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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +1, ottobre (3)] [Credits & Disclaimers]



Le due Torri

Anndra Castamir



Parte Prima - La Griglia

Quando mi alzai, la mattina dopo, la tormenta infuriava ancora, e quattro buone spanne di neve avevano ammorbidito l'aspro paesaggio che circondava la Torre.
Il mio cuore saltò almeno una mezza dozzina di battiti quando, affacciatomi alla finestra, mi trovai davanti all'improvviso l'allegra faccia di Manolo che nonostante il freddo faceva la sua quotidiana pulizia della Torre da erbacce, muschi, nidi di civette e chissà cos'altro ancora.
Gli augurai vivamente un lungo soggiorno in uno dei più profondi inferni di Zandru, ma poi, davanti al suo disarmante sorriso non potei fare altro che ridere a mia volta. Chiusi l'imposta per non far entrare altra neve nella stanza e con un breve schiocco della mente accesi la legna bruciacchiata che era rimasta ancora nel caminetto. Questa mia capacità pirocinetica era ancora piuttosto riservata, credo non la conoscesse ancora neppure Fiona. Ed intendevo - se possibile - mantenerla riservata. Mica per nulla, ma l'ultimo pirocinetico che avevo conosciuto (Roger Darriel se non ricordo male, lontanamente imparentato con una Rockraven) aveva creato tanti di quei guai a Neskaya da esserne allontanato dalla disperazione.
Scesi al pianterreno sperando che la stanza da bagno fosse libera: la Torre era silenziosa come se tutti dormissero. Entrai nella vasca stanza e, spogliatomi, mi immersi nell'acqua bollente che gorgogliava nella vasca posta al centro. Se c'era una cosa nel gelido Darkover che non mancava mai era proprio una bella fonte di acqua termale più o meno bollente e sulfurea. Questa non faceva eccezione, e l'acre e familiare odore di zolfo mi solleticò piacevolmente. Mi abbandonai con un senso di voluttà al caldo abbraccio della vasca, e chiusi gli occhi che mi lacrimavano a causa del vapore naturale dell'acqua. Forse mi assopii anche un po'. Non c'è nulla di più rinfrancante di una stanza da bagno ben attrezzata in una Torre o in una castello!
Stiracchiandomi come un uomo gatto, mi asciugai e rivestii con placida lentezza e cercai la cucina. Non c'era nessuno, di umano, intendo. Un kyrri mi fissò con quei suoi strani occhiacci gialli e senza emettere alcun suono mi pose davanti una grossa ciotola di jaco fumante, cereali e pane caldo, appena sfornato.
Non c'era veramente nulla da eccepire, neanche a Neskaya erano così efficienti.
Sentii all'improvviso il tocco gentile di Fiona: "Ben alzato, Anndra, sento con piacere che stai apprezzando la nostra ospitalità."
Mi prese così alla sprovvista che mi versai addosso una mezza tazza di jaco.
"Fiona, vai domna... mi stavi spiando? Io sarò anche un vecchio banshee, ma tu sei peggio di un uccello sentinella!"
«No, no, sono qui,» mi rispose con la voce entrando nella stanza, «non ti allarmare! Hai dormito bene?»
«Benissimo, grazie,» risposi un po' sospettoso. Fiona, come tutte le Custodi, si preoccupa dei suoi solo quando c'è da lavorare o se si presenta un problema che non può essere delegato neanche a Zandru.
«Rilassati, qui siamo ad Elvas!» ribatté ridendo, «ma avrei da chiederti un favore. Sali nel mio laboratorio, Damon ha qualche problema con le sue bottiglie e soprattutto con la griglia principale.» Divenne all'improvviso seria. «È un problema, Anndra, la griglia non è stabile e Damon ha bisogno di qualcuno che gli dia una mano, possibilmente a sei dita.»
Avevo così voglia di lavorare che l'ultima battuta (scossi mentalmente la testa... a sei dita! Ma dove l'ha trovata questa! È proprio da Fiona!) la sentii più con la mente che con le orecchie.»
Entrai nel laboratorio e vidi Damon alle prese con la griglia, già avvolta da una luce azzurrina come se fosse in funzione.
Era una bella griglia, grande, molto grande, più di quella di Neskaya e di Arilinn. Forse anche di quella di Thendara, che avevo solo immaginato durante i collegamenti. Ed ancora visibilmente instabile.
Damon era in piedi davanti ad essa, ad occhi chiusi e con ambedue le mani aperte a sfiorare la lucida superficie vetrosa. Notai naturalmente le innumerevoli venature di rame che collegavano fra loro matrici e frammenti di matrice.
"Siamo almeno ad un sesto livello," dissi fra me, immergendomi con la mente nella struttura della griglia. Fu come entrare in un paiolo di polenta: la struttura cristallina della griglia mi opponeva resistenza e non ne voleva sapere di farmi muovere agevolmente nel suo interno. Vidi Damon muoversi a fatica, come se avesse preso sopra di sé tutta la roccia che dicono schiacci il Portatore di Pesi. Lo presi per mano e lo tirai fuori.
Manolo era lì ad attenderci con in mano due grosse barre di miele e cereali, che divorammo in silenzio senza nemmeno parlarci.
«Hai visto, vero?» disse Damon, «ti costringe ad uscire prima ancora che tu l'abbia analizzata.»
«Ho visto,» risposi, «ma non ne capisco il motivo. Ma cosa volete controllare con quella griglia, è più complessa del settimo inferno di Zandru!»
«È presto per parlarne, ma non ci vogliamo mettere dei limiti.» Fece un cenno a Manolo che ci porse altre due barre di miele e cereali. «Non sappiamo ancora che griglia ci possa servire,» continuò facendo attenzione che il miele non cadesse in terra, «ma dobbiamo essere sicuri che funzioni bene.»
Chiusi gli occhi stropicciandomeli con le dita, sentendomi già stanco di buon mattino.
«Ho visto alcune imperfezioni nella struttura cristallina, dissi, «quello può essere il motivo dell'instabilità. C'è qualcuno che mi può controllare?»
«Sì, certo.»
Mentalmente doveva aver già chiesto aiuto, perché la porta si aprì ed entrò Dana.
Io mi ero già messo in una poltrona e lei mi si pose accanto in silenzio. Damon fece un cenno di assenso e mentre io scivolavo di nuovo dentro la struttura cristallina dello schermo si trasformò in una catena che mi si strinse intorno alla vita dandomi stabilità e sicurezza. Nello stesso tempo sentii Dana sfiorarmi il cuore con un tocco leggero, regolandone i battiti. Tranquillizzato, entrai ancora di più nello schermo e cominciai a guardarmi attorno. Tutto era diventato enorme e soffuso di una luce verdastra e spettrale, come se fossi entrato, ad occhi aperti, dentro il lago di Hali. Rabbrividii per il freddo... e subito sentii un soffio caldo di Dana ristabilire la mia temperatura corporea. Le molecole della sostanza vetrosa della griglia si muovevano apparentemente con disordine, ma seguendo un loro oscuro gioco di danza a cui mi adattai. Finché le vidi. Era un grosso grumo di cinque o sei molecole che si erano avvolte intorno ad uno dei fili che portavano ad una piccola matrice e deviavano il flusso di energon. Fu un intervento facile: le schiacciai con le dita come se fossero noci, e poi le riplasmai come se fossero fatte di mollica di pane. Finché il flusso di energon riprese a scorrere con regolarità e senza gorghi impazziti di energia. La materia divenne sempre meno vischiosa ed il verde mare della griglia schiarì acquistando una chiarezza adamantina. Mi sentii tirare e con fatica uscii alla luce.
Era quasi sera ed il sole, basso all'orizzonte, stendeva un velo sanguigno sulla campagna innevata. Kelan aveva sostituito Dana, che, seduta su una panca, stava mangiando una grossa fetta di pane e miele. Fiona era accanto a Damon, ed assieme a lui sembrava che tirasse fuori a fatica un qualcosa dall'aria. Mi riscossi. Stavano tirando fuori me.
"Ce l'ho fatta," dissi.
«Ce l'ho fatta Fiona,» ribadii scandendo a fatica le parole. «Ma ora ho fame.»
Manolo era dietro di me: non fece altro che mettermi in mano una manciata di noci sgusciate e una fetta di pane e miele, aiutandomi con una commovente mimica a masticare ed inghiottire.
«Grazie a tutti,» disse Fiona, «ora andiamo a cena. E poi a dormire. Ne abbiamo bisogno.»


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La mattina dopo Fiona mi convocò nel suo laboratorio insieme a Dana e Damon. Ci fece cenno di sedere, mentre lei cominciò a passeggiare nervosamente nella stanza.
«La griglia va molto bene,» disse, «non è più instabile, ma ancora non può funzionare come dovrebbe.»
Si voltò verso di me: «Hai fatto un ottimo lavoro, Anndra, ma non è sufficiente. Ancora non te lo avevo detto, ma vedi, questa non è una griglia normale, come quelle delle altre Torri. Vi deve essere inserita una speciale serratura a matrice, attivabile non solo avendone la combinazione, ma anche avendo la matrice sintonizzata in un modo particolare.»
«Sì, lo so,» mi disse prevenendo le domande che mi si affollavano nella mente, «non c'è nulla di questo genere nelle altre Torri, ma la nostra griglia deve rimanere accessibile solo alle altre Custodi e a pochissime altre persone. Per quanto riservati siano i telepati delle Torri, ben presto la voce che esiste una nuova Torre funzionante si spargerebbe in tutti i Domini con le conseguenze che puoi immaginare. Pensa solo che siamo al confine tra Ardais ed Aldaran e che gli Hastur non hanno mai cessato di tenere d'occhio queste terre. Non avremo le griglie e i relais che conosci, né la possibilità di controllo su tutte le matrici legali di Darkover, ma in compenso potremo lavorare senza essere disturbati. E quando ce ne sarà bisogno, potremo comunicare direttamente con le altre Custodi.»
Non potei fare a meno di interromperla.
«E il Sopramondo? Sai benissimo che la forma astrale di questa Torre non è evitabile, possiamo benissimo essere scoperti anche da un telepate che sta girellando come... come ho sempre fatto io.»
«»Un problema alla volta,» rispose Fiona mettendosi finalmente a sedere. «Il problema adesso è un altro, per il Sopramondo c'è un sistema che poi spiegherò. Il fatto è che ci servono dei nodi vergini da inserire nello schermo secondario che farà da serratura, e non li abbiamo. E soprattutto mi serve sapere come sintonizzare la matrice della serratura con le matrici delle Custodi senza che tutto ciò venga rilevato dagli schermi.»
Ricominciò a passeggiare nella stanza, e questa forma di nervosismo, incredibile per una Custode, cominciò a contagiare anche me.
«E allora, Fiona?» chiesi sentendo un brivido di freddo in tutto il corpo. «Non vorrai mica...»
Non mi lasciò nemmeno finire.
«Sì, devi andare ad Arilinn, Marelie ti sta già aspettando. Farai tappa prima da Rohana, a Neskaya per prendere i nodi vergini. Se vi muoverete in fretta sarai qui prima della chiusura dei passi.»
Guardai nervosamente gli altri, ma nessuno dei due lasciò tradire il minimo pensiero. Barricati fino alla cima dei capelli. Mi sentii a disagio: da una parte Fiona, controluce, era una macchia eterea color cremisi, dall'altra Dana e Damon immobili, come gelati da una banshee.
Mi sentii stanco, nervoso ed anche un po' impermalito. Ero appena arrivato, dopo essermi sciroppato dieci giorni di viaggio solitario e già dovevo ripartire. Però non mi dispiaceva rivedere Rohana, e in fondo anche la stessa formidabile Custode di Arilinn. Nel silenzio palpabile della Torre sentii che non potevo tirarmi indietro.
«Chi viene con me?» chiesi burbero.
«Non fare così,» mi sorrise Fiona. Vidi sorridere sollevati anche Dana e Damon, «lo capisci anche tu che è un incarico molto delicato. Loro due servono qui, ci sono mille cose da fare. Chi dovevo mandare se non te? Avrai una scorta naturalmente, ma vi dovrete muovere con rapidità ed efficienza. Ti farò accompagnare da Shonnach e da una nuova arrivata...» Fece visibilmente la misteriosa e la cosa mi innervosì.
«Fiona, non siamo a corte, non fare giochetti. Chi c'è insieme a Shonnach? Mica qualche piantagrane di Rinunciataria che non sai come levarti di torno?» Capii di aver usato parole ed un tono non adatto e me ne pentii, ma come dice il proverbio, 'neppure tutti i fabbri delle forge di Zandru riuscirebbero a far tornare intero un uovo dopo che si è rotto' e pertanto... mi sorbettai un'occhiataccia ed uno schiaffone mentale da Fiona di quelli che si ricordano per un pezzo.
Ma a voce - per rispetto nei miei confronti - non disse nulla, anche se Dana e Damon si agitarono inquieti sulla sedia. Riprese apparentemente tranquilla.
«Lascia stare le Rinunciatarie, non le potrai mai capire. Soprattutto quella che ti accompagnerà insieme a Shonnach. Non solo è un'ottima spadaccina, ma è anche monitore e ti potrà aiutare ad Arilinn. Beh, la vedrai. Da quello che so potrebbe entrare ed uscire sette volte da tutti gli inferni di Zandru senza riportare un graffio.»
«Io stavo pensando a Kelan...» Non le volli dare la soddisfazione di chiederne il nome.
Fiona si consultò mentalmente con gli altri due e poi assentì. «Va bene, tanto per ora qui non c'è da fare nulla di particolare. E a Kelan e Shonnach farà bene cambiare un po' aria, visitando qualche Torre nelle pianure.»
«E dai, Fiona, per piacere...»
«È arrivata oggi da Neskaya, ho comunicato con Rohana che me l'ha presentata come affidabile... ed affezionata a te. Ammesso che sia possibile affezionarsi ad un banshee...» Ora però stava scherzando e tirai un sospiro di sollievo, anche perché avevo capito di chi si trattava. Per non passare da completo sprovveduto, mi rivolsi a Dana e Damon:
«Si chiama Elaine n'ha Rayna, Rinunciataria della Casa di Neskaya. È una persona molto riservata, io vi posso solo dire che è stata addestrata ad Arilinn come monitore... ed ha il laran degli Alton. Mi è molto affezionata, davvero.» Mi sentii di aggiungere. «Veramente affezionata... ma non c'è nulla tra noi.»
In un Cerchio - Custode a parte - è praticamente impossibile nascondere qualcosa, ed io non potei fare a meno di mandar loro le immagini della sua disperazione nel Sopramondo (dove si era avventurata da sola in maniera incosciente), di come l'avessi cercata e guidata a ritrovare il suo corpo fisico. E lasciai trapelare la mia indifferenza sessuale nei suoi confronti.
Vidi Fiona sollevata. Non so perché, ma la cosa mi fece piacere.
«Beh, allora quando dobbiamo partire? Vista la stagione sarà meglio sbrigarsi!»


