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Titolo: Il male minore
Autore: Shadar
Serie: originale
Pairing: Robin/Kendrene
Sommario: Saprà Robin, che è divenuta cacciatrice di vampiri per motivi personali, resistere alle lusinghe della Master che controlla tutti i non-morti della città in cui vive?
Rating: NC17 - Yuri
Parti: 2/2
Status: in lavorazione
Warnings: nel racconto sono presenti tematiche omosessuali e una buona dose di violenza. Non dite che non vi ho avvertito.
Disclaimers: tutti i personaggi di questo racconto appartengono a me. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è del tutto casuale. Se qualcuno fosse interessato a pubblicare il racconto sul proprio sito è pregato di mandarmi una richiesta via mail e di rispettare il copyright specificando che io sono l'autrice.
Note: un ringraziamento particolare a Sadako, che ha pazientemente corretto la bozza.
Feedback: tutti i tipi di feedback sono graditi... sperando che le critiche siano costruttive. Scrivete a: shadar@darkover.it
Archivio: HSC

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: Il male minore :

< Shadar >



Un groviglio di membra calde, palpitanti. La carezza del vento sulla pelle nuda. Una risata di scherno, l'eco lontano di un dolore mai sopito.
"Robin..."
Una voce distante, incorporea. Tentò di afferrarla, ma era come sabbia e le scivolava tra le mani.
"Robin, ho bisogno di te."
L'urgenza di quel misterioso richiamo, la strappò alle braccia del sonno e lei spalancò gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto della sua camera che debolmente rifrangeva l'ultima luce del giorno.
«Quasi pensavo che avresti dormito in eterno.»
Robin scosse il capo, cercando di ritrovare la propria lucidità. Non avvertiva la rassicurante presenza di Kendrene, anche se le lenzuola tra cui aveva giaciuto erano ancora calde, ma non era sola.
Scostate le coltri si tirò a sedere, cercando di mettere a fuoco lo sguardo e infine i suoi occhi si fermarono su una figura minuta, mezzo sdraiata ai piedi del letto. Freddi occhi, quasi incolori, incontrarono i suoi.
«Chi sei?» chiese la giovane vampira, recuperando le coperte e tirandosele fin sotto il mento, poiché lo sguardo della sconosciuta si era soffermato sulla sua nudità in modo inquietante.
L'altra rise sommessamente e Robin rabbrividì. Quel suono portava con sé i sussurri perversi di luoghi morti da tempo.
«Speravo che ti ricordassi di me,» nella voce della straniera era chiaramente avvertibile un sottofondo di delusione.
Con uno scatto della testa scosse i lunghi capelli, gettandoseli dietro le spalle e per un attimo il suo viso si volse verso la luce, permettendo a Robin di osservarla.
"La ragazza- vampira del locale!" In un lampo l'Esecutrice rivide quel bel volto imbrattato di sangue e contorto da un riso selvaggio.
Il suo stupore doveva essere ben visibile perché la non-morta rise di nuovo.
«Allora non mi hai dimenticato,» si mosse, sporgendosi verso di lei.
«Che cosa vuoi? Dov'è Kendrene?»
Senza che Robin potesse far nulla per evitarlo la vampira le fu addosso e la spinse indietro, bloccandola sotto di sé. Per quanto giovane fosse il suo aspetto, era dannatamente potente.
La sconosciuta le strappò di dosso le coperte, scoprendola fino alla vita.
«Ahh...» mormorò sommessamente, mentre le sue dita gelide accarezzavano il ventre di Robin in complicati arabeschi, «comincio a capire cosa lei veda in te.»
«Dimmi dov'è?» domandò ancora Robin, cercando di mantenere salda la voce. Quella situazione si stava facendo davvero imbarazzante.
L'altra vampira le prese il viso tra le mani e rise.
«Dov'è Kendrene?» scimmiottò in una piagnucolosa parodia della sua voce. Poi, come cancellata da un colpo di spugna, la sua ilarità scomparve e, chinatasi, avvicinò il volto a quello di Robin, fino a che non toccò la sua fronte con la propria. I suoi capelli caddero a nascondere entrambe come un sipario pallido.
«Non è educato pensare a lei mentre ci sono io a tenerti compagnia,» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra, «vogliamo scoprire se sei davvero tanto buona quanto sembri?»
Robin spalancò gli occhi per la sorpresa. Voleva baciarla?
«Sì,» sussurrò in risposta la sconosciuta, che aveva visto quel pensiero nei suoi occhi o forse nella sua mente, «un piccolo assaggio.»
"Neanche morta!"
Robin, prendendo la ragazzina alla sprovvista, l'afferrò per le spalle e concentrò tutta la propria forza nel tentativo di spingerla via.
Un istante dopo si accorse che il peso della ragazzina non l'opprimeva più e che l'altra era in ginocchio sul pavimento. I suoi occhi esprimevano sorpresa e astio.
«Come hai fatto?» la sua voce bruciava di rabbia.
Robin si strinse nelle spalle, incapace di dare una spiegazione. E se anche avesse potuto non era sicura che l'avrebbe fatto.
