Lene. «Per favore...»
«Chiedi... per favore... così... raramente che... dovrò... accontentarti...»
Lene urlò, ma questa volta di gioia. «Funziona! Funziona! Sei vivo!» si chinò su di lui e lo abbracciò come se volesse stritolarlo. Voldemort sbatté lentamente le palpebre, e appoggiò la guancia su quella di lei.
Sollevò una mano e cominciò ad accarezzarla debolmente sulla nuca.
«Grazie al cielo sei vivo, Tom...» gridò lei baciandolo a ripetizione.
«Già, beh... sono contento anch'io,» rispose lui, con fare vagamente derisorio.
Lei lo strinse di più. «Oh... non fare il cinico! Non freghi nessuno!»
Lui chiuse gli occhi e si fece coccolare un altro po'. Poi li riaprì di scatto.
«Ovviamente non hai...» disse, teso, mentre la sua mano destra partiva all'esplorazione del pavimento limitrofo. «Non hai letto...»
Lene rise di cuore. «Certo che ho letto la tua lettera!» esclamò «Era davvero dolcissima!»
Voldemort, sempre sdraiato a terra, sempre con una strega scarmigliata e senza una scarpa aggrappata al collo, si appoggiò una mano sugli occhi e mormorò:
«Qualcuno mi uccida.»

***

Lui e Lene erano stati alloggiati per la notte nella stanza delle necessità, Harry aveva trovato un posto in infermeria («Ci sono stato così tante volte durante gli anni di scuola, che ormai è un po' come casa mia,» aveva detto) ed Hermione si era accampata in biblioteca («Ho giusto un paio di ricerche da fare.»).
Alle prime luci dell'alba Voldemort era salito nella torre di Astronomia. Il prato che dal castello digradava fino al lago e ai cancelli non conservava traccia degli scontri della notte precedente, l'aria era tersa e frizzante e sembrava che la prima nevicata della stagione volesse arrivare in anticipo.
Un filo di fumo saliva dalla casa di Hagrid e il suo cane stava già rovistando nell'orto.
La Foresta Proibita formava, come sempre, un muro verde e apparentemente impenetrabile.
«Sei già sveglio,» disse una voce alle sue spalle.
Voldemort si voltò.
Harry Potter era appena entrato nell'osservatorio, ancora vestito parzialmente da notte.
«Sai com'è, noi Oscuri Signori non dormiamo mai molto. Fa parte delle specifiche.»
«Ah, nemmeno noi Prescelti, sembrerebbe,» Harry Potter si appoggiò al parapetto accanto a lui. «Ci sono alcune domande che ti vorrei fare.»
Voldemort giocherellò con la manica della sua veste nera, continuando a guardare l'orizzonte.
«Falle, allora.»
«Perché ero io l'ultimo horcrux?»
L'altro sorrise in modo vago. «Te l'ho detto. Un errore. Avevo intenzione di creare un horcrux, quella notte. Avevo già pronunciato la formula. Quando ho provato ad ucciderti e invece la maledizione ha colpito me la mia anima si è ugualmente spezzata... e un pezzo è finito dentro di te.»
«E per tutti questi anni...»
«Proprio così. E' rimasta là, come una parte di te.»
Harry scosse la testa, mentre una risata leggera gli fioriva sulle labbra. «Non posso dire che mi mancherà.»
Anche Voldemort ridacchiò. «Non mancava neanche a me, il che è tutto dire.»
«Come ha fatto Lene ad azzeccare la giusta pozione?» chiese Harry, all'improvviso.
L'altro si strinse nelle spalle.
«Per Lene è normale trovarsi sempre nell'area di rifiuto probabilistico. Tutto quello che gli altri giudicano così improbabile da essere praticamente impossibile a lei succede. Sono undici anni che studio la questione... e devo dire che non sono ancora arrivato ad un risultato certo.»
Si voltò a guardare Harry.
«Ma se vuoi sapere come ha fatto fisicamente... beh, ha buttato nel calderone ingredienti assolutamente a caso.»
Sogghignò. «C'è da farsi venire i brividi, vero? Avrei anche potuto trasformarmi in una vescica di grasso, per quel che ne sapeva.»
Harry sorrise stancamente.
«Hai visto la forma del Patronus?» disse, cambiando ancora argomento.
Voldemort inclinò la testa da un lato, uno strano sorriso che gli aleggiava sul volto. «Oh, è sempre stato il sogno del vecchio bietolone, sai? Uno per tutti e tutti per uno. Scommetto che se fai irruzione nell'ufficio della McGrannit prima che si svegli troverai dentro al quadro i resti di un festino.»
«Era lui, quindi?»
L'altro scosse la testa. «Il tuo Patronus è tuo padre?»
«Ah.»
«In ogni caso Silente sarà contento,» chiuse gli occhi e scosse la testa. «Dio, mi verrà l'orticaria!»
Harry rise e si staccò dal parapetto.
«Vieni a fare colazione?» chiese.
«Più tardi,» rispose Voldemort, tornando a guardare l'orizzonte.

