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Titolo: Sotto la neve
Autore: Joker
Serie: original
Pairing: original
Rating: PG - yaoi
Parti: 2/--
Status: in lavorazione
Archivio: HSC

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: Sotto la neve :

< Joker >



Il sapore del caffé forte mi riporta al mondo. Ho passato una notte orribilmente agitata.
Non ho praticamente chiuso occhio, e quando l'ho fatto Ares era lì, nella mia testa, che mi guardava con quei suoi occhi scuri.
Che cosa devo fare? E soprattutto... chi diavolo sono io? Pensavo di conoscermi, ma evidentemente non abbastanza.
Dovrei parlarne con Lorena... ma come sarebbe tremendamente imbarazzante dirle che suo fratello ci ha provato con me. E soprattutto, la cosa che non riuscirei mai a dirle è che io ci sono stato.
Perché ci sono stato. Lo so bene, per quanto l'abbia negato e voglia continuare a negarlo.
Io non posso essere gay! Gli uomini non mi attraggono... non mi hanno mai attratto.
Ma perché con Ares è diverso? Perché provo questo tremendo desiderio di lui?
Non riesco a rispondermi. A volte penso di essere un perverso deviato, altre volte mi viene in mente Platone: l'anima gemella può essere sia donna che uomo.
Forse Ares è la mia metà della mela... la metà giusta e sbagliata allo stesso tempo.
Ma poi ci conosciamo così poco! Gli unici momenti in cui abbiamo potuto parlare sono stati i pranzi di famiglia, e sono bastati a farmi capire che non abbiamo proprio nulla in comune: diversi gusti in fatto di cinema, libri e musica. Non ci piacciono nemmeno le stesse cose da mangiare!
Lui poi non è per niente diplomatico. Dice assolutamente quello che pensa e non c'è verso di fargli cambiare opinione.
Una volta aveva detto che odiava gli ipocriti. Avevo avuto la sgradevole sensazione che si riferisse a me. Possiede infatti la capacità di mostrare esattamente tutto ciò che prova nel momento in cui lo prova.
Tutto il contrario di me, che sono incapace di mostrare troppo i miei sentimenti.
Per orgoglio forse, o per paura. Paura di essere deriso, usato, abbandonato.
E' un mio grosso difetto, lo so bene... e si rivela un problema anche questa volta.
Da una parte voglio correre da Ares e gridargli che lo voglio, che lo desidero come non ho mai desiderato nessun altro.
Dall'altra mi vergogno di cedere, di dimostrarmi debole, di dargli ragione.
E' sempre stato così anche con Lorena, ma lei è una che non ha mai preteso grandi dimostrazioni d'affetto. E' pienamente sicura di sé e di me. Di noi.
Povera Lorena... come diavolo faccio a dirglielo? Tra l'altro devo rifletterci bene.
Ares è sul serio ciò che voglio? Oppure...
Dlin Dlon!
Il campanello! L'orologio segna le otto. Chi mai può essere a quest'ora?
Apro la porta.
I verdi occhi di lei sono fissi su di me.
«Amore! Hai un aspetto terribile! Ares mi aveva detto che ti eri sentito male ma...»
Ares mi ha coperto. Beh, almeno non devo preoccuparmi d'inventare una scusa per la mia fuga improvvisa.
«Oh... ciao Lory... ehm... entra dai, che sulle scale si congela...»
Lei entra con sguardo preoccupato.
«Che cos'hai? Che ti sei sentito?»
«Oh... beh sai... probabilmente il freddo... e... sì ho preso freddo ecco.»
Lei mi guarda perplessa.
«Certo che sei strano! Potevi almeno telefonarmi... o che so... lasciar detto qualcosa a papà... un biglietto qualcosa...»
«Oh... scusami è che... non avevo proprio... la testa per pensarci. Io... ehm... mi dispiace... credevo che... che Ares vi avrebbe spiegato tutto...»
Pronunciare il suo nome mi è costato uno sforzo enorme. Mi sembra di aver ingoiato piombo.
Accidenti! Ma perchè è venuta!
