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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +1, marzo (25)] [Credits & Disclaimers]



Nausee, spade e storie

Allart Regis-Duvic Hastur MacAnndra

Come gli accadeva da una decade circa, anche quel mattino Allart Regis-Duvic Hastur y MacAnndra, non appena il canto del gallo riuscì a scuoterlo, si scoprì afflitto da un vago sentore di nausea, accompagnato da un irritante capogiro mordi-e-fuggi; aprì gli occhi e sospirò, rassegnato: la stanza, debolmente illuminata dai primi raggi del Sole di Sangue, gli appariva come una nebulosa di punti luminosi e danzanti. Quello strano malessere aveva deciso di tormentarlo anche il giorno del suo dodicesimo compleanno.
Si concentrò sugli zoccoli, che sapeva di aver lasciati ai piedi del letto, e, a poco a poco, la danza dei puntini si tramutò in gelatina, per assumere, infine, la forma solida, rassicurante, di un paio di modesti zoccoli di legno, quasi nuovi, ma già corti per i piedi che li calzavano. "Dovrò chiederne un altro paio... gli Dèi non vogliano!" L'ultima cosa che poteva desiderare era una lite tra i genitori... e sarebbe scoppiata, sicuro come la neve del prossimo inverno, non appena avesse sollevato il problema. Nel corso dell'ultimo anno, la sua crescita aveva subito un'accelerazione improvvisa, tanto che, adesso, il ragazzo si aggirava intorno al metro e sessantacinque di statura, ma non smetteva di crescere ad un ritmo vertiginoso. Così, sotto il pretesto delle sue necessità, anche delle più banali, si accendevano sempre violente liti tra i genitori, secondo uno schema inalterabile: Alanna Hastur-Vallonde affermava che il marito non aveva riguardo per il rango del figlio; Dom Damon MacAnndra ribatteva che sua moglie avrebbe fatto meglio a calare le arie e accontentarsi di quel che passava la caserma, e fortuna che Allart aveva i piedi per terra, tutto suo padre! A questo punto, erano assicurate le urla vere e proprie, quelle che squassavano l'edificio dalle fondamenta: Dom Damon aveva una voce da campo di battaglia e sua moglie non era da meno...
Si scrollò di dosso quei pensieri e, sforzandosi di non perdere gli zoccoli, uscì dalla camera.


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Quella che sua madre chiamava, con un sussiego quasi comico, la Grande Casa di Navan era un edificio a un solo piano (escluse le cantine), dalla pianta intricata, come tutte le costruzioni che si sono sviluppate al ritmo di un locale o due per volta, senza traccia di razionalità. Allart dormiva nella camera che si trovava all'estremità del braccio Nord, dunque la più fredda di tutte, «la sola adatta per un vero uomo», diceva suo padre. Il vero uomo, però, avrebbe preferito non imbarcarsi, ogni mattina, nella traversata dell'intero, gelido edificio, soltanto per lavarsi la faccia con l'acqua, anziché con il ghiaccio.
Intento alla medesima operazione, trovò suo padre. I loro orari coincidevano, poiché, da tre anni esatti, Damon MacAnndra dedicava le prime due ore della giornata ad addestrare il figlio nel combattimento con la spada e poi nella lotta libera. Allart sapeva bene che il compleanno non l'avrebbe esentato dal dovere... la spada di legno, usata per l'addestramento, gli era stata appunto regalata per il suo quinto compleanno, e così pure i primi lividi. Ne aveva accumulati tanti che, a volte, si stupiva di non avere ancora la pelle insensibile. Per fortuna, nel corso dell'ultimo anno - forse grazie anche alla crescita - si era fatto più robusto, e finalmente le sue braccia riuscivano a pareggiare l'allungo paterno, tenendo quella lama lontano dal suo corpo... quasi sempre.
Suo padre si alzò, gratificando la sua puntualità con un sorriso allegro, esteso dalla dentatura perfetta al luccichio negli occhi castani. A quarantadue anni, era un uomo nel pieno delle forze, conscio e orgoglioso della propria forma smagliante: non un filo di grasso sull'addome, né di grigio nella chioma, castana anch'essa. Il portamento era disinvolto, ma, anche in quel momento di apparente spensieratezza, la postura dignitosa rammentava a chiunque lo guardasse che egli era il signore di Navan. Vai Dom, lo chiamavano i valligiani, come un membro delle Sette Famiglie. E, in realtà, lo era, perché aveva sposato una donna che non si stancava mai di rinfacciargli il proprio rango superiore, una Hastur, nientemeno; ma, osservandolo in quell'istante, Allart comprese che la devozione dei vassalli aveva tutt'altra origine.
«Bene, chiyu, sei migliorato, negli ultimi mesi; tua madre sospetta che io stia battendo la fiacca, con te, visto che non vede più una carovaniera di lividi freschi al giorno. Sei più alto, più agile e più forte, quindi non aspettarti riguardi: quest'anno, faremo sul serio!»
«Perché, cosa abbiamo fatto, finora?» chiese Allart, con un leggero brivido.
Il padre gli accennò di cominciare ad indossare le protezioni, prima di rispondere:
«Con la lotta libera, molto: ne sai quanto un veterano delle Guardie, o quasi; ti mancano soltanto l'esperienza e la forza, ma verranno col tempo. Io, però, mi riferivo alla spada. Quando abbiamo incominciato l'addestramento, non riuscivi a tenerla sollevata per più di mezz'ora, quindi ho dovuto insegnarti soprattutto la difesa... anche per non ridurti ad uno straccio sanguinolento. Le cose sono migliorate, certo; il secondo anno reggevi già per un'ora intera (nonostante i lividi, potrei aggiungere). Eppure, soltanto due anni fa, al quinto di addestramento, ho potuto insegnarti almeno i rudimenti del contrattacco; l'anno scorso, poi, siamo giunti, finalmente, all'attacco vero e proprio. Ma la tua crescita è stata più rapida di quanto mi aspettassi; tanto rapida, in effetti, che temevo potesse indebolirti...»
"Facile, con tutte queste ore di ozio!" Ironizzò il ragazzo, cercando l'elmetto di cuoio.
«... Per fortuna, così non è stato, proprio per niente. Per questo ti dico che, da oggi, faremo sul serio: perché, finalmente, il tuo corpo è in grado di battermi. Non montarti la testa, si tratta di una possibilità molto remota... ma io duellerò con te come farei in battaglia, contro uomini fatti ed esperti.» Sogghignò. «Credo proprio che tua madre non dovrà più lamentarsi per la penuria di lividi.»
«Forse, padre, anche voi avrete bisogno degli impacchi di erbe, prima che il sole tramonti!» millantò Allart, compiaciuto delle lodi, e più ancora dell'imminente scontro.
Suo padre sorrise di nuovo, con vera allegria: «Da mio figlio, non mi sarei aspettato una risposta diversa. Bene, cominciamo!» E, senza ulteriore indugio, entrambi misero mano alle armi.


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All'incirca un'ora dopo, Allart si sarebbe rimangiato volentieri le proprie vanterie, se soltanto fosse servito a far cessare quella tortura. Suo padre sembrava dieci volte più forte, più agile e, soprattutto, più rapido: si era fatto strada nella sua guardia come un coltello nel burro, rendendo inoffensive le sue parate o costringendolo a ingaggi dove la forza bruta lo soverchiava. Quando poi lo incitava ad attaccare... gemette interiormente, rivivendo quel momento... sembrava che la sua lama diventasse invisibile.
«Allart!»
Quel richiamo imperioso lo riscosse bruscamente.
«Mai, mai distrarti su un campo di battaglia! E' l'ultima volta che te lo ripeto... se tu fossi un mio avversario, non lo farei di certo!»
Il giovane arrossì e mormorò una scusa.
«L'unico motivo per cui non ti ho fatto stramazzare nella polvere è che ho deciso di venirti incontro.» Fece una pausa ad effetto, ghignando.
"Venirmi incontro? Qualunque cosa significhi, quel ghigno promette guai." «Visto che sei troppo lento, goffo e debole per valicare le mie difese, ho pensato bene di aiutarti.» E rinfoderò la spada. «Vedi? Nessuna difesa. Troverai il fegato per attaccare, adesso?»
Dom Damon non aveva ancora sottoposto suo figlio alle provocazioni del campo di battaglia, così questi reagì come un qualunque ragazzo darkovano, di fronte ad un'accusa di codardia: la spada in pugno, attento a coprirsi contro un attacco frontale, si slanciò nell'assalto...
E incontrò il vuoto.
"Dov'è?"
«Dietro di te!»
Non ebbe il tempo di meravigliarsi dello scarto fulmineo con cui Damon MacAnndra si era portato alle sue spalle: la spada di legno, brandita a due mani, calò sul suo cranio, accompagnata da tutto il peso del soldato. In battaglia, un colpo simile avrebbe sfondato anche l'elmo più resistente; per fortuna, gli elmi da addestramento erano muniti di protezioni elastiche, che attutirono l'impatto... un poco, quanto bastava per impedire alla lama di sfondargli la scatola cranica.
Allart, con un gemito strozzato, crollò a terra.


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Fluttuava in una strana nuvola grigiastra... almeno, pensava che fosse una nuvola... e si chiese oziosamente da dove fosse saltata fuori, quando avesse imparato a volare... Poi ricordò che non sapeva volare affatto e, improvvisamente, si sentì cadere, precipitare.
Cadeva, cadeva senza fermarsi. Sarebbe rimasto qualche cosa di lui, dopo l'impatto? Probabilmente no: il sibilo dell'aria stava crescendo fino a riempirgli le orecchio e, tramutandosi in una pressione intollerabile contro i timpani…
Poi, nonostante il sibilo assordante, gli giunsero voci confuse. Una sovrastava tutte le altre, gridando: «Lo hai ucciso, lo hai ucciso!»
