[Home] [Fanfic e Original] [Fanart] [News] [Links] [Glossario] [Mail]
barra spaziatrice
[Stampa] [Scarica] [Scenario 1]


Titolo: Halloween (Quando i fantasmi vagano nella notte)
Autore: Shun
Serie: Saint Seiya (dal manga/anime di Masami Kurumada)
Pairing: nessuno
Spoiler: ---
Rating: PG - angst
Parti: 1
Status: concluso
Archivio: The Elvas' Hot Springs

barra spaziatrice


: Halloween :
: (Quando i fantasmi vagano nella notte) :

< Shun >



Halloween When the evening falls and the daylight is fading,
from within me calls - could it be I am sleeping?
For a moment I stray, then it holds me completely.
close to home - I cannot say.
close to home feeling so far away.
As I walk there before me a shadow
from another world, where no other can follow.
carry me to my own, to where I can cross over...
close to home - I cannot say.
close to home feeling so far away.
Forever searching; never right, I am lost
in oceans of night. Forever
hoping I can find memories.
those memories I left behind.
Even though I leave will I go on believing
that this time is real - am I lost in this feeling?
like a child passing through, never knowing the reason.
I am home - I know the way.
I am home - feeling oh, so far away.

(-Evening falls- Enya, 1988)




Una sagoma scura si aggirava guardinga, ombra tra le ombre che distendevano il loro abbraccio di tenebra sul grande parco, isola verde nella caotica città.
Non c'era nessuno nei dintorni e quella forma subdolamente strisciante, complice la notte nera, faceva del proprio meglio per occultarsi il più possibile. Altri erano i suoi piani, il momento propizio per mostrarsi ancora non era giunto.
Era stata condotta in quel luogo dalla rabbia, da una sete di vendetta che attendeva l'incontro con una persona per potersi a sufficienza sfogare... una persona sopravvissuta, come i fratelli, all'inferno e che ora si crogiolava in un illusorio riposo in quella villa sfarzosa.
Una folgore saettò, lampo di luce nel cielo notturno velato di nubi che imprigionavano le stelle in una gabbia temporalesca.
Nel medesimo istante l'ignota figura sollevò il viso, permettendo alla folgore di illuminare brevemente i lineamenti grotteschi; due iridi di fuoco sfavillarono incastonate in una scarna maschera plasmata nell'odio, unico sentimento in essa riconoscibile... per il resto era il vuoto, l'insensibilità più spietata.
«Ikki di Phoenix, ti ripagherò con la medesima sofferenza che mi hai inflitto, anzi no... tu che sei stato all'Inferno, quel viaggetto sarà stato nulla in confronto a ciò che ti attende, ti strapperò quanto hai di più caro al mondo, tra atroci tormenti!»
Le tenebre calarono nuovamente sul folle ghigno di creatura malata.


barra spaziatrice

«Sta per scoppiare un temporale con i fiocchi... si preannuncia una notte da lupi, tempo indicato per la notte delle streghe no?»
Seiya, le mani affondate nelle tasche dei jeans, scrutava attraverso la finestra la tensione palpabile della natura che si preparava ad affrontare la tempesta.
Dietro di lui, accomodato sul divano a sfogliare distrattamente una rivista, Hyoga rispose con un sonoro sbadiglio e, dopo aver gettato per terra il giornale con affettata noncuranza, si stiracchiò come un gatto, allargando le braccia per poggiarle, distese, sullo schienale e piegando la testa all'indietro con un lieve volteggiare della chioma bionda.
«È un tuo modo carino per dirmi che non te ne frega niente di ciò che dico, Hyoga-kun?» osservò sardonicamente il ragazzino castano, voltandosi verso l'amico e fulminandolo con un'occhiata velenosa.
L'altro si strinse nelle spalle e rispose, senza cambiare posizione e mantenendo sprezzantemente gli occhi chiusi, con un sorrisetto strafottente:
«Dipende da che punto di vista consideri la cosa; il mio era un commento personale rivolto a questa immane stupidaggine che è la festa di Halloween... terribilmente infantile e noiosa.»
«Sì,» riprese Seiya senza scomporsi e fissandolo insistentemente con il viso infantile imbronciato. «Immagino che sarebbe molto più noioso uscire per strada a divertirsi, piuttosto che starmene qui con qualcuno che dimostra la vitalità di un Matusalemme!»
Non fece in tempo a concludere la frase che fu zittito da un cuscino in pieno volto; l'attimo dopo Hyoga gli fu addosso e lo spinse brutalmente contro il muro. Seiya si difese, sgusciò sotto le braccia dell'assalitore ma fu prontamente ricatturato: ne risultò un groviglio di corpi che precipitò pesantemente sul divano e calci e pugni lasciavano il segno. Benché non fossero altro che due ragazzini impegnati in una lotta cameratesca e giocosa, la loro preparazione guerriera rendeva i colpi che si scambiavano non del tutto innocui.
Ridendo come un forsennato Seiya si districò quindi, scappando dalle grinfie del ragazzo più grande che in quanto a forza fisica, senza l'utilizzo del cosmo, gli era nettamente superiore, afferrò il lenzuolo drappeggiato su una delle poltrone e se lo gettò addosso.
Colpito da quel gesto bizzarro, Hyoga si immobilizzò, interdetto:
«E adesso quale diavoleria hai in mente, Seiya?!»
Completamente ricoperto dal telo verde, agitando le braccia per farlo volteggiare intorno a sé, il santo di Pegasus saltellava per la stanza, sbandando a causa della visuale ostruita:
«Io non sono Seiya, sono il fantasma della villa!»
La voce sotto il telo, già appositamente contraffatta dal proprietario, fuoriuscì cupa e profonda. Hyoga ricadde ridendo sul divano, una mano posata sulla fronte:
«Come no, magari il fantasma di Mitsumasa Kido!» commentò tra una risata e l'altra.
In quel momento esatto la porta si aprì e Seiya, che stava dirigendo la sua danza sfrenata proprio verso l'uscio, non poté evitare la colluttazione con la persona che stava entrando, la quale cadde all'indietro con un'esclamazione di sorpresa, spalancando gli occhi sulla singolare apparizione.
«Chi c'è?» borbottò la voce cavernosa al di sotto di quello strato di stoffa verde.
Seiya proseguiva imperterrito con la messa in scena dello spettro ma non riuscì a ingannare neanche per un istante il nuovo arrivato:
«Seiya ma... cosa stai combinando?»
«Shun,» rispose il ragazzino sotto al lenzuolo riconoscendo la voce e l'aura del compagno. «Io sono il fantasma di Mitsumasa Kido!»
«Cosa?!» sbottò Shun alzandosi con uno scatto fulmineo e, strattonando violentemente il telo fino a strapparlo di dosso al santo di Pegasus, lo rimproverò con un cipiglio tutt'altro che rassicurante, decisamente fuori luogo su quel viso etereo e gentile:
«Falla finita con queste idiozie, sei ridicolo!»
Quindi lasciò ricadere con sdegno il lenzuolo e lo oltrepassò per entrare nella stanza.
«Ciao Shun!»
Il saluto di Hyoga si perse nel silenzio; in risposta ottenne un solo cenno, mesto, appena percepibile. Il ragazzino dai capelli sfumati di un rosso delicato si avvicinò alla finestra e il suo sguardo smeraldino affondò nelle tenebre a tratti attraversate da guizzi di lampi che, ben lungi dal conferire un'illuminazione passeggera rassicurante, intridevano d'angoscia ancor più palpabile il paesaggio sconvolto... un'angoscia che si rifletteva, come in uno specchio plasmato di tormentate emozioni, negli occhi lucidi e limpidi come acqua del malinconico giovane.
Hyoga e Seiya osservavano il loro amato fratello; il suo umore opprimente li aveva ricondotti alla serietà che poco prima avevano accantonato. Conoscevano troppo bene Shun: quella afflizione sorgeva dal profondo di un'anima che mai faceva pesare i propri terribili tormenti ma che, a volte, non riusciva a trattenere entro i confini della propria coscienza una tristezza troppo pesante da sopportare, per chiunque.
Seiya fece qualche passo e si fermò dietro di lui, sfiorandogli dolcemente una spalla:
«Shun-kun, senti... se il mio stupido gioco ha ferito la tua sensibilità io... mi dispiace...»
Shun scosse il capo, sospirò e gli sorrise con tutta la tenerezza di cui la sua amabile indole era capace:
«Sono io che devo chiederti scusa... non avevo nessun diritto di...»
Si interruppe, la sua voce tenera era arrochita; non trovando le parole adatte agì come la sua naturalezza di sentimenti gli suggerì: si accostò al compagno e gli posò un morbido bacio sulla guancia. Solo dopo averlo fatto riuscì nuovamente a parlare:
«Scusami ti prego... ti voglio bene...»
Seiya aprì la bocca ma non riuscì a dire nulla; ancora si accarezzava la guancia imporporata mentre Shun già si stava allontanando, rivolgendo a entrambi un frettoloso saluto.


