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Titolo: Il ciclo arturiano
Autore: Eleonora Sessa
Argomento: Breve storia delle manifestazioni narrative del mito di Re Artù
Parti: 1
Status: Concluso
Archivio: SLC
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Il Ciclo Arturiano

Breve storia delle manifestazioni narrative del mito di Re Artù

Eleonora Sessa


Deve esserci qualcosa di veramente magico nel ciclo arturiano, un ingrediente misterioso capace di affascinare gli uomini di tutte le epoche, un potere che ormai affonda le radici nell'inconscio collettivo.
Se ora siete qui probabilmente è perché anche voi siete attirati dalle intricate vicende d'armi e di amori della corte più famosa del mondo: Camelot.
Ma quali sono le ragioni del successo della popolarissima materia di Britannia? Le ipotesi sono molte e tutte, o almeno tutte quelle di cui ho avuto notizia, perfettamente plausibili.
Artù consegnato a Merlino Personalmente credo che il segreto stia nella capacità, propria di questo racconto, di offrire qualcosa a chi lo legge, qualcosa di tanto grande e universalmente valido da resistere ai mutamenti avvenuti nella mentalità comune nel corso di tutti questi secoli.
A questo proposito credo sia utile analizzare il mito dalle sue origini.
La più antica testimonianza su Artù è contenuta nell'Historia Brit(t)onum, scritta tra l'VIII e il IX secolo dal monaco gallese Nennio. Purtroppo l'opera ci è giunta alterata da aggiunte e interpolazioni.
Scrive Nennio: «A quell'epoca i Sassoni prendevano sempre più forza e crescevano di numero in Britannia. Dopo la morte di Hengist, Octa, suo figlio, si trasferì nel Kent della zona sinistra della Britannia, e da lui sono discesi i sovrani del Kent. Allora Artù combatteva contro di loro insieme ai re dei Britanni, essendone il comandante supremo.»
Segue l'elenco di dodici battaglie combattute e vinte da Artù contro i Sassoni. L'ultima vittoria sarebbe stata quella decisiva, svoltasi intorno al 516 presso un non identificato monte Baddon, in cui Artù, apparentemente da solo, avrebbe ucciso sempre secondo la testimonianza di Nennio: «ben novecentoquaranta uomini in un solo assalto. Nessuno era in grado di superare i nemici, tranne Artù, che riuscì vincitore in tutti gli scontri».
L'Artù storico, quindi, non era un Re, ma un comandante militare (dux bellorum), che forse occupava l'equivalente di una carica già esistente nell'assetto difensivo dell'isola predisposto dai romani.
Incoronazione di Artù Romane erano anche le sue tattiche e le strategie militari, come i corpi di cavalleria in grado di spostarsi in modo rapido sul territorio per arrestare tempestivamente le infiltrazioni nemiche (reparti del genere erano stati potenziati dai romani a partire dal III secolo, di fronte alle scorrerie delle tribù germaniche). I cavalieri di Artù ne sarebbero dunque stati gli ultimi epigoni.
Anche gli Annales Cambriae, cronaca di autore anonimo scritta intorno al 950, citano la battaglia di Badon «nella quale Artù portò la Croce di Nostro Signore» e quella di Camlann (circa 539 d.C.) «in cui Artù e Medraut morirono, e scoppiò la peste in Britannia e in Irlanda».
I successi conseguiti da Artù contro i Sassoni fecero di lui un eroe e la sua figura entrò nel mito.
La tradizione orale amplificò le sue imprese e si formò un vasto corpus di leggende che attrasse e assorbì altri cicli, in origine indipendenti.
Questo patrimonio, però, rischiava di finire disperso, dal momento che le vittorie di Artù ritardarono ma non impedirono il successo finale degli invasori: Angli e Sassoni ebbero la meglio, gettando le basi della moderna Inghilterra e relegando la cultura celtica in posizione del tutto marginale.
Ma i britanni, spazzati via dall'invasione sassone, sottomessi o dispersi dalla presenza normanna e rimasti indipendenti solo in Galles e in Cornovaglia, non dimenticarono mai il loro eroe e la perduta supremazia; le storie che narrarono di lui non furono considerate solo racconti di fantasia e Artù divenne il simbolo dell'orgoglio e dell'identità nazionale.
