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Titolo: Ho sparato a Lord Voldemort
Capitolo 2/11: Che cosa ho fatto?
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Archivio: SLC, Fanfiction.net
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Ho sparato a Lord Voldemort

sssilvia



capitolo 2

Che cosa ho fatto?

Thomas Riddle esaminò attentamente il riflesso che gli rimandava lo specchio. Questo era uno di quegli oggetti che infestavano abitualmente le dimore dei personaggi molto molto cattivi. Alto e con una cornice dorata annerita dal tempo, poteva benissimo provenire da uno stock acquistato in svendita dalla regina cattiva di Biancaneve. Quel genere di oggetto, insomma.
Questo specchio, in ogni caso, difficilmente avrebbe detto a Riddle che era il più bello del reame (non avrebbe mai osato).
Si limitava a fare il suo lavoro, riflettendo docilmente il torace scheletrico e pallido di quest'ultimo, segnato da una cicatrice rosata nella parte sinistra. La pallottola gli aveva attraversato il polmone sinistro - così gli era stato detto. Visto il fastidio che avvertiva ad ogni respiro Riddle non aveva motivo di dubitarne.
Naturalmente il foro era stato immediatamente richiuso magicamente, ma la cicatrice restava.
Le narici serpentine di Riddle fremettero al pensiero che quella lercia babbana avesse osato bucherellare il suo corpo nuovo.
Ovviamente nemmeno lui aveva il coraggio di pensare che il suo corpo nuovo fosse questa gran bellezza, ma, diavolo, era il suo corpo, e quella stupida babbana l'aveva bucherellato!
Di nuovo pensò che, però, il termine babbana non era il più adatto a descriverla.
Scoccò un'occhiata pensierosa al suo riflesso (il quale sorrise crudelmente di rimando) e cercò di accantonare momentaneamente il pensiero.
I suoi Mangiamorte stavano cercando di scoprirne di più, inutile continuare a lambiccarsi il cervello senza elementi.
Di lì a qualche ora avrebbe avuto più informazioni. Sempre che nel frattempo nessuno dei suoi si perdesse per strada o non venisse aggredito da qualche animale domestico (era già successo).
Socchiuse i sottili occhi rossi e esaminò il suo volto. Nessuna ruga in vista: bene.
«Chi potrebbe mai darmi cinquant'anni?» motteggiò, rivolto allo specchio.
«Nessuno, Mylord,» replicò quello, con voce annoiata. «E adesso si pettini quel ciuffo.»