barra spaziatrice

«Scherzare sulla morte, ironizzarci sopra, giocare con essa... è vero... forse è il modo migliore per esorcizzarla ma io non ce la faccio. Questa è per chiunque una notte di festa eppure le sensazioni che suscita in me sono opprimenti. Come possono loro riuscirci? Loro che come me hanno visto in faccia la morte tante volte... che tante volte l'hanno procurata... come possiamo permetterci di giocare con la morte dopo essere discesi nel suo stesso regno?»
La mente di Shun affogava in vorticose ossessioni, accentuate dalla tetra tempesta notturna sotto la quale, senza riflettere, si era gettato con l'anima ottenebrata e inconsapevole di ciò che faceva.
Gli accadeva spesso da quando, con il proprio corpo vivo, aveva affrontato l'esperienza più allucinante che creatura mortale potesse affrontare: la discesa agli Inferi e la possessione dilaniante del Dio che degli Inferi era sovrano. Gli capitava, quando la disperazione prendeva il sopravvento, di lasciarsi andare a reazioni irrazionali, come quella notte... scalzo, fasciato da vesti leggere e sottili, sotto un acquazzone torrenziale, a camminare senza meta in mezzo al boschetto bersagliato da lampi minacciosi.
Chiunque l'avesse visto l'avrebbe preso per un folle... o lo avrebbe scambiato per un'apparizione incantata: un fanciullo bellissimo e scalzo, talmente poco vestito che, essendo quel lieve strato di stoffa ormai zuppo e incollato al corpo come una seconda pelle, sembrava quasi nudo... una creatura di un mondo dimenticato dagli uomini, materializzatasi dalla pioggia come uno scherzo provocato da una troppo fervida fantasticheria...
Nessuna di queste conclusioni fu tratta dal proprietario di due occhi che, celati nelle tenebre, scrutavano avidi i passi del piccolo santo di Andromeda; occhi di fuoco, imbevuti di ferocia, come il ghigno che sotto essi si formò, nato dalla soddisfazione che quella vista provocava in un animo più nero di quelle tenebre autunnali:
"La fortuna è dalla mia parte," pensava una mente ansiosa di sfogare la propria crudeltà e di provocare sofferenza. "Ciò che la Fenice ha di più prezioso al mondo... eccolo qui il suo tesoro vivente... e l'altro tesoro, quello che non è più, tornerà dall'aldilà per compiere la mia vendetta!"


barra spaziatrice

Infreddolito e tremante, Shun si strinse le braccia al petto e appoggiò la schiena contro un albero.
"Che sto facendo? Sono forse impazzito del tutto? Quale spettacolo pietoso e senza senso sto dando di me stesso..."
Questo pensava il ragazzo, quando un fulmine sfrigolò e cadde spaventosamente vicino; pochi centimetri e ad essere colpiti sarebbero stati lui o la pianta cui si era addossato. Scosse il capo, con una smorfia di autorimprovero, tra l'ironico e il rabbioso:
«Sono un idiota...»
Si decise a muoversi per tornare verso casa quando il bagliore suscitato dal lampo successivo attirò la sua attenzione: per una frazione di secondo, l'effimera durata della folgore seguita dal cupo brontolio di un tuono, aveva investito una sagoma nera alla sua destra... almeno gli era sembrato... o era forse stata un'impressione dettata dalla mancanza di lucidità che, in quel momento, gli ottenebrava la mente?
Tese i sensi ma non percepì nulla di singolare; tuttavia questo non bastò a tranquillizzarlo. Mosse qualche passo cauto nella direzione in cui gli era parso di scorgere quella presenza che l'aveva turbato; una sensazione strana lo assalì e, improvvisamente, fu certo di non essere solo nel parco. Rabbrividì e si raccolse ancor più nella stretta delle proprie braccia nude e fradice, per poi lasciarle ricadere, concentrandosi con tutto se stesso.
Guardarsi attorno non sarebbe valso a nulla, a causa del buio ma, in quanto sacro guerriero, poteva fare affidamento, con altrettanta sicurezza, sugli altri sensi: l'udito, l'olfatto... soprattutto l'intuizione, il sesto senso che da sempre era altamente sviluppato in lui.
Si impose di riacquistare la lucidità necessaria per padroneggiare al meglio la concentrazione; liberò lo spirito da ogni altro pensiero che non riguardasse le priorità dell'immediato presente.
Chiuse gli occhi e lasciò fluire i sensi, liberamente, fino a fondersi con il tutto che lo circondava... e di colpo ebbe un sussulto, i suoi occhi si spalancarono nel buio. L'aveva visto... no... sentito... c'era davvero qualcuno... e ciò che Shun credeva di avere percepito lo sconvolse: un miscuglio di sensazioni contrastanti, orrore, angoscia, assurdamente accompagnati da amore e dolcezza... in un'unica presenza due essenze profondamente divergenti che lo assalirono con emozioni opposte e al tempo stesso talmente intense da sopraffarlo.
«Cosa... sta succedendo?» sussurrò, facendo del proprio meglio per dominare il respiro e la tempesta che gli sconvolgeva l'animo, perfetta gemella della bufera urlante intorno a lui.
Un tuono esplose con tutta la sua rabbia, protraendo il ruggito furioso per parecchi secondi, scuotendo orribilmente la terra; il santo di Andromeda non riuscì a trattenere un singulto di spavento, in seguito al quale scosse nervosamente il capo:
«Calma... è tutta suggestione, mi sto comportando come il bambino pauroso di qualche anno fa!»
«Vedo che il mio giovane allievo ancora combatte contro assurde paure infantili; a cosa sono valsi sei anni di addestramento se ancora tremi per un temporale d'autunno?»
Ogni briciolo di determinazione svanì al suono di quella voce e i tremiti divennero talmente incontrollabili da farlo cadere in ginocchio, le braccia abbandonate, inerti, lungo i fianchi, gli occhi sbarrati e intrisi di lacrime. Un solo, flebile balbettio uscì dalle labbra malferme:
«No... non è... possibile...»
Passi dietro di lui... l'erba frusciava piegandosi sotto il calpestio di membra massicce... Shun restava immobile.... I passi si fermarono. Adesso era esattamente alle sue spalle, Shun lo sapeva, lo sentiva, eppure, nonostante tutto, non osava muoversi... non riusciva a muoversi.
«È così che mi accogli? Mi sarei aspettato da te un po' più di calore... dove sono la gratitudine e l'affetto che hai sempre giurato di provare nei miei confronti?»
Il santo di Andromeda deglutì e, quando la presenza gli girò intorno per portarsi davanti a lui, si sentì soffocare. Adesso gli era di fronte; gli occhi di Shun potevano scorgere, anche nelle tenebre, la sagoma delle gambe muscolose. Non aveva bisogno di sollevare lo sguardo per riconoscere quel corpo, quella tunica lisa che fasciava membra possenti e armoniose a un tempo.
Il suo volto si abbassò, non poté farne a meno, i suoi tremiti erano ora accompagnati da un gemito sottile e continuo, molto prossimo al pianto. Una mano ruvida e forte gli si posò sotto il mento costringendolo, con gentile ma inderogabile fermezza, a sollevare il viso.
Due paia di occhi, azzurri e verdi, si incrociarono; quelli verdi si spalancarono in tutta la loro incommensurabile ampiezza e attraverso le sorgenti di smeraldo le lacrime fluirono copiose:
«Albion... sensei...»
Un confuso balbettio, flebile come lo squittio di un topolino in trappola... sì... così si sentiva, in trappola. Non c'era felicità nell'immenso amore che lo incatenava a colui che gli stava dinnanzi perché sapeva, era assolutamente certo che un inganno si celava sotto quell'impossibile apparizione, eppure nulla si sentiva in grado di fare; troppo forte il desiderio di aver ritrovato il suo adorato maestro, era prigioniero dell'affetto che per lui provava, prigioniero della propria volontà che tutto fosse vero, seppur certo del contrario.
La sua maggior forza, tutto l'amore che aveva in sé verso coloro che amava, più volte si era rivelata, al tempo stesso, la sua più grande debolezza; non era in grado di reagire alla propria fragilità emotiva.
Una cosa simile gli era accaduta in passato; qualcuno aveva già tentato di distruggerlo giocando con i suoi troppo intensi sentimenti, con la sua incapacità ad accantonarli e come quella volta, ancora percepiva l'inganno senza potervisi opporre.
Osservò il proprio corpo reagire d'istinto, seguì quasi assente il movimento della propria mano che si tese verso quel viso pregno di illusori ricordi; accettò con naturalezza estrema la stretta di quelle braccia vigorose, il bisogno assoluto di abbandonarsi ad essa, di credere in ciò che vedeva e sentiva nel cuore... era tutto ciò che per lui, in quel momento, contava.
«Bravo, così ti voglio, arrendevole e indifeso...»
Suonavano strane quelle parole, strano il loro timbro; cosa significava quella nuova inflessione che aveva percepito, verso la fine della frase, come se la tonalità stesse subendo una metamorfosi... una metamorfosi insieme al suo proprietario? Non riconosceva più Albion in essa e neanche in quell'abbraccio.
Perché si stupiva nonostante tutto? Non l'aveva forse saputo fin dal primo istante di essere caduto in un crudele inganno dal quale non aveva mai avuto la forza né la volontà di liberarsi?
Eppure, quella orribile sensazione che ora lo attanagliava andava oltre ogni aspettativa e in nessun angolo del suo corpo e della sua anima riusciva a raccogliere una briciola di coraggio per ribellarsi, per accertarsi fino in fondo di ciò che gli stava accadendo. Ancora non sollevava il viso, non guardava, rifuggiva alla realtà con tutto se stesso.
«Non vuoi guardarmi, mio gemello? Non vuoi mostrarmi i tuoi bellissimi occhi?»
Albion, dov'era Albion? Perché quella voce?
Shun indietreggiò con un gemito disperato, per strapparsi a forza da quel contatto ma due mani si serrarono inesorabili sulle sue braccia, poco sotto le spalle, fin quasi a penetrargli nella carne. Shun sollevò di scatto il viso, per una sorta di riflesso condizionato e si trovò ad annegare in due iridi blu senza fondo, spiccanti su un volto diafano intorno al quale danzava una folta chioma nera che si fondeva con le tenebre della tormenta notturna. Da quelle tenebre si era materializzato il suo incubo peggiore, Hades, Signore degli Inferi, tornato per trascinarlo con sé, questa volta per l'eternità, nel regno dei dannati.
Shun urlò, come una di quelle anime che senza fine e senza possibilità di sollievo si dibattono nei gironi infernali e, in risposta, le braccia lo lasciarono per aprirsi, liberando, in tutta la sua ampiezza, il nero mantello, appendice della notte che avvolgeva il mondo in quell'istante sospeso nel tempo. Il drappo si impadronì di tutto l'arco visivo del ragazzino e, un attimo dopo, si richiuse su di lui; Shun non poté vedere altro mentre artigli di morte lo strappavano a se stesso.
«Uccidimi, ti scongiuro, questa volta uccidimi,» implorò, ultima supplica singhiozzata, intrisa d'orrore prima di precipitare nel baratro dell'oblio.