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«Z'par servu, vai Dom!»
Mi voltai di scatto al suono di quella voce conosciuta e... beh, amica. Immediatamente alzai tutte le mie barriere.
«Mestra! Mi fa molto piacere vedervi.» Le dissi andandole incontro, Elaine n'ha Rayna scese di sella con un movimento fluido ed aggraziato che non potei non ammirare. Mi si avvicinò e mi fece un breve inchino, poco più di un cenno con il capo.
"È inutile, l'orgoglio degli Alton traspare sempre...in una rinunciataria poi!" pensai fra me ricambiandole il gesto con il capo.
Per un attimo mi guardò fisso negli occhi in una maniera sfacciata, ma io avevo distolto i miei un battito di ciglia prima di lei. "Maledizione agli Alton e al loro dono, specie se è donna," dissi fra me.
«Anndra,» continuò sorridendo, «come vedi mi tocca sempre badare a te.» Si fece seria. «Perché non mi hai avvertito quando sei partito da Neskaya? Avremmo fatto il viaggio insieme, ti avrei fatto da scorta! Lo sai che anche Rohana era in pensiero?» «Come vedi sono arrivato sano e salvo!» le risposi un po' indispettito, «anche se ci tocca ripartire subito.» Conclusi sospirando.
«Non te la prendere, conosco molte scorciatoie, saremo a Neskaya in meno di una settimana, tempo permettendo. Chi sono gli altri che vengono con noi? So solo che ambedue hanno il laran, che la donna è una Rinunciataria e ci sa fare con la spada.»
«Sì, si chiama Shonnach, è una Lanart. È stata addestrata a Tramontana come tecnico ed è nel Cerchio. Guarda che è un tipetto nervoso, che dà poca confidenza e ne vuole ancora meno. Non crearmi guai con lei.»
«Ah, Shonnach n'ha Pedra! Viene anche lei dalla Gilda di Neskaya; la conosco, anche se ci siamo viste poche volte. È una brava cacciatrice e con la spada è brava quasi quanto me.» Poi aggiunse seria. «Basta che lei non crei guai a te. E l'uomo chi è?»
«Kelan, è bravissimo, abbiamo già lavorato insieme nel Cerchio. È un bravo monitore, di poche parole, ma saldo ed affidabile. Toh, eccolo!»
Kelan stava arrivando, infatti, tenendo per le briglie due splendidi cavalli.
«Mestra,» salutò piegando appena il capo, «sono Kelan MacAran e farò il viaggio con voi.»
«Vai Dom, Kelan,» rispose Elaine, guardando più che lui i cavalli, «dove avete preso quelle magnifiche bestie?»
Kelan sorrise, la donna aveva detto preso usando un'inflessione che poteva anche significare rubato, e le rispose: «'Se devi rubare un cavallo, ruba un purosangue', dicono a Storn. Ma avete ragione, sono bestie troppo belle e costose perché uno come me possa permettersele. Sono nate da fattrici comprate ad Armida. Sono per voi due. Ha detto Fiona che per questo viaggio non si doveva badare al risparmio e tutti e quattro abbiamo dei cavalli stupendi. Ed intelligenti, parola di un MacAran.» Poi si rivolse a me: «Ci avrebbe dato anche due chervine, ma io penserei di rifiutarli. Dobbiamo viaggiare senza troppo bagaglio, e poi... quelle bestie sono troppo lente.»
Soppesai un po' i pro e i contro della questione. Se c'è una cosa che viene fatta soppesando bene tutto, su Darkover, è proprio l'organizzazione di un viaggio.
«Hai ragione, ribattei, ma se si azzoppa un cavallo che facciamo? Siamo rallentati lo stesso. Un chervine, almeno, lo puoi cavalcare. Senti Kelan, stiamo andando incontro alla brutta stagione, è meglio essere prudenti. Ecco Shonnach, sentiamo anche lei.»
La donna, infatti, stava avvicinandosi portando altri due cavalli, altrettanto splendidi. «Sono d'accordo con Anndra,» disse prima che io avessi tempo di porre la domanda, «i chervine ci servono. Anzi, ti dirò, forse forse sarebbe meglio viaggiare solo con dei chervine. Sono più affidabili sulla neve. Voi che ne dite, mestra?» chiese ad Elaine.
«Avete ragione sorella. Non li carichiamo troppo e ce li potremo tirare dietro senza problemi. E... non chiamarmi mestra, mi chiamo Elaine n'ha Rayna. Vengo dalla Casa di Neskaya, come te. Non mi riconosci? Una volta abbiamo fatto anche un servizio di scorta insieme.»
«Naturalmente,» rispose senza abbozzare neanche un mezzo sorriso, «veniamo dalla stessa Gilda e ci ritroviamo di nuovo. Quando partiamo? I chervine sono già carichi, basta prendere il bagaglio personale.»
Guardai il sole rosso sangue che faceva capolino, basso, sull'orizzonte. Era una splendida mattinata, ma aveva nevischiato fino a metà nottata ed il vento portava, ogni tanto, qualche fiocco di neve preso chissà da quale cima degli Hellers. Era meglio approfittare di ogni ora di tempo buono che Evanda ci concedeva e detti subito le istruzioni per la partenza. Rientrai nella Torre per bere un'altra calda tazza di jaco e prendere il mio bagaglio personale. Sospirando presi spada e pugnale e le agganciai alla cintura: mi guardai le mani, bianche, con lunghe dita e la pelle morbida, fatte per sfogliare pergamene e tenere matrici e oggetti delicati, non dure e callose come quelle di uno spadaccino o di una Rinunciataria. Le mani, quasi avessero una volontà propria, corsero al sacchetto di pelle che portavo al collo, e lo aprirono, svolgendo dalla custodia di morbida seta isolante la matrice. Era una magnifica pietra, che pulsava quietamente di una intensa luce blu: la fissai per trarre da essa forza e tranquillità. Per me non era solo uno strumento, era, soprattutto, un'entità misteriosa ma sempre amica. Avevo un bel ripetermi che un tecnico deve trattare le matrici per quel che sono, strumenti amplificatori di un nostro potere mentale, sentivo nella mia matrice 'IL Potere'. La portavo ormai da 20 anni, eppure era per me sempre un mistero. Mi concentrai e chiamai la mia vecchia Custode.
"Dimmi Anndra," rispose subito Rohana.
"Sto partendo per Neskaya e volevo salutarti."
"Mi chiami solo per questo?" colsi un vago senso di apprensione nella sua voce.
"Sì, cioè no. Mi sento inquieto, non ho il dono della precognizione, ma mi sento come se dovesse succedere qualcosa," risposi incerto.
"Mi ha detto Fiona che parti con altri telepati, siete già un piccolo Cerchio. Parti tranquillo. Io comunque vi terrò d'occhio."
"Grazie, Rohana," le trasmisi chiudendo il collegamento.
Richiusi la matrice nella seta isolante rimettendola al suo posto. Anche Rohana non era del tutto tranquilla, che stava succedendo?


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Mezz'ora dopo la nostra piccola spedizione stava già inerpicandosi lungo il tortuoso sentiero che portava fuori della valle di Elvas. Elaine, che conosceva alcune scorciatoie, cavalcava in testa, precedendoci di qualche decina di metri. Io e Kelan portavamo per le briglie i due chervine, Shonnach chiudeva la marcia, leggermente discosta da noi. Il sentiero era stretto e due cavalli non potevano viaggiare affiancati, per cui arrivammo fin quasi a sera senza quasi parlare. Ci fermammo solo un paio di volte per le necessità personali e per mangiare della carne fredda. Beh, in fondo non era male, le due donne erano lontane tra loro ed io non avevo alle costole la protezione asfissiante di Elaine. Anche la sera, quando ci fermammo per montare la leggera tenda che ci avrebbe protetto dal nevischio notturno, nessuno aveva voglia di parlare e ci limitammo allo scambio di brevi frasi.
I miei compagni di viaggio si addormentarono subito, ed io decisi di esaminarli mentalmente, per rendermi meglio conto dell'addestramento di ognuno di essi. Per prima esaminai Elaine, pur sapendo bene che cosa avrei trovato. La Rinunciataria, pur dormendo profondamente, aveva lasciato una piccola parte della sua mente vigile e sveglia: quando la sfiorai leggermente percepii immediatamente una specie di segnale di allarme diffondersi in tutto il corpo. Mi ritrassi subito. La donna aprì gli occhi ed alzò la testa, in ascolto. Il silenzio che ci avvolgeva dovette tranquillizzarla, perché si avvolse di nuovo nella pelliccia e ripiombò nel sonno.
Shonnach, invece, stava sognando. Un telepate, quando dorme, riesce a mantenere alzate le sue normali barriere, ma il muro che circonda la sua mente è un po' meno alto e presenta più facilmente dei varchi (io almeno vedo così le loro menti durante il sonno: una fortezza circondata da mura). Bene, era vigile anche nei sogni (ed anche sospettosa, mi dissi vedendo molte finestre della sua fortezza illuminate). Colsi solo qualche etereo frammento del sogno, esile come una spira di fumo... fuggevoli immagini del viaggio... e nulla più.
Anche Kelan sognava, ma le sue difese erano molto basse. Percepii chiaramente che stava rivivendo dei ricordi del passato, forse di quando era ragazzo. Mi ritrassi subito, non appena vidi alcune di quelle scene.
No, non andava bene. L'indomani avrei dovuto parlare con lui. Dovevo capire se era una situazione abituale o se qualcosa lo stava turbando al punto da non riuscire a controllare adeguatamente le barriere che naturalmente un telepate tiene alte anche durante il sonno. Sono pochi quelli che entrano volentieri nelle Torri per ricevere almeno gli insegnamenti di base: ma chi non lo fa, poi si trova alle prese con problemi come questo. Sapevo che Kelan era stato addestrato dalla leronis di Castel Aldaran, ma la convivenza con Fiona e gli altri telepati di Elvas avrebbe di sicuro portato alla luce un difetto simile.
Mi ripromisi di parlarne con Fiona al mio ritorno: se la Torre di Elvas doveva rimanere nascosta era indispensabile che tutti i suoi membri fossero addestrati alla perfezione. In particolare dovevano sapere come comportarsi quando dormivano o quando sognavano. Non tutti sanno, ad esempio, che quando si sogna a volte vaghiamo nel sopramondo con la nostra forma astrale. E lì c'era sicuramente un abbozzo di Elvas, che naturalmente attirava tutti quelli che la conoscono. E più era visitata, più cresceva e diventava visibile: esattamente il contrario di quanto volevano Fiona e Damon. Protesi la mente intorno al nostro piccolo accampamento... tutto era tranquillo e silenzioso. Sorrisi fra me: sicuramente non ero bravo ad usare le armi, ma il mio laran non era meno micidiale ed affilato di una spada.