***

«Che cosa avrei fatto?» stava strillando Lene Rice, in quel momento.
Era seduta ad un'estremità di un lungo tavolo, circondata da facce che la scrutavano con un misto di interesse e incredulità. Lei stessa era incredula. Praticamente attonita.
«Lei ha creato uno scudo magico,» ripeté l'uomo dalla faccia stanca, cortesemente.
Lene sbatte ripetutamente le palpebre, poi iniziò a ridacchiare.
Quella gente era decisamente stupefacente. L'avevano fatta salire su una berlina scura che sembrava essersi materializzata dal nulla in Camden High Street (non che si fosse veramente materializzata, ovvio. Probabilmente era uscita molto velocemente da qualche box-auto nei dintorni) e l'avevano introdotta in una stranissima casa dall'aspetto lugubre. Per qualche inesplicabile ragione le avevano fatto prima leggere l'indirizzo su un foglietto (12 Grimmauld Place). Non aveva fatto in tempo a ripeterselo mentalmente che l'avevano sospinta dentro.
All'inizio c'erano solo i due signori che l'avevano accompagnata, l'uomo con la faccia stanca e quello un po' più anziano coi capelli rossi, ma pian piano la grande cucina dal soffitto scuro si era riempita di gente.
Stranamente in giro non c'era traccia di energia elettrica. C'erano delle lampade a petrolio (o così pensava lei), delle fiaccole, e i fornelli sembravano a legna. Nonostante questo le era stata servita una tazza di tè alla velocità della luce. Ah, questi britannici...
E quella gente era davvero strana. Probabilmente una qualche sorta di naturisti svitati, aveva ipotizzato. Anche simpatici, in fondo. Ma adesso stavano iniziando ad esagerare.
«Spero che si renderà conto di aver detto una frase senza senso,» disse, non appena riuscì a smettere di singhiozzare.
L'uomo dalla faccia stanca sospirò. Si grattò pensosamente la testa e tornò quindi a rivolgerle un bel sorriso incoraggiante, come se la pazza fosse lei e non loro.
«Signorina Rice...» iniziò.
«Mi chiami pure Lene. E il suo nome?» fallo parlare, si disse. Cerca di capirci qualcosa.
«Remus Lupin.»
«Ah, eccellente. Adesso mi ascolti, Remus... Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare di aver capito che lei... e tutti questi gentili e folkloristici signori coltiviate la strana convinzione di... come dire... essere dotati di poteri magici?»
Un veloce lampo di divertimento attraversò gli occhi dell'altro, che le fece segno con la testa di continuare. Non sembrava particolarmente pazzo.
«E... mh, devo supporre...» proseguì, quindi, lei, cercando di parlare lentamente e in modo chiaro, «... che questo abbia a che vedere con una qualche tradizione britannica a me ignota? Vorrei cogliere l'occasione di dire che io sono assolutamente aperta... agli scambi multiculturali... e, beh...»
A parte il fatto che non era per niente sicura di essere aperta agli scambi multiculturali, la reazione di quella gente non era quella aspettata. Lene aveva immaginato una serie di educate spiegazioni, o al limite un qualche tipo di manifestazione di ira... invece i palandrati sembravano fare di tutto per trattenere le risate.
L'uomo che si era presentato col nome di Remus Lupin si schiarì la gola e le rispose, in tono civile: «Vede, sign... Lene, noi siamo maghi.»
Lei sollevò gli occhi al cielo.
«Benissimo! Esegua una magia, allora!»
Lupin cercò di trattenere un'altra risatina e estrasse dalle pieghe dell'abito (piuttosto liso, ora che lo osservava più da vicino) uno di quei bastoncini che Lene aveva già notato in precedenza.
"Ma certo!" Pensò, le idee improvvisamente chiare, quegli svitati credevano che fosserobacchette magiche!
«Wingardium leviosa,» disse Lupin, e la sua tazza del tè si sollevò dolcemente a mezz'aria.
Lene corrucciò la fronte e passò cautamente la mano sopra e sotto la tazza. Niente scherzi, non c'erano fili.
Sollevò lo sguardo verso il cosiddetto mago e lo scrutò attentamente.
«Così è facile,» dichiarò, con la tipica ottusa insistenza del texano che non capisce. «Adesso io le dico che cosa fare, e lei prova ad eseguire.»
Si sfilò la penna dal taschino della giacca.
«Ecco. Faccia sparire questa.»
Lupin mosse di nuovo la bacchetta e la sua penna svanì. La sua penna da centocinquanta dollari, per l'esattezza.
«Ah, suppongo che adesso me la ritroverò in tasca, vero? O magari dietro all'orecchio.»
L'altro sollevò un sopracciglio, autenticamente disorientato.
«Sì, certo. E' sempre così, no? Avanti, la faccia ricomparire.»
La penna ricomparve in mezzo al tavolo. Ricomparve con assoluta chiarezza, senza né sbuffi di fumo né altri effetti diversivi.
«Mi crede, ora?» domandò Lupin, gentilmente.
Lene deglutì.
«Potrei avere un Jack Daniels?» mormorò, alla fine.