barra spaziatrice

Dopo che Shun se ne fu andato, nel salotto di Villa Kido l'atmosfera si era fatta più pesante; la tristezza del tenero compagno aveva contagiato Seiya e Hyoga, rigettandoli nell'amarezza pressoché costante della loro condizione, di un'esistenza che mai avrebbe potuto permettersi di lasciarsi andare ad una spensieratezza eccessiva.
Capitava, a volte, che provassero a giocare, a scherzare come era normale per ragazzi della loro età... qualche volta capitava persino a Shun che, più di tutti, sentiva il peso delle troppe vite strappate ad un mondo ignaro.
Ma poi, la precarietà della loro esistenza tornava prepotentemente alla ribalta e riportava alle loro menti la consapevolezza di quanto il soffio vitale dell'intero universo potesse rivelarsi, in alcuni istanti, terribilmente fragile; erano sufficienti l'ira o la brama di un Dio per spazzare via tutto nel breve balenare di un attimo... era sufficiente molto meno per innescare un lento ma inesorabile logorio o per spegnere una singola vita.
E i santi di Athena, soli in questo universo, a tutti ignoti, donavano se stessi per proteggere un mondo che, nonostante tutto, voleva vivere.
Quando tali pensieri prendevano il sopravvento, allora i sacri guerrieri non riuscivano più a fingere, neanche a sforzarsi di comportarsi come comuni adolescenti, smettevano anche di desiderarlo, perché alla tristezza costante era miscelata in perfetta armonia la gioia senza pari di essere fino in fondo ciò che erano.
Quella sera era stato Shun a riportarli, un po' bruscamente, alla loro complicata realtà; non l'aveva fatto apposta ma l'angoscia che lo permeava era palese e lui non avrebbe potuto fare nulla per celarla sotto una maschera di letizia, non era mai stato capace di fingere. Così, complice la forte simbiosi che fondeva tutti loro in un'unica essenza, i compagni non potevano ignorare quella mestizia e la sentirono scivolare in essi come un fluido di implacabile oppressione.
Seiya era tornato alla finestra ma non guardava nulla realmente; pensava... a ciò che era stata la sua, la loro vita, a ciò che ancora sarebbe stato. Si domandava se il loro dovere di santi avrebbe conosciuto, prima o poi, una fine... si domandava se lui la agognava realmente questa fine. Cosa ne sarebbe stato, in quel caso di tutti loro?
Non poteva immaginare un futuro nel quale Athena non avesse più bisogno di lui; tuttavia, se il loro compito non si fosse, prima o poi, concluso, il risultato sarebbe stato un protrarsi di guerre e dolore... e lui si sentiva sempre meno preparato al pensiero di perdere per sempre uno dei suoi fratelli o la sua Dea... non era da escludere... forse la sconfitta definitiva sarebbe prima o poi arrivata... e se lui fosse sopravvissuto, solo, alla scomparsa di coloro che amava?
Non ombra di sorriso sul suo volto di ragazzino vivace e abbronzato; i suoi occhi grandi brillavano come braci ardenti quando i lampi dell'interminabile tempesta si specchiavano in essi.
Non molto differenti dovevano essere i tormenti che turbavano la mente di Hyoga; aveva ripreso in mano la rivista ma da lunghi, troppi istanti le pagine non si voltavano... I suoi occhi non leggevano, fissavano un punto arcano e invisibile tra le righe stampate, nascosto in una dimensione lontana, recondita, proiettata dal suo spirito angosciato, quella stessa angoscia che la depressione di Shun gli aveva trasmesso.
Era ormai deciso ad alzarsi da quel divano nel quale si rifugiava, rannicchiandovisi quasi fosse un nido che lo proteggeva da tutto ciò che si trovava all'esterno di esso; l'affetto nei confronti del fratellino prevalse sul torpore che lo distanziava da tutto, voleva raggiungere Shun nella sua stanza, dove probabilmente si era rinchiuso.
Ma proprio quando stava per mettere in atto quella decisione, la porta si aprì nuovamente e la sagoma alta e vigorosa di Ikki apparve sulla soglia:
«Avete visto Shun?»
«Era qui circa mezz'ora fa, ma poi è uscito,» rispose Hyoga, «credo sia tornato in camera sua.»
Il nuovo venuto scosse il capo:
«Ci sono appena stato ma non c'è...»
«Forse è nella biblioteca con Shiryu,» intervenne Seiya, al quale Ikki rispose con un nuovo cenno negativo del capo, prima di parlare ancora:
«L'ho cercato in tutto il palazzo, neanche Shiryu e i servitori lo hanno visto.»
Un'ombra attraversò lo sguardo di Seiya:
«Era depresso... di solito, quando è in questo stato, lo si può trovare a passeggiare nel boschetto, ma con questo tempo...»
Ikki comprese cosa Seiya intendeva; sapeva benissimo che, da quando erano tornati dagli Inferi, l'umore di Shun era terribilmente instabile, come se la speranza che aveva sempre brillato nel fondo dei suoi occhi luminosi si fosse in qualche modo offuscata. Sospirò e sollevò una mano fino a strofinarsi energicamente la folta chioma corvina:
«Conoscendolo, non sarà certo il temporale a fermarlo; posso immaginarlo, zuppo come una spugna, a camminare sotto l'acquazzone come se niente fosse!»
Seguì qualche istante di pensieroso silenzio prima che Ikki riprendesse a parlare:
«Vado a raccogliere il pulcino bagnato, ci vediamo tra un po'.»
Si lasciò alle spalle due fratelli mesti e moralmente stanchi, indecisi se seguirlo o meno; alla fine optarono per lasciar fare al santo di Phoenix, perché potessero incontrarsi da soli. Nessuna medicina, per Shun, si sarebbe rivelata più efficace del conforto di Ikki-Niisan.