Strano, sembrava il suo fratellino. Ma Rael era nella cucine, non poteva essere lui. Beh, chiunque fosse, e a chiunque si stesse rivolgendo, aveva ragione da vendere: sarebbe morto non appena avesse toccato terra, poco ma sicuro. Chiuse gli occhi e si preparò all'impatto...


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... E si ritrovò, intero, sul terreno di addestramento. Gli sembrava di avere la testa e lo stomaco spaccati in due. Quasi senza accorgersene, voltò il capo, scosso da conati di vomito, infruttuosi, perché non aveva fatto colazione, visto che suo padre ripeteva che la digestione intorpidisce i riflessi e che, comunque, una bella sudata stimola l'appetito.
«Non muovere la testa, chiyu.» Il tono di Damon MacAnndra era lievemente ansioso e questo, più di tutto, sgomentò Allart.
«Rael, è vivo, puoi anche smettere di piangere!» Questo era il tono secco di sua madre... ma cos'era quell'incrinatura? Possibile che avesse pianto?
A quel punto, atterrito, spalancò gli occhi, meravigliandosi di averli tenuti chiusi fino ad allora, e li vide: suo padre, il volto pallido e teso; sua madre, rigida come una statua, le guance scintillanti di lacrime; e Rael, il fratellino, sconvolto e tremante, su cui, ora, si stava riversando la collera di Dom Damon.
«Chi ti ha dato il permesso di assistere all'addestramento, eh? Hai soltanto sei anni, dovrebbe badare tua madre a te, non è vero? E smettila di piangere come una femminuccia!»
«Basta!»
Era raro che Alanna Hastur-Vallonde si rivolgesse al marito con quel tono imperioso, o che gli piantasse gli occhi in faccia, come due stiletti.
«Vergognati! Tuo figlio potrebbe avere la testa spaccata per colpa tua,» sottolineò perfida, «e tu che fai? Ti metti a sbraitare dietro a questa povera anima! Certo, tutti uguali, voi soldatacci, bravissimi a tagliare, rompere e spaccare, ma quando si tratta di rimediare agli errori, allora no, scappate come chervine spaventati e tocca alle donne incollare i cocci! Bel comandante devi essere, parola mia! Quanto a te,» incenerì Rael, che ormai non aveva più neanche la forza per piangere, «prova a scappare un'altra volta dalle cucine, e non mi servirà una spada per romperti la testa, sono stata chiara?»
Scese un istante di misericordioso silenzio, mentre tutti recuperavano il fiato e la calma.
«Bene, Allart,» disse Damon, quasi con noncuranza, «l'addestramento, oggi, termina in anticipo. Non preoccuparti, non hai la testa rotta, anche se ti farà male per un bel pezzo. Se tua madre si decidesse a portare via quel bamboccio scriteriato di tuo fratello, penso che potrei raccontarti una delle storie che ti piacciono tanto.»
Allart capì che era il suo modo di scusarsi: era raro che Damon MacAnndra si abbandonasse all'estro del narratore, rievocando le proprie gesta di soldato per il primogenito. Sospirò di piacere e di sollievo, sforzandosi di sorridere... ma l'aria era piena di lucciole, "no, era di nuovo quella cosa strana!", luci, luci senza sosta...
«Allart! Allart!»
L'asprezza nella voce della madre lo riscosse dal torpore. Lentamente e con difficoltà, come da una grande distanza, mise a fuoco lo sguardo preoccupato di Alanna Hastur-Vallonde.
«Madre...». Non riuscì a proseguire: avrebbe voluto chiamarla mamma, ma ella glielo aveva proibito non appena aveva incominciato a parlare.
«Allart, è un altro dei tuoi... capogiri?» C'era un tono di sincera preoccupazione, nella voce solitamente distante della donna, e Allart non poté fare a meno di domandarsene la ragione. E poi - un momento - come faceva sua madre a sapere del suo malessere? Non gliene aveva mai parlato!
«Non stupirti. Sarei una madre davvero negligente, se non mi accorgessi che uno dei miei figli sta male. E' la terza volta, questo mese... O me ne è sfuggita qualcuna?» Allart, ancora sorpreso, scosse la testa... leggermente, per tenere la nausea a bada. «Bene, può darsi che sia soltanto un effetto di tuo padre e della sua... imprudenza...» Ma erano ben altre le parole che le ribollivano in gola, parole riflesse in ogni contrazione dei lineamenti, di solito sereni e belli, nonostante la piega amara delle labbra; parole che facevano crepitare di elettricità i capelli rosso fiamma, caratteristici dei Comyn, la più alta aristocrazia di Darkover.
C'era il gelo, nella voce di Dom Damon MacAnndra, Signore di Navan, quando replicò, nel suo casta più ironico e formale: «Mi sembrava che avesse acconsentito a che nostro figlio fosse addestrato come si confà a un Comyn, Domna Hastur...»
«Non immaginavo certo che avrebbe rischiato la morte, Dom MacAnndra», ribatté ella, con identico, sussiegoso gelo.
Allart si affrettò ad intervenire, prima che lo scudo delle forme cedesse e scoppiasse una lite furibonda: «Madre, il Signore di Navan non mi ha mai imposto esercizi che non fossi in grado di affrontare.» Il capogiro era scomparso e la voce di Allart, ora, risuonava lenta e sicura, lievemente strascicata, mentre si esprimeva in casta, la lingua dei nobili e delle occasioni solenni, che sua madre si ostinava ad usare anche per le conversazioni di tutti i giorni. «Questo incidente è capitato soltanto per colpa mia... ho abbassato la guardia. Non accadrà più.»
Placata forse più dal tono formale che dalle parole del figlio, Alanna Hastur prese un tono meditabondo: «Sono lieta di vedere che non cerchi di addossare ad altri le tue colpe, figlio mio; se questi sono gli effetti dell'addestramento, non posso che confermare il pieno appoggio a tuo padre,» e qui rivolse a Damon un raro sorriso, «visto che sta facendo di te un vero Comyn. Tuttavia,» proseguì, «se il tuo malessere non si deve all'addestramento...» Si interruppe un istante, chiaramente intenta a riflettere; poi concluse: «Ad ogni modo, stasera dovremmo saperne di più. Rael! Vieni, le cucine ci aspettano! Questi due grandi guerrieri avranno fame, quando tuo padre avrà finito di vantarsi, e tu mi aiuterai a preparare la colazione, almeno non ti perderò di vista.» E gli lanciò un'occhiata cupa, che andò sprecata, perché il piccolo aveva lo sguardo fisso, non faceva che dondolarsi, avanti e indietro. Alanna lo afferrò per un braccio, il viso rannuvolato, e lo trascinò in casa.


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Padre e figlio si guardarono per un po', in completo silenzio. Infine, Allart riuscì a parlare:
«Padre, mi spiace che... che una Hastur si sia espressa in maniera tanto sconveniente.»
Damon scoppiò a ridere di cuore. «Allart, ma come! Tua madre arriva ad ammettere che io ti sto allevando come un nobile Comyn, e tu mi vieni a dire che si esprime in un modo sconveniente? Potrei offendermi, sai?»
«Intendevo dire,» replicò Allart, lievemente piccato, «che non si sarebbe dovuta rivolgere al suo consorte di catenas con un tono così... sopra le righe. E non dovrebbe neppure farvi pesare la differenza di rango, né...» Di colpo, tacque e arrossì.
«Ti ringrazio per la lealtà, figliolo, anche se tua madre, secondo me, si comporta esattamente come una perfetta Hastur: ha tutta l'arroganza che il ruolo richiede. Ma cosa stavi per dire?»
Allart chinò il capo e arrossì ancora di più: il viso, solitamente niveo, adesso era soffuso della stessa fiamma che rifulgeva nei suoi capelli. Infine, avvertendo su di sé lo sguardo paterno, si risolse a parlare (in casta, perché anche a lui i toni formali davano sicurezza): «Padre... non parlo per biasimare colei che mi ha dato i natali, tuttavia... Che senso ha farmi impartire l'istruzione adatta ad un membro delle Sette Famiglie, quando...»
Tacque di nuovo; Damon, pur avendo un'idea ben precisa del seguito, lo incoraggiò: «Quando?»
«Quando io non potrò mai essere altro che il Signore di Navan!» disse Allart d'un fiato, quasi gridando, ormai sull'orlo delle lacrime. «Discenderò anche da Aldones in persona, ma a che mi serve?!»
Damon assunse un'espressione assorta che non gli era consueta. Intanto, Allart, intuendo che avrebbe dovuto ascoltare un discorso piuttosto complesso - senza contare la storia, cui non intendeva affatto rinunciare! - si metteva seduto, tentando di non peggiorare il mal di testa e di non incorrere in una delle ondate di nausea che, ogni tanto, lo assalivano all'improvviso. Infine, Dom Damon parlò: «Bene, Allart. Da tempo vado ripetendo a tua madre che non dovrebbe illuderti con tutti i suoi discorsi sui discendenti di Hastur e Cassilda, le Sette Famiglie di Darkover; vedo che non ti illudi, per fortuna, ma soffri ugualmente. E non so darti torto: ricordo bene che, quando avevo la tua età, i miei sogni non includevano affatto il dominio di una valle come questa, eh no! Io sognavo grandi imprese, avventure, ma soprattutto battaglie e gloria militare. Non so quali siano i tuoi sogni...»
Sogni impossibili, avrebbe voluto dirgli.
"Vorrei essere l'Erede di Hastur."
Allart sorrise e rispose: «Credo che i sogni infantili si assomiglino tutti. Ma non temete, padre: so distinguere il sogno dalla realtà.»
Suo padre ricambiò il sorriso: «L'ho capito e ne sono felice. E' un bene che tu non sprechi tempo ed energie, sognando Thendara e Hali, come faceva tua madre, prima di sposare me. Tuttavia, non devi neppure pensare che il tuo futuro sia già deciso: non lo è affatto, e proprio perché non sei allevato come un Comyn
«Che intendete dire?» chiese Allart, stupito dall'acume con cui il padre aveva centrato il nocciolo del problema.