Il sogno di Artù Di tale produzione orale, tramandata dai cantastorie celtici del Galles e della Bretagna, filtrarono nella letteratura scritta solo pochi frammenti: i più cospicui confluirono nel ciclo epico gallese del Mabinogion.
Questa raccolta di racconti ci presenta un Artù «principe sovrano dell'Isola di Britannia», ma anche signore di grandi guerrieri francesi, scandinavi, greci; un conquistatore di gran parte d'Europa, anche se il suo regno era ancora essenzialmente primitivo e fantastico, perfettamente celtico per costumi e tradizioni. Era un mondo di trasformazioni e di magia in cui si celebravano sopra ogni cosa la caccia e la guerra. Con l'aiuto dei suoi guerrieri dotati di meravigliose virtù magiche e d'insuperabile valore, Artù poteva sconfiggere mostri, streghe e giganti o intraprendere viaggi nell'Oltretomba per liberare prigionieri o trarne tesori.
Fu solo verso l'XI e il XII secolo che le leggende celtiche (confluendo nella già rigogliosa corrente della letteratura francese) cominciarono a perdere la connotazione mitica e pagana per trasformarsi in romanzi cavallereschi.
Il pubblico dell'epoca aveva bisogno di riferimenti storici per nutrire quello spirito nazionale troppo spesso calpestato dai nuovi dominatori. Il mito di Artù venne così a contrapporsi a quello di Carlo Magno e dei suoi paladini, importato dagli invasori normanni.
Le vicende del grande re inglese furono arricchite di una nuova ambientazione storica, sociale e psicologica molto più adatta ai gusti del pubblico medievale.
Artù perse, così, molti dei tratti sovrumani e soprannaturali per acquistare una nuova umana grandezza.
La sua corte era ancora splendida e raffinata, ma i valorosi che la componevano erano perfetti cavalieri feudali, non semidei provenienti delle leggende celtiche.
Il principale artefice di questo cambiamento fu Goffredo di Monmouth, chierico di origine gallese, che nel 1135 scrisse l'Historia Regum Britanniae.
Questa pseudostoria, colorata di leggende e di riferimenti dotti, segue le vicende dei re inglesi a partire da Bruto, discendente di Enea.
Ser Bedivere e la spada Essa raggruppa diverse storie, legate alla tradizione orale e popolare delle isole britanniche, e servì da manifesto dinastico per i Plantageneti, in contrapposizione al ciclo carolingio dei sovrani d'oltre Manica.
L'opera storica di Goffredo di Monmouth non può, quindi, definirsi neutra. Essa è ideologicamente orientata: si chiude ai suoi tempi l'età della dominazione sassone sull'Inghilterra, che, dopo la conquista normanna, vive un nuovo ciclo.
L'ideologia dell'XI secolo cerca dunque una continuità tra l'Inghilterra che nel V secolo fu abbandonata al suo destino dal presidio romano e l'Inghilterra che Guglielmo il Conquistatore e i suoi discendenti inseriscono di nuovo nel flusso delle vicende continentali.
L'opera di Goffredo fu la prima costruzione letteraria a presentare in maniera coerente la leggenda di Artù e ha determinato in modo definitivo la creazione, importantissima per la cultura europea, del ciclo bretone.
Le belle avventure di sogno e di amore, di magia e di orrore, in cui troviamo il tradimento di Vortigern, l'amore di Uter Pendragon per Igraine, duchessa di Cornovaglia, la magia di Merlino su questo amore e la profezia della stella e del drago dei Pendragon, da cui nascerà Artù, speranza e salvezza della Britannia, le vicende di Artù e di sua moglie Ginevra saranno, infatti, la base della letteratura francese e inglese e arriveranno fino al nostro Dolce stil novo.
Molto importante per la diffusione sul continente dell'opera di Goffredo fu l'adattamento che ne fece il normanno Robert Wace nel 1155 sotto il titolo Roman De Brut. È grazie a una sua fortunata invenzione che il ciclo si arricchì di un elemento divenuto ormai un vero e proprio simbolo: la Tavola Rotonda.
Torneo Proprio grazie a quest'autore, l'elemento fantastico, sentimentale e poetico di cui era ricca la narrazione di Goffredo riuscì a influenzare la cultura francese e le letterature dell'intera Europa.