«Sì, beh, Ares ha accennato qualcosa, ma non è sceso nei particolari... insomma ma che ti sei sentito? Hai vomitato? Sei svenuto? Ti girava la testa? Cosa? E adesso come stai?»
Tutte quelle domande a cui rispondere... un dolore lancinante alla testa.
Perché? Perché è venuta! Proprio quando ho più bisogno di stare da solo!
«Dai andiamo in cucina... siediti... ho appena fatto il caffé...»
Lei mi segue pensierosa, mentre io cerco le parole per rispondere a quel fiume di domande.
Le verso il caffé fumante.
Che diavolo le dico? Che mi sono sentito male e ho vomitato? Che adesso sto bene anche se non è vero?
«Darren...»
La sua voce mi riporta improvvisamente alla realtà.
Accidenti! Devo inventarmi qualcosa subito!
Ma lei continua a parlare.
«... ti dirò la verità... sono qui per vedere come stai, ma anche perché ho parlato con Ares...»
«A-Ares?» per la seconda volta mi trovo a pronunciare quel nome.
Lo stomaco s'è definitivamente chiuso, non riuscirei a mandare giù nemmeno un sorso di caffé.
«Sì... abbiamo... ha detto che avete parlato... di noi due.»
Alzo gli occhi sgranati su di lei. Ares le aveva detto che noi due avevamo parlato!? Di me e lei? Forse le aveva messo la pulce nell'orecchio per incastrarmi. Per farmi confessare.
«In che senso... di noi?»
Lorena continua a tormentarsi le mani e io comincio a temere il peggio.
Che quel gran figlio di puttana le abbia detto tutto?
«Sì... insomma... mi ha detto che tu... tu non sei sicuro di... non sei sicuro di volermi sposare.»
Le ultime parole le ha dette in un fioco sussurro.
Accidenti a lui! Adesso sono proprio in un bel casino. Come posso negare di averlo detto, dal momento che lei si fida ciecamente di suo fratello? E soprattutto, anche se lo facessi... non risulterei per niente convincente. E' vero. Io non sono più sicuro di volerla sposare.
«Oh...» è l'unica cosa che riesco ad emettere in risposta. Molto intelligente.
I suoi occhi mi sondano in attesa di una reazione diversa. Devo proprio parlarle.
«Sì... è vero. Mi dispiace che... di non avertelo detto io di persona...»
«Ah...» mi guarda con occhi vacui. «Dunque è così...»
Rimaniamo entrambi in silenzio. Il caffé che si raffredda nella tazzina tra le mie mani.
«E... e perché Darren?» si riscuote lei all'improvviso. «Perché non vuoi sposarmi?»
"Perché non sono pronto... perché è ancora troppo presto... perché non mi piace il matrimonio... perché voglio prima convivere..."
Posso risponderle una qualsiasi di queste cose, ma l'unica cosa da dire esce spontaneamente dalla mia bocca:
«Perché io non ti desidero.»
E' la verità. Mi è uscita con voce piatta e fredda come non avrei mai voluto, e l'ha colpita come uno schiaffo.
Mi fissa incredula, stringendo convulsamente la tazzina ancora piena. Tra tutte le cose che pensava di sentirsi dire, probabilmente, quella era l'unica a cui non era preparata.
L'ho disprezzata come donna. Accidenti a me, devo cercare di rimediare in qualche modo.
«Ascolta Lorena... lo sai anche tu che tra noi due... insomma, non abbiamo mai provato quella passione... quell'attrazione fisica accecante l'uno per l'altra e andava bene, ma...»
Allungo la mano per toccare la sua, ma lei si ritrae di scatto.
Mi alzo e faccio per avvicinarmi a lei, ma non me ne lascia il tempo.
Nella foga di alzarsi rovescia la tazzina sul tavolo.
«Lorena ti prego...»
Mi blocco. I suoi occhi sono pieni di lacrime, mentre, a labbra strette, sussurra:
«Forse TU non l'hai mai provata, Darren.»
Rimango lì impalato mentre lei corre fuori dalla cucina ed esce da casa mia sbattendo la porta.
Mi siedo di nuovo. Sto malissimo. Ho ferito forse una delle persone più care che ho. E l'ho fatto con parole leggere, senza riflettere.