«Quando ero a Thendara, nella Guardia, ho visto sfilare molti nobili Comyn, anno dopo anno: a quattordici entrano nelle squadre antincendio, a quindici nei Cadetti, poi, se già non l'hanno fatto, trascorrono un periodo nelle Torri, infine affrontano il matrimonio... E tutto questo è già deciso, prima ancora della loro nascita. Soprattutto gli Eredi dei Dominii si trovano a percorrere una strada tracciata da secoli, sempre la stessa, e non hanno alcuna voce in capitolo. Supponi che l'Erede di Alton sia interessato soltanto all'allevamento dei cavalli e che non capisca nulla della Guardia: non importa, dovrà comunque prestarvi servizio e imparare l'arte del comando, per il giorno in cui sarà il Nobile Alton. Mi sono spiegato, adesso?»
«Sì,» rispose Allart, attento.
«Ora, io non sono un Comyn, se non per matrimonio: sono nato in un posto come tanti, in mezzo ai Kilghard, il quinto di sette figli, tutti maschi. In queste condizioni, non potevo sperare di ereditare non dico un Dominio, ma neppure la punta di una spada, o il pollaio dietro casa. E i MacAnndra, nei Kilghard, sono centinaia... una casata antica, certo, e anche piuttosto illustre, almeno un tempo; ma il suo nome, da solo, non mi avrebbe assicurato né rispetto né notorietà. E ormai, oltre al nome, possedevamo davvero poco: eravamo ad un passo dalla miseria nera e più vicini alla fame di quanto mi piaccia ricordare. Dovevamo coltivare da noi il nostro fazzoletto di terra - sì, ho conservato l'abitudine, ma credimi, farlo per bisogno è ben diverso - e i nostri vassalli si contavano sulla punta di una mano.» Fece una smorfia, ricordando tempi e ristrettezze certo poco gratificanti per l'orgoglio di un giovane nobile.
«In breve, Allart, dovevo contare soltanto su me stesso. Non avevo le risorse o le possibilità di un erede Comyn, lo sapevo anche troppo bene; ma, crescendo, mi sono reso conto che, probabilmente, ogni membro delle Sette Famiglie mi avrebbe invidiato, perché non ero soggetto ai suoi obblighi, capisci? Io ero libero. Così, non appena ho compiuto i quindici anni e sono diventato uomo, mio padre mi ha consegnato la spada che uso tuttora, mi ha detto che non avrei dovuto far conto su altre eredità, e gli ho risposto che non mi stava dicendo nulla di nuovo o di inatteso e che avrei cercato di mettere a frutto quello che la famiglia aveva saputo darmi. Sapevo di essere uno spadaccino di buon livello - anche perché il mio addestramento era cominciato presto, proprio come il tuo - ed ero convinto di poter battere qualsiasi sfidante. Così, due giorni dopo, con la benedizione di mio padre, sono partito per Thendara... sembra ieri, e sono passati ventisette anni compiuti!»
Allart ascoltava rapito, sapendo che erano imminenti i ricordi delle battaglie...
«Il nome dei MacAnndra, se non altro, mi ha consentito di ottenere un posto nei Cadetti, che vengono addestrati come ufficiali della Guardia. Pensa, io insieme a tanti Comyn! Dev'essere per questo,» soggiunse, in tono mordace, «che non cado in ginocchio quando tua madre mi ricorda di essere una Hastur: quando hai conosciuto una dozzina di Hastur, li hai visti sudare negli addestramenti, li hai disarmati un bel po' di volte, e così via... credimi, il timore riverenziale va a farsi benedire.» Ghignò, maligno. «In effetti, l'atteggiamento di tua madre verso i Comyn, e gli Hastur in particolare, è proprio quello di una popolana... per carità, non andarglielo a dire!... e non mi stupisce, visto che, nonostante tutte le sue arie, li ha frequentati molto meno di me.
«Comunque, ho passato i soliti tre anni nei Cadetti, poi sono stato promosso ufficiale e, per altri due anni, mi sono divertito a dare ordini a quel branco di figli di papà, beninteso quando non stavo con i soldati, impegnato nelle solite campagne contro i banditi. C'era penuria di ufficiali, in quel periodo, non so bene perché; così, quando la banda di Gwynn lo Sfregiato prese a scorrazzare per tutti i Kilghard - ricordo ancora che la notizia giunse a Thendara un mese esatto dopo il mio ventesimo compleanno: che memoria il tuo vecchio, eh? - bene, tutti gli ufficiali avevano i loro incarichi, maestro d'armi, maestro dei cadetti, e via dicendo, insomma ero libero soltanto io. Probabilmente mi avrebbero affidato la campagna comunque, perché avevo già partecipato a cinque o sei... sai, quelle di cui ti ho raccontato tutto... e, almeno stando alle prime voci, questa era soltanto una banda un po' più aggressiva delle altre. Non ebbero problemi ad affidarmi il mio primo comando, anche se dovetti sorbirmi la solita valanga di consigli! Per fortuna non potevano seguire la prassi e affiancarmi un ufficiale più esperto, che, di fatto, avrebbe finito per comandare al posto mio: primo, credo che non lo avrei sopportato affatto e, secondo, probabilmente saremmo ancora lì. Gli ufficiali anziani brillano per prudenza, ma non certo per iniziativa.» Fece una smorfia di puro compatimento.
«Bene, prendo il solito contingente di soldati - una cinquantina, più che sufficienti per i normali banditi - e ci mettiamo in marcia verso Armida, dove intendevo sostare un poco, sia per fare provviste, sia per raccogliere qualche informazione sui nostri nemici; non che mi aspettassi nulla di diverso dal solito, bada, ma mi avevano addestrato a non trascurare mai la raccolta di informazioni, ed ero deciso a dimostrare di essere un buon ufficiale, anzi, il migliore di tutti! Insomma, mi comportavo come tutti i giovani sciocchi al loro primo comando... ma ho ringraziato tutti gli Dèi per aver seguito la prassi, anche quando sembrava superflua. Mai sottovalutare il proprio avversario, ricorda!
«Bene, ad Armida trovo quella che mi sembra metà di tutta la popolazione dei Kilghard, o almeno dei loro nobili, che, naturalmente, sono tutti miei parenti... sai bene come vanno queste cose. E chi mi dice una cosa, chi ne strilla un'altra, chi addirittura, vedendo le uniformi verdi e nere della Guardia, per il sollievo sviene - e stiamo parlando di uomini, Allart, gente che contro i banditi ha combattuto magari fin da quando aveva l'età di Rael!»
Mentre suo padre riprendeva fiato, Allart - che non aveva ancora avuto modo di ascoltare questa storia, forse perché sembrava molto più lunga delle altre - commentò: «Incredibile! Cos'è stato, un attacco di vigliaccheria collettiva? Oppure i fiori del kireseth sono sbocciati in tutto il Dominio di Alton, e sono scappati, per non essere colti dalla follia? O entrambe le cose?» Il polline dei fiori di kireseth era un potente allucinogeno, i cui effetti erano materia di molti racconti; andava celebre per il suo potere afrodisiaco, ma talvolta provocava inspiegabili ondate di panico collettivo. Un'ottima ragione per sradicare la pianta, come faceva ogni darkovano, ovunque l'incontrasse.
«No, nulla di tutto questo. Semplicemente, non avevano di fronte i soliti banditi. Sai come vanno le cose, in questi casi, no? Le storie che ti ho raccontato parlano chiaro: ogni villaggio, anzi, ogni famiglia pensa per sé, ciascuno difende il suo, e al diavolo gli altri... per unire gli uomini, sui Kilghard e anche qui, negli Hellers, ci vuole il fuoco, perché quella, almeno, è una minaccia che tutti sanno di non poter affrontare da soli. I banditi, invece... contro di loro basta il solito sistema, è sempre bastato. Così, quando hanno sentito parlare di questa nuova banda, non hanno neppure pensato a riunire, poniamo, gli armati di un villaggio. Risultato: in due, tre, quattro villaggi, gli uomini sono stati massacrati, uno per uno. Allora hanno cominciato a capire che questi non combattevano come i soliti banditi, no davvero. Dopotutto, anche il bandito, di solito, è un uomo dei Kilghard e, quindi, combatte nello stesso modo, uomo contro uomo, anche perché ogni bandito sogna di diventare il terrore dei villaggi... e ogni capofamiglia il terrore dei banditi.» Dom Damon si concesse una delle risatine sardoniche con cui, a suo tempo, aveva punzecchiato parecchi palloni gonfiati.
«Gwynn lo Sfregiato, però, forse era uno straniero - non si è mai saputo nulla di sicuro sulla sua provenienza - certo è che si comportava diversamente: figurati che avevano cominciato a chiamarlo il Lupo dei Kilghard, come Bard di Asturien in persona. Non sarà stato un grande conquistatore o stratega come Bard, al massimo poteva essere un disertore delle Guardie, ma era molto valoroso, quanto basta per diventare un capo e riuscire - ancora oggi, non so come - a imporre ai banditi un minimo di organizzazione e disciplina. Oh, cose da nulla, certo: per esempio, montare accampamenti con due o tre tronchi a mo' di difesa e qualche sentinella. Ma, soprattutto, aveva addestrato i suoi uomini nella spada e nella lotta… addestrati molto bene, devo riconoscerlo. Insomma, capisci anche tu che questi banditi erano ben più abili e pericolosi di quelli con cui i villaggi dei Kilghard erano abituati a confrontarsi.