Il vero padre della materia di Bretagna propriamente detta, fu, però, il poeta francese Chrétien de Troyes.
Fu Chrétien, infatti, a introdurre nel ciclo arturiano il tema della cerca del Graal (mistica coppa - probabilmente ispirata ai calderoni delle saghe celtiche - in cui Giovanni d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue del Cristo crocifisso); fu ancora Chrétien a battezzare Camelot la reggia di Artù e a presentare alcuni grandi protagonisti del ciclo (Lancillotto, tanto per ricordarne uno); fu sempre lui, infine, a introdurre nell'opera il tema dell'amor cortese, che avrebbe caratterizzato tutte le narrazioni successive.
A questo proposito vale la pena di puntualizzare che Chrétien de Troyes disapprovava le ideologie diffuse dalla fine amor, che dichiaravano perfetto solo l'amore per una dama già sposata, superiore per rango sociale e oggetto di una venerazione quasi maniacale. Eppure, per ironia della sorte, sono proprio Lancillotto e Tristano i personaggi che (nonostante la sua satira pungente e la sua esplicita condanna) sono passati alla storia come modello di perfetto amante.
Tra il 1215 e il 1235 circa, autori rimasti anonimi composero quel gruppo di romanzi in prosa francese che va sotto il nome di Corpus Lancelot-Graal o Lancillotto in prosa.
Diviso per comodità in cinque parti: Storia del Graal, Merlino, Lancillotto propriamente detto, Ricerca del Graal e Morte di Artù, il Corpus del Lancelot-Graal è in realtà un'opera grandiosa e complessa, ma unitaria.
Si tratta di una grande novità per la letteratura, che si è finalmente liberata delle pastoie imposte alla creazione dalla difficoltà di reperire superfici di scrittura.
La costosa pergamena, infatti, veniva riservata alla stesura finale dell'opera, la bella copia, mentre tutto il processo creativo con le sue aggiunte e i suoi ripensamenti veniva affidato alle tavolette di legno coperte di cera.
È ovvio che spostare un centinaio di tavolette per controllare in mezzo a quale avventura si è lasciato un cavaliere era piuttosto scomodo, ed è quindi facilmente spiegabile la linearità delle narrazioni più antiche o le frequenti incongruenze quando questa linearità non veniva rispettata. La prima metà del XIII secolo vide il fiorire della produzione di carta a prezzi contenuti e, in parallelo, la nascita del romanzo di gusto moderno, ricco di intrecci e parallelismi, interruzioni e riprese che rispettano in modo sorprendente l'ordine cronologico.
La storia narrata nel Lancillotto in prosa è, per grandi linee, questa.
Lancillotto «Lancillotto, cavaliere della Tavola Rotonda, è il miglior cavaliere del mondo, sia per qualità morali che per forza fisica. Solo a lui sembra riservato l'onore di portare a termine la più misteriosa e la più nobile delle avventure: la conquista del Santo Graal, il vaso usato da Gesù Cristo nell'ultima cena e in cui Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue di Nostro Signore crocifisso. Ma Lancillotto si è macchiato di un peccato incancellabile, l'adulterio con la regina Ginevra, moglie del più grande di tutti i re, Artù, che regna sulla Grande Bretagna. E tale peccato gli impedirà di essere l'eroe della conquista del Graal. Dio però gli farà la grazia di accordare questo favore supremo al figlio Galaad, nato dall'unione, in cui la volontà di Lancillotto non ha avuto parte, con la figlia del Ricco Re Pescatore, il custode del Graal. La ricerca del santo vaso da parte dell'eroe purissimo Galaad segue il racconto delle imprese di Lancillotto, ma la storia non termina con la morte soprannaturale di Galaad. Lancillotto e Ginevra devono essere puniti per il loro peccato, e sono quindi la causa involontaria delle discordie che lacerano la corte di Artù e portano a morte i cavalieri della Tavola Rotonda in una lotta fratricida in cui anche il più grande soccombe, l'incomparabile Artù. Lancillotto vendica il suo signore che pure ha tradito, ma non ha mai cessato di ammirare e amare, e infine muore in odore di santità. Con lui e il suo lignaggio scompare il mondo cavalleresco, si conclude quell'età dell'oro in cui i cavalieri erranti percorrevano la terra in difesa degli oppressi, delle donne e dei deboli, in cerca di avventure meravigliose che solo essi erano in grado di compiere. In un labirinto apparentemente inestricabile di avventure si inserisce la storia di Merlino (il mago nato dal connubio di un diavolo incubo con una fanciulla) preveggente, allegro e tragico, consigliere di Uter Pendragon e artefice della grandezza di Artù, destinato a farsi imprigionare per sempre dalla donna che ama e a cui ha insegnato i trucchi magici in cui è maestro.»