barra spaziatrice

La notte era fonda come Ikki non ne ricordava un'altra; si affacciarono alla sua memoria le lande tenebrose dell'Ade e un'inquietante sensazione di déjà-vu accompagnava i suoi passi.
Non riusciva a scorgere assolutamente nulla a parte le sagome nere degli alberi, a tratti rivelate dal saettare dei fulmini. Apparivano intorno a lui come mostri protesi con lo scopo di afferrare la sua anima e ridurla a brandelli.
Ikki si fermò per raccogliere i pensieri, maledicendo se stesso: un temporale lo stava rendendo nervoso... ma no... non poteva essere quello. C'era qualcosa nell'aria che colpiva i suoi sensi con occulta ferocia.
Non poteva spiegarsi il motivo ma pensare a Shun lo terrorizzava; lo immaginava solo, fradicio, in lacrime, perduto nella tregenda. Perché quelle terribili immagini si presentavano alla sua mente, quale irrazionale trama onirica gli si stava disegnando, strato dopo strato, nella testa? Dov'era Shun e cosa gli stava accadendo?
Brividi irrefrenabili gli scuotevano il corpo ma non erano dovuti al freddo, non sarebbe stato possibile, non per un banalissimo temporale d'autunno; cosa allora lo faceva tremare?
Un recondito timore, al quale non sapeva conferire un nome, un qualcosa di misterioso celato nella notte, qualcosa che non si vedeva ma c'era... e quel qualcosa aveva colpito Shun.
Non era solo suggestione, lo sapeva, Ikki non si sarebbe mai fatto ingannare da fantasmi sorti dal profondo della sua anima; se percepiva un'aura malvagia intorno, tale empietà esisteva e il suo flusso era talmente violento da rischiare di sopraffarlo.
Riprese a camminare lento, con circospezione. Desiderava così intensamente trovare Shun, desiderava riaverlo al suo fianco, vederlo apparire zuppo e intirizzito ma salvo e poi stringerlo nel rassicurante tepore delle sue braccia e riportarlo dentro, dai fratelli, al sicuro.
«Shun... dove sei? Fatti vedere... per favore...»
I suoi richiami, dapprima flebili, completamente coperti dallo scroscio insistente dell'acqua e dal rombare dei tuoni, giunse poco a poco a sovrastarli, per esplodere in un urlo finale, ormai dominato dal panico di ignota provenienza:
«SHUUUN!!! MALEDIZIONE, DOVE DIAVOLO SEI?!!»
Nuovamente fermò i propri passi, posando la mano su una corteccia impregnata di pioggia e ordinò a se stesso di calmare il respiro che si era fatto inspiegabilmente affannoso; doveva smetterla di lasciarsi guidare dall'irrazionale turbamento.
«Sto perdendo il controllo, dannazione a me! Cosa mi succede? Sono un idiota, imbecille e cretino!»
Senza smettere di lesinare insulti alla propria persona, scosse il capo nel tentativo di scacciare il velo di confuso smarrimento e, bene o male, riuscì a riconquistare un accettabile dominio sui propri nervi incomprensibilmente tesi.
Ma bastò qualche passo e la funerea atmosfera di poco prima lo riassalì, con ancor maggiore violenza. Ignaro del proprio gesto si portò le mani al volto; sconnessi sussurri gli scuotevano il petto ma per lui, il suono della sua stessa voce era distante, terribile il suono di parole che non si rendeva conto gli appartenessero:
«Dove sei... fratellino... dove sei?»
«Cosa cerchi?»
Panico... si immobilizzò, rigido, sbarrando gli occhi sul sipario di tenebra che nulla gli permetteva di scorgere. Una voce sottile tra gli scrosci di pioggia, un tuono, un lampo, poi ancora:
«Perché cerchi qualcuno che non sono io?»
Memorie aggrovigliate presero a rincorrersi turbinosamente nel suo cervello; mentre il filo del tempo si riavvolgeva, il dolore divenne talmente insopportabile da essere paragonato ad una pugnalata al cuore... un dolore che credeva sopito e che tornò prepotentemente a galla, come prepotente e crudele era stata la mano che aveva estirpato dal mondo il suo fiore prezioso di Death Queen Island.
Una risatina sottile si fuse con la pioggia, trillo d'argento, suono arcano sorto da qualche angolo ignoto di un regno ultraterreno; aveva in sé qualcosa di orrendo, sensazione che mai Ikki si sarebbe sognato di attribuire alla creatura della quale credeva di avere riconosciuto la voce.
Tuttavia l'inquietudine era secondaria, sommersa dalla marea di tutte le altre, contrastanti emozioni; un fiore perduto in quella che sembrava un' altra vita nuovamente sbocciò nel suo cuore in subbuglio.
«Il tuo cuore batte, lo sento, batte ancora per me e io ti attendo, seguimi, vieni, mia Fenice!»
«Dove... dove sei?»
I rumori della tempesta, uniti al suo stato confusionale, gli impedivano di stabilire la direzione della voce che sembrava diffondersi nel vento, in ogni direzione, essa stessa frutto dello sconvolgimento della natura.
Una nuova risata gli fece correre un brivido lungo la spina dorsale.
«Perché ridi così?»
Domanda posta in tono quasi estatico, assente e rapito; come poteva il suo fiore trasmettergli un tale senso di inquietudine?
«Chi può sapere cosa si nasconde tra le spire ineluttabili dell'orrida morte? Neanche tu, tornato dall'Inferno, puoi sondare fino in fondo i misteri dell'eterno sonno; quante cose ancora non sai, Ikki mio.»
Parole prive di senso alle orecchie del ragazzo sconvolto, ma in quel momento era incapace anche solo di provare a svelarne il recondito enigma, troppo intento ad assorbire in sé quella voce che gli offuscava i sensi.
«Ti prego, non confondermi con frasi così arcane, dimmi solo una cosa... sei la mia Esmeralda?»
«Ancora ti domandi ciò che già dovresti aver compreso e io sono qui, ad attendere invano da tanto, troppo tempo, un tuo pensiero che mai più mi hai concesso...»
Malinconiche parole, seguite da agghiacciante risata, stonata e fortemente contrastante con il messaggio rilasciato, con la persona cui apparteneva.
Ikki scosse confusamente il capo; cosa non quadrava? Perché tutto gli sembrava così naturale e al tempo stesso assurdo?
«Sono io che non quadro,» si ripeteva, violentando se stesso in un'affannosa ricerca di autoconvincimento. «Io, maledizione! Non riesco a ragionare coerentemente, non riesco... a rifiutare ciò che so terribilmente sbagliato!»
Sapeva con assoluta certezza che non avrebbe dovuto dare ascolto a quella voce; quella stessa risata diabolica era come se, prendendosi gioco di lui, volesse metterlo allo stesso tempo in guardia, lo canzonava, invitandolo a fuggire via, lontano, dalla vana speranza che l'illusione si tramutasse in agognata realtà.
Sì, lui voleva che fosse vero, voleva la sua Esmeralda, la desiderava come mai l'aveva desiderata.
Impazziva, la testa stava per scoppiargli ma al tempo stesso era incapace di reagire. Nel tentativo disperato di strappare la mente a quella situazione di stallo, ricercò nel caotico disordine dei propri ricordi il motivo che l'aveva spinto ad uscire nella notte... e un nome lo trafisse con un impatto inaudito sui nervi già provati... Shun... aveva rischiato di dimenticarlo... di dimenticare che forse il fratellino aveva bisogno di lui.
«Esmeralda... tu sai dov'è Shun? Ti prego, aiutami a trovarlo, temo che stia male...»
Risposta stridula, colma di rabbia:
«Perché mi fai questo, Ikki? Anche dopo tanto tempo, dopo che così a lungo mi hai dimenticato, ora che ritorno, perché tu possa ricordarmi, tutto ciò che sai fare è pensare a lui?»
Era gelosa? Esmeralda gelosa di Shun? Mai l'avrebbe creduta capace di tale sentimento.
Un pianto sommesso rispose ai suoi pensieri inespressi:
«Ho perduto il tuo affetto, volato via quando hai lasciato Death Queen per tornare dall'unica persona che abbia mai davvero contato per te e fino ad allora mi avevi soltanto ingannato; io ero solo una triste sostituta, di me avevi bisogno perché ti ricordavo lui!»
Era tutto terribilmente sbagliato, quell'atteggiamento non poteva appartenere a colei che di sola umiltà aveva il cuore plasmato. Ikki lo sapeva; eppure fece sua quella disperazione che lo fece sentire talmente colpevole da gettarlo nel più completo sconforto.
Si stava lasciando illudere, una parte di sé ne era consapevole, come era consapevole di voler essere illuso; ma quella parte fu messa ben presto a tacere, quasi del tutto.
Esmeralda lo attendeva, aveva bisogno di lui...
E Shun?
Un enorme peso gli opprimeva l'anima, la voce del fratello gridava dentro di lui, una voce che amava disperatamente e che lo faceva vibrare, come quella di Esmeralda... la voce dell'altro suo tesoro che implorava il suo aiuto.
Dov'era il confine tra realtà e sogno?
In quella notte, nella quale gli spiriti tornavano nel mondo, ogni delimitazione tra incorporeità e materia diveniva molto più labile, il concetto stesso di realtà si trasformava in qualcosa di terribilmente relativo, la sua stessa definizione non aveva più alcun senso.
«Il tuo silenzio mi opprime mia Fenice; cosa devo pensare? Che davvero hai messo da parte tutto ciò che c'è stato?»
L'amaro rimprovero di un fantasma, di un'anima errante a causa di un'implacabile verità; il ricordo di Esmeralda era davvero rimasto talmente sopito da fargliela quasi dimenticare? E non era sbiadito sempre più, man mano che il legame con Shun si rinsaldava? Davvero Esmeralda era scomparsa in silenzio e senza che lui se ne rendesse conto dai suoi sogni, proprio perché non aveva più bisogno di lei?
Da quel momento, sentendosi dimenticato dall'unica persona che in vita gli aveva dimostrato affetto, lo spirito della fanciulla, senza poter ricevere pensieri positivi da alcuno, aveva cominciato disperatamente a vagare, in preda a quel lancinante rimpianto.
E Ikki aveva sempre pensato che una creatura come Esmeralda si fosse trasformata nel più puro degli angeli... per colpa sua non era stato possibile?
Si portò le mani tra i capelli, sgranando gli occhi contro il cielo rivestito di tenebra che, con guizzi di lampi improvvisi, sembrava volerlo deridere:
«Io non ti ho mai dimenticata, non è vero, non ho mai potuto!»
Era davvero così? Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole il dubbio nuovamente lo colpì come una frustata inattesa; la confusione gli impediva di riflettere con obiettività:
«Non l'ho dimenticata...» Il viso si era ora abbassato, così come la voce, ridotta ad una litania prossima ad un isterico, bisbigliato lamento. «Non è vero... non posso averlo fatto... la mia Esmeralda... non posso averla dimenticata...»