Sono stato un vero idiota. Un vero e proprio idiota.
Sbatto con rabbia la mano sul tavolo. Mi prenderei a schiaffi.
La mano si è sporcata col caffé che ha rovesciato Lorena.
Resto lì, a guardare un rivolo scuro che scivola dal palmo della mano al polso, fino a sporcare la camicia.
Sporco. Ecco come mi sento. Terribilmente ed inesorabilmente sporco.

Ecco che mi ritrovo di nuovo nella neve.
La sento che crocchia sotto i miei piedi attutendo i miei passi. Non nevica più, ma l'aria è fredda e pungente. Gli scalini dei ponti sono ghiacciati in alcuni punti e più di qualche avventato turista c'è scivolato sopra.
Cammino apparentemente senza meta, ma i miei piedi sanno dove andare.
Lì, nel solito posto in cui riesco a pensare, a tirarmi su.
Sono a metà della calle che dà sul ponte di legno. E poi, eccola là, la chiesa della Salute.
Proseguo fino alla Punta della Dogana. Forse qui troverò un po' di pace.
Il vento gelido s'insinua tra i miei vestiti e mi fa rabbrividire e lacrimare gli occhi, ma non mi ferma.
Ripenso a tutto quello che ho fatto e a tutto quello che resta da fare.
Lorena l'ho ormai persa come compagna, ma forse col tempo riusciremo ancora ad essere amici. Confido nella sua eccezionale qualità di non portare rancore.
Chissà se ci riuscirà anche questa volta.
E poi c'è un altro problema: che diavolo faccio con lui?
Forse la mia è stata solo una reazione ad un bisogno temporaneo. O forse no.
Di certo una cosa così non era mai capitata. O meglio, l'unica volta che ho provato qualcosa di simile, è stato parecchi anni fa. Ora lo ricordo. E forse anche Matthew.
Non ci ho mai dato peso, perché è successo quando ancora non capivo granché del mondo: ero giovane e agivo senza riflettere.
E anche perché ho da sempre tentato di dimenticarmene.
Ares, con tutte le riflessioni e i dubbi che mi ha instillato, ha fatto riaffiorare quel piccolo particolare della mia adolescenza. Qualcosa di cui ancora mi vergogno terribilmente.
Me lo ricordo bene, a chiari colori.
Ero rimasto a stare a casa sua perché i miei se n'erano andati a vedere la regata ad Auckland in Nuova Zelanda. Io ero felice sia perché Sidney, dove abitavano i miei zii, m'era sempre piaciuta, e sia perché sarei stato un intero, lungo e favolosissimo mese assieme al cugino con cui più andavo d'accordo: Matthew.
Passavamo le giornate a zonzo per la città, ad andare al cinema, a sbronzarci o a fare la corte alle ragazze. Lui era molto più estroverso di me, perciò rimorchiava in abbondanza. Poi, le ragazze che non potevano avere lui, si rivolgevano a me, ma non mi lamentavo perché erano sempre tutte molto carine come non ce n'erano in campagna, anche se un po' stupide a volte.
E così passavamo le nostre giornate, finché lui non s'era invaghito di una più grande di lui che non lo filava nemmeno di striscio.
Era la commessa di un negozio d'intimo femminile e io mi divertivo a vederlo mentre cercava mille scuse, una più improbabile dell'altra, per giustificarsi con lei del fatto che entrava così spesso lì dentro. Alla fine penso credesse lui fosse un maniaco e gli aveva fatto chiaramente capire che non aveva speranze.
Ma non gli era proprio passata. Diceva che la sua era una cosa fisica. La voleva da starci male.
Io suggerivo che, magari, poteva cercare qualcuna delle Lilly o Ketty che avevamo conosciuto, per distrarsi e farsela passare. Ma lui diceva che quello che avrebbe voluto fare a Elisabeth, così si chiamava la commessa, non avrebbe potuto farlo con quelle semprevergini delle ragazzine che rimorchiava.
Aveva bisogno, come mai era successo prima, di carezze baci e attenzioni molto più intime di quelle che era solito ricevere.
