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Titolo: Ho sparato a Lord Voldemort
Capitolo 11/11: Confondum Verba
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Archivio: SLC, Fanfiction.net
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Ho sparato a Lord Voldemort

sssilvia



capitolo 11

Confondum Verba

Quando un'idea bislacca entra nella testa di qualcuno è una legge di natura che prima o poi uscirà anche dalla sua bocca.
Una volta che questo avviene, non c'è più nulla che possa fermarla. Metterà le sue radici nelle menti più equilibrate, striscerà pian piano nei cuori più saldi e conquisterà posizioni su posizioni nella sua guerra di trincea contro la ragionevolezza.
In una parola, una volta che l'idea bislacca sarà uscita dalla bocca del suo incolpevole ideatore, niente e nessuno potranno fermarla.
Quella che non era altro che una ipotesi mirabolante diventerà in breve tempo una solidissima certezza.
Quando Hermione Granger, quindi, espresse ad alta voce la supposizione che l'avvistamento di un pupazzo di neve su una vetta dell'Himalaya potesse aver qualcosa a che spartire con il rifugio dell'Oscuro Signore, pian piano Harry, Remus, Ron e tutti gli altri membri (superstiti) dell'Ordine della Fenice iniziarono a convincersi che poteva esserci del vero.
Il fatto che del vero ci fosse effettivamente non fu che una mera coincidenza, uno scherzo del destino, o forse un altro dei giochetti delle probabilità.
In breve tempo l'intero Ordine iniziò a tenere strettamente sott'occhio il picco ventoso e tempestoso sul quale il pupazzo era apparso.
Ron, Remus ed Hermione iniziarono anche, con sforzi molto maggiori, a cercare di impedire ad Harry Potter di catapultarsi immediatamente in loco.
«IO e solo IO ho il dovere di uccidere Lord Voldemort!» strillava Harry, provando a guadagnare l'uscita, tutto circonfuso di furia assassina.
«Dobbiamo verificare... dobbiamo pianificare... dobbiamo avere un piano...» ribattevano cautamente gli altri.
Ma Harry Potter non poteva aspettare un secondo di più.
Aveva sentito Lord Voldemort ardere di passione e la cosa gli aveva fatto venire un attacco di strizza che non aveva ancora superato.
Certo, la passione si era spenta quasi subito, e Harry Potter avrebbe scommesso che l'Oscuro Signore non aveva affatto apprezzato l'esperienza, ma se c'era qualcosa che aveva imparato era che quell'uomo (o semi-uomo) era maledettamente cocciuto.
Non avrebbe lasciato perdere, non si sarebbe dedicato ad altro, non avrebbe dimenticato i propri propositi per un altro progetto.
Era quindi indispensabile che lui andasse, ed andasse subito, a porre termine alla sua vita, o almeno a metterlo fuori gioco per un po' di tempo.
Posseduto da questi pensieri e dal sacro fuoco della vendetta si aprì un varco con le unghie e con i denti (e anche con un paio di ben piazzate fatture orcovolanti) verso la porta di Grimmaud Place.

***

Nel mentre, Piton stava finalmente schiacciando un pisolino davanti al fuoco violaceo del suo camino, i piedi nelle moffolette e il cuscino termico sotto la schiena.
Sognava di ordire complotti, tradire amici e preparare la prima pozione anti-forfora effettivamente funzionante.
Era un dolce sognare.

***

Harry Potter si materializzò sul picco innevato e tempestoso di cui gli avevano parlato e si guardò attorno confuso. Un getto di neve ghiacciata lo colpì in pieno viso e il forte vento rischiò di farlo precipitare nell'abisso non meno di tre volte nei primi cinque secondi.
Avanzando alla cieca, ed iniziando a pentirsi della propria irruenza, barcollò fino all'alto portale lugubre che sembrava emergere dal nulla proprio sull'orlo più scosceso di tutti.
Per prima cosa provò a spingerlo. Ovviamente non funzionò. Chiaramente quella non era una di quelle case. Lì "non aprire quella porta" significava proprio "tanto è chiusa".
Anche l'Alohomora non fu d'ausilio.
Parecchio seccato, Harry Potter picchiò un paio di volte sul batacchio a forma di serpente.