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Durante la notte il nevischio si era trasformato in neve, ed una coltre bianca avvolgeva ogni cosa. Nevischiava ancora, ed il freddo vento degli Hellers che si incuneava nel bosco ci pungeva il volto con mille spilli. Il sentiero, ora in discesa, era scivoloso e fu necessario procedere a piedi, tenendo i cavalli per le briglie. Fu solo verso il mezzogiorno che il tempo migliorò ed il nevischio divenne un'accettabile acquerugiola gelata (a tratti venne fuori anche il sole), e potemmo proseguire a cavallo, nella solita formazione.
«Kelan,» iniziai, dopo essermi assicurato che le nostre due donne di scorta fossero sufficientemente lontane, «che cosa sognavi la scorsa notte?»
Come dice sempre Elaine n'ha Rayna: 'Ci si pente sempre di aver parlato senza pensare abbastanza, non ci si pente mai di essere stati abbastanza zitti!'
Vidi Kelan arrossire violentemente ed il tono delle sue parole era irato: «Ad Aldaran mi hanno insegnato che una delle regole fondamentali dei telepati è quella di non spiare nelle menti altrui! A voi non l'hanno insegnato? O nelle pianure si sono dimenticati della più elementare delle regole?»
«Ascoltami, Kelan,» gli risposi in tono tranquillo, anche se mentalmente mi tirai un paio di schiaffi, «non ti ho spiato, assolutamente! Parola di comyn
«E allora che cosa intendevi prima?» ribadì in tono meno aspro, ma sempre sulla difensiva.
"Quando vi siete addormentati ho voluto controllare la robustezza delle vostre barriere: le tue sono molto basse. Ti assicuro che non sono rimasto a seguire il tuo sogno."
Lo dissi mentalmente - non potevo mentire, naturalmente - ed abbassai le mie barriere di quel tanto necessario perché lui percepisse quello che avevo fatto e visto.
"Ti credo," replicò rabbonito. Poi proseguì, avvicinando di più il suo cavallo al mio. "Ma quello che hai visto è sufficiente a mettermi a disagio."
«No, Kelan,» proseguii parlando a bassa voce, «lascia che ti racconti un fatto che mi è capitato quando ero ragazzo e vedrai che tutto ti apparirà sotto una luce diversa.»


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Interludio - Nevarsin

Avevo da poco compiuto otto anni e mi ritrovavo già con due fratelli e due sorelle. Mia madre, Yllana, già da tempo aveva delegato il mio seguimento ad una nutrice e mio padre (di cui porto tranquillamente ed onorevolmente il cognome) mi portava con sé solo quando poteva. Aveva molto da fare e quindi le occasioni furono molto, molto poche. Fu lui, però, che si rese conto della mia voglia di istruirmi e visto che in casa non era disponibile nessuno, mi propose di andare a Nevarsin per imparare a leggere e scrivere. Alla moglie non parve il vero allontanarmi da casa e dette il suo consenso senza fare una piega. Mi ricordo che stava allattando Maellen, che Colin piangeva in un'altra stanza e gli altri miei due fratelli bisticciavano fra loro.
«San Valentino delle Nevi? A farci cosa, a diventare un portatore di sandali?» chiese a mio padre.
«No certamente,» rise lui, «è che non riesco ad insegnargli ad usare la spada in modo appena decente ed allora è bene che abbia almeno un'istruzione.»
«Quand'è così, fai pure, Dom.» Ribatté tornando ad occuparsi di Malleen.
Fu così che partii. Mi scortò un suo uomo fidato, che fece quasi tutto il viaggio in silenzio, preoccupato di tornarsene ad Highgarth prima che venisse l'inverno. Non ne hai mai sentito parlare? Per forza, conta sì e no una cinquantina di abitanti che abitano lì unicamente per curare e mantenere una dimora estiva dei Castamir.
Beh, dopo diversi giorni di viaggio, finalmente arrivai a Nevarsin, con i pochi secal che mio padre mi aveva dato di nascosto prima di partire ed un bagaglio consistente di due tuniche quasi nuove (questo fu l'unico vantaggio di cui godetti a casa: non avevo fratelli maggiori e quando crescevo ricevevo sempre abiti nuovi) ed un discreto mantello di lana foderato di pelliccia. Fui assegnato ad una classe di ragazzi tra i sette e i dieci anni ed imparai subito a conoscere veramente il freddo! Il nostro dormitorio aveva solo delle imposte di legno che di notte facevano entrare il vento e di giorno erano sempre aperte alla neve e al ghiaccio. E' vero che ci insegnarono presto a scaldarci da soli, con una serie di esercizi mentali e di meditazione, ma le prime notti furono terribili! Eravamo solo noi due in questo stanzone disadorno con le mura di pietra e senza nemmeno un braciere. Nel giaciglio accanto al mio dormiva Corus Ardais, un ragazzetto secco e ossuto, ma con capelli rosso fuoco, un vero comyn. Anche lui era appena arrivato ed aveva un'aria smarrita e spaventata che mi fece compassione. Quando andammo a dormire, quella nostra prima notte a Nevarsin, lo sentii singhiozzare sommessamente. Era un pianto senza speranza, che mi toccò il cuore. Io sapevo cosa volesse dire essere soli, veramente soli e senza affetto e mi sentii grande, molto più grande della mia età. Lo chiamai piano, temendo di poter essere sentito da qualche monaco. Smise di piangere, tirando su col naso.
«Che vuoi?» mi disse, «lasciami stare.»
«Non fare così, vieni qui.»
Non se lo fece ripetere due volte! Me lo trovai accanto, col viso bagnato di lacrime e di moccio, tremante di freddo, di paura, di nostalgia. Mi feci dare il suo fazzoletto e gli pulii il viso. Lo abbracciai e lo feci stendere accanto a me, cercando di scaldarlo con quel poco di calore animale che mi rimaneva. Pian piano si acquietò, i singhiozzi divennero più radi e si addormentò fra le mie braccia, come può fare un cucciolo di cane quando viene tolto alla madre. Divenne un'abitudine: tutte le notti Corus si sdraiava accanto a me, raggomitolandosi fra le mie braccia e addormentandosi sereno. Continuò a farlo anche quando avevamo ormai imparato a difenderci dal freddo e dalla neve.
Forse fu proprio quello a far succedere quello che accadde una notte. Corus non si addormentò subito come al solito, ma lo sentii rimanere sveglio fra le mie braccia. Non so chi cominciò per primo: so solo che cominciammo ad accarezzarci in maniera sempre meno innocente, anche se la nostra giovanissima età non ci permise di andare oltre a certi limiti. Dormimmo insieme per oltre un anno, fino a quando, l'estate successiva, ci spostarono nella camerata dei ragazzi più grandi. La compagnia reciproca ci mancò moltissimo, ed il secondo inverno ci portò una solitudine tremenda.
Alla fine di quel secondo anno mi venne il primo attacco del male della soglia e dovetti tornare a casa.
Non lo vidi più: morì ad undici anni, anche lui per un attacco di quel male che decima molti di noi.



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Lo sai Kelan? Ho trent'anni... ho conosciuto più di una donna, ma spesso, nei miei sogni torna lui, tornano le sue carezze, i suoi baci...» Mi asciugai gli occhi col dorso della mano, e fu la carezza ruvida del cuoio del guanto che mi aiutò a vincere la commozione.
«Perché ti dico tutto questo? Perché quando lo sogno nessuno riesce a vedere quello che sto vedendo io. Ad Elvas non ci possiamo permettere che i nostri sogni ci possano far vagare nel Sopramondo senza saperlo. Se c'è qualcosa che ti turba al punto da impedirti di mantenere salda la tua barriera mentale, allora a Neskaya ti converrebbe parlare con Rohana.»
Non aspettai neanche la sua risposta: detti un leggero colpo di sprone al mio cavallo, riportandomi davanti a lui sul sentiero. Il mio racconto aveva riportato alla luce un dolore mai sopito, e volevo restare solo.

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Parte Seconda - Le Due Torri