«Dimmi come hai fatto!» il viso altrimenti grazioso della straniera era distorto dal furore e la faceva assomigliare ad uno scherzo di natura. Robin provò un moto di disgusto nel vedere quell'orribile mutamento, totalmente diverso da quello del suo Sire. La sconosciuta soffiò come un gatto a cui avessero pestato la coda e prese ad avvicinarsi a lei, rimanendo carponi.
Robin si chiese come, nonostante la posa tanto ridicola, riuscisse a sembrare così minacciosa.
«Non ti avvicinare,» si costrinse ad alzarsi dal letto, abbandonando le coperte. La sicurezza personale le parve in quel momento molto più importante del pudore.
La ragazzina rise, mentre la sua bocca si spalancava a rivelare le zanne.
«Fiuto la tua paura, piccola sciocca.»
Protese le mani verso di lei e Robin fu improvvisamente conscia che questa volta non sarebbe riuscita a respingerla. I suoi poteri, che non era nemmeno sicura di possedere, non l'avrebbero protetta.
L'altra donna, che pur sembrando una bambina, non conservava traccia di innocenza, le si scagliò contro con un grido di trionfo.
Lei chiuse gli occhi, stringendosi le braccia al petto e si preparò all'impatto, desiderando al contempo di trovarsi altrove.
Furono quei nuovi istinti di cui non sapeva nulla a salvarla. Quando si arrischiò ad aprire gli occhi, si rese conto di trovarsi all'altro capo della stanza. La sconosciuta era immobile nel punto in cui si trovava lei pochi attimi prima e aveva ancora le braccia protese, le mani chiuse a pungo che artigliavano l'aria.
La sua espressione di assoluto sbalordimento avrebbe fatto ridere Robin, se la situazione fosse stata diversa.
«Non è possibile...» la sentì mormorare Robin. «Come? Come?» Poi si volse verso di lei e i capelli sciolti ricaddero sul suo viso di nuovo composto.
«Che cosa sei?» bisbigliò.
Si alzò e le si avvicinò di nuovo, ma lentamente come se non volesse allarmarla.
«Devo aspettarmi un'altra aggressione?» chiese Robin, sperando di non aver esaurito la sua dose di fortuna se ciò fosse accaduto.
L'altra scosse il capo senza replicare. Quando fu abbastanza vicina da poterla toccare, si lasciò cadere a terra e prese a strusciare il viso contro il pavimento, emettendo degli strani suoni lamentosi.
«Smettila,» disse Robin, più bruscamente di quanto avrebbe voluto, «ti prego, smettila.»
La porta si aprì e un'ondata di sollievo la invase quando vide entrare Kendrene.
La Master spostò lo sguardo da lei alla ragazzina sul pavimento e parve estremamente divertita.
«Falla smettere,» la implorò Robin.
Kendrene sorrise misteriosamente.
«Non vedo quale sia il problema.»
La giovane alzò gli occhi al cielo.
«E' imbarazzante,» sbottò, «e poi sono nuda, maledizione!»
Kendrene strinse le labbra, tentando di rimanere seria, ma il tremito che le scuoteva le spalle tradiva la sua ilarità.
«Prima fammi vedere cos'è successo,» disse alla fine. Tese una mano a sfiorarle la fronte e nei suoi occhi Robin poté leggere la soddisfazione.
"Veramente notevole, cucciolo."
«Solo tu puoi farla smettere,» sentenziò alla fine, appoggiandosi al muro come per godersi lo spettacolo.
"Già. E immagino che dirmi come fare rovinerebbe tutto il divertimento!"
Robin non aveva bisogno dell'assenso dell'altra per sapere che era così.
Sospirando si chinò sulla ragazzina e la scosse gentilmente per una spalla.
«Calmati,» disse ancora, ma sembrava che l'altra non volesse o non potesse ascoltarla.
Ripeté lo stesso comando, questa volta col pensiero e rimase sconcertata quando si rese conto che non percepiva la coscienza della ragazza. Il posto che avrebbe dovuto essere occupato dalla sua mente pareva... vuoto.
"Gabrel non può sentirti, Robin," intervenne gentilmente la Master, "le menti degli altri vampiri ci sono precluse tranne quelle di coloro che condividono con noi legami di sangue. Tu puoi comunicare con me perché io ti ho creato e potresti fare lo stesso con altri miei figli, ma comunque in maniera limitata."
"Quindi per la stessa ragione potrei anche comunicare con il tuo Sire?" domandò lei stranamente sicura che il creatore di Kendrene fosse un uomo.
"Sì, se non si fosse tramutato in polvere da molto tempo."
Gli occhi di Kendrene si velarono di tristezza e Robin avvertì il dolore dell'abbandono.
Avrebbe voluto prenderla tra le braccia, ma c'era un problema piuttosto urgente da risolvere.
Tornò a concentrarsi sulla ragazzina ancora accoccolata davanti a lei.
«Gabrel,» chiamò dolcemente, «guardami per favore.» Le pose una mano sotto il mento e la obbligò a rialzare la testa.
Nei suoi grandi occhi slavati scorse il terrore e comprese che la vampira si aspettava di essere punita o forse addirittura uccisa.
«Non ti farò del male.»
Il viso di Gabrel si rasserenò un poco e la ragazzina parve visibilmente sollevata.
«Non mi ucciderai?» chiese debolmente come se avesse paura delle parole che stava pronunciando.
Robin sorrise, mostrando per un istante le zanne, un lampo di bianco nel buio che le circondava.
«Per questa volta no.»
Poi si rialzò, prendendo Gabrel per una mano e aiutandola a fare lo stesso.
«Ora spostati,» disse, «gradirei vestirmi.»