Un urlo agghiacciante gli trafisse il cuore... ancora Shun che supplicava, Shun che soffriva... orrendamente...
Non era stato in parte anche Shun colpevole della triste sorte di Esmeralda? E non era stato sempre a causa di Shun se lui, poi, aveva relegato ad un puntino sempre più nascosto il ricordo della fanciulla?
Il respiro di Ikki era ridotto a un sibilo rantolante, gli occhi sbarrati e vuoti nel nulla, le mani convulse, oscillanti nel vuoto... perché ora quelle maledette idee? Perché sentiva tornare, in tutto il suo orrore distruttivo, la follia che un tempo l'aveva portato a far del male a Shun, al sangue del suo sangue?
«Shun... Shun mio... fratellino...»
Cercò di concentrarsi solo su di lui, non poteva permettere a nessuno di estirpargli nuovamente dal cuore l'amore che provava per Shun, neanche ad Esmeralda... eppure... era difficile, così difficile... come trovare una chiave di lettura a ciò che gli stava accadendo? Esisteva tale chiave di lettura o tutto era governato dall'incubo illogico e senza sbocco alcuno?
Singhiozzi sottili e angosciati lo assalirono ancora con tutta la loro afflizione... la sua Esmeralda piangeva, implorava il suo aiuto, esattamente come Shun, implorava la definitiva liberazione che solo lui poteva aiutare a conquistare.
«Cosa devo fare?» gemette, in preda ad un opprimente senso di impotenza. Shun era in pericolo e la voce di Esmeralda lo rimproverava di averla dimenticata a causa di quel ragazzino che le somigliava talmente da farli sembrare pressoché gemelli. «Esmeralda... cosa devo fare? Cosa vuoi da me?!»
Il silenzio che seguì era assoluto, persino la pioggia sembrava essersi fatta improvvisamente muta; una sospensione più opprimente del rumore della tempesta, un'apparente quiete che urlava di terrore, di aspettativa. La natura stessa attendeva e sentiva che l'incubo stava avanzando, a passo di morte lenta e inesorabile. Ikki si guardò intorno: era come avere una visione rallentata del mondo, più nulla seguiva il proprio corso normale, l'ignoto era di tutto padrone e disumano dominatore.
Un movimento leggero nel buio, un guizzo di esile forma danzante attirò l'attenzione del giovane che, guidato solo da istinto, l'anima quasi strappata a sé stessa, mosse qualche passo in quella direzione, anche lui lento o almeno così gli sembrava, in una dissociazione completa di corpo e spirito, osservava i propri stessi passi come spettatore esterno di un vecchio film dell'orrore.
Non vedeva più nulla intorno, ora seguiva un percorso senza sapere cosa lo avesse spinto ad intraprenderlo; quell'apparizione fugace non si era più mostrata ma lui andava avanti, sempre dritto davanti a sé, sonnambulo sul sentiero tessuto da un sonno innaturale.
Da qualche parte, un angolino minuscolo del suo essere si chiedeva dove l'avrebbe condotto quella strada, eppure al tempo stesso sentiva che non aveva più senso domandarsi nulla; doveva solo proseguire, lasciarsi agire dal corso imprevedibile degli eventi del tutto privi di ordine logico.
Ogni tanto quel guizzo compariva ancora, quel lieve passo di danza che sembrava aleggiare nell'aria, silfide o folletto dalle forme immensamente amate... e orrendamente diaboliche... ma a questo Ikki non pensava, non voleva pensarci, solo sul primo aspetto concentrava la propria attenzione e il proprio sentimento che gli esplodeva nel petto.
Non si fermò neanche quando qualcosa cambiò nella cortina di tenebra densa e proseguì imperterrito verso il bagliore che si accese qualche metro più avanti, lucore tra giallo e verdastro, di putrescente essenza... non rassicurante ardore del cosmo positivo delle stelle ma lume di morte, sorto da sotterranee contrade infere dove speranza è sconosciuta.
In mezzo alla luce scorse ben presto qualcosa, una forma indistinta che assumeva consistenza man mano che vi si avvicinava e che, sempre più, gli comunicava una calda, familiare sensazione... non Esmeralda questa volta; tale sensazione era intatta, pura, non corrotta da inquieto terrore... la creatura alla quale si stava avvicinando non era angosciante fantasma ma integro essere umano... e lo stava attendendo... o forse no, non poteva attenderlo, non più, perché nulla vedeva. Il capo reclinato sul petto, giaceva incosciente o quasi, le braccia sollevate e i polsi incatenati ai rami di due alberi rinsecchiti che sembravano essere stati messi lì apposta. Il corpo snello e graziosamente sinuoso era nudo, in balia della pioggia impietosa che frustava senza sosta la pelle lattea, prossima al pallore insano della morte.
I capelli spioventi, appesantiti dall'acqua che li faceva rilucere come fossero intrisi di stelle, coprivano del tutto il volto abbassato, eppure era possibile intravedere un leggero movimento, un tremito appena percettibile ma chiaro indizio di sofferenza.
Ikki aprì la bocca per gridare ma tutto quello che riuscì ad emettere fu un gemito strozzato, seguito da un balbettio pressoché inudibile:
«Sh... Shu... Shun...»
Tese una mano, stupendosi per i tremori convulsi che la rendevano tanto malferma, riuscì a fare un altro passo, uno soltanto prima di crollare in ginocchio. Strinse i denti, per fare forza su se stesso, per sollevarsi ma non aveva alcun potere sulla propria volontà. Eppure doveva andare da lui, doveva raggiungerlo, anche strisciando se fosse stato necessario... e allora perché non lo faceva? Perché rimaneva maledettamente immobile?
Si trovò ad osservare distrattamente i rivoletti scarlatti che striavano le membra marmoree, punteggiando qua e là il corpo del suo fratellino come tanti boccioli di rosa che spuntavano dal nulla, ferite che si aprivano improvvise, una dopo l'altra, in ogni parte del corpo, senza nulla risparmiare.
Ikki percepì vagamente la carezza calda di lacrime silenziose che gli attraversavano le guance; piangeva la sorte del fratello ma non faceva nulla per porre fine a quel martirio, non riusciva a fare nulla.
Fiotti di sangue sgorgavano sempre più numerosi, tagli sempre più profondi torturavano le tenere carni e, ad ogni nuova lacerazione, il corpo di Shun sussultava in uno spasimo di dolore, non troppo accentuato, essendo la sofferenza anestetizzata da una probabile semincoscienza che tuttavia era ben lungi dal concedergli sollievo... quale incubo atroce stava vivendo il suo fratellino? E cosa lo colpiva così selvaggiamente? Potevano quei fiotti di sangue sgorgare dal nulla?
Solo allora udì la risatina, dapprima flebile, poi sempre più acuta e stridente alle sue orecchie; la stessa risata udita poco prima... o forse non poco prima... quanto tempo, quanti minuti erano passati dacché era uscito dalla villa, quante ore... quanti secoli? Gli sembrava di errare da sempre in quelle contrade oniriche, senza un prima, né un poi... solo un eterno vagare nell'incubo.
E la vide... folletto fluttuante, dalle sinuose movenze, avvolta nel suo abito rosa, la cui gonna si sollevava ad ogni passo danzante, i capelli biondi ondeggianti nel vento, apparve materializzandosi dalla pallida luce infernale, accanto al ragazzino prigioniero, a lui talmente simile da sembrare una medesima immagine riflessa in uno specchio; donna e uomo, capelli biondi e capelli castani ma per il resto identici come due gocce nel mare.
Erano talmente veloci e fluidi i suoi passi che Ikki non poteva ben scorgerla in viso ma quando la vorticosa danza la portava a voltarsi verso di lui, in una frazione di secondo scorgeva due bagliori di brace su quei lineamenti di creatura amata.
Ma lui vedeva solo la sua Esmeralda; il confine tra incubo, desiderio e tutti i possibili sentimenti dell'animo umano era crollato: tutti erano fusi in lui e ad essi reagiva con l'inerzia assoluta.
Era Esmeralda che saltellava ridendo come spiritello infernale intorno a Shun e ad ogni passo del suo demoniaco balletto, con una minuscola lama che stringeva tra le dita, incideva un frammento del corpo inerme del ragazzino, ora più leggermente, ora con maggior ferocia e ad ogni taglio inflitto alle vulnerabili membra, la risata si faceva più perversamente soddisfatta e aspra.
Era Esmeralda che godeva, con insana follia di tale pena da essa stessa causata e Ikki guardava la scena, sperimentando forse per la prima volta la vera essenza del terrore più puro, il senso stesso della sofferenza alla quale non sapeva porre un freno. Per la prima volta in vita sua, il santo di Phoenix si sentiva totalmente in balia degli eventi, bloccato in un vicolo cieco dal quale non aveva alcuna speranza di fuggire: i due esseri per lui più preziosi nell'intero universo, gli stavano davanti, protagonisti di un macabro gioco di violenza e morte. Mai come in quel momento il destino si era fatto beffe di lui.
«Ti prego Esmeralda, lascialo stare, smettila... non fargli più del male, ti scongiuro Esmeralda... è colpa mia... è stata tutta colpa mia, non devi odiarlo così tanto, lui è innocente, è una vittima, proprio come te... non merita il tuo odio, è innocente...»
Aveva cominciato a parlare senza rendersene conto, vane preghiere che si perdevano nell'eco della risata, inascoltate, forse neanche udite; sì, il suo Shun era innocente, innocente di tutto ma anche Esmeralda lo era... Solo lui, Ikki, era il solo autentico colpevole, l'unico meritevole di biasimo, lui era l'essere abbietto che non era riuscito a fare nulla di buono per i suoi due tesori... anzi, era forse lui che li aveva condotti a quel punto, il suo amore per loro li aveva unicamente trascinati verso la completa rovina.
Un ennesimo taglio, il più feroce fino a quel momento inferto, lacerò in profondità il petto di Shun che si contrasse per la sofferenza. Ikki credette di udire anche un sottile gemito, un lamento appena accennato ma non poteva esserne sicuro e probabilmente era solo la sua immaginazione; dal punto in cui si trovava non avrebbe potuto udirlo, sarebbe stato coperto dalle risate di Esmeralda, dalla pioggia, dai tuoni... anzi, forse era stato lui stesso a gemere, forse quelle ferite inflitte al fratello le sentiva sulla propria stessa pelle, forse per questo ora stava urlando, le mani affondate nei capelli, grido straziante che si prolungò nella notte senza fine.