***

La neve aveva appena ricominciato a cadere quando il primo dei Mangiamorte si materializzò a una decina di passi da Thomas Riddle. Lui continuò a guardare fuori dalla finestra per qualche istante ancora, seguendo la voluttuosa discesa dei piccoli fiocchi quasi luminescenti, e infine si voltò.
«Ah, Lucius,» disse, a mo' di saluto, con la voce gelida per la quale era famoso. Si era esercitato per anni per ottenere la giusta intonazione all'azoto liquido e ormai era prossimo alla perfezione. A volte si faceva paura da solo.
«Mio Signore...» mormorò l'altro, inchinandosi fino a terra.
C'erano varie cose che si potevano dire contro Lucius Malfoy, ma non che non sapesse come leccare culi, all'occorrenza. Solo che in quel momento Riddle non ne aveva voglia.
Con un gesto sbrigativo della mano lo invitò a raddrizzarsi.
«Allora, che cos' hai scoperto della babbana?»
Sul viso dell'altro aleggiò un sorrisetto soddisfatto. Bastò un'occhiata perché il sorrisetto si riassorbisse nella sua faccia come una goccia d'acqua nell'oceano.
«Innanzi tutto non è una babbana, mio Signore.» Chissà come riusciva sempre a far sentire la maiuscola. Indubbiamente una dote da coltivare, pensò cinicamente Riddle.
«Già, beh,» fece, spazientito. «Non so perché ma lo sospettavo anch'io. Voglio sapere chi é.»
Malfoy indietreggiò di un passo. Persino la voce fredda passava in secondo piano, quando Riddle diventava sarcastico. Oh, quello era assolutamente spaventoso.
«Si chiama Magdalene Rice, mio Signore. Proviene dagli Stati Uniti d'America, dal Texas. I suoi genitori adottivi si chiamavano...»
«Lucius?» lo interruppe Riddle, soave. «Potrei avere la versione editata?»
L'altro si asciugò il sudore dalla fronte con la manica del pastrano nero.
«Sembra che i suoi genitori naturali fossero due maghi purosangue. Una linea di sangue antichissima, devo aggiungere. In realtà...» emise una risatina imbarazzata, «... potrei anche avere un paio di antenati in comune con lei!»
Riddle si limitò a guardarlo inespressivo. I sottili occhi dalle iridi rosse e dalle pupille lanceolate non erano uno spettacolo particolarmente rassicurante, anche perché erano completamente immobili.
«Ma sono morti quando la ragazza era molto piccola. E' stata adottata da una coppia di babbani.»
«E...» sibilò Riddle, giusto per dargli un incentivo a ridurre ulteriormente la prolissità.
«E, apparentemente la storia finisce qua. Non ha frequentato alcuna scuola di magia... non ha mai partecipato ad alcun incontro magico... sembra che non abbia neanche una bacchetta. Credo che sia una rinnegata.»
Il tono con cui aveva pronunciato l'ultima parola esprimeva un disgusto ancora maggiore di quello che Malfoy riservava in genere ai mezzosangue.
In quanto a Riddle... lui sapeva che esisteva la possibilità prettamente teorica che un mago rinunciasse a tutti i suoi poteri e che decidesse di vivere come un babbano, ma era un concetto talmente assurdo che stentava a comprenderlo. Perché mai qualcuno sano di mente (oppure no, come nel suo caso) avrebbe mai desiderato vivere come un babbano?
Che Riddle sapesse i casi erano rarissimi e di solito denotavano un certo squilibrio psicofisico. Se mal non ricordava c'era, in effetti, stato un mago che aveva rinnegato la magia dopo aver ucciso per errore moglie e figli (una giustificazione dannatamente debole, dal punto di vista di Riddle)... ma, onestamente, era poco più di un mentecatto anche prima.
«Bene, Lucius... puoi andare.»
Malfoy sollevò lo sguardo su di lui. Probabilmente si aspettava almeno un commento, magari persino un premio.
«Puoi andare, ho detto,» ripeté Riddle.
Mentre lo schiocco della smaterializzazione ancora risuonava nell'aria, si voltò verso la finestra e tornò a guardare i fiocchi di neve che eseguivano le loro evoluzioni nell'aria buia della notte.
Una rinnegata?
No, Riddle non lo credeva.