Dopo quattro giorni di cammino (ed altrettante notti all'addiaccio) a metà mattinata del quinto giorno arrivammo finalmente ad intravedere al di sopra degli alberi la struttura incompiuta di pietra marrone della Torre di Neskaya. Ma il sollievo fu di breve durata, perché Shonnach, nel tentativo di far ragionare un chervine, si buscò un colpo di corna che, a parte il dolore alla spalla, la fece cadere in una piccola forra al lato del sentiero. Il suo urlo mentale di dolore - anche se si lasciò sfuggire solo una mezza imprecazione a mezza bocca - fu sufficiente a farci capire che si era fatta davvero male: il braccio sinistro, facendo leva su un ramo nella caduta, si era probabilmente rotto. Diagnosi che un successivo controllo da parte sia mia che di Kelan non poté che dimostrarsi purtroppo esatta. Per il colpo alla spalla fu sufficiente un po' di polvere di Karalla, ma per il braccio non si poté fare altro che un bendaggio stretto ed un'andatura più lenta. Naturalmente a Neskaya si resero conto subito dell'incidente, e Rohana in persona si mise in contatto telepatico con me per avere più particolari sull'accaduto.
"Ti mando incontro un kyrri insieme ad una giovane leronis," mi trasmise, "so che ce la potete fare da soli, ma ho la necessità di farle fare pratica. Me l'hanno mandata da Dalereuth per farle vedere quello che facciamo a Neskaya. Guarda che è una Hastur, ed anche abbastanza piena di sé, ma ha un talento naturale semplicemente spaventoso... ed un altrettanto spaventoso bisogno di fare pratica. Falle esaminare il braccio della tua Rinunciataria ed insegnale come controllare il dolore e mettere a posto le ossa."
"Va bene," risposi un po' di malavoglia. Sapevo chi era Leonie, anche se non avevo fatto in tempo che a presenziare al suo arrivo alla Torre di Dalereuth; in quei giorni ero proprio lì. Era proprio una spedizione: sette guardie guidate da un alfiere che ostenatava il vessillo nero e argento degli Hastur, una bimbetta viziata scortata dal fratello gemello Lorill ed una dama di compagnia, una Di Asturien che non avevo mai sentito nemmeno nominare.
Rohana naturalmente capì il tono della mia risposta, perché si affrettò ad aggiungere: "Forse sta cominciando a capire cosa significhi l'addestramento per diventare Custode. Non la maltrattare troppo, ma tienila sempre sotto stretto controllo. E... guarda, ha un laran davvero potente, non accettare prepotenze... ma non provocarla."
Il mio sospiro, che non percepì neppure Kelan che mi stava accanto provocò un secco rimprovero da parte della mia vecchia Custode: "So di che pasta sei fatto, insegnale solo quello che deve sapere e nulla più."
Alzai al massimo le mie barriere per non lasciar sfuggire neppure un bisbiglio telepatico e mi permisi di brontolare ad alta voce: "Dovunque vada trovo sempre una Custode che riesce a mettermi sugli attenti: peggio di un Cadetto alla prima ora del primo giorno del primo anno di addestramento. E come se non bastasse devo fare la balia anche ad una bimbetta Hastur viziata che ha il solo merito di avere in pieno i donas della sua famiglia."
Il breve sfogo mi fece bene, anche se la mia espressione visibilmente corrucciata venne intesa dal povero Kelan come preoccupazione per Shonnach, cosa che invece in quel momento era proprio sparita dai miei pensieri.
Cavalcammo lentamente per due ore prima di essere raggiunti dalla piccola spedizione di soccorso: era quasi mezzogiorno e ci eravamo appena fermati sia per rifocillarsi che per far riposare Shonnach e gli animali.
Leonie Hastur, a cavallo di un chervine, precedeva di qualche metro una Rinunciataria un po' anziana ed una piccola lettiga condotta da un kyrri.
«Vai Domna,» la salutai, ignorando volutamente il velo cremisi che aveva indossato sopra agli abiti da cavallerizza, «mi spiace averti distolto dai tuoi studi, avrei preferito incontrarti direttamente alla Torre, ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe.»
«La Custode ci ha detto di venirvi incontro,» rispose senza scomporsi. «Spero di poter essere utile.»
Mentalmente aggiunse: "Dom Anndra, mi ha detto Rohana che sono qui per imparare, ed è quello che ho intenzione di fare."
Il suo tono non era altero, anzi, sembrava proprio sincera e non potei far altro che inviarle un silenzioso cenno di assenso. Nel frattempo Elaine e l'altra Rinunciataria avevano fatto sdraiare Shonnach sulla lettiga (la sua mancanza di proteste verso questa premura era significativa del suo stato) e le avevano tagliato la manica della tunica, scoprendo un avambraccio gonfio e tumefatto. Gli unici occhi che rimasero inespressivi furono quelli gialli del kyrri.
Mi chinai sulla ferita con Leonie accanto e Kelan appena dietro di lei.
"Come vedi è una brutta frattura e fa molto male. Se invece di lei ci trovassimo di fronte ad un'altra donna, la sentiresti urlare."
"Vai avanti," mi rispose impassibile.
Posi ambedue le mani a pochi centimetri dal braccio della donna e le feci vedere come evidenziare prima i canali dell'energon, turgidi, di un cupo color rosso fegato; poi la struttura dei muscoli e delle ossa. Anche Leonie tese le sue mani sul braccio della donna, e non potei fare a meno di notare le piccole bianche cicatrici che le segnavano. "Il vero addestramento è già iniziato," mi dissi, "forse è per questo che è un po' meno presuntuosa di prima."
"Per prima cosa è necessario intervenire su questi 'nodi' che provocano il dolore. Io l'ho già fatto due ore fa, ma ora, come vedi, sono di nuovo gonfi ed infiammati." Protesi la mente e li toccai delicatamente ad uno ad uno. Ogni volta che li sfioravo perdevano un po' di colore e si sgonfiavano impercettibilmente. Sentii all'improvviso la mente di Leonie che si affiancava alla mia: al mio tocco si aggiunse il suo, incredibilmente potente, anche se incerto. Fu come se avesse posto le sue mani sopra le mie; ed insieme sotto la forza delle nostre mani, anche i nodi più turgidi si sgonfiavano ed assumevano un normale colore arancio.
Alzai lo sguardo per sbirciare Shonnach: vidi che era tranquilla e visibilmente più rilassata. Mi resi conto che Kelan, dietro di noi, ci stava controllando con la sua solita abilità.
Fu poi la volta dell'osso: feci vedere a Leonie come avvicinare fra loro le cellule lacerate e stimolarle a ricrescere.
"Ecco fatto," conclusi, "il processo deve andare avanti da solo, noi gli diamo solo una spinta. Ecco, devi stare attenta a chiudere tutti i piccoli vasi sanguigni, altrimenti l'emorragia non si ferma. Ecco, così, brava."
Avevamo finito, finalmente, e feci cenno ad Elaine di fasciare nuovamente la ferita. Alzai lo sguardo e vidi che il sole sfiorava le cime degli alberi: erano passate quasi tre ore. Saremmo arrivati alla Torre poco prima che scendesse il buio. Shonnach si era assopita e respirava tranquillamente.
Tirai fuori dalla sacca della sella una manciata di fichi secchi e ne detti la metà a Leonie, che li addentò senza farsi pregare due volte: anche lei era sfinita. «Leronis,» le dissi, «posso cavalcare accanto a te?»
«Volentieri parente,» mi rispose con l'inflessione che significa zio, «abbiamo ancora un'ora di cammino e dovete spiegarmi molte, molte cose.»
Ci avviammo fianco a fianco verso Neskaya.



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Non so perché, ma ho sempre allegramente detestato i kyrri. Forse sarà per quella loro totale indifferenza a quello che invece agita noi umani, per quella totale impermeabilità telepatica (caratteristica questa che li rende indispensabili nelle Torri), per i loro verdi occhi inespressivi... Fatto sta che quando fui accompagnato davanti alla porta dell'alloggio privato della Custode ed il kyrri che mi scortava (dopo aver sentito Rohana rispondere "vieni pure, Anndra") se ne andò in silenzio, mi sentii meglio. Entrai nella disadorna stanza di Rohana, senza meravigliarmi per la penombra che avvolgeva i pochi mobili ed il letto. Lei se ne stava seduta in poltrona, con le mani abbandonate in grembo e gli occhi chiusi. Indossava come d'obbligo abiti di color cremisi, ma senza tanti veli e svolazzi. Per la millesima volta non potei che sentirmi soggiogato dalla sua forte personalità: i suoi occhi non vedono più la neve dell'inverno da molti Solstizi, ma il suo sguardo mentale era forte come l'acciaio dei migliori pugnali delle Terre Aride, saldo come le mura incantate di Castel Comyn.
«Siediti, Anndra, immagino che ti sarai posto mille domande.» Naturalmente non mi chiese cosa era successo, sapeva già tutto di tutti e sentivo il suo compiacimento per il buon comportamento di Leonie. Le aprii la mente di quel tanto perché potesse leggere tutto quello che voleva sapere e mi accomodai su uno scranno in legno intagliato, forse l'unico lusso che si permetteva.
«Beh, a molte di esse ho già trovato una risposta, ma perché non mi hai detto tutto prima?»
«Tu sei dotato in pieno dei poteri degli Hastur, anche se non ne hai piena coscienza, Ma paghi questi tuoi doni con una pigrizia di fondo che ti porta ad evitare le difficoltà, se appena è possibile. Poi, se vuoi, non sei secondo a nessuno. Leonie ti somiglia tantissimo, ma lei è più impulsiva...»
«Molto più giovane,» la interruppi, «e più dotata.»
«Sì, se sopporterà l'addestramento diventerà una grande Custode. È molto difficile tenerla a freno, e soprattutto tenere a freno il suo orgoglio. Ma non si stava parlando di quella ragazzetta piena di sé, si stava parlando di te, Anndra Castamyr y Ardais y Hastur, già terzo della Torre di Neskaya...»
«Già,» brontolai fra me con una punta di amarezza nella voce, «ed ora sesto o settimo di una Torre nascosta.»
«Tu sarai sempre il terzo del primo Cerchio di questa Torre, ricordalo.» Aprì gli occhi ciechi come se potesse osservarmi meglio e nella penombra della sera il rosso sangue del sole basso sull'orizzonte brillò nelle orbite spente. «Ti ho mandato IO ad Elvas, non te ne saresti mai andato se non ti avessi dato il permesso. Tu sei sempre uno di noi, non te lo dimenticare.»
«No, non più. Ora sono ad Elvas, ed ho una nuova Custode. È a lei che devo fedeltà ed obbedienza, anche se naturalmente il mio cuore è sempre qui.» Lo dissi con forza, ma anche con amarezza. Sarei sempre stato figlio di due padri? Uno naturale ed uno adottivo? Era questo il mio destino?
Rohana dovette raccogliere qualche brandello di questo mio pensiero, perché la sua voce si fece più dolce. Richiuse gli occhi e mi sfiorò appena un polso con le dita.
«Non temere, Anndra, non sei una pedina nelle mani mie e di Fiona... o delle altre Custodi. C'è un grande sogno nelle Torri e tu sei parte di esso, come me, come Fiona, come Marelie, come tutte le altre. Ognuno dovrà fare la sua parte, e tu la tua.» La sua voce suonò divertita: «Sei sempre stato indisciplinato in una cosa, qui a Neskaya... ti sei avventurato spesso nel Sopramondo senza permesso e senza qualcuno che ti controllasse. E ti sei spinto molto più oltre di quanto avessi mai pensato fosse possibile.»
Si alzò, ed il suo era inequivocabilmente un congedo: «Al momento opportuno saprai cosa ci si attende da te.»


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Tornai nel mio vecchio alloggio, una stanzetta disadorna più ancora di quella di Elvas, più confuso ed irritato che mai. Tutti questi misteri mi stavano decisamente dando fastidio. Certo, Rohana Ardais aveva ragione a parlare della mia pigrizia: ma cosa è la pigrizia per una Custode? Per una... (non riuscii a formulare il termine neanche a me stesso) che vive venti ore al giorno solo e solamente nella Torre, per la Torre e che soprattutto 'È la Torre fatta essere umano'. Ero stanco per il viaggio, affamato come non mai (nonostante avessi mangiato come un lupo degli Hellers) per l'intervento su Shonnach, e soprattutto preoccupato perché non sapevo esattamente dove avrebbe portato tutto questo. Scesi al piano terreno ed entrai nella stanza da bagno riservata agli ospiti (dopotutto ero un ospite, no!), la più bella di tutta Neskaya. Mi rassegnai ai due kyrri che mi scortarono ed accompagnarono fino alla vasca piena d'acqua termale bollente. Per la millesima volta fissai per un attimo quegli occhiacci inespressivi (questi erano decisamente verdi, anche se ogni tanto mi sembrava di percepirli - forse con la mente - gialli) e feci uno sberleffo mentale. Inutile, naturalmente, tutti sanno che loro sono totalmente atelepatici. Ma lo feci e lo ripetei nuovamente, con la stupida allegria di un ragazzino. Lasciai che mi aiutassero a spogliarmi e mi immersi nell'acqua caldissima e fumante. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal benessere rilassante della carezza dell'acqua... Il disegno complessivo cominciava a presentarsi più coerente alla mia mente. La vallata di Elvas, strettissimo e naturale confine tra i Domini degli Ardais e degli Aldaran è anche vicina ad un vecchio castello dei MacAran. In passato era sicuramente un punto strategico importantissimo, tanto è vero che nelle ere del Caos l'intera zona venne abbondantemente percorsa da guerre di ogni genere e tipo, fino alla distruzione totale della valle e dei suoi abitanti. Polvere mangiaossa sicuramente, ma probabilmente anche quella maledetta pece magica che bruciava tutto senza spegnersi mai.
Ed ora, di nuovo abitabile, era stata oggetto di un misterioso e grandioso esperimento da parte delle Custodi delle Torri. E segreto, probabilmente. Ed io mi trovavo in mezzo a questa storia. "Sai qual è l'aspetto più preoccupante?" mi dissi "È che mi attira, nonostante tutto." O forse era la prospettiva di fare finalmente qualcosa per cui valesse la pena vivere. Neanche Rohana conosceva in piena misura il mio potenziale laran. Esso era cresciuto e maturato molto lentamente negli anni, ed io stesso non ne avevo mai saggiato fino in fondo le potenzialità. Ma come dice il proverbio 'è sbagliato tenere in catene un drago solo per arrostirsi la carne', e a questo punto non potevo e soprattutto non volevo tornare indietro. Feci un rapido esame di coscienza e trovai che in fondo il potere non era la molla che mi spingeva. Quello che mi spingeva era la curiosità, il sapere per il sapere, la potenzialità laran spinta fino ai limiti estremi per il solo gusto di vedere quanto era forte in me. Poi il resto era solo il gheriglio della noce.
Risi tra me. Da ragazzo ero stato disprezzato per la mia totale inattitudine a manovrare una spada e per il mio disinteresse per gli aspetti economici di un Dominio. Che in ogni caso non mi avrebbe riguardato. Il mio sangue Hastur era abbondantemente ignorato da tutto il Consiglio, né c'era qualcuno a cui potesse far comodo. In quel momento mi venne in mente Leonie. Perché mi aveva chiamato parente, possibile che lei sapesse? Forse sì e forse no. Rohana (che naturalmente sapeva tutto di me) non poteva averle detto nulla, e poi... io non ero certo un oggetto interessante, né da un punto di vista politico, né da un punto di vista finanziario.
Accantonai il problema, al momento non risolvibile. Feci un cenno ai due kyrri che, impassibili e senza far trasparire il più piccolo accenno di noia, erano in attesa con dei teli caldi ed uscii dalla vasca per farmi asciugare. Sempre caldo per il lungo bagno, risalii velocemente le scale e ritornai in camera. Il sonno non tardò ad arrivare.