***

Voldemort, naturalmente, non stava dormendo. Quelli come lui non dormono, è risaputo. Al limite sonnecchiano. Sempre con un occhio aperto (se i suoi occhi non fossero già stati rossi, infatti, sarebbero comunque stati iniettati di sangue per via di questa abitudine).
Sonnecchiava disteso sulla schiena e con un occhio aperto, con Lene stasa sopra come una copertina da culla o, per essere più precisi, come una piccola pelle d'orso.
Lene, invece, dormiva. Russava anche, nell'orecchio di Voldemort, e questo era uno degli altri motivi per cui lui non aveva preso sonno. Il rumore di una segheria, al confronto, sarebbe sembrato soave.
Quando l'elfo domestico Potter si materializzò a fianco del grande letto lugubre (stelline a parte) dell'Oscuro Signore, quindi, lo trovò sveglio e vagamente irritato.
«C'è un altro Potter alla porta, signore,» disse, con aria confusa.
Voldemort sollevò un sopracciglio. «Un tuo parente?»
«Hem... no, signore. Un giovanotto. Harry Potter è il suo nome. Gli dico di ripassare?»
«Oh, no... fallo accomodare in salotto, sarò da lui tra un istante.»
"Ah!" Pensò Voldemort non appena l'elfo si fu smaterializzato, "se la montagna non va da Maometto..."
Scivolò silenziosamente fuori dal letto (non che ce ne fosse bisogno, nemmeno lo scoppio di un calderone avrebbe potuto svegliare Lene) e si vestì in fretta.
Lanciò un'occhiata carica di gelo allo specchio tanto per verificare di essere al top delle sue possibilità ("Sei uno schianto," disse lo specchio, obbediente) e marciò verso il salone.
Harry Potter era là, le spalle coperte di neve e il viso tirato ("strizza, eh?" pensò Voldemort), circondato da... beh, da allegre stelline.
«E così mi hai risparmiato lo sforzo di venirti a cercare,» sibilò Voldemort, rendendo le sue parole il più minacciose possibili (il che significava un bel po', come tutti sapevano).
Harry sollevò la bacchetta, digrignando i denti.
«Non starai coltivando l'illusione di uccidermi, spero. Un solo cadavere uscirà da questa stanza, e sarà il tuo. Anzi... i tuoi, non so se mi spiego!»
Harry, il cui eloquio se l'era data prudentemente a gambe, rispose con una maledizione Crociatus.
Voldemort la parò quasi languidamente con un colpo di bacchetta.
«Temo che dovrai fare un po' meglio di così, Potter, se sei davvero intenzionato ad uccidermi.»
«No, padrone, non potrei mai...»
«Non tu, stupido elfo!» strillò Voldemort mollando un calcio all'intempestivo domestico.
«Sei disgustoso! Te la prendi anche con gli elfi domestici!» disse Harry Potter.
Voldemort sogghignò: «Dovresti essere contento che non me la sono ancora presa con te! Ma rimediamo subito... Avada Kedavra
Harry Potter saltò da un lato, schivando la maledizione mortale. Il fatto che fosse sopravvissuto una volta non significava che fosse ansioso di ripetere l'esperienza.
«Sei noioso... come al solito scappi! Che fine ha fatto la tua tanto pubblicizzata arma segreta?»
Harry Potter si rimise in piedi.
«Ah! Ho assistito ai tuoi patetici tentativi di impossessartene! Ma scommetto che non ci sei riuscito!» strillò, sparandogli un Petrificus Totalis.
Rimbalzò malamente sullo scudo che Voldemort aveva eretto, rimbalzando contro il camino e immobilizzando una serie di stelline danzanti.
«Au contraire, mio caro Potter... au contraire...»
Era ovvio che dicesse qualcosa del genere, pensò Harry. E poi tutti i cattivi, una volta o l'altra, sentono il bisogno di parlare francese.
«Ho calcolato che tu non abbia resistito più di venti minuti!»
«Ventidue, per essere precisi, ma si trattava di amore sintetico... Onestamente, Potter, non crederai che mi sia arreso così facilmente?»
Un secondo Avada Kedavra sibilò nell'aria e Harry dovette gettarsi nuovamente a terra. Si riparò dietro una grossa sedia di legno scuro con i braccioli.
«Stai alla larga dal mio trono!» ruggì Voldemort, scagliandogli contro un terzo Avada Kedavra. Quella sera non sembrava particolarmente fantasioso.
Harry provò a rispondere con un incantesimo tarantellante, ma come al solito Voldemort lo parò senza nemmeno preoccuparsi di nascondere la noia.
«Harry, Harry...» cantilenò. «Di certo non mi ammazzerai con quello...»
Harry Potter cercò di riflettere velocemente. In che modo poteva venirgli utile quel cavolo di amore di cui Silente non faceva che blaterare? Forse esisteva un incantesimo a base di affetto del quale non aveva mai sentito parlare?
«Hem... Abbraccius Amichevolis?» tentò.
Una lenta pallina di luce bianca fuoriuscì dalla sua bacchetta, e iniziò a dirigersi titubante verso Voldemort.
Questi la guardò con espressione incuriosita. «Non sembra proprio letale, vero?» commentò spostandosi mollemente da un lato.
«Besio Amorosus!» strillò Harry, ringalluzzito dal primo tentativo. In definitiva qualcosa ne era uscito, anche se non molto efficace.
Questa volta un raggio di cuoricini rossi schizzò fuori dalla punta della sua bacchetta.
Voldemort innalzò immediatamente uno scudo di puro odio scintillante, rinforzato al disprezzo e rifinito di malafede. I cuoricini gli si buttarono contro con ardente trasporto, ma finirono quasi tutti spiaccicati. Un paio, però, riuscirono a passare e colpirono Voldemort sull'avambraccio sinistro.
«Hey, niente male,» disse, flettendo le dita. Non sembrava affatto ferito, però.
Harry pensò che forse poteva tollerare dei baci amorosi, ma che la sua prossima mossa lo avrebbe steso. Rotolò un po' più in là schivando un altro incantesimo mortale.
«Profundis Amoris Cum Respecto!» gracchiò, rialzandosi.
Voldemort si gettò a terra, schivando per un pelo il violento getto rosa che era uscito dalla bacchetta di Harry.
Stava per rispondere al fuoco quando le porte della sala si aprirono di colpo e cinque persone si accalcarono per entrare.
Si trattava di Ron, Hermione, Remus, Tonks e Moody.
«Ah! Arrivano i rinforzi!» sibilò Voldemort, rialzandosi con una velocità insospettabile.
Harry fece quello che stava meditando di fare già da qualche minuto. Se la diede a gambe giù per un corridoio.