***

E così adesso era una specie di fenomeno da esibizione.
Non c'erano molte cose che a Lene piacessero della sua nuova condizione. In effetti la sua nuova sistemazione era molto più economica del Bed&Breakfast dove soggiornava prima, se non si faceva caso alla muffa e alle sporadiche grida del quadro nell'anticamera (MEZZOSANGUE! FECCIA DELL'UMANITA'!)... e obbiettivamente non si poteva lamentare dei pranzi che la signora ben in carne di nome Molly le serviva (le frittelle erano ottime), anche se erano di gusto marcatamente britannico...
Tuttavia:
1) Era praticamente segregata in casa. (Era venuto fuori che il tizio con la congiuntivite non aveva affatto la congiuntivite ed aveva, invece, la sgradevole abitudine di uccidere le persone. Lei era la più probabile seconda vocesulla sua wish-list, al momento.)
2) Le avevano dato della strega. (E si erano affrettati a spiegare che si trattava di qualcosa di molto positivo, davvero... Lene avrebbe preferito essere una maga, grazie tante.)
3) Tutti la fissavano con aria sconcertata e (inspiegabilmente) cercavano qualcosa sulla sua fronte. Quando non trovavano niente sembravano ancora più sconcertati.
4) Il signore con i capelli rossi (Arthur Weasley, marito della signore delle frittelle) continuava a rivolgerle strane domande su feletoni e ecletticità. Lene lo trovava un po'inquietante.
Al momento tutto questo, però, stava passando in secondo piano. La signora che aveva di fronte, infatti, le era stata presentata come Una Gran Pezzo Grosso dei maghi o qualcosa di simile. Accanto a lei c'era un tizio con una fastidiosa espressione aggressiva che era nientemeno che il Ministro della Magia.
La Gran Pezzo Grosso portava i capelli grigi in una crocchia così stretta che realisticamente doveva avere continui mal di testa, aveva l'espressione di chi ha appena mangiato un limone con la buccia e la stretta di mano più vigorosa che Lene avesse mai sperimentato.
«Bene, signorina Rice... sarà un po' scombussolata,» iniziò Pezzo Grosso, con un sorriso incoraggiante.
«Già. Davvero. Scusi, non ho capito chi è lei.» Pezzo Grosso o Pezzo Piccolo ormai ne aveva le scatole piene.
«Oh, sono Minerva McGrannit. Dirigo la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.»
Scuola di magia: naturale. Ovvio che esistesse anche una scuola di magia. Lene sorrise vacuamente.
«Devo dire che non capita tutti i giorni di trovare una strega così... hem, cresciutella. Lei è la prima, in effetti. Sono sicura che almeno dieci persone diverse le avranno già detto la stessa cosa.»
«Già. E continuano a guardarmi la fronte. Sa perché?»
La McGrannit si mise una mano davanti alla bocca, ma i suoi occhi rivelarono chiaramente che stava per ridere. Strano tipo, quel Pezzo Grosso, fino a quel momento era stata tutto un fremito di narici e un rannuvolio di fonte.
«Oh... beh...» tossicchiò leggermente. «Suppongo che sia per via di Harry Potter. Fino a questo momento era l'unico ad essere sopravvissuto ad una maledizione mortale.» Gli occhi severi adesso sembravano scansionarla. «Ma nel suo caso è diverso, naturalmente. Lei non è mai stata colpita dall'Avada Kedavra, in effetti.»
«Dal che?»
«Avada Kedavra, l'Anatema che uccide.»
Lene si limitò a deglutire.
«La cosa impressionante, tuttavia, è che è riuscita a creare uno scudo magico che ha parzialmente deviato la maledizione. Senza bacchetta.»
«Parzialmente deviato...»
«Suppongo che Voldemort non stesse mirando.»
Il Ministro della Magia, che fino a quel momento era stato buono e zitto, sussultò visibilmente e, così sembrò a Lene, ringhiò.
Lene si grattò la testa cercando di richiamare alla mente una qualunque connessione con quello che Minerva McGrannit aveva appena detto. Niente, il suo cervello sembrava vuoto. Gettò la spugna.
«Mi scusi, so che dovrei saperlo... probabilmente me l'hanno già detto dieci volte, ma che cos'è questo... volder... vodermor...»
Le sopracciglia della McGrannit si sembrarono schizzare sul soffitto. «Lei-sa-chi,» ripeté, in tono duro. Lene ebbe l'impressione che stesse facendo uno sforzo per non aggiungere altro.
«Ah. Chiaro. Il mago cattivo. Quello che mi ha... come ha detto che si chiama quella maledizione? Abracadabra?»
«Avada Kedavra. Mi sembra di ottimo umore per essere in pericolo di vita.»
Lene rise come un'isterica. Di ottimo umore, eh? Quei tizi potevano anche essere dei maghi, ma non sembravano ferratissimi in psicologia.
Quando riuscì a controllare il riso, gridò: «Qualcuno potrebbe spiegarmi tutte le stronzate dalla prima all'ultima, per favore, invece che continuare a buttare lì pezzi di informazione!»
La faccia scandalizzata del Pezzo Grosso la fece sentire subito meglio.