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Quando mi svegliai, la mattina dopo, stava nevicando fittamente e non era certo possibile rimettersi in viaggio. Aspettai un orario più decente e poi andai a cercare Rohana.
«Custode, la salutai inchinandomi come si conveniva, vorrei parlare un momento con te.»
«Certamente, Anndra, abbiamo ancora diverse cose da dirci,» mi rispose facendomi strada fino alla sua stanza di lavoro. Appena entrato notai immediatamente una cosa che non avevo mai visto: una piccola griglia, grande quanto una ciotola, sistemata in un angolo, e con una sequenza di piccole schegge di matrice e fili di rame che assomigliavano... beh, assomigliavano quasi ad una matrice trappola.
«Non è una matrice trappola,» riprese Rohana dopo aver chiuso la porta, «è solo il motivo del tuo viaggio.» Proseguì fino ad una madia in legno massiccio che sapevo contenere vari strumenti ed un nascondiglio per le matrici vergini. Aprì uno sportello, pesantemente foderato all'interno da seta isolante. Ne trasse una serie dei familiari nodi vergini che vengono utilizzati negli schermi e nei relais più grandi. Questi, però, avevano una sequenza leggermente diversa e delle saldature ed intrecci vagamente... come dire... sbagliati.
«Sono i nodi che vi servono,» mi sfiorò un attimo la mente imprimendovi degli schemi per me in massima parte nuovi, «e che dovrai montare ad Elvas secondo lo schema che ora conosci. Io non posso fare di più. L'altro obiettivo del tuo viaggio lo raggiungerai solo ad Arilinn. Io normalmente viaggio nel Sopramondo solo quando è strettamente necessario. Certi livelli e certi piani li ho solo sfiorati, mai approfonditi. Marelie di Arilinn ti accompagnerà fin dove le sarà possibile, fin dove Ashara di Thendara l'ha accompagnata. Poi toccherà a te. Da solo.»
Ancora una volta le cieche orbite dei suoi occhi si alzarono direttamente verso il mio viso. Lessi in lei preoccupazione e timore (preoccupazione e timore in una Custode? Dove stava andando il mondo?).
«Anndra, stai attento e sii prudente,» riprese. «Soprattutto sii prudente. Sarebbe offensivo per Fiona, con cui ho comunicato solo mezz'ora fa, dirti 'fatti controllare in modo adeguato'.» La sua voce diventò quasi un sussurro mentale: «Assicurati di avere intorno non solo dei controllori validi, ma soprattutto delle riserve di energia laran quasi illimitate da parte del Cerchio. Da Neskaya e da Arilinn ti aiuteremo per quello che è possibile, ma il Cerchio che deve funzionare bene è quello di Elvas. Fiona e Damon da soli non bastano.» Tacque, ed il suo era un silenzio che non chiedeva risposta.
«Rohana,» ripresi invece, «ho da chiederti un breve periodo di addestramento per Kelan. Nessuno gli ha insegnato a controllare adeguatamente la mente quando dorme. I suoi pensieri ed i suoi sogni escono da lui come acqua contenuta il una cisterna di frasche. Non va bene.»
«Che fai vecchio banshee, ti metti a spiare anche i sogni adesso?» alzò la mano per fermare la mia protesta. «Non ti arrabbiare, scherzavo. In quanto a Kelan non credo sarà necessario,» continuò Rohana. «È già venuto da me, preoccupato più per le tue parole che per una vera necessità. Il suo addestramento è già perfetto, questo sono episodi che possono capitare a tutti, specialmente in momenti di tensione. Fiona non lo avrebbe mai scelto come componente del suo Cerchio se non fidasse pianamente di lui... e Fiona è stata Custode in questa Torre per tanti anni quanti sono i miei. Ma,» cambiò improvvisamente discorso, per troncare l'argomento, «hai visto il buon lavoro di Leonie su Shonnach?»
«Sì, io le ho solo fatto vedere cosa doveva fare e come. Poi l'ho solo guidata. È davvero molto brava. Mi sembra anche più malleabile.»
«Forse, dà questa impressione ed io cerco di premiarla quando lo merita,» rise brevemente. «Il fatto è che lo merita raramente. Ha la stoffa per diventare un'ottima Custode, e lo diventerà... se saprà dominare il suo carattere.»
Mi sembrava il momento giusto per porle la domanda che mi bruciava sulle labbra dalla sera prima e con il tono più indifferente che riuscii a modulare chiesi: «Cosa ci devo andare a fare nel Sopramondo? E soprattutto, dove mi deve portare Marelie?»
Rohana si alzò, ed avvicinatasi fece un gesto di rara intimità, posandomi lievemente una mano sulla spalla. «Ogni cosa a suo tempo, non essere impaziente. È una virtù che viene chiesta a tutti nelle Torri, ma che a certi livelli deve essere affinata e temprata come una lama sul fuoco. Non sta a me dirti cosa devi vedere, né cosa devi fare.» Si allontanò andando verso una delle finestre. Il suo passo sicuro avrebbe ingannato chiunque non fosse a conoscenza della sua cecità. Aprì un'imposta e lasciò che qualche fiocco di neve si posasse sul suo abito cremisi: quasi per magia mi sembrò giovane e bellissima.
«Potessi verrei con te, ma non ne ho la possibilità né la forza. Quando tornerai, la prossima volta, spero di aver molto più tempo da dedicarti.»
Ero come incantato e fissavo la sua silhouette stagliata contro il cielo grigio e gonfio di neve, una volta tanto senza parole.
Poi richiuse la finestra e tornò ad essere la mia vecchia Custode di sempre. «Ora puoi andare, ho molto da lavorare, anche stanotte. Che il Signore della Luce ti accompagni.» La mattina dopo partii verso Arilinn.