Io lo prendevo in giro, dicendogli che era cotto di Elisabeth, ma lui urlava che non era cotto proprio di nessuna e che io non capivo un accidenti di nulla! E allora mi rincorreva per pestarmi, io fuggivo e poi facevamo a botte. Ma non ci facevamo mai male sul serio.
Era lo stesso tipo di lotta che possono fare due cuccioli di leone quando giocano.
Il mese della mia permanenza a Sidney era finito e i miei erano venuti a riprendermi.
Sarei ripartito il giorno dopo assieme ai miei. Si era deciso che avrebbero passato lì la notte per raccontare agli zii tutto quello che era capitato loro, e per farsi dire come mi ero comportato.
La serata era passata piacevolmente a ridere e scherzare.
Poi io e mio cugino ce l'eravamo battuta in camera per parlare delle ultime cose prima di separarci. Avevamo trafugato due birre dal frigo, per trascorrere una serata 'tra uomini'.
Il progetto era di stare svegli il più possibile, tanto avremmo avuto tempo per dormire il giorno dopo.
In preda all'alcool cominciammo a raccontarci le cose più sconce che avevamo fatto con le ragazze e, nonostante Matthew avesse sempre affermato di essere rimasto piuttosto casto, appresi di certe cose che... lo misero sotto un'altra luce.
E poi tornammo al discorso di Elisabeth. E mi raccontò tutto quello che le avrebbe fatto, eccitandosi visibilmente di fronte a me. Io ridevo e lui decise di farmela pagare. Mi si avvicinò barcollando, per prendermi a pugni, ma riuscì solo a perdere l'equilibrio e crollarmi addosso. Ci mettemmo a ridere e a rotolare per la stanza finché non andammo a sbattere sulla parete sotto la finestra.
Io mi ero ritrovato sopra di lui ed era successo quello che non avrei mai ritenuto possibile.
Mi ero avvicinato a lui e l'avevo baciato piano sulle labbra. Lui mi aveva guardato, stupito e poi aveva sorriso. In preda ai fumi dell'alcool io l'avevo baciato di nuovo. Ma stavolta lui non aveva permesso che mi allontanassi.
Trattenendo con una mano la mia testa vicino alla sua, aveva cominciato a baciarmi anche lui. Cominciava ad eccitarsi, lo sentivo attraverso i pantaloni del pigiama. E anche io.
Avevo dischiuso le labbra e la sua lingua era entrata a cercare la mia, catapultandoci in un vortice di desiderio.
Lui aveva preso il controllo della situazione facendomi rotolare sulla schiena e standomi sopra.
Aveva cominciato ad infilare le mani sotto il mio pigiama e le sue mani mi accarezzavano il torace. Io gli accarezzavo il collo senza capire ciò che facevo. Nella mia testa un'esplosione di colori accesi mi annebbiava la ragione. Ad un certo punto avevo sentito la sua bocca succhiare avidamente le dita della mia mano. Una ad una. Mentre con una mano era sceso fino ai miei pantaloni, esigente.
Lo avevo fatto rotolare in modo da stare sopra di lui e avevo iniziato a baciarlo e a mordergli il collo. E più lui gemeva, più io ero eccitato. Scatenare il suo desiderio provocava in me un insano piacere, tanto che gli abbassai i pantaloni e cominciai ad accarezzarlo strappandogli sospiri convulsi. Gli abbassai anche i boxer e continuai ad eccitarlo.
Sapevo che gli piaceva, lo vedevo e la cosa mi mandava fuori di testa.
Ed infine avevo raggiunto il mio scopo.
Lui era venuto lì, tra le mie mani e i nostri pigiami. E io dopo di lui.
Mentre mi accasciavo sudato e stremato sopra di lui l'avevo sentito sospirare e gemere un soddisfatto: "Oh... Elisabeth.." prima di addormentarsi lì per terra.
Ricordo ancora il vuoto che mi aveva assalito e che mi aveva snebbiato dalla sbornia.
Mi aveva usato.
Mi ero alzato come in trance ed ero corso in bagno. La casa era tutta buia, tutti dormivano e io ne avevo approfittato per chiudermi in bagno. Mi ero tolto i pantaloni e le mutande ancora umide e m'aveva invaso un profondo senso di vergogna e nausea.