***

Le sembrava che Remus Lupin le avesse parlato per ore.
Il ragazzo era brillante, a modo suo, e raccontava gli eventi con chiarezza. Non sembrava nemmeno offendersi per i frequenti sbadigli.
E' che tutto quel blablabla di magia, maghi, maledizioni la stava annoiando a morte. Certo, in un certo senso poteva essere interessante, ma in fondo quelli non erano affari suoi, no? Cristo santo, lei viveva in Texas. Sicuramente questo fantomatico Voldemort non sarebbe andato a cercarla in mezzo alle vacche.
«La accompagno a comprare una bacchetta.»
E poi, in fondo, sicuramente aveva capito che si era trattato di un errore. Ci sarebbe arrivato chiunque. Sono cose che succedono. Non intendeva fargli del male. Non era nemmeno morto.
«Mi ha sentito? Ho detto che la accompagno a comprare una bacchetta.»
No, probabilmente questo Lord Voldemort si era già dimenticato di lei. E...
«Signorina Rice!»
Lene sollevò lo sguardo, stupita. Perché Lupin si era messo a gridare? Era sempre così flemmatico...
«E poi la maledizione gli è rimbalzata contro... stavo ascoltando, signor Lupin,» tirò a indovinare. Un po' di spocchia a volte era efficace.
L'altro le rivolse un sorrisetto accondiscendente. «No, che non stava ascoltando. Se lo avesse fatto si sarebbe resa conto che avevo lasciato cadere l'argomento Voldemort decenni fa e che adesso le stavo annunciando che l'accompagnerò a comprare una bacchetta.»
«Davvero? Posso averne una anch'io?»
«Sì, signorina Rice. Lei è una strega. Può quindi avere una bacchetta.»
«Ah... fico.»
«Scusi?»
«Affascinante, dicevo.»
«Guardi che non sono così vecchio da non sapere che cosa significa fico
«...»
«Mi limitavo a notare che è la prima volta che esprime un certo entusiasmo.»
«Sa com'é. Io mi occupo di cavalli. Non sono abituata ad ascoltare lunghi discorsi. I cavalli non parlano. Tanto.»
Lupin arricciò un sopracciglio. «I cavalli non parlano tanto o i cavalli non parlano, tanto?»
«Ah... tutti e due, credo. Voglio dire: i cavalli non sono dei gran chiacchieroni e non ha una grande importanza.»
«Ma ogni tanto parlano.»
«Quasi niente. Più che altro chiedono roba.»
«Roba?» ripeté Lupin.
«Tipo più biada o meno frustino.»
Lupin la guardava fissamente. Da quando l'aveva conosciuto era la prima volta che gli vedeva fremere le narici.
«E lei gli risponde?» sembrava innervosito.
«Mica sempre. Alla lunga diventano noiosi.»
L'altro prese un grosso respiro e rilasciò lentamente l'aria.
«Mi sta dicendo che lei parla con i cavalli, da una vita, loro le rispondono, lei risponde a loro - a volte - e che non ha mai, mai sospettato di essere una strega?»
«In Texas tutti parlano con i propri cavalli. Cioè... quelli che hanno un cavallo,» corresse.
«Mi prende in giro?»
Lene si appoggiò una mano sul petto. «Non lo farei mai, signor Lupin.»
Lupin sospirò e tornò a sedersi nella poltrona.
«Me lo spieghi con parole sue,» sospirò.