Quello strano incidente mi insegnò quanto poco in realtà sapessi della società dei vampiri e delle regole secondo cui erano organizzati. Non me ne ero mai realmente interessata dato che fino al mio cambiamento li avevo considerati alla stregua di bestie pericolose. Andavano eliminati, non studiati né capiti.
Quella notte però non ci fu il tempo per altre lezioni. Il richiamo di Kendrene, che aveva interrotto il mio sonno, si dimostrò davvero urgente quanto mi era sembrato.


Il cadavere, se così si poteva definire, giaceva sul selciato, il volto congelato in un'espressione di puro terrore. La luce giallastra del lampione proiettava ombre cupe sulla pelle olivastra e dava allo sguardo dell'uomo un'ingannevole parvenza di vita.
Robin si costrinse a guardare il viso di quel suo vecchio amico che, poche settimane prima, aveva salvato dall'ira della Master. Cominciava a credere che, se fosse stata Kendrene ad ucciderlo, avrebbe sofferto di meno.
Chiuse gli occhi e voltò bruscamente le spalle al corpo, lottando in silenzio contro la nausea che minacciava di sopraffarla.
Le membra straziate di Kane Marshall erano sparse alla rinfusa sull'asfalto e tra la carne, quasi ridotta in poltiglia, si distinguevano alcuni frammenti d'osso che luccicavano umidi nell'oscurità. Solo il viso era rimasto intatto, a testimonianza dell'orrore compiuto.
Quello non era certo il suo primo morto, ma il fatto che si trattasse di un amico rendeva tutto più personale, più... intimo. Qualcuno si era intromesso nel suo mondo con la forza e lei non aveva potuto far nulla per impedirlo.
Gabrel, che si era inginocchiata accanto a quei poveri resti, alzò lo sguardo a incrociare il suo.
«Qui non c'è nulla per noi.»
Robin la fissò senza comprendere.
L'altra emise un sospiro d'impazienza. «I miei poteri mi permettono di riconoscere i luoghi in cui sono avvenuti fatti di sangue. La violenza, quando è particolarmente efferata, lascia una traccia, una sorta di impressione negativa che impregna le cose.»
Indicò con un gesto quello che le circondava.
«In questo posto però non percepisco alcuna traccia di male.»
Robin stentava a crederlo. Nonostante le presunte facoltà di Gabrel, per lei un cadavere era più che sufficiente a determinare il luogo di un omicidio.
«La nostra Gabrel non sbaglia mai, cucciolo,» assicurò Kendrene, ricomparendo improvvisamente di fronte a lei. Robin ebbe la strana impressione che le ombre che circondavano l'alta figura della vampira si fossero mosse, avvolgendosi in spirali attorno a lei come una gelida, oscura foschia.
«Questo che cosa significa?» le chiese Robin, la voce stanca e arrochita, come se avesse urlato o pianto per delle ore.
«Devi essere più intelligente di così per essere riuscita a sopravvivere tanto a lungo. Davvero non hai notato nulla di strano?» intervenne Gabrel, che sembrava intenzionata a prendersi la rivincita per l'umiliazione subita poco prima.
Robin gettò un'altra fugace occhiata al cadavere, poi alzò lo sguardo al cielo e rimase in silenzio per alcuni istanti, tentando di riordinare i propri pensieri.
«Sangue,» mormorò infine con una smorfia, «non ce n'è abbastanza perché sia stato ucciso qui.»
«Infatti. E voglio farti notare che la tua affermazione coincide con quanto ti avevo detto,» la soddisfazione nella voce di Gabrel era evidente. Prima che Robin potesse anche solo pensare a una risposta adeguata, la ragazzina parlò di nuovo.
«Deve essere stato ucciso da qualche altra parte, poi fatto a pezzi e scaricato qui, abbastanza vicino al tuo territorio,» e fissò gli occhi pallidi su Kendrene, «perché tu o Robin poteste trovarlo. Mi pare evidente che l'assassino volesse lasciare un messaggio.»
Kendrene si strinse nelle spalle. «Terrò certo in considerazione le tue parole, anche se dubito che qualunque cosa questo corpo simboleggi, sia rivolta a me. In tal caso sarebbe stato più sensato se a morire fosse stato un vampiro.»
"Troppe coincidenze." Il cervello di Robin elaborò varie possibilità, scartandole tutte, eccetto una.
Un peso improvviso calò sul suo cuore e di nuovo sentì il medesimo, straziante senso di colpa che aveva provato nel nutrirsi di quella bambina.
Perché, se la sua ipotesi si fosse rivelata esatta, altro sangue innocente sarebbe ricaduto sulle sue mani.