***

I mangiamorte al completo sentirono il Marchio Nero che avevano sul braccio iniziare ad ardere e si materializzarono immediatamente nel più vicino punto possibile alla fonte.
Improvvisamente il picco innevato e tempestoso diventò un posto tremendamente affollato. Goyle sbagliò mira e cadde di sotto, ma fu preso al volo da un bigfoot che lo trovò molto grazioso. E decise di tenerlo.

***

Harry se la stava dando a gambe a più non posso, inseguito da un Voldemort che continuava sparargli contro Avada Kedavra, quando una porta del lugubre corridoio (stelline a parte) si aprì di scatto.
«Tom, dove diavolo...» biascicò la strega che aveva estorto la profezia a Harry (anche se estorsione era un termine un po' grosso, considerando che l'aveva spiattellata senza bisogno di incoraggiamento). Aveva addosso una lunga vestaglia bianca a stelline blu e un paio di stivali di pelle di serpente.
Harry era così distratto dalla stramba apparizione che andò a sbattere contro l'anta della porta.
Lene abbassò lo sguardo su di lui.
«Ciao. Che ci fai qua?» chiese, con voce assonnata.
«Ah! Ti ho preso, maledetto moccioso! Avada Ked-»
Ma non riuscì a concludere la formula. Lene aveva sventolato la bacchetta con aria decisa, strillando: «Confondum Verba
Harry non rimase a guardare che cosa era successo e riprese a scappare, Voldemort, che al suo pari non aveva tempo da perdere, si gettò dietro di lui.
Lene sbadigliò e rientrò nella sua stanza.
«Sono solo ragazzi...» mormorò, dondolando verso il bagno.