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Questa nuova tappa si presentava più lunga, ma sicuramente meno difficile e pericolosa. A Neskaya ci avevano fornito, in sostituzione dell'infortunata Shonnach, la guida di un'altra Rinunciataria della Loggia locale, Camilla n'ha Jolanda, una ragazza giovanissima e taciturna, che però conosceva bene tutte le strade e le scorciatoie. La strada principale puntava decisamente a sud, passando da Hali e da Thendara, per poi inoltrarsi nelle fertili terre della Piana di Arilinn. Camilla invece ci convinse a prendere la strada ad ovest, verso Mariposa, poi viaggiare su strade secondarie e piste in mezzo ai boschi e passare a sud del lago, e andare a riprendere la strada che da Armida porta ad Arilinn. Il percorso era sicuramente più breve di almeno tre giorni, anche se avremmo dovuto spesso fare a meno delle locande che costellano le strade principali.
"Quando sei a Temora, mangia il pesce," dissi tra me, rassegnandomi ad almeno altre quattro o cinque nottate da passare se non all'addiaccio, in uno degli innumerevoli rifugi per viaggiatori che si trovano nel nostro mondo. E i fatti mi diedero ragione. A parte la prima notte, passata in una grande e comoda locanda sulla strada per Armida, le due successive erano state trascorse in un rifugio, freddo, polveroso e come al solito pieno di topi. Ed anche quella giornata, iniziata con il freddo vento degli Hellers che riusciva a sputarci in faccia il nevischio anche in mezzo ai boschi, non sembrava promettere meglio. Camilla apriva la strada, precedendoci di almeno trecento passi, controllando il sentiero. Io pensavo ai due chervine, legati fra loro e che tiravo con una lunga cavezza. Elaine chiudeva la marcia venti passi addietro, fermandosi ogni tanto per ascoltare i rumori del bosco. Era una zona tranquilla, ma le precauzioni non erano mai troppe. Ogni tanto degli uomini-gatto scendevano dalle colline spinti dalla fame, ed in quel caso l'unica medicina che li costringeva a tornarsene indietro era a base di ferro. Ferro di spada, s'intende. La nostra era una piccola carovana, cinque bestie e tre umani che viaggiavano senza insegne e senza carichi di merce, e poteva non far gola. Ma certamente, l'esiguità del numero, avrebbe potuto invogliare qualcuno di quegli esseri, sempre affamati e a corto di tutto. Verso le nove il vento aumentò di intensità, ed il nevischio divenne neve vera, di quella che in poche ore riesce a bloccare le strade. Chiamai a gran voce Camilla (non era telepatica e potevo usare solo la voce), ma inutilmente. Elaine, allarmata, mi raggiunse e superò, cercando di raggiungerla ed io mi ritrovai solo, col mantello tirato fin sopra gli occhi e facendomi guidare dal cavallo.
Fu così che mi persi: attraversando una vasta spianata in mezzo agli alberi. La neve ed il vento mi assalirono da tutte le parti, e quando rientrai nel bosco, al riparo dei pini, avevo ormai perso il sentiero. Stupidamente, dando retta al mio maledetto orgoglio di comyn (perché solo di questo si poteva trattare) cercai di cavarmela da solo. E, appunto, mi persi. Vagai nel bosco per almeno un'ora, mentre la poca luce che filtrava tra gli alberi cominciava a diminuire in modo allarmante. Fino a che trovai, al limitare di una piccola radura, prima i segni di un sentiero, poi un piccolo rifugio per viaggiatori. Fortunatamente la stalla era sufficiente per i miei animali (più sfiniti di me) e ben fornita di fieno dell'ultima mietitura. Tolsi loro sella e basti, presi le bisacce ed entrai nel rifugio vero e proprio. Era piccolo, dieci passi per venti, con solo una finestra ed un camino nell'angolo. Anche la provvista di legna e di carne secca era stata appena ripianata in vista dell'inverno ormai vicino. Accatastai quattro o cinque pezzi di legno nel camino, ed ignorando la selce e l'esca, con un piccolo schiocco accesi il fuoco. In casi come questo il laran è davvero molto utile, specialmente se ti concede una facoltà pirocinetica. Sistemati gli animali ed acceso il fuoco, potevo occuparmi della mia scorta.
Non ci fu neanche bisogno di tirar fuori la matrice, Elaine mi rispose subito: "Dom! dove sei? È tanto che ti cerco!" era visibilmente allarmata.
Sono in un rifugio, già al caldo e con gli animali al sicuro nella stalla, risposi un po' seccato. Quelle due donne dovevano farmi da scorta e poi invece ero io a dovermi preoccupare per loro. "Camilla è con te?"
"No, non sono riuscita a rintracciarla, mi sono persa anch'io quando la neve ha cominciato a coprire le tracce. Poi ho cercato di tornare indietro per ritrovarti... e da un'ora sto vagando nel bosco." L'amarezza nel suo pensiero era evidente.
"Camilla non ha laran, non la posso rintracciare, spero che abbia il buon senso di fermarsi prima di notte in qualche riparo. In quanto a te, cerca di raggiungermi. Guarda come devi fare..."
Le trasmisi l'immagine di un segnale acceso in una torre antincendio, invitandola a puntare verso di essa. Per fortuna aveva un buon addestramento e poi il vento cominciò a calare e la bufera divenne una semplice nevicata. Tirai un sospiro di sollievo. Anche Camilla, prima di sera, avrebbe sicuramente raggiunto o noi o un rifugio sicuro. A mezzogiorno il sole fece capolino dalle nuvole e la temperatura si innalzò di diversi gradi, cominciando a sciogliere la neve. Mi sentii euforico, dopo tutti i guai della mattinata avremmo potuto avere un po' di pace e di tranquillità. Mi avventurai a piedi fino al limitare del bosco, sperando di vedere la mia scorta: neanche fossi un Aldaran, nel giro di pochi minuti vidi Elaine sbucare dall'altra parte della foresta. Le andai incontro, dopo essermi tolto la tunica foderata di pelliccia per il gran caldo che sentivo. Anche lei aveva le guance arrossate dal caldo. Smontò da cavallo e mi corse incontro:
«Vai dom, ero tanto in pensiero per te!»
Non mi riuscì di risponderle bruscamente come avrei voluto. Anzi, non le volevo rispondere bruscamente, perché avrei dovuto?
Presi le briglie del suo cavallo e lo portai nella piccola stalla, legandolo accanto agli altri. Anche gli animali erano irrequieti, ed io avrei dovuto accorgermene, Ma non me ne accorsi. Come vidi, ma non volli vedere (forse ormai non potevo più), che nella radura, tra l'erba che faceva capolino dalla neve, si aprivano a decine dei fiori azzurri a campanula, ripieni di polvere dorata che si spargeva nell'aria, portata dal vento.
Sentii, forti nella mente, i richiami di Elaine.
"Vieni al riparo
può essere pericoloso
sono fiori di
kireseth
vieni vieni..."
Andai verso il rifugio ormai stordito e con la testa che mi girava. Certo, era il Vento Fantasma, e allora? A volte ci sono delle fioriture improvvise quando la temperatura sale di colpo. E allora? Elaine mi venne incontro sul prato, con i capelli color oro che brillavano al sole. Sembrava quasi volare e divertirsi a saltare da una chiazza di neve all'altra. Sentii i miei sensi diventare sempre più acuti, mentre il mondo rallentava il suo corso. Tutto si muoveva più lentamente. Gli insetti, gli uccelli... vidi due conigli rincorrersi e sparire tra gli alberi. Elaine mi raggiunse e mi prese per mano, portandomi via, verso il rifugio. Anche il fuoco sembrava immenso, e l'odore della resina dei tronchi che bruciavano aggiunse stordimento a stordimento.
Il contatto fisico aveva amplificato ed acuito il rapporto mentale, e mi sembrava di galleggiare nell'aria. Mi sdraiai su pelle stesa davanti al camino. La donna si stagliò davanti al fuoco, e la sua improvvisa nudità fu ammorbidita e scurita dal controluce davanti alla fiamma. La sua figura tremolava nell'aria, come dicono che succede nelle Terre Aride durante la stagione calda, e poi assunse contorni irreali come se fosse nel Sopramondo.
Ed io cercai disperatamente di restare IO, poi mi sdoppiai e vidi Anndra, me, anch'esso vestito della sola luce del fuoco accanto alla donna. E poi io fui fuoco e lei fu legno, lei fiamma ed io brace e ci perdemmo in un crepitio di scintille, annullandoci l'uno nell'altra.
Non saprò mai per quanto tempo rimanemmo stesi a fianco a fianco, davanti al camino, accarezzandoci e baciandoci, fusi in una intimità mentale dolcissima.
Ma tutto finisce, e svanisce come nei sogni, e pian piano riprendemmo coscienza di noi stessi, del tempo che passava, del buio che scendeva nella stanza, della neve che aveva ripreso a cadere leggera, seppellendo in un bianco abbraccio le campanule blu e l'effetto del polline dorato.
Improvvisamente sentii freddo e mi sentii di nuovo mentalmente lucido. La donna riposava accanto a me ad occhi chiusi, ma, sfiorandole la mente, sentii che anche lei era di nuovo vigile ed attenta al mondo esterno. Eravamo sempre in contatto mentale e sentii che era riluttante a scioglierlo, per cui fu molto difficile ed impegnativo svincolarsi senza offenderla.
Nel momento in cui le lasciai del tutto la mente, sentii il suo corpo cedere al sonno, in piena sicurezza e tranquillità. Allora mi alzai e mi rivestii, non prima di averle steso addosso la mia e la sua pelliccia e riattizzai il fuoco nel camino.
Fuori era buio e continuava a nevicare, con fiocchi radi ma grandi e pesanti: l'indomani forse sarebbe stato possibile ripartire. Andai nella stalla a controllare gli animali, feci il giro del rifugio, rinnovai la provvista della legna. E mi resi conto che in realtà cercavo di non pensare a quello che era successo fra me e la Rinunciataria. Non sono mai stato un amatore di uomini, un ombredin, ed ho sempre apprezzato un sano e robusto accandir... ma sempre con donne non telepati, per mantenere salda ed inviolata la mia intimità mentale. Anche nella Torre (nel Cerchio è impossibile mantenere segrete le proprie pulsioni) la cosa era risaputa e nessuna delle donne telepati che erano venute in contatto con me in quegli anni aveva insistito più di tanto. La Custode aveva provveduto sempre a mantenere stabile il suo Cerchio anche da questo punto di vista, riuscendoci anche grazie agli immensi carichi di lavoro che mi assegnava. Per cui erano pochi i momenti in cui potevo disporre in pieno della mia potenzialità sessuale. Ma anche quando ero in pieno vigore, cercavo di rifuggire dalle occasioni, soprattutto da quelle troppo facili: erano anche troppo le donne interessate più che alla mia persona, alla possibilità di un figlio dotato di laran. Naturalmente non potevano sapere che mi facevo sempre scrupolo di non avere mai un figlio nedestro, per evitargli la mia sorte. Inevitabilmente erano sempre stati contatti freddi ed anonimi, privi della completezza dell'amplesso fisico che si fonde con quello mentale: in quel senso io avevo appena perso la mia verginità, e la cosa più sconcertante era... che non mi dispiaceva affatto.
Maledii mentalmente il Vento Fantasma, il kireseth, le anomalie climatiche, la necessità di questo viaggio... lo feci mille volte... ma poi il pensiero ritornava sempre allo stesso punto, alle stesse sensazioni, allo stesso languido benessere che si era intrufolato nelle mie membra. Ritornai nel rifugio e mi intrufolai sotto le pellicce, accanto al suo corpo morbido e caldo, sentendomi per la prima volta felice ed appagato.


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Mi svegliai di colpo, subito lucido e pronto, solo un battito di ciglia prima della donna, che si alzò di scatto e dopo aver rapidamente indossato la tunica sfilò la spada dal fodero. Anch'io mi rivestii con la stessa velocità, sguainando la mia di spada, cioè protendendo la mente alla ricerca del motivo che aveva attivato le nostre difese mentali. "Lupi," pensai in un primo momento, poi scartai l'idea: pur non avendo il tocco dei MacAran ero in grado di sentire che gli animali erano tranquilli. Era già mattino e nel cielo sereno occhieggiavano soltanto Idriel e Mormallor.
"È un tintinnio di finimenti," trasmisi finalmente ad Elaine, "andiamo a sellare i cavalli, potrebbe esserci bisogno di andar via al gran galoppo. Se dovessimo scappare, appena fuori lascia andare i chervine, faranno da esca."
Le mandai un rapido cenno di assenso, e prese le bisacce da sella mi seguì fino alla stalla. Rapidamente sellammo i cavalli e sciogliemmo i chervine, in attesa.
Il rumore divenne inequivocabilmente quello di un cavallo al passo e mi tranquillizzai; sentii che la mia compagna aveva infilato nuovamente la corta spada nel fodero.
Dal bosco spuntò una figura a cavallo... era lei, Camilla, che spuntava chissà da dove dopo una nottata passata non si sa bene come. Arrivata ad una trentina di metri dal rifugio, notando le tracce fresche sulla neve ghiacciata, senza scendere da cavallo e con la spada sguainata messa di traverso sulla sella, si fermò.
Uscimmo subito dalla stalla andandole incontro e facendole festa. Era stanca e con due profonde occhiaie, ma visibilmente felice di averci ritrovato.
«Vieni dentro Mestra, ti preparo subito del jaco caldo,» dissi aiutandola a scendere da cavallo e portandola dentro il rifugio. Riattizzai il fuoco e misi ad asciugare il suo mantello sempre incrostato di ghiaccio.
Nel frattempo Elaine aveva preso le redini del cavallo e l'aveva portato nella stalla, provvedendo ad accudirlo.
«Come hai passato la notte? E come ci hai ritrovati?» le chiesi mettendole in mano un boccale di jaco bollente ed una barra di frutta secca e miele.
«Quando è iniziata la tempesta, ho cercato di tornare subito indietro per ricongiungermi a voi, ma ero in una piccola radura esposta al vento ed in pochi istanti ho perso l'orientamento. Non mi era mai successo! Il cavallo girava in tondo e non riuscivo neanche a rientrare nel bosco. Poi finalmente mi sono trovata un po' più al riparo tra le piante ed ho cominciato a chiamarvi, ma non mi sentivate. Ho vagato per un paio d'ore, senza riuscire a trovar traccia del sentiero. Poi il tempo è migliorato improvvisamente e mi sono orientata un po': ho visto del fumo in lontananza ed ho pensato che fosse uno di voi. Ma il cavallo si è imbizzarrito ed ha cominciato a correre senza che desse retta al morso. Mi ha disarcionato e sono caduta battendo la testa.» Si toccò con cautela la testa e continuò. «Devo essere stata svenuta per un bel pezzo, perché quando ho ripreso conoscenza era quasi buio. Per fortuna il cavallo era tornato a cercarmi, per cui dopo aver trovato un posto un po' riparato ho montato la tenda ed ho passato la notte al coperto. Stamani ho ripreso la direzione verso il fumo che avevo visto... e per fortuna eravate voi e non dei banditi o degli uomini-gatto.»
«Sei stata in gamba,» le dissi, «ora riposati una mezz'ora, poi ripartiamo. Abbiamo già perso troppo tempo. Se cominciano queste bufere rischiamo di trovare i passi chiusi al ritorno. Quanto siamo lontani dalla prossima locanda?»
«Forse cinque ore, al massimo sei,» disse sdraiandosi sulla pelliccia accanto al camino ed addormentandosi quasi subito.
Nella stanza scese il silenzio, ma quando accennai a parlare Elaine mise il dito sul naso facendo cenno di non parlare.
"Non si è accorta del Vento Fantasma," mi trasmise.
"Il cavallo però sì," risi io, "e le ha fatto quello scherzetto. Le è proprio andata bene."
"È andata bene a te," ribatté nel medesimo tono leggero, "pensa se ti fossi trovato al rifugio con noi due insieme..."
"Mi sarei rifugiato nella stalla, sbarrando la porta."
"Davvero?" Mi si avvicinò, sfiorandomi leggermente un polso con le dita, dopo essersi accertata che l'altra Rinunciataria dormisse veramente.
"Ti avrei costretto ad aprire la porta," disse. "Naturalmente dopo aver obbligato Camilla a dormire. Lo sai, vero, che sono una Alton."
Sentii un leggero brivido corrermi lungo la schiena. "Avresti usato la Voce?"
"Con te? No davvero."
Sentii che protendeva la sua mente a cercare la mia, e la aprii di nuovo meravigliandomi per la facilità con cui riuscivo a farlo. Le nostre menti si sfiorarono e cominciarono ad accarezzarsi e a penetrare l'una nell'altra, a fondersi come l'acqua fa col vino... e al tempo stesso rimanere sempre vino ed acqua. Elaine nel frattempo mi aveva preso per mano e mi aveva guidato fuori dal rifugio: la seguii fino alla stalla, senza opporre alcuna resistenza. Anche perché non ne avevo la minima intenzione.