barra spaziatrice

Doveva essere quella l'essenza della pura tenebra; l'aveva già sperimentata, avrebbe dovuto conoscerla bene ormai. Ma quando era precipitato nel baratro la prima volta, la luce fluttuava, seppur flebile, sull'orizzonte distante. Ora dov'era quella luce? Non c'era nulla che gli aprisse il cuore alla speranza, nulla che potesse fare per rendere più serena la sua nuova discesa agli Inferi.
Oscillava nel nulla, sospeso in un incubo destinato a protrarsi in eterno, oltre la sua stessa morte e tuttavia la sua anima già stava morendo. Il suo corpo ancora sentiva il dolore inflitto da demone senza volto, percepiva sulla propria pelle il dilatarsi delle ferite laddove le sue giovani carni erano già state ripetutamente dilaniate, ancora le sue membra reagivano all'interminabile agonia con spasimi incontrollati ma l'anima no, essa era inerte e spenta... a tutto... quello era il suo destino che eternamente si rinnovava, Andromeda incatenata offerta in sacrificio e le catene questa volta non si sarebbero spezzate.
Ancora Hades l'aveva trascinato con sé... Hades o qualcun altro... una parte ancora cosciente del suo spirito era pressoché certa che non il Dio degli Inferi fosse, in quel frangente, il responsabile dell'oscurità impadronitasi di lui... eppure... Hades o altro demone, che importava? Il saperlo non sarebbe servito a cambiare la realtà, a far girare in senso opposto la ruota di un destino che da quando era nato gli era stato avverso.
Detestava l'auto-compatimento nel quale si stava crogiolando o forse non era proprio così; quelle erano solo considerazioni razionali elaborate da una mente ormai del tutto assente a sé stessa... non aveva più senso compiangersi e neanche lo stava facendo in realtà... desiderava solo dormire, che almeno gli fosse concesso il sollievo di non accorgersi di nulla, di distaccarsi del tutto per poter ignorare il limbo nel quale galleggiava da un tempo ormai interminabile... e a quel punto anche pensare in termini temporali era assurdo ed inutile... ridicolo, era quasi prossimo a pensare... se ne avesse avuto la forza forse avrebbe riso... o avrebbe pianto... anche quella distinzione era adesso così labile, inutile... inesistente...
Forse stava già piangendo... debolmente i suoi sensi ancora funzionavano, ancora era ancorato ad un corpo che gli impediva di rifugiarsi nel distacco tanto bramato... e i suoi sensi percepivano il liquido caldo che gli colava sulle guance... lacrime, ben note e persino rassicuranti amiche di una vita intera.. o sangue sgorgato dalle lacerazioni che gli solcavano la pelle? Forse entrambi... e il sangue scorreva ovunque lungo il suo corpo e ancora oltre, lo circondava, sommergendolo, soffocandolo... no, non era il suo, non solo... era tutto il sangue che aveva versato nel corso della sua adolescenza e in esso era destinato ad affogare, la sua coscienza stessa in quel mare scarlatto si sarebbe smarrita, perduta... impazzita.
Un'esplosione di dolore più intensa, nella tenebra striata di sangue, un urlo... il suo? Ancora riusciva ad urlare? E quei singhiozzi, erano i suoi?
Ascoltava il proprio cuore ora; da quanto ad esso non poneva alcuna attenzione? Aveva ricominciato a battere? O probabilmente non aveva mai smesso di farlo, seppur debolmente; un filo sottile lo aveva fino a quel momento legato ad una vita ormai fragile. Con quel grido, quei singhiozzi, la vita era tornata ad ardere e ora sapeva perché, ora aveva riconosciuto la voce, la presenza... una presenza che quasi si fece palpabile quando lui riuscì a darle un nome, in un sussurro flebile ma reale... forse la prima cosa reale, importante dopo ore... dopo non avrebbe saputo dire quanto tempo:
«Ni... Niisan...»
Era ancora vivo, ora lo sapeva e finché la vita avesse sussurrato, anche con un'inconsistente briciola di forza residua, il proprio desiderio di continuare ad ardere, lui l'avrebbe ascoltata, perché lui amava la vita, lui amava quella persona che ora attraversava un incubo pari al suo, lo sentiva, forse peggiore... Shun amava quella persona che aveva bisogno di lui e per quella persona si sarebbe aggrappato alla vita.
Quel lume che si era acceso per lui si stava spegnendo ora in un'agonia che non si poteva descrivere e il cuore di Shun si spezzava, assimilando con profonda empatia tutta l'angoscia dell'adorato fratello:
«Perché Niisan? Perché soffri così? Cosa ti sta accadendo?»
Era davanti a lui, a qualche metro di distanza... stava riuscendo a scorgere qualcosa nella notte, tutto sembrò farsi improvvisamente più chiaro, nitido... stava lentamente uscendo dal limbo, si sforzava di farlo, stava strappando se stesso alla sospensione dell'incubo. I sensi, uno dopo l'altro, tornavano con fatica a compiere le loro funzioni, tutto assunse una propria logica, il mondo tornava ad essere quello che lui conosceva: la pioggia che gli frustava la pelle, il gelo del temporale d'autunno, i lampi e i tuoni che sconvolgevano il bosco, persino il dolore delle ferite... accolse tutto questo con gioia perché significava riacquistare il controllo di se stesso e degli eventi.
Ora poteva nitidamente scorgere anche la figura sottile e goffa che gli saltava intorno, colpendolo ripetutamente, ora poteva dare un volto a quella creatura, la causa di tutti gli inganni perpetrati in quella notte infernale; colui che già era stato loro nemico, colui che faceva dell'ipocrisia la propria arma, che combatteva non con il valore del guerriero ma con la subdola malignità di chi sfrutta i sentimenti dell'avversario per distruggerlo psicologicamente... colui che si serviva della sfera affettiva di chi gli stava di fronte, delle emozioni, delle fragilità, per cercare la vittoria nel modo più infido e sleale che qualsiasi combattente potesse usare: il generale degli abissi, evidentemente sopravvissuto al crollo del regno sottomarino, il custode della colonna antartica, in grado di leggere nel cuore dell'avversario e assumere ai suoi occhi l'aspetto di una persona amata... Khysa di Lymnades!
Una rabbia ardente si impadronì del santo di Andromeda e risvegliò spontaneamente in lui il cosmo di sacro guerriero, dapprima sottile fiammella che divenne sempre più ardente, bruciante nelle viscere, giunse come fiume in piena in ogni frammento delle sue membra, anche alle mani incatenate. I polsi e le dita si tesero, accogliendo quasi con gioia quel rinnovato vigore che avevano perduto; Shun strinse forte i pugni e gli anelli metallici non ressero a quella pressione con la quale non potevano competere; con un rumore sordo si creparono, per andare poi in frantumi, restituendo la libertà al loro prigioniero ormai non più vittima nel bizzarro gioco di destini che quella notte di spiriti aveva intessuto.


barra spaziatrice

Tutto si ripeteva, il tempo si riavvolgeva su se stesso e Ikki si trovava di nuovo a Death Queen, in quel giorno fatale che lo avrebbe visto rinascere come sacro guerriero; ancora una volta il colpo mortale venne sferrato, ancora la sua estrema violenza si abbatté sul fragile petto di Esmeralda... ma non il misterioso maestro dell'isola, questa volta, perpetrava tale gesto inaudito...
In un susseguirsi terribile di secondi, Ikki assisté al risvegliarsi del cosmo di Shun, vide la catena che lo vincolava all'albero spezzarsi, vide le mani del fratello afferrarne le estremità per volgerle contro la fanciulla che adesso, sgomenta, si era immobilizzata davanti alla creatura furiosa eretta di fronte a lei in tutta la sua maestosa fierezza... le catene di cui era signore si trasformarono in crudeli armi che vennero scagliate con ferocia contro la ragazzina, trafiggendola, spingendola lontano...
Ikki non vide altro, cercò di strappare il proprio corpo a quell'insana immobilità ma tutto quello che riuscì a fare fu esplodere in un urlo, come già un tempo, quando per la prima volta l'aveva perduta: «ESMERALDAAAAAAAA!!!!!»