«Gwynn era in circolazione da circa due anni, quando sono arrivato ad Armida, ed era riuscito a radunare tutti i banditi delle colline. O meglio: tutti i banditi che erano sopravvissuti alle campagne dell'anno prima. Credevamo di aver spazzato via quasi tutte le bande, e in effetti era così, ma gli sbandati, rimasti privi di un capo, erano andati a ingrossare le fila di Gwynn. Lui era più furbo, vedi? Invece di aspettare l'attacco della Guardia, aveva deciso di nascondersi lontano dal teatro delle sue razzie e dalle spade dei comyn... oltre il Kadarin. Non sarebbe stata la prima banda che godeva della protezione di Aldaran!»
«Come dite?! Davvero il Nobile Aldaran proteggeva quei banditi?»
«Non lo abbiamo mai saputo con certezza, ma, ti ripeto, non sarebbe stata la prima volta; sta di fatto che Gwynn si nascondeva oltre il Kadarin... qui, in questa valle.»
Allart lo fissava, con tanto d'occhi.
«Così, mi trovo ad Armida, sento, a pezzi e bocconi, un po' tutte queste cose, così come le può riferire un mucchio di gente terrorizzata… e cinquanta Guardie, di colpo, mi sembrano davvero poche. Ma un ufficiale al primo comando non può chiedere rinforzi, se non vuole che gli diano del codardo e che, per almeno cinque anni, non gli facciano comandare neanche la guardia d'onore a un matrimonio Comyn. Se volevo rinforzi, dovevo procurarmeli da solo. Così, mi sono detto: "Qui ci sono uomini a sufficienza per stanare i banditi di tutto Darkover; devo soltanto fare in modo che ritrovino il coraggio di combattere." E questo era il difficile: mi sono sgolato per una settimana, pregando e insultando, ma nessuno si sarebbe mosso; alcuni affermarono addirittura che Gwynn era lo strumento scelto dagli Dèi per porre fine ai Kilghard come li avevamo sempre conosciuti, figuriamoci! Quando hanno cominciato a blaterare di veggenti e profezie, bene, ho perso quel po' di calma che avevo trattenuto coi denti, e che ti faccio? Assoldo il primo gruppo di Rinunciatarie che passa da quelle parti e annuncio che darò la caccia ai banditi con cinquanta Guardie e altrettante donne, perché ormai avevo capito che una donna sola valeva più di tutti loro messi insieme... e avanti di questo passo.»
Si interruppe, perché Allart era piegato in due dalle risate ed egli stesso si frenava a stento.
«Sì, proprio un bel tiro! E non finisce qui: dopo gli insulti, li lascio un'oretta a rimuginare, poi comincio a cercare, uno per uno, quelli della mia età, che conoscevo bene, perché con molti ero cresciuto; e a tutti ho fatto più o meno lo stesso discorso. "I Kilghard sono ricchi soltanto di villaggi e nobili; nessuno di noi può contare sulle ricchezze di famiglia, e neppure sulle glorie ammuffite farei troppo affidamento. Io sono andato a Thendara, e non sono l'unico; torno adesso come ufficiale e comando una spedizione, perché sono più esperto di quei mollaccioni dei Comyn"» A quel punto, padre e figlio scoppiarono in una sonora risata.
«Sì, beh, ho preferito non dire che ero il solo ufficiale disponibile... "Ebbene," ho proseguito, "voi non avete nulla da perdere, a seguirmi, perché non avete alcun futuro. Non vi chiedo di combattere per liberare terre che non saranno mai vostre, no; io vi condurrò a conquistarne altre, nuove e vergini, che possiederete voi e i vostri figli dopo di voi." Io conoscevo quei giovani, ero stato uno di loro, così ho trovato la corda giusta; ma per fortuna non mi hanno chiesto di quali terre parlassi, perché non ne avevo idea!»
Allart non sapeva più se ridere o rimanere a bocca aperta. «Cosa? Vi hanno seguito così, senza avere la minima idea di dove li avreste portati?!»
«Certo! Vedi, volevano credere che io avessi la soluzione in tasca, che potessi donare loro un futuro come se fosse stato un giocattolo nuovo... e, d'altra parte, sapevano che, per prima cosa, avremmo dovuto combattere i banditi; almeno, adesso, avevano una buona ragione per farlo! Così sono diventati i miei uomini, mi hanno giurato fedeltà: ero la loro unica speranza, ero un simbolo, ero quello che ce l'aveva fatta.
«Molto bene, a questo punto potevo disporre, in aggiunta alle mie Guardie e alle Rinunciatarie, di trecento uomini, a me legati con giuramento. Questi avrebbero seguito i miei ordini; gli altri, invece, si ostinavano a combattere alla vecchia maniera: adesso che avevano ritrovato il coraggio - ed era l'ora! - ciascuno sarebbe tornato al proprio villaggio e lo avrebbe difeso con le unghie e con i denti. Il Nobile Alton in persona annunciò che avrebbe lasciato Armida nelle mani dell'Erede, per unirsi ai difensori... il che era assurdo, secondo me; ma non ho protestato affatto, perché contavo sui quei villaggi come basi per il rifornimento e il riposo degli uomini, e soltanto un Comyn poteva organizzare tutto questo. Inoltre, il Nobile Alton era il comandante della Guardia, sapeva come intendevo combattere i banditi - era lo stesso sistema delle ultime campagne, solo su scala più vasta - e si stava facendo da parte, in modo che io conservassi il comando della spedizione, capisci? Forse lo fece con un po' di degnazione, ma lo fece, e non posso che essergliene grato.
«Bene, te la faccio breve, perché sto morendo di fame,» Allart soppresse a fatica un gemito di protesta, «e poi non posso trattenerti tutto il giorno... ci volle un anno intero per sgominare i banditi, ma, alla fine, avevamo fortificato tutti i villaggi dei Kilghard, io e i miei vassalli scorrazzavamo per le foreste proprio come la peggiore delle bande, e le campane di allarme ci permettevano sempre di accorrere, ovunque il nemico attaccasse. Pattugliando il territorio, avevamo appurato che il loro covo non si trovava in prossimità dei villaggi che razziavano; tra un'incursione e l'altra, ci eravamo spinti più a Nord, ma non avevamo trovato nulla, al di qua del Kadarin.
«Sono state le Rinunciatarie a scoprire la valle, o meglio, la pista che conduce qui: i banditi, prima di attraversare il Kadarin, seguivano sempre lo stesso percorso, e Gwynn non si era preoccupato di mimetizzarlo. A quel punto, sono tornato ad Armida, per conferire con il Nobile Alton: capirai, prima di valicare il Kadarin, volevo avere la certezza che non avrei trascinato i Dominii in una guerra con Aldaran. Per ottenere il consenso del Comandante, ho dovuto pagare un prezzo salato.» Sospirò. «Mi ha imposto di lasciare la Guardia, ha assunto il comando di quelle poche Guardie sopravvissute e le ha guidate a Thendara, perché, diceva, i Kilghard erano ormai liberi dai banditi. Mi aveva avvertito che si sarebbe preso il merito dell'impresa, in modo che gli Hellers non fossero messi a rumore dall'arrivo di un grande condottiero in cerca di conquiste... era la cosa giusta da fare, naturalmente, ma anche un boccone su cui discutemmo giornate intere, prima che mi decidessi ad ingoiarlo. Però ai suoi pari,» e li designò con la parola Comyn: gli Eguali per antonomasia, «raccontò la verità: per questo mi permisero di sposare tua madre, l'anno seguente.»
«Il Consiglio dei Comyn si è occupato del vostro matrimonio?!» chiese Allart, stupefatto al pensiero che una faccenda che era abituato a dare per scontata fosse stata discussa da tutti i nobili di Darkover, alla presenza del Re in persona. «Adesso capisco perché mia madre si vanti tanto del proprio stato di Comynara
Damon scoppiò a ridere: «Oh, non è andata proprio come pensi, non c'è stata una seduta del Consiglio apposta per questo... Vedi, tua madre era figlia nedestra di Manuel Hastur, un lontano cugino dell'attuale Nobile Hastur. Bene, Manuel avrebbe potuto mettere insieme un esercito soltanto radunando i suoi figli illegittimi, ma, nella linea di successione al Dominio di Hastur, occupava il decimo posto o giù di lì, quindi non c'era motivo perché il Consiglio si occupasse del matrimonio di una delle sue figlie... anche se Manuel era stato costretto a riconoscerla - questa però è un'altra storia, che ti racconterò quando sarai più grande...» Non era certo il caso di raccontare, ad un ragazzo così giovane, sensibile e orgoglioso, le scandalose circostanze in cui sua madre era stata concepita: Dorilys Vallonde era vergine, quando un Manuel Hastur ancor più ubriaco del solito l'aveva deflorata ad una festa di nozze, sullo stesso letto su cui, di lì a poco, sarebbero dovuti salire gli sposi... che li avevano colti sul fatto. Dopo uno scandalo del genere, a Manuel non era rimasta altra scelta: aveva riconosciuto la figlia (nonostante il suo disprezzo per tutte le femmine con cui non andava a letto), ma non aveva mai voluto avere nulla a che fare con lei, anche se - o proprio perché? - la povera Dorilys era morta nel darla alla luce. Purtroppo, avevano pensato i Vallonde a crescere Alanna come una Hastur... Come, secondo loro, doveva essere cresciuta una Hastur.
Allart si schiarì educatamente la gola e Dom Damon riprese la narrazione: «Ah... Scusa, ero un attimo... soprappensiero. Cosa stavo dicendo? Ah, sì: il Consiglio deve essere informato di tutti i matrimoni dei Comyn, a meno che non siano stati celebrati a Thendara, durante la stagione del Consiglio, come di solito avviene; ma, in caso contrario, generalmente si limita a prenderne atto. Tuttavia, quando il Nobile Alton si recò a Thendara, dopo avermi convinto a lasciare la Guardia, aveva in mente un disegno politico piuttosto complesso, che interessava parecchio il Consiglio e di cui il matrimonio era parte integrante.»