Vomitai tutto quello che avevo bevuto, assieme allo schifo che provavo.
Mi ero lavato ed asciugato. Poi, nudo dalla cintura in giù e sperando di non incontrare nessuno, ero uscito dal bagno e rientrato nella camera buia.
Mio cugino non era più per terra. Anzi, non era proprio più in camera.
Avevo aperto la valigia per cercare mutande e pigiama puliti, li avevo indossati e avevo raggrumato quelli sporchi dentro un sacchetto di plastica.
Il giorno dopo, andando a buttare la spazzatura, avevo gettato via anche quelli.
Poi mi ero disteso tremante nel letto e avevo cercato di dormire.
Mio cugino era tornato poco dopo e si era messo a letto senza dire una parola.
Il giorno dopo non c'eravamo neppure salutati, ed avevamo evitato di guardarci negli occhi. Tutti l'avevano attribuito al fatto che eravamo tristi per la partenza e non ci avevano fatto caso.
Buffo come ora ricordo tutto perfettamente.
Sento distintamente ciò che avevo provato: la vergogna di me stesso, la sensazione di essere stato solo un oggetto, i dubbi che mi avevano assalito circa le mie preferenze sessuali e la tristezza e il senso di colpa per aver rovinato il rapporto con mio cugino.
Perché ero stato così stupido? Perché non avevo riflettuto?
Alla fine ho smesso di pensarci, catalogandolo tra le esperienze necessarie per crescere. Anche se non sono poi del tutto sicuro che lo sia.

«Problemi di donne?»
Una voce maschile dietro di me.
Mi volto. Un ragazzo biondo avvolto in un cappotto scuro mi fissa sorridendo.
«Oh... eh... beh... sa com'è...» rispondo imbarazzato.
«Oh sì... capisco! Vengo spesso anch'io qui. Questo vento spazza via ogni pensiero. Poi oggi è particolarmente forte! Si starà congelando!»
In effetti, ora che ci pensavo ero un pezzo di ghiaccio.
«Effettivamente... non mi sono accorto del tempo che passava...»
«Suvvia! Qualsiasi problema ha la sua soluzione. Negativa o positiva... ma c'è!»
Fosse vero!
«Beh... però si preferirebbe quella positiva, no?» rispondo sorridendo.
«Sono sicuro che, impegnandosi può ottenerla. Basta lottare per le cose che desidera...»
Ma come la sa lunga questo tizio! Chi accidenti è poi?
«Anche lei è qui per problemi di donne?» chiedo, per cambiare discorso.
«Eh... le donne creano sempre un sacco di problemi!» risponde sorridendo. «Però, come si farebbe senza di loro!» conclude fissandomi.
Già... come si farebbe... come avrei fatto senza Lorena tutti quegli anni? Era sempre stata un punto di riferimento, un'amica preziosa e una donna eccezionale.
Come potrei continuare senza di lei ora che sono così abituato alla sua confortante presenza?
Ma d'altra parte come posso sistemare tutto?
Devo dirle la verità. Devo dirle che non la voglio perdere, e cosa è per me.
Ma non posso illuderla, perché non posso più sposarla senza sentire d'imbrogliarla.
Però forse, se fossi per una volta completamente sincero con lei...
«Ha ragione! Ora ho proprio deciso!» rispondo allegro, spiazzando l'uomo davanti a me.
«Grazie mille! Ho trovato la soluzione! Spero la trovi anche lei! Arrivederci!»
E così dicendo, lo saluto e corro via.
Lui, stranito, mi guarda allontanarmi salutando con la mano.
Sì ho deciso.
Devo fare di tutto per lei. Per tenerla con me.
Per quanto riguarda Ares... gli parlerò. Deve capire anche lui che non possiamo fare del male a sua sorella.
E' la cosa più cara che ha anche lui e sono certo che può comprendere.
E quindi corro... corro corro corro. Tutto ha una soluzione.
Uh... ha ricominciato a nevicare...


... continua ...













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