barra spaziatrice

Khysa giaceva al suolo, immobile; Shun non riuscì a capire se fosse ancora vivo o no, tuttavia non infierì. Nelle sue orecchie echeggiava l'urlo disperato del fratello... era stato questo l'inganno, questo quel demonio vivente aveva mostrato ad Ikki: i suoi due più grandi affetti che si facevano del male l'uno con l'altro... adesso aveva visto il corpo della dolce Esmeralda selvaggiamente trafitto, esperienza da lui già vissuta in passato, esperienza che l'aveva segnato per sempre, la goccia ultima accumulata su tante altre, quella che aveva spianato definitivamente la strada verso la cieca follia... e questa volta era stato lui, Shun, a compiere il delitto... questo ciò che si era presentato agli occhi sconvolti di Ikki.
Il santo di Andromeda assorbiva dentro di sé l'atroce stato d'animo del fratello e il suo cuore si dilaniava, si sentiva colpevole nonostante sapesse che in realtà aveva sottratto entrambi a un destino di morte certa o ad un'esistenza scandita da una follia senza speranza... Eppure Ikki era ancora preda dell'incantesimo, lo dimostrava l'oscurità del suo spirito, la sua mano tesa e tremante, il corpo così teso che sembrava sul punto di spezzarsi, gli occhi sbarrati e la bocca aperta in un grido conclusosi da tempo ma che si protraeva in muta disperazione.
Shun fu improvvisamente pervaso da molle debolezza e faticava a reggersi in piedi; tutte le vicissitudini di quella notte lo schiacciavano con il loro peso opprimente, il sangue continuava a scorrere imperterrito attraverso ferite non rimarginate e il precipitoso fuggire del liquido vitale si portava via con sé ogni briciolo di residua energia.
Ma il ragazzino non si rassegnò a lasciarsi semplicemente cadere a terra; fece invece qualche passo malfermo in direzione del fratello, lo raggiunse e solo allora scivolò in ginocchio, allungando stancamente un braccio per portarlo su quel viso in subbuglio che non vedeva nulla, fissava un punto distante davanti a sé. Shun avrebbe desiderato talmente che quello sguardo amato si posasse su di lui, desiderava incontrare i suoi occhi:
«Niisan,» si trovò a sussurrare ancor prima di pensarlo. «Quella non era Esmeralda... ti scongiuro perdonami... guardami, ti prego...»
La reazione fu spropositata e sconvolgente, Shun non si accorse del movimento con il quale Ikki si erse in piedi e si scagliò contro di lui, sferrandogli un pugno in pieno volto che il ragazzino non poté evitare. Cadde all'indietro, rannicchiandosi al suolo, il fiato corto, ingoiando il sangue di quell'ulteriore ferita, tanto più dolorosa di tutte le altre. Non osò muoversi, non importava quello che Ikki avrebbe fatto... ma il santo di Phoenix non fece nulla, Shun udì il suo rantolo soffocato, i suoi passi che si voltavano e fuggivano via. Poi tutto fu di nuovo buio e l'oscurità nuovamente lo avvolse.


barra spaziatrice

Hyoga e Seiya si erano precipitati nei corridoi della villa e si trovarono, quasi subito, faccia a faccia con Shiryu che scendeva di corsa le scale dopo essere uscito dalla biblioteca dei Kido.
Si fermarono quel tanto che bastò per interrogarsi con gli occhi ma già avevano ripreso a muoversi quando il santo del Dragone chiese ai due compagni:
«Avete sentito?»
Annuirono semplicemente e tutti e tre si diressero senza perdere altro tempo verso l'uscita del palazzo; a nessuno di loro era sfuggito il sentore di dolore e battaglia che infuriava in un punto imprecisato del parco, un'esplosione di cosmi e flussi di energia colmi di paura e oscura inquietudine e uno di essi malvagio, ostile, plasmato solo da odio e rancore.
Il pensiero dei tre ragazzi si era subito rivolto ai due fratelli che nessuno aveva ancora visto rientrare e quei cosmi erano inequivocabilmente familiari, come era inequivocabile l'ultima sensazione che aveva assalito i loro sensi: Ikki aveva colpito Shun... era già accaduto... perché ancora? Cosa stava succedendo questa volta?
Uscirono sotto un cielo che non aveva cessato di spandere la propria rabbia sulla terra, tuttavia il temporale si stava lentamente esaurendo; lampi e tuoni si erano diradati e la pioggia, benché sempre fitta, si riversava dalle nuvole con meno violenza.
Adesso non c'era più nulla a guidarli nella giusta direzione, ogni flusso era scomparso e la cosa che più li rendeva ansiosi era il cosmo di Shun, spentosi dopo aver esternato tutto il proprio immenso, insopportabile dolore.
Si affidarono quindi all'istinto per cercare qualche traccia della tragedia che, erano certi, si era conclusa da pochi istanti, senza conseguenze nefaste speravano.
Fu Seiya il primo a vederlo, immobile, nudo, sdraiato di fianco sull'erba bagnata del parco; si gettò su di lui, immediatamente seguito dai compagni e raccolse quel corpo straziato tra le proprie braccia. Era una visione spaventosa, le membra di Shun erano coperte di ferite, tagli a volte anche molto profondi; il volto era una maschera di sangue fuoriuscito dal naso e dal labbro spaccato.
Seiya lo chiamò, sussurrando angosciosamente il suo nome, cercando di contenere la propria rabbia estrema verso chiunque avesse infierito in quel modo su un corpo indifeso, con evidente sadismo... non poteva aver fatto tutto Ikki, non voleva crederci... e comunque avevano percepito un'altra presenza.
Shun era solo svenuto, la vita pulsava ancora in lui ma qualcosa gli impediva di riprendere i sensi, forse il dolore troppo intenso che provava lo teneva segregato nella sua incoscienza e non aveva né la forza né la volontà di uscirne.
Hyoga si era accovacciato accanto a Seiya e osservava il suo fratellino con l'animo colmo di ansia; non sapeva mai che dire né che fare in questi momenti, neanche quando cose simili accadevano in battaglia; ma vederlo così, nudo e indifeso, fragile come un bambino, immaginando cosa quella pelle tenera poteva avere passivamente subito, andava oltre la sua soglia di sopportazione. Allungò una mano a sfiorare il ricciolo castano che ricadeva sugli occhi chiusi e immobili di Shun, toccò quei fili di seta incrostati di sangue e lacrime ed egli stesso pianse, lasciando cadere sul viso del fratello le gocce calde della propria commozione.
«Qui ci sono segni inequivocabili di battaglia e qualcuno si è trascinato via,» fu Shiryu a riportarli all'urgenza del momento. «Gocce di sangue si allontanano nel bosco; qualcuno ferito che è scappato.»
Seiya affidò Shun alle cure di Hyoga e raggiunse il compagno che osservava, corrugando la fronte per sforzare la propria vista al buio, le tracce fresche e recenti.
«Potremmo ancora raggiungerlo?»
Shiryu scosse il capo in segno di dissenso:
«È sicuramente già scomparso... e non credo affatto si trattasse di Ikki...»
«Ma allora lui dov'è?»
Un nuovo cenno di negazione, questa volta senza parole, in seguito al quale Shiryu gli diede le spalle, per tornare a dedicarsi al fratello svenuto. Hyoga lo aveva sottratto al gelo tagliente del suolo e si era tolto la maglia per poter coprire almeno un poco, con essa, la nudità indifesa del fratello, stringendolo forte a sé, per trasmettergli il più possibile il proprio calore.
«Portiamolo in casa,» fu il perentorio ordine di Shiryu che, in questi momenti di incertezza, era in grado di guidare i compagni sulla strada della ragione e allora, se ce n'era bisogno, sostituiva momentaneamente Seiya nel suo ruolo di leader riconosciuto quando il ragazzino si lasciava vincere dalla propria fragilità emotiva.
Ma Seiya era ben deciso, come spesso accadeva, ad agire di testa sua e se così stabiliva niente poteva fermarlo:
«Prendetevi cura di lui, io vado a cercare Ikki!»
Nessuno dei due fratelli ebbe il tempo di ribattere; si era già voltato ed era scomparso nella notte; Shiryu chinò il capo lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato, mentre Hyoga, impaziente di portare Shun laddove avrebbero potuto curarlo e restituire un po' di tepore al suo corpo ghiacciato, si era già avviato verso casa.