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Quella sera dormimmo in una locanda a Mariposa. Il villaggio, che d'estate arriva ad avere anche più di seicento abitanti, aveva un aspetto triste e si vedeva poca gente in giro. Anche la locanda era quasi semivuota. Ripartimmo la mattina dopo di buon'ora, prendendo l'ennesima scorciatoia per evitare l'attraversamento di Armida. Camilla conosceva il territorio davvero alla perfezione, e riuscì a farci arrivare ad Arilinn in soli tre giorni, grazie anche ad un tempo favorevole. Nella Piana di Arilinn era davvero ancora solo autunno e nevicava solo di notte e neanche tutte le notti. Le locande erano tutte grandi e dotate di bagni ampi e ben tenuti e le soste erano veramente piacevoli. Non correvamo più grandi pericoli, per cui viaggiavamo tutti insieme e potevamo chiacchierare per ingannare il tempo. Elaine era tornata quella di sempre, attenta e scrupolosa, solo che rifuggiva dal contatto mentale ed anche quando aveva da dirmi qualcosa lo faceva parlando, sicuramente per non far sentire esclusa l'altra Rinunciataria.
Finalmente, verso sera, arrivammo ad Arilinn. Le due Rinunciatarie mi accompagnarono fino al complesso della Torre e ritornarono in città, alla loro Casa. Un paio di famigli si occuparono del mio cavallo e del mio bagaglio, affidandomi ad un kyrri perché mi accompagnasse alla Torre vera e propria. Attraversato il Velo, mi trovai in un vasto locale e fui accolto da un giovane minuto, con il viso pieno di lentiggini fino all'incredibile e i capelli di un rosso così chiaro da sembrare biondi.
«Vai Dom Anndra Castamir, sono Eric Ridenow,» si presentò, «monitore, ma sempre confinato ai relais,» concluse ridendo. «La Custode si scusa, ma in questo momento è molto impegnata e mi ha pregato di farvi rifocillare e mostrarvi la vostra camera.»
Nonostante desse un'impressione di fragilità (era così magro e chiaro di pelle che avrei potuto facilmente tracciare una mappa di tutte le sue vene), Eric era più scattante di un cavallo di Armida. Prima mi portò in cucina dove mi servirono polenta appena scodellata, salsa di noci e coniglio in umido. Si servì anch'egli abbondantemente ("Sono di turno stanotte," si giustificò) usando un cucchiaio di legno così grande da sembrare un mestolo. Poi mi fece vedere dove poter fare un bagno caldo e mi lasciò infine sulla porta di una stanza per gli ospiti, ancora più spartana di quella di Neskaya. Ero stanchissimo: non feci in tempo neanche a sfilarmi gli stivali, mi buttai sul letto e mi addormentai immediatamente.


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Una mano mi scosse leggermente e con un leggero mugugno aprii gli occhi... e sobbalzai, alla vista di due verdi occhiacci da gatto che mi fissavano impassibili. Non mi presi neanche la briga di imprecare, tanto con i kyrri è del tutto inutile. Mi accorsi che qualcuno la sera prima mi aveva spogliato ed infilato in un camicione da notte come quelli che usano negli Hellers, morbido e caldo. Il kyrri, sempre impassibile, mi mise ai piedi due calzari bassi di lana, con la suola in morbido cuoio, facendomi cenno di seguirlo lungo i corridoi della Torre. Mi scortò fino alla stanza da bagno, dove si mise in un angolo in silenziosa attesa. Sospirando mi immersi nell'acqua bollente, rilassandomi completamente. Mi sentivo in forma: tutta la stanchezza dei giorni precedenti era scomparsa come d'incanto. Mi stiracchiai come un gatto facendo cenno al kyrri che poteva avvicinarsi per farmi la barba. Beh, se ci sono delle comodità perché non sfruttarle?
Mezz'ora dopo, fui introdotto nelle studio privato della Custode: Marelie Hastur (conosciuta soprattutto come la Formidabile Marelie).
Era una donna con la tipica fisionomia degli Hastur, pelle chiarissima, capelli rossi tendenti all'oro (che cominciavano ad ingrigire), un'età indefinibile (ma da giovane doveva essere stata bellissima), ma soprattutto un'aria di autorevolezza che permeava ogni suo pur piccolo gesto e movimento. Mi aveva conosciuto quella volta che avevo rintracciato Elaine nel Sopramondo e non potendo far nulla per un essere visibilmente allo stremo nel corpo astrale e pertanto anche in quello fisico, avevo lanciato un disperato messaggio verso Arilinn, trovandomi direttamente in contatto con la Custode. Da allora ci eravamo sentiti qualche volta sempre per motivi tecnici legati agli schermi, ma non ci eravamo mai conosciuti di persona.
«Benvenuto ad Arilinn,» mi disse con una voce incredibilmente giovane e facendo segno di accomodarmi in uno scranno accanto al suo. «Finalmente ci possiamo conoscere di persona.» Fece un cenno ad un kyrri che ci portò due minuscoli bicchieri di cristallo colmi di firi.
«Vai Domna, grazie per l'accoglienza che ho ricevuto nella vostra Torre,» la salutai inchinandomi e restando in piedi, con il bicchiere colmo di firi in mano.
«Siediti Anndra, e lascia perdere i convenevoli. So che avete avuto un viaggio un po' movimentato,» riprese, «ma è stata solo una piccola bufera. Al nord, tra gli Hellers siete abituati a ben altro!» Mi fece un cenno imperioso con la mano: «Forza, siediti e gustiamoci questo liquore, abbiamo molto da fare e da discutere insieme.»
Alzò controluce il piccolo bicchiere, dopo averlo vuotato in un sorso solo, per trarne scintille di luce color del sole.
«Vedi?» riprese, «sembra cristallo, ma non lo è. Questo bicchiere, come il tuo, non è stato fatto dai Mastri vetrai di Shainsa, né dai nostri artigiani di Thendara. Guardane la struttura con il laran, come faresti con una qualsiasi griglia.»
Sfiorai il mio bicchiere con un dito ed esso si tramutò in un reticolo fittissimo di fili dorati. Era incredibile, le geometrie erano perfette. Il bicchiere era sottilissimo, e non solo lo spessore del vetro era identico in ogni suo punto, la vicinanza delle linee indicava una robustezza incredibile...
«Sì,» disse la Custode, «per romperlo dovresti usare il martello della fucina di un fabbro. È un manufatto antichissimo, che forse risale addirittura alle epoche del Caos. Noi non siamo in grado di farne uno uguale, ad un certo punto il vetro comincia a vibrare e va in mille pezzi.»
Si alzò e scagliò con violenza il bicchiere che aveva in mano contro la parete di pietra del camino: si sentì un suono argentino ed il bicchiere rimbalzò più volte indenne sul pavimento.
Marelie fece appena un cenno al kyrri, che si affrettò a raccoglierlo e a pulirlo con un panno di seta che aveva in mano; prese anche il mio, ormai vuoto, gli riservò lo stesso amorevole trattamento e rimise tutto al sicuro in una madia.
«Qui tutto parla di quei tempi antichi, dei tempi in cui avevamo la conoscenza ed i mezzi per fare qualsiasi cosa...»
«Anche la pece magica,» la interruppi io con voce quieta, «e la polvere mangiaossa e chissà cos'altro...»
Mi si avvicinò, ad una distanza quale non avevo mai visto da una Custode, con gli occhi piantati profondamente nei miei. In forte imbarazzo ed inquieto feci un mezzo passo indietro, stupito per questa reazione, inusuale in qualsiasi telepate.
Lasciò i miei occhi e tornò a sedersi, invitandomi a fare altrettanto.
«No, certamente no, né pece magica, né polvere mangiaossa, né altre armi vietate dal Patto. Noi,» ed intesi che parlava delle Custodi, «vogliamo soltanto riportare le Torri al loro antico splendore. Riprendere possesso di tutte le arti mediche che si sono perse, costruire castelli, lastricare strade, migliorare insomma la vita del nostro popolo.»
«Ed il Consiglio che cosa può pensare di tutto questo? E se si tornasse ad un'epoca in cui i Cerchi vengono usati per la guerra? Pensa ad Hali, a Tramontana, a Neskaya, ad Elvas, a chissà quante altre Torri di cui noi non abbiamo più neanche la memoria.»
«Il Consiglio non ne sa nulla, lo sai, Fiona te ne ha già parlato. Né intendiamo informarlo di quello che stiamo facendo. C'è dell'altro, Anndra.» Abbassò il tono della voce fino ad un sussurro e divenne terribilmente seria. In quel momento dimostrò tutti gli anni che aveva. «Tutti i telepati dotati di precognizione sono concordi su un unico punto: un pericolo sconosciuto sembra incombere su Darkover. È una cosa troppo vaga per poter pensare al tipo di pericolo, le immagini sono strane e... come dire... quasi aliene. È anche per questo che noi delle Torri dobbiamo fare qualcosa, e per ora l'unica cosa sensata che possiamo fare è riprendere possesso di tutta la nostra conoscenza attuale... e recuperare almeno parte quella che abbiamo perso. Ti ho segnalato io a Rohana - e devo dire che lei era pienamente d'accordo con le mie valutazioni - per mandarti ad Elvas. L'ho fatto ripensando a come una volta salvasti una mia allieva nel Sopramondo: lei si era persa in un livello pericoloso e tu non solo la raggiungesti, ma per farla tornare la accompagnasti in livelli ancora più distanti, normalmente preclusi a tutti. E poi ti mettesti in contatto con noi con estrema facilità.»
«Me lo ricordo,» dissi, «era una ragazza molto giovane che aveva perso il padre in circostanze tragiche. Non ho mai saputo chi fosse, spero che stia bene adesso.»
Marelie sorrise, facendo un vago cenno con la mano. «Sì, certo, sta bene. Ma ora non è più con noi... ma lasciamo perdere questa storia. Anndra, dovrai tornare nel Sopramondo, non una, ma più volte, e in livelli sempre più lontani. Io ti posso aiutare in una cosa, nell'accompagnarti e farti conoscere le strade per arrivare al livello in cui è possibile il moto attraverso il tempo. Questa è una conoscenza che è rimasta viva solo in questa Torre e che viene tramandata di Custode in Custode. Oltre a me solo Ashara, a Castel Comyn conosce il segreto. Ma ad Ashara Elvas non interessa e non ci darà alcun aiuto.» Si alzò facendomi intendere che il colloquio era finito.
«Vai a mangiare, e nutriti più del necessario. Ci rivedremo stasera. Ora ho da fare.»
«Vai leronis,» la salutai inchinandomi, «a stasera.»