Siamo indubbiamente di fronte a un'opera grandiosa, anche se non omogenea.
Matrimonio di Artù e Ginevra I grandi temi si susseguono, a volte perfettamente conseguenti, altre volte in netto contrasto. L'amor cortese, esaltato nella prima metà del romanzo, viene condannato senza pietà quando le motivazioni religiose prendono il sopravvento.
L'avventura cede il passo al prodigio, il cavaliere all'eroe puro e santo.
L'età dei prodi cavalieri finisce in un unico, drammatico momento: un bagno di sangue chiude l'epoca delle avventure meravigliose del regno di Artù. Il padre uccide il figlio, e l'amico l'amico; i pochi che si salvano concludono la vita in pentimento e preghiera.
Durante i due secoli successivi, le opere che si ispiravano alla materia di Bretagna o ai miti ad essa collegati (la vita di Merlino, gli amori di Tristano e Isotta, la cerca del Graal) fiorirono numerose in tutta Europa.
Curiosamente, la nazione meno rappresentata in questo campo fu l'Inghilterra, che produsse solo qualche romanzo monografico sui più famosi cavalieri (Perceval, Tristano, Galvano).
Dobbiamo aspettare la metà del XV secolo per trovare un grande autore capace di rappresentare con rinnovato vigore la vita e le gesta del grande re e della sua corte.
Sir Thomas Malory, personaggio misterioso che dopo aver ottenuto successi sociali e politici finì la sua vita in prigione con l'accusa di furto e stupro, scrisse una Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri che raggiunse una diffusione unica rispetto a tutta la tradizione precedente grazie alla pubblicazione tipografica.
L'editore (William Caxton) inserisce nella prefazione al suo libro questo invito: «Supplico umilmente i nobili signori e le dame, e ogni uomo di qualunque condizione, di leggerlo, di serbarne memoria e di imitare gli atti generosi e onesti; vi troveranno molte storie piacevoli e liete e un gran numero di gesta di umanità, di cortesia e di cavalleria. (...) La lettura di questo libro vi farà trascorrere piacevolmente il tempo, ma regolatevi a vostro talento quanto al prestarvi fede e al credere a tutto ciò che esso contiene.»
La saga arturiana perde così ogni aggancio con la realtà storica, proponendosi solo come lettura piacevole ed edificante.
È l'inizio del tramonto del mito di re Artù.
Dal XVI al XIX secolo la materia di Bretagna viene dimenticata, se si esclude qualche adattamento teatrale.
Solo verso la fine dell'800, a seguito di alcune opere del movimento pittorico dei Preraffaelliti (tra cui il famoso dipinto La tomba di re Artù di Dante Gabriele Rossetti) esplose un vero e proprio revival per le leggende arturiane. Il suo principale rappresentante fu Sir Alfred Tennyson, autore degli Idilli del Re e ideatore, tra l'altro, di una leggenda da molti ritenuta antica, quella del Pozzo del Calice.
La morte di Artu Da allora la produzione di materiale arturiano è ripresa con rinnovato vigore e, per nostra fortuna, non accenna a diminuire.
Oggi, però, la sensibilità del pubblico è notevolmente mutata.
Elementi quali i tornei o le cerche o i duelli ci sono estranei; le sfide mortali per ragioni d'orgoglio sfuggono alla nostra capacità di comprensione.
Eppure il ciclo arturiano ha ancora tanto da dirci.
Sfrondato dall'elemento tipicamente cavalleresco, infatti, il racconto ci offre un vastissimo panorama emotivo.
Conflitti tra amore e dovere, tra amore e amicizia, tra lealtà e passione; odio, brama di potere, tradimento... sono soggetti terribilmente attuali.
Ed è questa la ragione per cui cinema e letteratura hanno attinto a piene mani dalla materia di Britannia, rileggendola però in chiave metaforica o, comunque, moderna.







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