barra spaziatrice

Le sue mani... era così orribile guardarle... lo avevano fatto davvero, un'altra volta; aveva giurato che mai più avrebbe sfiorato il suo tesoro se non per rivolgergli una carezza, per trasmettergli tutto il suo amore... eppure, Shun aveva davvero colpito Esmeralda, l'aveva uccisa di nuovo, davanti ai suoi occhi, come aveva potuto?
Si portò le dita tra i capelli, scosse convulsamente il capo:
«No, no, basta!»
Le parole di Shun risuonarono nella sua mente, la vocetta angosciata e supplichevole:
«Non era Esmeralda... perdonami... non era Esmeralda...»
Non era Esmeralda... lo sapeva, lo sapeva benissimo anche lui e allora perché non la smetteva di torturarsi in quel modo? Perché lo aveva colpito, perché?
L'illuminazione fu improvvisa, come il ricordo che lo assalì: il generale degli abissi che combatteva assumendo le sembianze di una persona amata... all'ultimo momento, durante lo scontro in fondo al mare, aveva scoperto il segreto che Ikki custodiva gelosamente nel cuore... Khysa di Lymnades conosceva Esmeralda, sapeva come fargli del male; allora lo aveva scoperto troppo tardi ma il santo di Phoenix era sicuro, nel momento esatto in cui l'aveva sconfitto, di aver percepito tutto il suo odio e la brama assoluta di tornare per vendicarsi... era tornato davvero quindi? Era sopravvissuto? O il suo desiderio folle gli aveva permesso di sfidare la morte stessa e di agire contro di loro come spirito?
Non poteva esserne certo e neanche importava in fin dei conti ma di una cosa adesso era sicuro: la lucidità stava tornando e sapeva di averlo sentito, sapeva che dentro di sé se n'era reso conto fin da subito... quella figura che colpiva selvaggiamente Shun era Khysa di Lymnades!
«Cieco, stupido... idiota!»
Inveì contro se stesso; lui che era sempre andato tanto fiero della propria forza, della propria virile sicurezza, si era fatto raggirare come un bambino; ciò che aveva sempre rimproverato a Shun, ciò che aveva rimproverato anche a Seiya e a Hyoga che, quel giorno di battaglia, si erano lasciati ingannare da Khysa sul campo dei sentimenti, l'aveva portato ad impazzire a tal punto da agire in maniera spropositata nei confronti del suo fratellino.
Come aveva osato accusare gli altri di debolezza? Lui si era comportato peggio di tutti loro.
Dai capelli, le mani si spostarono al volto, nel vano tentativo arginare il fiume di lacrime che aveva cominciato a fluire copioso:
«O Shun... Shun mio...»
Appena le tolse vide qualcuno avanzare verso di lui... un altro inganno? Istintivamente si mise sulla difensiva.
«Hai intenzione di colpire anche me, Ikki?»
Seiya... ma era davvero lui? Si stava comportando in modo assurdo, non sapeva più di cosa fidarsi... si vergognava profondamente di se stesso.
«Sei veramente tu Seiya? Khysa di Lymnades è tornato per aggredirci ancora... e io ora... come posso essere sicuro...»
Pegasus si fermò ed assunse una posizione rilassata, le braccia incrociate sul petto, sperando che la paranoia di Ikki non intravedesse in lui alcun intento ostile:
«Immaginavo una cosa del genere... era lui quindi... per questo hai fatto del male a Shun? Temevi fosse lui sotto false sembianze? Hai perso un briciolo di lucidità a quanto vedo...»
Ikki scosse il capo, imponendosi di ignorare la rabbiosa ironia di quelle osservazioni; in altri momenti non avrebbe permesso a nessuno, neanche a Seiya, di apostrofarlo in quel modo ma questa volta, la consapevolezza di essere nel torto totale era troppo elevata, questa volta avrebbe accettato qualsiasi punizione che lavasse via il gesto orribile che aveva compiuto... e nulla sarebbe bastato, ne era ben consapevole.
Ogni timore d'inganno svanì; non sapeva cosa lo rendesse così sicuro ma quello che aveva davanti era proprio Seiya, estremamente preoccupato per quello che era accaduto, tra l'altro. Evidentemente aveva già visto Shun, per questo Ikki non poté trattenersi dal chiedere:
«Lui... come sta?»
«Intendi tuo fratello? Quando l'ho lasciato, Shiryu e Hyoga lo stavano portando in casa, svenuto e coperto di sangue... ma è vivo se proprio ci tieni a saperlo.»
Ikki sospirò, faticando sempre più a mantenersi paziente:
«Finiscila con questo sarcasmo irritante, fammi il favore! Ora voglio solo andare da lui! E non sono stato io a provocargli quelle ferite... l'ho colpito solo una volta...»
«Già... immagino che a questo sia dovuta la brutta lesione che ha sul viso; perché vuoi vederlo? Per infierire ancora?»
«SEIYA, FALLA FINITA!»
Non aveva potuto trattenersi dall'urlare; rendendosene conto, proseguì più pacatamente:
«Vorrei morire per quello che ho fatto, ora come vorresti che mi comportassi? Guardami bene e dimmi se pensi che possa fargli ancora del male!»
Si fissarono in silenzio, per un lungo istante e infine Seiya gli diede le spalle, con un ultima asserzione:
«Sì, sì, OK... andiamo da Shun... però dovrai spiegarci cosa è accaduto...»


barra spaziatrice

Le condizioni di Shun non erano gravi, glielo avevano assicurato ma ancora non aveva aperto gli occhi; tuttavia il respiro era regolare e probabilmente aveva semplicemente bisogno di una lunga dormita senza sogni né pensieri, di un riposo morale più che fisico.
Ikki aprì silenziosamente la porta oltre la quale giaceva il suo fratellino; la stanza era immersa nelle prime luci di un'alba che lasciava presagire un giorno sereno dopo la lunga notte di tempesta.
Il ragazzo giaceva supino sul letto, una mano sfuggita alle coperte languidamente posata sul petto; il respiro era profondo e sano e questo rasserenò Ikki quasi del tutto... se non fosse stato per quel tormento, per la terribile consapevolezza di avergli fatto ancora del male... dopo che, probabilmente, lui l'aveva salvato, aveva salvato la vita di entrambi.
Si avvicinò; la prima cosa che lo colpì come una pugnalata fu l'orribile tumefazione che gli sfigurava il volto. Ad una più attenta osservazione non era una cosa poi così grave e, probabilmente, ogni segno sarebbe scomparso, come tutti quelli che si erano susseguiti sul corpo di quella miracolosa creatura che sembrava assorbire e cancellare ogni cicatrice. Solo ad occhiate approfondite era possibile notare qualche segno delle innumerevoli battaglie trascorse... anche tutte queste nuove lacerazioni accumulate in quella notte infernale sarebbero scomparse, ne era certo.
Eppure, quell'ematoma violaceo ancora screziato di sangue era terribile per Ikki, perché lui ne era stato responsabile.
Non poté impedire ad una lacrima di sfuggire al proprio controllo mentre prendeva posto su una sedia accanto al letto e gli sfiorava dolcemente il labbro gonfio; era incredibile come neanche una lesione così brutta a vedersi potesse offuscare l'immacolata bellezza di quel volto.
Quella sottile carezza bastò a provocare un movimento lieve nel ragazzo addormentato; scosse appena il capo, le palpebre tremolarono fino a schiudersi leggermente.
Dapprima offuscate e assenti, le iridi smeraldine brillarono di un lampo fugace quando si posarono su di lui. Ikki temeva di trovarsi di fronte ad uno sguardo spaventato e diffidente e vi lesse, invece, solo gioia e sollievo; si vergognò di se stesso per l'ennesima volta in poche ore: avrebbe dovuto conoscere bene il suo fratellino ormai.
Ricambiò quell'occhiata con un sorriso commosso e con una cauta carezza sulla parte del viso vigliaccamente guastata dalle sue maledette mani, quelle stesse mani che ora, con quei tocchi affettuosi, desideravano avidamente domandare un'assoluzione non meritata ma che, sicuramente, sarebbe stata concessa... in fondo quello era Shun, il santo di Andromeda, la creatura più pura dell'universo intero.
«Perdonami,» gemette Ikki, senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
Shun scosse il capo, in quel modo tenero che era solo suo e un sorriso apparve sul viso pallido che rispecchiava tutta la bontà e la nobiltà del suo animo incontaminato.
Poi parlò, un debole sussurro, appena udibile, ma che scese come linfa vitale fin nel cuore di Phoenix:
«Mi abbracceresti, Ikki-Niichan?»
Tese le braccia snelle e atletiche verso il ragazzo più grande che, a quella richiesta, non si fece pregare e lo aiutò a sollevarsi, cautamente, cercando di non stringere troppo per non causare fitte indesiderate ai punti doloranti di quel corpo martoriato e lo avvolse nel suo calore protettivo, cullandolo come avrebbe fatto con un bambino.
Mentre Shun si crogiolava in quell'affetto, Ikki aprì gli occhi e li puntò oltre la finestra, verso il sole che sorgeva limpido e rassicurante: l'eterna notte dei fantasmi si era conclusa dopotutto ma se il disco dorato di Apollo si ergeva fiero sulla terra, il cuore di Phoenix era ancora cupo... la sua notte non sarebbe mai finita, un ricordo si sarebbe protratto, in eterno, con tutta la sua crudeltà:
«Khysa... allora ti ringraziai, perché avevi risvegliato in me la memoria della mia Esmeralda... ora non posso che odiarti, perché il suo ricordo lo hai corrotto, con la tua perfidia!»














HotSpringCircle & SDE Creations © 2002 - 2004
© Shun