***

In poco meno di cinque minuti la sala grande e tutti i corridoi si erano trasformati in un immenso campo di battaglia.
Gli incantesimi schizzavano da tutte le parti e Potter, l'elfo domestico, si era rannicchiato sul trono rovesciato con espressione terrorizzata.
Però... pensò l'elfo, non è male questo trono. Potrei anche abituarmici.
Intorno a lui la battaglia infuriava.
Bellatrix combatteva con Remus, che aveva con lei un paio di conti in sospeso; Hermione con Lucius, Moody con Nott, Ron con Draco. Nuovi membri dell'Ordine continuavano a materializzarsi.
La McGrannit stava avendo un rovente scambio di opinioni con Piton e il piccolo professor Vitius stava spiegando esaustivamente a Tiger che "le dimensioni non contano".
La Sprite aveva trapiantato con successo una pianta di radicchio nel cervello di McNair, e adesso la stava guardando con orgoglio.
Altri tre ragazzi si erano materializzati e si guardavano intorno per scegliersi un avversario a testa. Si trattava di Ginny Weasley, Luna Lovegood e Neville Paciock, che aveva raccontato a sua nonna di stare uscendo per comprare una confezione di cioccorane.
A un tratto una voce sovrastò il marasma: «Un attimo di silenzio, prego!»
Era il genere di tono che le hostess usano quando stanno annunciando il ritardo di un volo e tutti si voltarono a guardare irritati.
Lene stava all'ingresso della sala, con addosso un paio di jeans puliti (non c'era alcun bisogno di essere sciatti) e i suoi sempiterni stivali di pelle di serpente.
Ma quello che attirava veramente l'attenzione era il grosso serpente scaglioso che le annusava il didietro.
«Non ora, Nagini!» schioccò lei, allontanandola con una mano. Nagini sibilò il proprio disappunto.
«Se poteste essere tanto gentili da seguirmi, credo che Potter sarà lieto di servire beveraggi per tutti. Da questa parte, prego.»
Mangiamorte e membri dell'Ordine della Fenice si guardarono vacuamente.
Poi uno di quei pensieri iniziò a diffondersi. Il pensiero era: buffet gratuito.
I combattenti iniziarono ad affollarsi dietro a Lene.