Dom Damon si interruppe un momento, raccogliendo le idee, e Allart tirò il fiato, incapace di superare lo stupore, di fronte a ciò che suo padre gli stava raccontando e che non sarebbe mai stato in grado di immaginare. Bene, sembrava che, dopotutto, crescere non significasse soltanto un addestramento più arduo e intenso con la spada...
«Il modo più semplice in cui riesco a spiegartelo è questo: i Comyn, da tempo, hanno paura del Dominio di Aldaran, per le ragioni che conosci - proteggono i banditi, non osservano il Patto, e tutto il resto. Purtroppo, dal momento in cui quella Famiglia è stata estromessa dal Consiglio, è diventato molto più difficile, per i Comyn delle Pianure, raccogliere informazioni precise sugli avvenimenti del Settimo Dominio. Così, il Nobile Alton ha pensato che il mio proposito di conquistare una valle oltre il Kadarin collimasse con le necessità dei Comyn... che Navan potesse diventare un osservatorio sull'Aldaran e, all'occorrenza, anche un deterrente in grado di tenere a freno i suoi signori. Ma tu capisci che, se fossi stato soltanto Damon MacAnndra, se mi fossi impadronito della valle come un qualsiasi avventuriero, avrei certamente potuto raccogliere informazioni, ma gli Aldaran sarebbero stati in diritto di trattarmi come un bandito comune; occorreva un modo per far comprendere al Dominio rinnegato che io avevo il pieno appoggio dei Comyn; nello stesso tempo, però, non doveva essere una provocazione... per esempio, non potevo inalberare i colori degli Alton, sebbene la mia casata li serva da generazioni. Per fortuna, non avevo giurato fedeltà a nessuno. Insomma, il matrimonio con tua madre era una soluzione perfetta: sposavo una Hastur riconosciuta, con tutto ciò che ne consegue; ma si trattava - per carità, non dirlo a tua madre! - di una parente povera, ben lontana da Thendara e da Castello Hastur. Suo padre era già morto, senza lasciare beni di sorta, visto che dissipava tutto nelle bettole, e il clan non intendeva provvedere a lei. Però, in questo caso, era la pedina politica perfetta, perché gli Aldaran si sentissero osservati dagli Hastur, ma non minacciati; già, perché nessuno desiderava una guerra. Hai capito?»
«Sì, padre, era molto chiaro,» annuì Allart.
«Bene. Non ci hanno fatti sposare subito, perché io dovevo ancora conquistare la valle e, se non ci fossi riuscito, il matrimonio non avrebbe avuto senso; inoltre, tua madre aveva lasciato i Kilghard, poco prima che vi tornassi io, diretta alla Torre di Neskaya... i Vallonde pensavano che potesse diventare una leronis
Allart passava di sorpresa in sorpresa: sua madre, una leronis, una maga? Una delle donne recluse nelle Torri, vestite di cremisi, votate alla verginità, i cui poteri erano leggenda?
«Sembra che le Torri siano sempre alla ricerca di leroni, e non c'è bisogno che ti dica che, per una Hastur, sarebbe stata una sorte migliore del matrimonio con un oscuro cadetto, poco al di sopra di un comune avventuriero. Ma, l'anno seguente, tua madre era tornata dalla Torre - credo che non possedesse il Potere o, comunque, non ne avesse a sufficienza… per la verità, non ne abbiamo mai parlato. Comunque, Alanna era tornata, io avevo conquistato la valle, e quindi il Nobile Alton ha potuto celebrare il matrimonio.»
Non volendo che il padre credesse di avere ormai raccontato tutto, Allart si affrettò a domandare: «E come avvenne la conquista, padre?»
«Oh, giusto,» sorrise Dom Damon, con leggera ironia, «non sia mai detto che mi dimentichi la cosa più importante... peccato che sia anche la più lunga, perché non è stata un'impresa facile, quindi dovrò farti un riassunto. Non ti preoccupare, avrò certamente modo di raccontarti i singoli episodi in dettaglio.
«Non appena il Nobile Alton, partendo per Thendara, me ne ha data licenza, ho radunato i miei uomini e abbiamo valicato il Kadarin ai guadi di Navan. Vedi, i banditi avevano scelto il covo molto bene, perché la valle è molto vicina al Kadarin, ma non di facile accesso, dal momento che - come sai - da tre lati la circondano gli Hellers, con pareti a strapiombo, che non si possono scalare; a mezzogiorno, invece, il torrente formato dalle acque piovane e dallo scioglimento delle nevi si è scavato una propria via verso il Kadarin: la gola dei Mille Morti, facile da difendere, stretta e tortuosa com'è. Ebbene, figlio mio,» disse, nel tono solenne del narratore epico, «io ti racconterò come la gola dei Mille Morti si guadagnò questo nome sinistro, pronunziato dalle armi, prima che dagli uomini.
«Quando siamo arrivati all'ingresso della gola, abbiamo capito subito che la conquista non sarebbe stata facile, quindi ci siamo accampati nel fondovalle, pensando che, nel peggiore dei casi, avremmo potuto prendere la valle per fame. L'indomani, all'alba, le cornamuse hanno intonato la marcia delle grandi battaglie...» Dom Damon sostò un attimo, gli occhi accesi dal canto che seguiva nella memoria.
«Spade lunghe, spade rosse,» intonò Allart, a mezza voce, gli occhi egualmente ardenti.
«Proprio così... Eravamo un esercito senza vessilli, ma irto di lame; il Sole accarezzava punte e aste come una rovente promessa di sangue, di vittoria, di dominio...» Suo padre assumeva sempre toni quasi poetici, quando giungeva, infine, a rievocare gli scontri campali. «E la gola era stretta, sempre più stretta, il vento soffiava leggero, ma mormorava velate minacce alle linee di armati che avanzavano, ai due lati del torrente.
«Ma non dovemmo avanzare a lungo: la prima linea di difesa si trovava subito dopo il secondo tornante, nel punto più stretto della gola, presso il ponte. Sai che, lì, la parete destra cade a strapiombo, troncando il sentiero, cosicché il viandante deve traversare il torrente e proseguire sul lato sinistro. Bene, i banditi - dimostrando una perizia che non mi sarei atteso, neanche dopo aver visto i loro campi fortificati - avevano eretto un muro, davanti al ponte, però seguendo il profilo dell'arcata, per non ostacolare il deflusso delle acque, se non con una grata di solido legno. Riesci a immaginare la scena, Allart?»
«Sì,» rispose il ragazzo, quasi senza fiato per l'eccitazione: «il muro davanti al ponte, la grata calata nelle acque, i banditi appostati in difesa... e voi che sopraggiungete, lungo i due sentieri...»
«Immagini giusto; e certo capirai che noi eravamo completamente esposti, non potevamo trovare alcun riparo, ma, nello stesso tempo - così credevano i banditi - non saremmo stati in grado né di avanzare, né di ritirarci. Erano convinti di poterci finire a suon di frecce, come tanti topi in trappola.»
«Frecce?» esclamò Allart, al colmo dell'indignazione. «Hanno osato violare il Patto?!»
Dom Damon sospirò. «Oh, non sono stati né i primi né gli ultimi. Ma riconosco che, di solito, perfino i banditi rispettano il Patto… Gwynn faceva eccezione anche in questo. Comunque, il suo piano era veramente ben congegnato, perché sul muro erano stipati circa cinquanta archi, schierati su due file, e non una freccia poteva andare a vuoto, nella calca che avanzava. Per fortuna, io combatto sempre nelle prime file, quindi ho capito subito che ci trovavamo in grossi guai; soprattutto, ero stato tanto furbo da aspettarmi un qualche genere di ostacolo e, perciò, non avevo portato con me la cavalleria... pochi cavalli imbizzarriti, e il piano dei banditi avrebbe avuto successo.
«Ricorda, Allart: non basta che un comandante sia valoroso o astuto, deve anche possedere una voce da campo di battaglia, perché, se non riesce a sovrastare il frastuono, i suoi uomini non potranno udire gli ordini; in quel caso, poi, non c'era lo spazio perché potessero passare le staffette, né il tempo per il passaparola. Ma io ho saputo sovrastare le frecce, le urla dei feriti e le cornamuse, intimando l'alt... e tutti si sono fermati, tutti tranne quelli che, avendo già valicato il tornante, mi hanno visto lanciarmi nel torrente, contro le grate, e mi hanno seguito. Ah! Allart! Se li avessi sentiti! "MacAnndra, MacAnndra!", gridavano, e saranno stati una trentina, non di più, quelli che ancora avevano il fiato per gridare, eppure sembrava che lo stesso vento del Nord stesse ululando il mio nome, al culmine della sua forza... riesci ad immaginare l'effetto che questo può avere su un uomo? Quasi non ci riesco neanch'io, eppure ero lì... Fatto sta che, di colpo, quasi prima che i soldati riuscissero a raggiungermi, la grata era divelta e non so se il nemico fosse sorpreso quanto me, che fissavo le mie mani nude, incapace di comprendere o ricordare come avessero potuto tanto.
«Ma lo stupore, in battaglia, dura poco... soprattutto in quei soldati che portano a casa la pelle. Mentre io mi lanciavo all'assalto, la spada in pugno che menava fendenti come un turbine di morte, il nemico accorreva alla difesa. Ne faccio a pezzi un paio, senza troppi sforzi, e intanto penso che, per fortuna, siamo troppo addossati al muro - di fatto, sotto il muro - perché gli arcieri possano nuocerci; infatti, li ritrovo con l'arco a tracolla, che cercano di sbarrarmi il passo.
«Non so se tu abbia mai provato a passare sotto il ponte camminando nel letto del torrente; forse tu ci riesci, ma ti garantisco che un uomo fatto deve procedere a capo chino. Bene, immagina un po', noi che ci infiliamo sotto l'arcata e dobbiamo combattere contro i banditi senza neppure poterli guardare negli occhi!»
Allart rabbrividì: il contatto oculare, nella scherma, è essenziale per prevedere le mosse dell'avversario. «Non immagino neppure come possiate essere ancora vivo,» disse in tutta sincerità.