Il suono del telefono che squillava a vuoto era un ronzio rassicurante nelle mie orecchie. Mi auguravo fervidamente che Eris non fosse in casa. Non volevo che fosse coinvolta in quella brutta storia. Inoltre odio essere latrice di cattive notizie. Poi qualcuno all'altro capo della linea prese la chiamata.

«Pronto?» La voce era quella di una donna e sembrava insonnolita, probabilmente a causa dell'ora tarda.
Robin ci mise qualche istante a capire che a rispondere era stata proprio colei che aveva sperato di non trovare.
«Pronto?! Maledizione, se è uno di quegli scherzi cretini, giuro...»
«Eris,» Robin riuscì a malapena a pronunciare il nome di quella sua cara amica. Le parole, le altre parole che avrebbe dovuto dire le si bloccarono in gola, minacciando di strangolarla.
«Ro? Ma dico, sai che ore sono?» la maggior parte della rabbia era svanita, ma con quella domanda Eris le fece capire che l'aveva svegliata.
«Mi spiace,» mormorò Robin in risposta, sentendosi in colpa, «se non fosse importante non ti avrei disturbato.»
Ci fu una pausa, poi l'altra disse, e il suo tono era mortalmente serio.
«Hai una voce che non mi piace. Cos'è successo? Non sarai ferita...» Robin poté avvertire la preoccupazione della donna quasi che lei le stesse davanti.
Scosse il capo, fece per replicare e poi si bloccò.
Dire ad una persona che il suo ragazzo era morto non era una notizia da dare al telefono, ma per un istante provò la tentazione di farlo per non dover affrontare il dolore di Eris e se ne vergognò.
«Ro? Ti prego, dimmi cosa c'è.»
La non-morta riusciva ad immaginarsi l'altra donna che misurava a grandi passi la sua stanza, sempre più in ansia.
Infine, mentre un pugno gelido le stringeva lo stomaco, riprese la conversazione. «Devo vederti. Posso passare adesso?»
«Ti aspetto. Però vorrei almeno... »
Robin riagganciò senza attendere che Eris finisse. Non poteva affrontarla, non poteva. Eppure era suo dovere. Ma, soprattutto doveva farlo per Kane. Forse dopo si sarebbe sentita meno sporca.

Sapevo che Kendrene avrebbe voluto accompagnarmi, ma era un compito che, seppur gravoso, sapevo di dover portare a termine da sola. Capivo quel suo desiderio: poiché ero allo stesso tempo amante e figlia, lei voleva proteggermi. Sapere che, quando fossi tornata, avrei potuto rifugiarmi tra le sue braccia mi era in qualche modo di conforto.<


... continua...













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