***

La sala grande era particolarmente gremita, quella mattina. Tutti gli studenti volevano dare un'occhiata più da vicino agli ospiti che erano piombati ad Hogwarts e avevano combattuto contro i Dissennatori. Volevano sapere che cosa era successo, come era successo e quando era successo. Insomma, il pacchetto completo.
Così tutti quanti continuavano a piluccare lentamente un biscotto ogni quarto d'ora, aspettando che qualcuno si facesse vedere.
La McGrannit fu la prima ad entrare, seguita da un Piton dall'aria alquanto sbattuta.
«Tutto il mio laboratorio è da ricostruire...» stava sussurrando, con espressione a metà tra il furioso e l'isterico.
«Verrà ricostruito, Severus,» tagliò corto la McGrannit, prendendo rigidamente posto al tavolo degli insegnanti.
Hagrid comparve per secondo, appena prima di Vitius e della Sprite. Remus Lupin arrivò sbadigliando e iniziò a sorseggiare il suo tè con la testa appoggiata su una mano e il gomito sul tavolo.
Harry sembrava stanco ma radioso e si sedette felice al tavolo dei Grifondoro a fianco a suo figlio, provocando un mormorio entusiasta.
«Cavoli, erano anni che non facevo colazione nella sala grande. Adesso posso dire che mi è mancato!»
Jimmy, che forse era l'unico a non essere contento che il suo celebre padre gli si fosse seduto accanto, grugnì in segno di disapprovazione.
«Papà! Non dovresti andare al tavolo degli insegnanti?»
«Perché?» fece l'altro in tono dispettoso. «Non sono mica un professore». Ridacchiò: «Tranquillizzati: dopo la colazione me ne vado. Oh, Hermione, vieni qua!»
Hermione era appena entrata nella sala, e aveva voltato la testa verso lo sventolio di mani del suo ex-compagno di scuola.
«Mamma,» gridò Athena, non appena lei fu vicina. «Hai visto il mio Patronus? Mi ha dato ascolto! Ha fatto quello che doveva... sono stata brava, vero?»
Hermione sorrise, prendendo posto al suo fianco.
«Ma certo. Non ti adagiare sugli allori, però, adesso. Ricordati, si può sempre...»
«...Studiare di più!» fecero in coro Harry e suo figlio, prima di mettersi a ridere.
«Migliorare!» ribatté Hermione, con la faccia color porpora.
Spostò lo sguardo su due ragazzini dagli occhi rossi che stavano facendo colazione di fronte a loro.
«Voi dovete essere Tom Junior e Priscilla, vero?»
La ragazzina arricciò il naso: «Non sfugge a nessuno, eh?»
«Sì,» disse, in modo molto più mite il ragazzino, con un sorriso timido e fiducioso.
«Priscilla sa già fare gli incantesimi di appello!» strillò Athena. «Perché a me non li ha insegnati nessuno, mamma?»
«Perché lei è figlia del migliore che c'é... Ecco perché...» canticchiò Voldemort scivolando a sedere tra i suoi figli con aria radiosa.
Hermione grugnì.
«Dov'è la mamma?» chiese subito Tom.
«Secondo te?» fece suo padre, schiacciandogli il naso con un dito.
«A dormire!» esclamò Priscilla.
«Papà!» protestò Tom.
«Oh, giusto,» disse Voldemort in falso tono serio. «Ormai sei grande. Un uomo. Da ora in poi ci limiteremo a virili strette di mano.»
Tom rise.
«Allora...» continuò Voldemort, occhieggiando le cibarie sul tavolo. «... Sono circa... hu, sessant'anni o più che non assaggio il plumcake di Hogwarts. Scommetterei che la ricetta non è cambiata...»
Detto questo afferrò una fetta di dolce e se la infilò in bocca.
«Fai il pitone! Fai il pitone!» strillarono i suoi figli.
Voldemort, con la bocca piena, lanciò loro uno sguardo di rimprovero. Ma poi scosse le spalle e si fece scendere l'intero pezzo di torta giù per la gola.
«Mmm...» commentò, sornione. «Il pitone ha ancora fame. Che cosa mangerà?Un bambino? Un cappello?»
«Il toast!» gridò Priscilla, allungando a suo padre una fetta di pane tostato ricoperta di marmellata.
«E' appena uno spuntino, per il pitone...» gorgheggiò Voldemort, infilandosi la fetta in bocca e inghiottendola intera. In effetti faceva un po'impressione vedere la sagoma che gli scorreva giù per la gola.
«L'arancia!» gridò Tom, tutto gasato.
«Eh, no. Adesso basta. Neanche il pitone mangia l'arancia con la buccia,» si tirò indietro suo padre. «E poi credevo che foste troppo grandi per queste cose, no?»
Ma metà del tavolo dei Grifondoro lo guardava con aspettativa.
Voldemort sospirò. «Al diavolo,» disse, infilandosi in bocca l'arancia intera.
Gli studenti risero, emettendo suoni di incoraggiamento.
«Glielo state facendo fare di nuovo!» arrivò dalle loro spalle una voce severa. Lene stava avvicinandosi al tavolo a passo di marcia, con aria bellicosa. Aveva di nuovo entrambi gli stivali e una camicia nuova.
«Oh-oh,» disse Priscilla, mettendosi una mano sulla bocca.
«Lo sapete che poi gli viene il bruciore di stomaco! E tu! E' possibile che fai tutto quello che ti chiedono? Avevamo detto niente più pitone!»
Voldemort sollevò una mano. «Era un occasione speciale...» sussurrò, contrito.
«Non importa! Niente pitone! Devono imparare che il cibo si mastica! Oh, ciao Harry, ciao Hermione...» aggiunse, accorgendosi in quel momento di non trovarsi nella cucina di casa sua. «Perdonate l'esibizione da circo... qualcuno, qui, tende ad essere un po' istrionico...»
Voldemort, avvilitissimo, prese un pezzettino di brioche e lo masticò diligentemente.
«E adesso, già che ci siamo,» continuò lei, sedendosi con aria impettita a fianco di sua figlia. «Raccontateci come è andato il vostro primo giorno.»


fine








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