«Merito dell'addestramento... e dell'esperienza: mi ero già trovato altre volte a duellare contro avversari che non potevo vedere e quindi sapevo di dovermi affidare all'udito. Un occhio sui piedi dell'avversario e un orecchio alla sua lama - meglio se tutti e due, veramente - e sta' certo che li fai secchi. Del resto... lo svantaggio era reciproco: neanche i miei avversari potevano fissarmi negli occhi, e non avevano il mio addestramento.
«Ovviamente, agli uomini non ho spiegato tutto ciò; mi sono limitato a urlare "Usate le orecchie!". Per mia gran fortuna, hanno capito al volo. Erano in quattro, intorno a me, sul limitare dell'arcata: Alar l'intrepido, Shann il gigante, Kennard, la cui voce, anche al culmine della battaglia, risuonava come un tuono a ciel sereno... e Felix, che non possedeva nessuna particolare qualità, tranne quella di essere il mio fratello giurato, bredu... e di amarmi.» Per un attimo, una lacrima offuscò il ciglio del narratore; ma subito Dom Damon si riscosse, e non ebbe neppure bisogno di asciugarsi gli occhi, come se il suo pianto non avesse mai lasciato il regno dell'impossibile.
«Due ore durò la battaglia sotto l'arcata, mentre il Sole montava nel cielo e le cornamuse, alle nostre spalle, continuavano a suonare... Spade lunghe, spade rosse... la ricorderò per il resto della vita.» Chiuse gli occhi un istante e proseguì: «Lunghe, affilate, sempre più rosse si facevano le nostre lame, mentre, intorno a noi cinque, si accumulavano cadaveri come durante la mietitura. Ma, in quell'ora di sangue e di gloria, io li vidi cadere tutti, ad uno ad uno, senza poterli aiutare: Shann per primo, sdrucciolato un momento sul fondo infido, e tosto infilzato da una picca, come un bue allo spiedo, comico con quell'espressione stupefatta sul viso... Alar per secondo, intrepido sempre, ahimé troppo intrepido!, si slancia contro i tre massicci banditi che ci sbarrano la strada, i pilastri della difesa; ne abbatte uno con un fendente magistrale e quasi decapita l'altro con il colpo di ritorno, ma il terzo...» un breve sospiro, «il terzo gli affonda la lama nel petto, facendola uscire tra le scapole.
«Io e Kennard e Felix, mentre altri si fanno avanti dalle retrovie, ci lanciamo in avanti, calpestando morti e feriti, smaniosi di uscire da quell'arcata maledetta, di rivedere il Sole e, diritti come querce, sfidare gli avversari. I banditi avevano il Sole negli occhi, questo ci dava un leggero vantaggio... ma uno di loro è stato furbo, quanto basta per abbagliare Kennard con il riflesso dello scudo. Un istante di immobilità, e poi... Dèi! Quel grido, quel grido... Come se il ponte dovesse crollare, squarciato da quella morte; le pietre vibravano sempre più forte, aspettavo il cataclisma... E poi, misericordioso, il silenzio; tutti restiamo immobili per un lungo attimo, ma io mi scuoto prima degli altri, abbatto il terzo dei banditi, vendico Alar, ma quello, cadendo, ha ancora la forza di abbrancarmi le caviglie. Cado, ho soltanto il tempo di pensare che sono spacciato, so di avere almeno tre lame levate su di me, quando... quando...» Qui la voce di Dom Damon, già incrinata da un bel tratto, giunse a spezzarsi ed egli dovette sostare, peraltro senza che ciò spezzasse la trance in cui Allart sembrava precipitato.
«Felix non avrebbe mai potuto parare tre colpi provenienti da altrettante direzioni diverse, non ci riuscirei neanch'io, e sono sempre stato migliore di lui nella scherma... ha fatto l'unica cosa possibile per salvarmi, l'ho capito come l'ho scorto, una sagoma scura che balzava sopra di me... incontro alle lame.» La voce era di nuovo ferma, ora, e Dom Damon poté procedere senza sosta. «Con le ultime energie, ho schivato il corpo di Felix che cadeva, e d'un tratto ero di nuovo in piedi; piombo sui tre assassini, prima che possano liberare le lame, e li decapito con un unico, lungo fendente; lancio un grido di battaglia e valico tutti i cadaveri, convinto di avere finalmente via libera...
«E la luce del Sole illumina la seconda linea di difesa: due file di cinquanta banditi, i ranghi serrati attraverso tutta la gola, le aste lunghe in pugno, a un soffio dal mio petto. Mi sono guardato intorno, dietro di me giungevano quattro, cinque, sei uomini... In quel momento, ho capito che non saremmo riusciti a sfondare, che la battaglia era perduta.»
Allart taceva, ammutolito; mai aveva creduto che suo padre potesse subire una sconfitta.
«Sì, Allart,» disse questi, un'insolita piega amara sulle labbra, «era la mia prima sconfitta... e il fatto di averla ottenuta a prezzo di tante vite valorose e del mio stesso bredu mi rendeva insopportabile il pensiero. Ma non c'era scelta... avevo visto abbastanza morti, per quel giorno, non importava che la mia spada avesse ancora sete di sangue. Ho ordinato la ritirata e siamo arretrati, camminando a ritroso, l'uno facendo scudo all'altro, mentre scavalcavamo i cadaveri, i troppi cadaveri... Ma i banditi non ci hanno inseguiti e neppure hanno lanciato frecce. Ancora oggi mi domando il perché.
«Non appena sono stato al sicuro, oltre il tornante, non appena quelle maledette cornamuse hanno taciuto, ho cominciato a progettare un'incursione notturna: volevo recuperare i cadaveri dei miei uomini, non sopportavo il pensiero di vederli divorati dai pesci o dai kyorebni. Non che i banditi siano poi tanto diversi da quegli uccellacci mangia carogne, soltanto c'è più gusto a farli fuori.
«Il mio progetto - a mente fredda, me ne rendo conto perfettamente - era folle: neanche un Uomo Urlante in preda al Vento Fantasma si sarebbe sognato di avventurarsi, in piena notte, nelle acque di un torrente, cercando di non fare il minimo rumore, per poi infilarsi sotto l'arcata di un ponte e, nell'oscurità più completa, sforzarsi di distinguere i morti amici dai banditi... Eppure, nessuno tentò di dissuadermi; forse videro nei miei occhi qualcosa che li fece desistere, non so. Sta di fatto che, nell'ora che precede l'alba, quando l'oscurità è più fitta, più greve il sonno, io e altri cinque uomini, scelti tra gli esploratori per la loro abilità nel muoversi silenziosamente, ci spogliammo completamente, ci spalmammo il corpo con un unguento nero, resistente all'acqua, perché il chiarore della pelle non ci rivelasse alle sentinelle e, infine, lasciammo il campo - che era posto subito prima dell'ingresso della gola - entrammo nel torrente e cominciammo a risalirlo.
«Sai, Allart? Affrontare in battaglia un'orda di nemici urlanti richiede coraggio, niente da dire; ma quando ti trovi al buio, con il cuore che ti preme contro le orecchie, lo stomaco stretto dall'ansia, non importa quanti ti accompagnino, hai paura come se fossi alla tua prima battaglia. Forse anche di più, perché non puoi vedere il nemico. Bene, io rabbrividivo, quella notte, e non solo per il freddo; me ne sto lì, che cammino sul fondo del torrente cercando di non sciaguattare, e penso "E se hanno riparato la grata? E se le sentinelle hanno acceso fuochi per illuminare il torrente? E se gli arcieri, ogni tanto, lanciano frecce incendiarie, giusto per sicurezza?" Non ricordo neppure tutte le sciocchezze che ho pensato, prima di ricordarmi che, al buio, non avrei saputo ritrovare il posto o calcolare la strada e che, quindi, rischiavo di andare letteralmente a sbattere contro il ponte! Ti giuro, ho rischiato di soffocare per il terrore, ma sono riuscito a sussurrarlo al mio vicino e quello, Aldones sia lodato, mi rassicura, perché è compito degli esploratori guidare le spedizioni - diurne o notturne che siano - alla mèta e perciò egli, come ognuno dei miei compagni, avrebbe saputo dirmi ad occhi chiusi che, di fronte a noi, a pochi passi, stava il secondo tornante e, dietro di esso, il ponte.
«Ero tanto sollevato che mi accorsi dell'arcata solo quando dovetti chinarmi per superarla; i banditi, per pigrizia o per arroganza, non avevano riparato la grata. Fu il loro unico errore, direi, ma fu determinante. Come entriamo sotto l'arcata e ci arrischiamo a fare un po' di luce con l'esca impermeabile, non si vede un solo cadavere! I banditi hanno portato via tutti, amici e nemici; ancora oggi non so quale sia stata la sorte di quelle salme. Forse fu proprio questo pensiero, il desiderio di sapere se almeno avessero ricevuto sepoltura, che mi spinsero a sussurrare agli esploratori: "Andate!" E indicai l'estremità opposta dell'arcata. "Esplorate il loro covo, come potete e fin dove potete; tornate la notte prossima, per questa stessa via." Ubbidirono senza discutere e io tornai al campo, solo, senza paura, perché il furore mi rendeva insensibile a tutto. Impiegai le ore seguenti a fortificare il campo e a predisporre un assedio al covo dei banditi, in attesa degli esploratori e del loro rapporto.