***

La stanza in cui entrarono era granitica e lugubre (stranamente era anche priva di stelline). Aveva tutti i requisiti per essere il perfetto scenario per uno Scontro Finale: soffitto a sesto acuto dominato da imponenti gargolle, torce ardenti tutto intorno, pavimento dissestato e munito di adeguati canali di scolo per il sangue... insomma tutto quel che serviva per una soddisfacente carneficina.
Mangiamorte e membri dell'Ordine della Fenice entrarono spintonandosi, pronti a lottare all'ultimo sangue per le tartine al caviale e sbatterono le palpebre come un sol uomo.
Harry Potter e Voldemort erano seduti a terra, le gambe stese di fronte a loro, e si fronteggiavano ringhiosi.
«Adava Dakavra!» strillava Voldemort, con quanto fiato aveva. Dalla sua bacchetta uscivano frustranti sbuffi di fumo verdastro.
«Semprumserpe!» rispondeva Harry Potter, con analoghi risultati.
Le tartine al caviale uscirono momentaneamente dalle menti dei convitati. Ora, quello che uno spettacolo, ragazzi!
Harry scosse la bacchetta come per convincerla a collaborare e riprovò: «Cruccio
«Davra Kevrada!» replicò Voldemort.
Nulla successe.
Harry, furibondo, sventolò un pugno. «Tu! Avevi mescolato i miei ravanelli!»
«Credo che intendesse: tu hai ucciso i miei genitori,» sussurrò Lene, a mo' di spiegazione. Varie teste annuirono: aveva senso.
«Tu! Sorseggiavi la mia relazione!»
«E tu hai respinto la mia maledizione...»
Harry socchiuse le palpebre, sospettoso. «Erezione?» chiese. «Maledizione?» tradusse Lene per il pubblico.
«Sicuro io potevo strafogarmi per l'albume!»
«Sta diventando hard-core,» commentò a mezza voce Piton.
«Certo, dovevo morire per farti un favore...» chiarì il malinteso Lene.
«Sì, moderatamente ciurlavi!» ribatté Voldemort con un sorrisetto di scherno.
«Sì, sarebbe stato gentile...» spiegò Lene.
«Tu! Mi spennellavi la brocca!»
«Ah, questo è grave...» disse Ron, simpatetico.
«Tu mi hai lasciato la cicatrice...» tradusse Lene.
«Io per sottoboschi ho rammendato limonoso, traslocando traslucidi cucchiaini e racchettando il cheesecake dei pennuti!» rintuzzò Voldemort, furente.
«Che prosa...» sussurrò Tiger, ammirato.
«E io ho vagato per decenni disincarnato, abitando i più abbietti animali e nutrendomi del sangue dei vermi...»
«Questa è pesa,» commentò Tonks.
«Hem-hem!» tossicchiò Lene, per richiamare l'attenzione.
Harry e Voldemort, senza smettere di guardarsi in cagnesco, si voltarono lentamente verso di lei.
«Sicuramente avrete intuito che c'è qualcosa che non va nella vostra proprietà di espressione...» cominciò, una volta avuta la loro attenzione.
«Col melograno!» rispose Voldemort, irritato.
«A me non furoreggia,» aggiunse Harry Potter, più pacato.
«Beh, invece è così,» tagliò corto Lene, mentre i convitati allungavano la testa, curiosi. "Adesso una tartina al caviale ci sarebbe stata proprio bene," pensarono, come un sol uomo. L'elfo domestico entrò sorreggendo un grosso vassoio pieno di bruschette. Beh, non tutto si poteva avere, pensarono loro, avventandosi sulle cibarie.
Quando Lene riprese a parlare ognuno stava sbocconcellando qualcosa, ed era pronto a seguire l'evolversi dei fatti.
«In sostanza, quello che intendevo è che non potete continuare in eterno a cercare di farvi fuori. Non è salutare per nessuno dei due.»
Voldemort, ombrato, fece una smorfia. «La diapositiva,» disse.
«Oh, la profezia... capirai chi se ne frega! Che cosa dice la profezia alla fine?»
«Già, che cosa dice?» fece eco Lucius con la bocca mezza piena.
«Che uno dei due dovrà morire per mano dell'altro, perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive,» Lene fece una pausa ad effetto. «Ma dice forse quando, da qualche parte?»
La fronte di Harry si aggrottò. «Maniscalchi...» ammise.
«Appunto,» confermò Lene. «Potrebbe anche succedere tra ottant'anni, mentre uno dei due attraversa la strada e l'altro buca un semaforo rosso.»
«Ma lui gigoneggia con Mercurio!» protestò Harry.
«Sono sicura che Tom ne ha le scatole piene quanto te della magia nera, vero tesoro?»
Voldemort borbottò qualcosa che assomigliava a "Rododendro".
Lene sorrise ampiamente.
«Visto? Siamo tutti d'accordo di lasciar perdere questa piccola faida? Chi dice di sì avrà altre bruschette.»
Un mormorio di approvazione (e di masticamento) si produsse nella sala.
«Eccellente,»" disse Lene, e Potter l'elfo domestico rientrò con un altro vassoio.
Lene vide distintamente Hermione prenderlo da parte ed iniziare a fargli un discorsetto.

***

Thomas Riddle, aka Lord Voldemort, aka l'Oscuro Signore, aka Voi-sapete-chi, aka l'Allegro Apicultore, stava inveendo contro le api che cercavano di pungerlo mentre lui estraeva il miele dalle arnie.
Aveva un cappellaccio di paglia in testa e i rossi occhi serpentini erano velati da una retina bianca che gli copriva l'intero volto.
Lene, comodamente stravaccata sotto ad un albero lì vicino, allungava zuccherini ai suoi cavalli mentre lo guardava con espressione divertita.
«Capperi!» strillò Lord Voldemort quando un ape lo punse sulla caviglia. Aveva fatto della politic correctness la sua nuova bandiera e quello era il massimo dell'imprecazione che si sentisse autorizzato ad emettere. Bisognava dare il buon esempio.
Tom Junior e Priscilla ridacchiarono portandosi le manine davanti alla bocca, i lucenti occhi rossi che scintillavano di ilarità.
«C'è poco da ridere, voi due!» esclamò Lord Voldemort, spazientito.
Lene fece loro gesto di non ridere, ridacchiando a sua volta.
Lord Voldemort sospirò.
La sua vita era cambiata parecchio da quando quella lercia babbana gli aveva sparato per errore, ma non poteva lamentarsi troppo.
In fondo era una vera fortuna che Lene avesse capito "rododendro" quando erano nella lugubre sala dello Scontro Finale (adesso ribattezzata "lugubre sala del Fastoso Banchetto").
Infatti lui aveva borbottato "rodo dentro", la cui più accurata traduzione avrebbe potuto essere: "col cazzo!".
Ops! «Col cappero,» voleva dire...


Fine







StrangeLandsChronicles © 2005
© sssilvia