***

«Una equofona?» domandò Lord Voldemort, assiso sul suo trono. Che poi in realtà era una grossa seggiola con i braccioli di legno scuro. Per comodità la chiamava trono. Solo per rendere le frasi più brevi, in effetti. «E che cosa vuol dire?»
«Parla con i cavalli.»
«Ah sì?» Voldemort non frequentava molto il cinema babbano, per cui non pensò: "Ah, come 'l'uomo che sussurrava ai cavalli'", bensì: "Che strano."
Si passò una mano sulla faccia. In quanto rettilofono gli animali che non erano rettili non rivestivano per lui una grande importanza.
Il linguaggio dei rettili, poi, era spesso più affascinante di quello umano. Ad esempio i rettili non mugolavano, cosa che invece Bellatrix stava facendo proprio in quel momento. Come al solito, d'altronde.
«Potresti smetterla?» provò a chiedere, per l'ennesima volta.
Il mugolio salì di un tono, mentre Bellatrix gli strisciava servilmente sui piedi.
«Perdono, padrone...»
Voldemort la scalciò via, provocando un guaito.
Beh, in definitiva aveva ottenuto almeno un po' di diversificazione sonora.
Si grattò il mento, pensieroso, poi si chinò su di lei come se la volesse guardare più da vicino.
«Bellatrix,» la chiamò, dolcemente. Lei continuò a guardare il pavimento. Doveva esserci qualcosa di estremamente interessante nelle mattonelle.
«Guardami, Bellatrix. Devo farti una domanda.»
La Mangiamorte sollevò lentamente la testa, i grandi occhi liquidi come quelli di un cane.
«Mugoli in questo modo anche quando... come dire, anche nei tuoi momenti di intimità?»
Lei gli rivolse uno sguardo di puro terrore (e mugolò più forte, naturalmente).
Voldemort le appoggiò una mano sopra alla faccia e la spinse via, mandandola a ruzzolare un paio di metri più in là.
«Come immaginavo,» borbottò.