«Ma, la notte seguente, non mi vennero riferite notizie liete. Erano passati, mi dissero, imbattendosi in un secondo muro, alcuni tornanti a monte del primo; questo non era stato eretto sopra un ponte e neppure - per quel poco che potevano dirne - in una posizione altrettanto favorevole; le acque del torrente scorrevano attraverso un portale a due battenti che, perciò, i banditi tenevano aperto. Valicata anche questa difesa, dopo alcuni tornanti piuttosto blandi, la gola si apriva in quella che l'alba aveva rivelato essere una magnifica valle, di forma allungata, cinta di monti in cui non si apriva alcun valico. Avevamo il vantaggio di aver bloccato l'unico accesso alla valle; tuttavia, per entrarvi avremmo dovuto sfondare le linee nemiche, perché era impossibile calarvi dai monti, lungo pareti a strapiombo percorse da frane e valanghe; e neppure potevamo sperare di prenderla per fame, giacché, al di sotto dei monti, sorgevano dolci colline dalle pendici terrazzate e coltivate, sicura fonte di riserve alimentari superiori alle nostre.
«Un assalto frontale era fuori discussione: l'avevamo già visto fallire. Tuttavia, la bella stagione dura poco, sugli Hellers, e non intendevo trascorrere un inverno intero nell'accampamento, a nutrirmi di provviste sempre più scarse; quindi, per ogni evenienza, diedi ordine di preparare quattro arieti da sfondamento - il legno non mancava davvero, nei dintorni, e con noi avevamo cuoio a sufficienza - così che, se il tempo ci avesse costretti all'assalto, avremmo avuto qualche speranza di abbattere le difese. Intanto, notte dopo notte, continuavo a inviare gli esploratori, in piccoli drappelli, non solo perché osservassero, ma anche con l'ordine di compiere azioni di disturbo... che so, impossessarsi di armi incustodite, massacrare qualche bandito isolato, cose di questo genere. Volevo che Gwynn si sentisse il fiato sul collo, che perdesse la calma: se avesse tentato un assalto, ero sicuro che avrei vinto.
«Dopo un mese di punzecchiature, credo proprio che i banditi fossero ridotti alla disperazione: per prima cosa, avevano chiuso il portale del secondo muro, ma le pareti della gola, in quel punto, erano meno scoscese e assai facili da scalare. A quel punto, si lambiccano il cervello per un po' di notti e poi ti accendono tre lanternoni sopra il maledetto ponte; i loro arcieri, in questo modo, avrebbero potuto fare tranquillamente a pezzi gli esploratori, o così pensavano.
«Il piano non era niente male, ma i nostri esploratori non erano del tutto allo scoperto - potevano appiattirsi contro le pareti - e la luce dei fuochi illumina, ma genera anche molte ombre. E cos'è un esploratore abile, se non un'ombra in movimento? Il fuoco, inoltre, non riusciva ad illuminare le pareti, quindi gli arcieri - ammesso che notassero qualcosa: la luce abbaglia... - erano costretti a tirare alla cieca. Insomma, era chiaro che, in quel modo, non ci avrebbero fermati, e fermarci stava diventando imperativo per Gwynn: non poteva permettersi di perdere kiharDom Damon impiegò il termine intraducibile delle Città Aride per indicare onore, prestigio, faccia, «di fronte alla banda, rischiava di perdere anche la pelle. E i nostri esploratori, obbedendo ai miei ordini, cercavano di minare il morale del nemico: ora ammazzavano uno nel sonno, ora rubavano le armi ad un altro, ora incendiavano un magazzino, ora facevano fuggire i cavalli...»
Dom Damon riprese fiato (si era lasciato trascinare dalla concitazione del racconto) e continuò:
«A questo punto, concentrano sempre più soldati nella gola, subito dietro il muro; ovviamente sperano di bloccare gli incursori e, ogni tanto, ci riescono anche; ma io ordino che ciascuno agisca per conto proprio, così, per uno che cade, tre passano. E poi, quell'uno vende cara la pelle. Insomma, il morale dei banditi comincia a crollare.
«Vedi, Gwynn, con quei banditi, aveva fatto miracoli, ma non era riuscito a trasformarli in veri soldati; le loro sentinelle - me n'ero accorto la prima notte - non erano vigili come sarebbero dovute essere, perché non erano state debitamente addestrate. Per ovviare all'inconveniente, Gwynn poteva aumentare il numero delle sentinelle o chiudere i passaggi; cercò di fare entrambe le cose, ma a proprio danno, perché un accampamento sempre più vasto impone alle sentinelle di diradarsi, se vogliono sorvegliare tutto; in più, accumulare sempre più armati in uno stesso luogo, oltre a indebolire le retrovie, accresce la confusione in prima linea, e la confusione è un manto leggero per l'incursore.» Dom Damon fece una pausa, riprendendo fiato; per fortuna, la storia era quasi conclusa, perché avvertiva chiaramente i morsi della fame. Allart, invece, sembrava assorto e indifferente a tutto, tranne che alla storia, che i suoi occhi lo supplicavano di continuare.
«Avevamo conquistato un buon vantaggio psicologico; ora si trattava di sfruttarlo, prima che i nuvoloni che cominciavano a radunarsi prendessero a scaricare neve, bloccando ogni attività fino all'estate successiva. Così, non appena l'unico esploratore superstite mi riferì che la prima linea difensiva brulicava di armati e che, a tenere la seconda, non ne restava più di una ventina, compresi che - sia pure con il sacrificio di quarantanove uomini - avevo ottenuto ciò che desideravo: attirare il nemico a portata della mia spada. Si trattava, ora, di indurlo ad uscire dalla tana, a combattere nelle condizioni scelte da me; ma anche su ciò avevo riflettuto, nelle lunghe notti in cui avevo visto assottigliarsi sempre più i ranghi dei miei esploratori; ero dunque in grado di agire già la mattina seguente, prima che i banditi potessero riprendere animo per la fine delle incursioni.
«Vedo benissimo la scena, con gli occhi dei banditi: è l'alba, i primi raggi sanguigni accarezzano le acque del torrente e i barbagli che spesseggiano incitano la natura al risveglio; le sentinelle si rilassano, serene, nella certezza del giorno nuovo... Ad un tratto, le cornamuse! Spade lunghe, spade rosse, di nuovo, in memoria dei miei morti. Un istante solo, e tutto il campo è in armi; le scolte aguzzano gli occhi, e che ti vedono? Due miserabili dozzine di fanti!
«Non so se Gwynn abbia provato a trattenerli, sta di fatto che, come un sol uomo, si sono lanciati nel torrente, inerpicati sui sentieri, pronti a tutto pur di massacrare la fonte dei loro tormenti e vendicare i propri caduti. Le cornamuse squillano ancora, stavolta è la carica di... una ventina di cavalleggeri! Una provocazione, un insulto all'onore, pensano; e si lanciano in avanti, perdendo anche gli ultimi barlumi di prudenza. Ma i cavalieri coprono la fanteria e il primo sangue che si mescola ai riflessi del Sole è bevuto dalle lunghe aste delle Pianure. Il mio piano stava funzionando a meraviglia... ovviamente!»
Esasperato sia dalle divagazioni, sia dall'evidente vanteria, Allart roteò gli occhi e scoccò un secco: «Non mi permetterei mai di dubitare del vostro genio strategico, padre. Quindi, perché non smettete di vantarvi e vi attenete ai fatti?»
Dom Damon trasecolò; osservò il figlio un istante, poi scoppiò in una fragorosa risata, accompagnata dal gesto con cui lo schermidore riconosce di essere stato colpito.
«Fatti vuoi e fatti avrai. Fanti e cavalieri erano stati scelti tra i miei migliori veterani, tutti quanti, perché dovevano attirare i banditi lontano dalle difese, senza lasciarsi intrappolare. Il compito è arduo, ma presto narrato, perché riesce, ed io, all'imboccatura della gola, scorgo tosto i miei uomini in ritirata, con i banditi che li incalzano da presso. Un po' troppo da presso, per la verità: debbo mandare in soccorso un reparto di cavalleria pesante, venticinque uomini soltanto, ma disposti a ventaglio, in modo da coprire tutto il campo di battaglia... tranne il centro, l'area dove si trovano i nostri in ritirata.
«In caso tu non l'abbia presente, l'ingresso della gola, a chi esce, appare in questo modo: subito dopo il primo tornante, la gola si allarga, comincia un leggero declivio che fa accelerare il passo agli uomini così come alle acque, e lo sguardo si imbatte in una collinetta bassa, piuttosto tozza, al centro esatto della gola, tanto che, a prima vista, sembra che la chiuda, perché subito prima, ai lati, le pareti digradano e convergono, due bassi costoni di roccia in mezzo ai quali il torrente si è scavato un passaggio, una strettoia attraverso cui dovevano passare sia i nostri in ritirata sia gli attaccanti. Oltre, nell'immediato fondovalle, c'era il nostro accampamento, che era pressoché deserto. Eppure, bada, non c'erano altri uomini in vista, oltre a quelli di cui ho detto.» Dom Damon sorrise, come un prestigiatore cui sia appena riuscito il numero migliore.
«Bene, i nostri si ritirano verso la collinetta e, dai lati, dai costoni di roccia dove l'avevo schierata, la cavalleria pesante converge sui banditi, i quali, anche se appiedati, non possono arrestare il proprio slancio e neppure deviare, se non vogliono cadere a mucchi gli uni sugli altri, come le mandrie impazzite; quindi, affrontano lo scontro con un urlo di battaglia e di furore. Ma i cavalleggeri, con un'improvvisa conversione, si uniscono ai commilitoni e, insieme, trattengono l'orda che avanza, consentendo ai fanti di asserragliarsi sulla collina, erigendovi un sottile muro di scudi.
In questo momento subiamo le prime perdite, poiché i cavalieri non riescono a disimpegnarsi agevolmente; ma quasi tutti riescono a convergere sulla collinetta e abbassano le lance, in attesa del massacro che si annunzia inevitabile: i banditi convergono a loro volta verso la strettoia, il loro stesso impeto quasi li schiaccia contro i costoni, quando...»
«Quando?» chiese Allart in un soffio.
«Quando... E se facessimo colazione?» propose Dom Damon, con un sorriso innocente.
«Padre!»
«Molto bene...» Voltandosi verso la casa, esclamò, in casta: «Domna Hastur! Poiché questo scriteriato di vostro figlio mi rifiuta il permesso di fare colazione con voi, siate così cortese da recarmi il pasto qui!»
Alanna Hastur-Vallonde - il cui sorriso sardonico diceva che già da qualche tempo aspettava un simile ordine - ottemperò senza indugio e la vista delle vivande ridestò l'appetito di Allart, o piuttosto lo distolse dalle storie, indirizzandolo verso la destinazione naturale; ma la foga ben poco aristocratica con cui si ingozzava avvertiva il padre che non avrebbe potuto esimersi dalla conclusione del racconto. Oh beh, pazienza, non era la prima volta che i lavori in programma per la giornata subivano un ritardo; e poi, se nessuno dei contadini o dei vassalli era ancora venuto a cercarlo, potevano sempre recuperare tagliando le due ore di udienze.
«Padre!» Allart interruppe i suoi pensieri non appena ebbe trangugiato l'ultimo, enorme boccone; il suo stomaco teso prometteva atroci dolori digestivi. Dom Damon concluse a propria volta il pasto - assai più moderato, ma nutriente - sorbì una tazza di jaco, lieto che gli sguardi impazienti di Allart non potessero mandarla in frantumi, e infine, con la massima disinvoltura, riprese la narrazione.
«Allora, ci sei? I banditi avanzano a passo di carica, del tutto scompaginati, calpestano morti e feriti, si schiacciano contro i costoni - se avessero avuto un po' di tempo per rifletterci, avrebbero detto che sembravano quinte teatrali.. he, he... - quasi si svuotano i polmoni, pur di arrivare primi alla strettoia e alla collinetta subito dietro, quando... Colpo di scena!» L'improvviso grido del padre fece trasalire Allart, ormai palesemente sovreccitato. «Un fragore di tempesta, un gran polverone, e le quinte teatrali sono crollate. Un trucchetto da minatori, niente di eccezionale, ma è stata la somiglianza con il teatro a darmi l'idea. E dal polverone sbucano tutti i miei uomini, tutti quelli tenuti di riserva, e sono, si può dire, già addosso al nemico, perché il crollo dei costoni contro cui erano premuti ha fatto cadere molti banditi; ma la loro carica non si arresta, perché quelli di dietro incalzano e già, in avanti, i primi hanno superato la strettoia, con urla di trionfo.
Le cornamuse suonano per la terza ed ultima volta, senza più fermarsi; stavolta è l'Inno di Avarra
«Il massacro generale?» chiese Allart, gli occhi più sgranati che mai. «Credevo non venisse suonato mai.. l'ordine di non risparmiare nessuno, di non accettare la resa...»
«Ma io avevo un motivo più che onorevole, eccellente, ricordi? Il mio bredu era morto combattendo contro quei banditi e, prima di lui, molti nobili dei Kilghard, miei consanguinei. Le leggi della faida di sangue mi imponevano di sterminarli.» Il volto di Dom Damon MacAnndra, illuminato da un Sole ormai giunto al pieno fulgore, sembrava scolpito nel basalto e temprato nel sangue; ma la sua voce era quasi pacata, mentre riprendeva a raccontare: «Al centro, i cavalieri in attesa spronano le cavalcature e, anche se non hanno spazio per lo slancio, caricano le avanguardie; ai lati, i ranghi della fanteria si aprono la strada in mezzo al nemico, la retroguardia dei banditi che spinge ancora in avanti, verso il massacro... e, all'improvviso, non c'è più retroguardia: tutti i fagiani sono nel nido, il massacro è al culmine, le spade affilate delle Pianure hanno la meglio sugli attizzatoi raccogliticci dei banditi, quelli che cercando di voltarsi e fuggire sono infilzati alla schiena come polli sullo spiedo.
«Neanche dieci minuti, e tutto è finito; due o tre compagnie riformano i ranghi - gli altri restano a spogliare i cadaveri - e dalle retrovie giungono i miei quattro arieti da sfondamento; così muniti, mentre il canto incessante delle cornamuse ci eccita allo sterminio, avanziamo sul muro maledetto. Sbuchiamo di colpo dal tornante ed è un prodigio che i banditi non siano morti di spavento; l'Inno di Avarra, da solo, manda le viscere in acqua anche ai veterani. Invece, questi hanno ancora il coraggio di suonare allarmi e di scoccare frecce; ma sono troppo pochi e noi troppo veloci, gli arieti cozzano contro il muro, alcuni tentano di scalarlo, altri si insinuano sotto il ponte e, alle nostre spalle, nuove compagnie giungono di rinforzo, levando alti i trofei strappati agli sconfitti. Mi getto di persona sotto l'arcata, prendo la testa dei miei uomini e li trascino fuori, di slancio; ma non incontriamo resistenza, i difensori - pochi, troppo pochi - sono inchiodati sul muro. Un gigante sul metro e novanta, con i capelli rosso fiamma, grida qualcosa e si lancia giù dal muro, uno spadone in pugno; tre dei miei lo prendono in trappola, un fendente a destra, uno a manca e il terzo gli stacca la testa.» Rise, con esultanza. «Avessi saputo che si trattava di Gwynn, gliel'avrei mozzata di persona; ma, in quel momento, mi sembrava di avere altro da fare.»
Allart sembrava deluso del mancato duello tra i due capi, naturale conclusione delle battaglie in ogni ballata o leggenda che si rispetti; ma, con un cenno del capo, lo incitò a continuare.
«Temevo che non avremmo espugnato facilmente il secondo muro, senza gli arieti di sfondamento; ma, all'arrivo, troviamo che è più basso e ancor meno difeso del primo. Ci arrampichiamo come gatti, facciamo a pezzi quei dieci disgraziati arcieri, spalanchiamo il portale e... la valle è nostra!» Decise di risparmiare al figlio i dettagli del massacro che era seguito, nonché gli stupri e le consuete attività che accompagnano una vittoria.
«La sera, al tramonto, quando in tutta la valle non sopravvivono uomini che miei non siano, io, dinanzi alla gigantesca pira funebre dei banditi, al cospetto di tutto l'esercito, circondato dai miei ufficiali più fidi, mi proclamo signore della valle, alla quale attribuisco il nome della dimora avita, il nome che mio nonno portò dal Sud, dal luogo dove era stato allevato: Navan. Invece, la gola dove avevamo combattuto e vinto, quale altro nome potrebbe meritare, chiedo a gran voce, fuorché "Gola dei Mille Morti"? Tutti acclamano la scelta. Avrebbero acclamato qualunque cosa, quella sera, lo so, ma resto convinto che sia stata una buona scelta.
«E qui, mio caro Allart, finisce la storia; o piuttosto ha termine la sua parte interessante, perché temo che ti annoierebbe sentirmi rievocare i lunghi mesi di litigi su come equamente dovessimo ripartire la terra, o le riserve d'acqua... Ma l'estate seguente, composto infine ogni diverbio, io e molti dei nobili, miei parenti e vassalli, siamo tornati ai Kilghard e, nelle ampie sale di Armida, al Solstizio, il Nobile Alton mi ha unito in matrimonio con tua madre.»
Sospirando per la conclusione di un racconto così lungo e avvincente, Allart si sforzò di alzarsi, ignorando stoicamente il dolore nelle membra aggranchite.
«Fai un po' di esercizio, per scioglierti i muscoli,» gli consigliò il padre, la mente già concentrata sulle mille incombenze del giorno: «abbiamo molto lavoro da sbrigare, te ne sei scordato?»
Il ragazzo emise un suono, a metà tra un gemito e una risata; tra una flessione e l'altra, mentre un calore gradevole si diffondeva nei suoi muscoli, rispose: «Ma padre, per grazia di Aldones non si vede l'ombra di vassallo a importunarvi, è il mio compleanno,» rimarcò, «siamo comunque in ritardo sulla tabella di marcia... e voi volete comportarvi come se niente fosse?» "Non dovrebbe essere un giorno come gli altri!" pensò risentito.
«Non temere, tua madre preparerà certamente una cena speciale... a proposito di cibo, vai in cucina e prendi le sacche del pranzo. Secondo me, il miglior modo di far festa consiste nel lavorare...» Si interruppe, di fronte al cipiglio di Allart, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. «D'accordo... nel lavorare a qualcosa che ci piace. Per esempio... sono d'accordo con te, è inutile aspettare che qualcuno chieda udienza, quindi... hmm, che si può fare?... Ricordami un po' il programma, figliolo.»
Con un sospiro stanco, Allart scandì: «Ispezione completa della valle, lavoro nei campi del Dom: visto che è primavera, dobbiamo controllare che le erbacce non soffochino i virgulti e via discorrendo.»
«E nessuna di queste attività è particolarmente gradevole,» finse di riflettere Dom Damon. «E se andassimo a pesca?»
Il sorriso che sbocciò sul voltò di Allart fu la più eloquente delle risposte.
«Però bada che ai campi dovremo lavorare sul serio, e molto, prima che faccia buio.»
Il sorriso non si attenuò: «Sì, padre.» E il ragazzo si alzò, diretto in cucina, per prendere le sacche del pranzo e - soprattutto! - l'attrezzatura da pesca.









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Disclaimers

Allart Hastur, al compimento del suo dodicesimo anno di età, inizia a mostrare i primi problemi legati al risveglio del laran.

Note

Non so se, tra i soldati di Darkover, esistano inni tradizionali e neppure se abbiano mantenuto l'usanza scozzese di scendere in battaglia al suono delle cornamuse; diciamo che mi sono preso qualche piccola libertà.
Il registro e lo stuile di Dom Damon potrebbero riuscire fastidiosi a qualcuno; credo, però, che il suo modo di raccontare una storia (da lui vissuta come) epica debba necessariamente assomigliare a quello di un bardo e presentare, dunque, arcaismi, momenti lirici e quant'altro.


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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008