***

«Signorina, lei è nel posto giusto!» trillò l'omino dagli occhi acquosi, facendole segno di entrare.
Lene si guardò attorno. Sembrava che ogni centimetro quadrato disponibile del polveroso negozietto fosse stipato di lunghe scatolette di legno.
Lene guardò Lupin con sguardo interrogativo.
«Ha detto che le serve una bacchetta. Questo è il posto per lei. Non per vantarmi, ma gli Olivander producono bacchette di prima categoria da cinque generazioni. Nomini un mago famoso, e nove su dieci è stato un nostro cliente.»
«Mago Merlino?» non riuscì ad impedirsi di chiedere, lei.
Olivander le lanciò uno sguardo di rimprovero.
«Va da sé che Merlino fabbricava da solo le proprie bacchette, signorina. Ma era molto tempo fa... questo negozio non esisteva ancore. Poi ci siamo evoluti, non è vero?»
«Ma certo,» concordò lei, magnanima. In fondo l'aveva già preso in castagna, non c'era bisogno di infierire.
Olivander si infilò dietro al polveroso bancone e le lanciò un'occhiata penetrante.
«Mh... americana, naturalmente. Che bacchetta ha usato, fin'ora? Qualcosa della Salem Manufacture Inc.?»
«Credo che dovremmo far finta che questa sia la prima in assoluto, se non le dispiace,» si intromise Lupin, con garbo. Lene gli sorrise piena di gratitudine.
Olivander borbottò qualcosa e sfilò una scatoletta dalla metà di una pila, provocando una sorta di sisma controllato in quell'angolo di negozio.
«Proviamo con questa. Otto pollici e mezzo, legno di biancospino, con un'anima di crine di unicorno. Molto elegante, molto femminile.»
Lene prese la bacchetta in mano e la osservò attentamente.
«Le spiacerebbe sventolarla?» fece Olivander.
Lene lo fece. E fu una pessima idea.
Innanzitutto i due ciuffi simmetrici di capelli grigi che Olivander aveva sopra alle orecchie presero fuoco con un crepitio minaccioso. Poi una grande fiammata verde acido si innalzò fulminea dal centro del pavimento, andando ad annerire il soffitto come se un drago ci si fosse schiarito la gola contro. Infine la parete ovest del negozio saltò in aria con un boato.
Lupin spense i capelli di Olivander facendo uscire un getto d'acqua dalla propria bacchetta, quindi, con la consueta flemma porse un fazzoletto a Lene.
Lei se lo passò sulla faccia e constatò che la stoffa un tempo bianca ora era color nerofumo.
«No. Direi che non fa per lei,» concluse Olivander, togliendole prudentemente la bacchetta dalle dita.
Scavò in mezzo al mucchio delle bacchette cadute dagli scaffali e gliene allungò un'altra.
«Una bacchetta energica per un carattere energico,» commentò, andando poi a posizionarsi un paio di metri più in là. «Dieci pollici, legno di pioppo, all'interno un dente di drago.»
Lene mosse cautamente la bacchetta avanti e indietro.
Una singola palla di luce verde scaturì dalla punta a grande velocità, rimbalzò sul soffitto, colpì un candelabro (rovesciandolo), sibilò sopra alla testa di Lupin (che si abbassò appena in tempo) e si infranse contro una finestra producendo un rumore di unghie sulla lavagna da far accapponare la pelle.
Olivander controllò precauzionalmente di avere ancora i ciuffetti bruciacchiati sulla testa e si riprese la bacchetta.
Senza proferire parola aprì una scaletta pieghevole e si arrampicò fin sull'ultimo scaffale della parete est.
«Ecco. Provi questa.»
Le stava allungando una bacchetta di legno scuro, molto lucida e con sfumature bronzee.
Lene, ormai in estremo imbarazzo, mosse impercettibilmente la punta della bacchetta. Ne sprizzò fuori una piacevole cascatella di scintille dorate.
Sia Olivander che Lupin si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo.
«Sapevo che era quella giusta per lei,» dichiarò il commerciante, soddisfatto.
Lene continuava felice a far sprizzare scintille alla sua nuova bacchetta.
«E di che cosa è fatta, questa?» domandò.
Olivander sembrò improvvisamente assorto nella contemplazione del soffitto.
«Mogano, undici pollici, e...» l'ultima parte della frase sfumò in un borbottio indistinto.
Lupin, che era più vicino, si mise una mano sulla bocca, facendo finta di accarezzarsi il mento.
«Scusi?»
Olivander levò su di lei uno sguardo determinato.
«Incarto di Lion.»
Lene sbatté dolcemente le palpebre. «E che cosa sarebbe?» domandò, soave. Certo, non suonava bene come crine di unicorno o dente di drago, ma, beh anche un leone poteva andare, se non fosse stato che... lentamente un pensiero stravagante si stava facendo largo nel suo cervello.
«Non la cartaccia di una merendina, vero?»
Olivander sembrava indaffaratissimo a guardare il pavimento.
«Non dovrebbe essere qualcosa di... magico, ecco?» insistette lei, con insolita perspicacia.
Olivander finalmente alzò gli occhi. Nelle sue iridi brillava la luce dell'esploratore, dello scienziato, dell'inventore.
«Oh, ma è molto magico! Dentro c'era un codice vincente per un qualche oggetto babbano ad ecletticità.» Sembrava estremamente soddisfatto della spiegazione.
Lene agitò nuovamente la bacchetta.
Beh, le scintille che faceva erano proprio carine...







StrangeLandsChronicles © 2005
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