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Passai la giornata girellando per Arilinn; dopo giorni e giorni di cavallo e di foresta un po' di confusione mi faceva bene al cuore. Andai alle stalle per vedere come avevano sistemato i cavalli e poi, dato che era quasi mezzogiorno, andai a cercare una buona locanda dove mangiare. Avevo appena adocchiato un'insegna che mi pareva promettente (Locanda delle tre spade, recitava la scritta sotto a quelli che più che tre spade incrociate sembravano in verità degli spiedi) che mi arrivò la chiamata di Marelie. Le mandai un veloce cenno di assenso e, prefigurandomi una nottata piena di lavoro, entrai nel locale.
Era uno stanzone lungo e stretto, con quattro enormi tavoli rettangolari accostati a due a due alle pareti più lunghe. Fra loro, fronteggiandosi, due grandi camini scoppiettavano allegri, arrostendo pezzi di cacciagione o di pollame su lunghi spiedi. Fu sufficiente far rotolare due sekal sul tavolo per veder accorrere trafelato un oste untuoso sia di modi che di grembiule.
«Vai dom, cosa posso servirvi?» iniziò strofinando un panno lercio e macchiato sul tavolo.
«Intanto un po' di pulizia,» ribattei fra lo scherzoso (poco) ed il serio, «sembra che con quello strofinaccio abbiate pulito il sedere ad una legione di kyorebni. Poi un mezzo pollo, pane di noci ed un mezzo boccale di vino.»
Cominciai a mangiare in silenzio, sentendomi triste. Era la prima volta che mangiavo da solo, dal mio arrivo ad Elvas, naturalmente. Eh, stare in compagnia è davvero una brutta abitudine. Il ricordo di Elaine mi assalì a tradimento, provocandomi un... male fisico... proprio qui, in mezzo al petto. Sentii il cuore aumentare le sue pulsazioni ed automaticamente lo regolai su un battito normale. Il fatto era che... quella donna mi mancava davvero. Non era solo bisogno fisico, anche se le sue carezze mi avevano dato quello che mai avrei pensato potesse esistere... Era l'intimità mentale profonda, totale con un'altra persona, il permeare e farsi penetrare, l'aprirsi fin quasi in fondo al proprio essere ed avere l'accesso a quello dell'altro... Anche se un galateo impresso nelle nostre carni fin da piccoli ci impediva di avventurarsi da soli nei più reconditi recessi di una persona. La sola possibilità di poterlo fare era semplicemente di un... erotismo mentale sconvolgente esaltato ed amplificato dall'erotismo fisico.
Senza nemmeno accorgermene avevo preso in mano la mia matrice (anche se non ne avevo bisogno) e le lanciai un richiamo che doveva essere così accorato che la sua immediata risposta tradiva l'ansia.
"Anndra! Che è successo? Dove sei?"
"Avevo bisogni di sentirti, non ci siamo più visti da ieri, e... non ci siamo parlati più da quella mattina." Sentii che il mio tono non era ancora normale e cercai di calmarmi. Ma indubbiamente qualcosa delle mie emozioni antecedenti doveva essere trapelato, perché la sentii ridacchiare.
"Davvero ti mancavo?"
"Sì."
"Dimmelo ancora."
Non ero abituato a queste schermaglie amorose e la cosa mi innervosì un po'. "Sì, mi manchi, altrimenti perché ti avrei chiamato?"
Mi capì, naturalmente (d'altronde era fatta della stessa pasta) perché in tono più sommesso chiese di nuovo: "Dove sei?"
Le mandai l'immagine della trattoria e nella mente le vidi storcere il naso: "È una bettola sudicia e malandata, invece dei polli servono topi che ingrassano con gli avanzi del cibo. Senti, vieni via, basta che tu vada più avanti di pochi metri. Gira in via degli Aghi, sulla destra c'è Il Ditale d'oro, è modesto, ma pulito. Io sono alla Torre e stavo per andare a pranzare, se vuoi ti raggiungo in cinque minuti. Così mangiamo insieme, Ti va?"
Non me lo feci ripetere due volte. Mi alzai ed andai a cercare l'oste: gli tirai mezzo sekal sul tavolo.
«Questo per comprarvi un grembiule pulito.» E me ne andai, incurante dei brontolii che sentii dietro di me. Trovai subito il posto indicatomi da Elaine: era davvero modesto, ma pulito e ben tenuto. Il legno del pavimento era lucido e nell'aria c'era un buon odore di arrosto. Ordinai per due persone ed riuscii per andarle incontro. Mi sentivo addosso l'impazienza di un ragazzetto alla sua prima Festa del Solstizio; la salutai in modo molto formale, ma lei mi prese il braccio facendomi quasi arrossire. «Che c'è, ti vergogni a farti vedere con una Rinunciataria?» scherzò, «qui ormai non ci fa più caso nessuno. Dai, entriamo!»
Fu tutto buono, anzi buonissimo, anche troppo. Sentivo che c'era qualcosa che mi sfuggiva e non riuscivo a capire cosa, e lei continuava a voler parlare con la voce, impedendomi anche la più piccola sbirciatina nella sua testolina color rame. Poi, evidentemente decise che era il momento di dirmi quello che mi voleva dire, e i suoi occhi si fecero seri e pensosi.
«Sai, stamani sono stata convocata dalla Custode della Torre, e non è stato per nulla piacevole quello che ho dovuto fare,» cominciò, raccontandomi tutti gli avvenimenti della mattinata.
Rimasi un po' a meditare, rimuginando tutto quello che avevo sentito: tutti i pezzi andavano a posto allora, io ero qui per imparare i passaggi che nel Sopramondo portavano ai vari livelli del viaggio nel tempo. Poi, una volta tornato ad Elvas sarebbe iniziato il viaggio vero e proprio.
Elaine mi riscosse: «C'è dell'altro, Anndra...» cominciò.
«No, non aggiungere altro chiya» la interruppi, «immagino già tutto quello che ci sarà da fare. Sarà meglio andare a riposare. Ci aspetta una notte molto lunga.»
L'eccitazione mi era già passata e i miei pensieri erano già tutti rivolti a quella che si preannunciava come un impegno davvero difficile.
«Ti riaccompagno alla Torre.»
Gettai una manciata di monete sul tavolo ed uscimmo in strada.


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Il kyrri mi fece strada fino al laboratorio della Custode, aprì la porta e mi indicò uno sgabello vuoto. Non c'era ancora nessuno e i bagliori giallastri delle lucerne attaccate alle pareti agitavano ombre lunghe e spettrali. "Questa è una delle prime cose da ritrovare," dissi fra me. "Nei libri più antichi si trova traccia di un sistema di illuminazione che non fa uso del fuoco e che non si spegne mai. Quante, quante cose abbiamo perso durante quelle epoche maledette." Vidi in un angolo alcuni libri con fogli di pergamena, dovevano essere antichi: mi alzai e con delicatezza ne aprii uno. Sorrisi, era semplicemente il modo di produrre la polvere di Karalla, con tutte le varie fasi di lavorazione e disegni delle piante.
Sentii aprire la porta e sobbalzai, come un cadetto sorpreso a rubare le carrube ai cavalli.
«I libri antichi mi fanno lo stesso effetto,» mi scusò la Custode vedendo il mio sobbalzo, «ma ora lascia perdere, sono tutte cose che conosci benissimo. Quelli veramente antichi sono conservati in un luogo molto più sicuro.»
Dietro di lei c'era Elaine, stranamente vestita come un operatore della Torre e non con l'abito delle Rinunciatarie.
«Stasera dovrà operare come monitore,» tagliò corto Marelie, «è l'abito adatto. Ma ora sedetevi,» continuò invitandomi con un cenno a prendere posto su una sedia.»
Il suo tono mi incuriosì, anche perché dietro la sua impassibilità sentivo che nascondeva qualcosa.
«Vi lascio soli per una decina di minuti, non di più, poi dobbiamo cominciare a lavorare.» Ed uscì rapidamente dalla stanza. Elaine si era seduta su un divanetto e mi guardava fisso, sorridendo mi fece cenno di andarle accanto. La cercai con la mente e sentii che era contratta, come... timorosa di un qualcosa.
"Oggi ho cercato di parlare con te, ma avevi altro per la testa."
La sua mente era più inaccessibile delle mura di Castel Comyn ed io non provai neppure a saggiarne le difese, era del tutto inutile.
"Dimmi, chiya."
"Stamani sono dovuta entrare in contatto mentale con la Custode," riprese, aprendo di quel tanto la mente per farmi leggere quello che era accaduto. E nulla più di quello.
Rimasi pensieroso per un po' e sempre in leggero contatto mentale. "È per questo che ci devi essere anche tu, naturalmente, ma non capisco la Custode. Poteva semplicemente dirmelo lei. C'è qualcos'altro che devo sapere? Qualcosa di ancor più pericoloso?" Cominciavo a sentirmi inquieto, a me i misteri (naturalmente quelli che mi riguardano direttamente!) non sono mai piaciuti. Qui, poi, c'era un qualcosa che mi sfuggiva. Elaine mi appoggiò il capo sulla spalla chiudendo gli occhi e prendendomi una mano fra le sue. Quel tenerissimo ed intimo gesto allentò la tensione che si era impadronita di me, e lo ricambiai sfiorandole la fronte con le dita dell'altra mano.
"Controllami," mi disse semplicemente, ed il suo sussurro mentale fu più lieve di un fiocco di neve.
Mi bastarono pochi secondi. Capii tutto quando vidi che i canali dell'energon avevano perso il loro colore naturale ed avevano uno sfumatura leggermente rosata. Elaine, nel frattempo, aveva nuovamente e delicatamente intrecciato la sua mente con la mia, mandandomi l'impressione che stesse tenendomi per mano. Accettai quel contatto e timoroso ed emozionato, scesi pian piano lungo il corpo della donna. Notai che si era aperta tutta una nuova rete di canali intorno ai seni, ma non mi soffermai, scendendo ancora.
E li vidi.
Erano due minuscoli ammassi di cellule, ancora strettamente connessi fra di loro, ma già con una struttura autonoma. Era ancora troppo presto per sentire le loro emanazioni mentali, come era ancora presto per distinguerne il sesso... ma erano lì, senza ombra di dubbio.
Ed io ne ero il padre.
Per un attimo mi sentii sprofondare e gelare come se un qualcosa mi spingesse giù, fino al nono inferno di Zandru, poi il mio spirito divenne leggero e cominciò a volare in alto come un falco. In mezzo alle nuvole, sopra alle nuvole, sopra le montagne del Muro intorno al Mondo, che in breve diventarono piccole ed insignificanti. E lei volava con me, dentro di me, ala dentro ala, e con me andava sempre più in alto, sempre più leggera, verso il sole. E sentivo la sua gioia, la mia gioia, crescere e sciogliersi dentro di me, dentro di lei.
Non ci fu bisogno di guardarsi, né di dirci nulla. Tutto era già stato detto e visto, deciso ed accettato, in quel breve, infinito volo.
Quando la Custode rientrò nella stanza trovò due telepati addestrati che la stavano aspettando per iniziare il lavoro.


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Era passato da poco il tramonto. Nel tardo pomeriggio assieme ai membri del Cerchio avevano fatto un robusto spuntino in previsione dell'attività di quella sera, che sarebbe durata gran parte della notte e avrebbe consumato molte delle nostre energie.
Ci ritrovammo tutti nella camera del Cerchio, dove i Kyrri, avvertiti da Marelie, avevano già provveduto ad accomodare i vari cuscini perché si formassero due posti in più riservati a Elaine e a me. Marelie prese posizione al centro del cerchio di persone, in un piano leggermente ribassato rispetto agli altri, sistemò la sua matrice sul treppiede davanti a se e si schiarì la voce per attirare l'attenzione, poi contattò tutti con un leggerissimo contatto telepatico: "Abbiamo diverse cose da fare stasera. Inizieremo subito col provare a formare il Cerchio tutti insieme, per vedere come ci affiatiamo con Elaine ed Anndra. Proveremo prima con Mikhail come monitore e poi con Miralys e l'ultima arrivata, sua cugina Marguerida, così che possano interscambiarsi senza problemi. Dopo possiamo provare a fare un piccolo lavoro di gruppo - le previsioni del tempo, come le chiama Rafael, in modo da sentire come lavora Anndra - voi cosa ne pensate? Che ordine seguiamo?"
Marelie naturalmente aveva già deciso come procedere ma, come era solita fare, voleva che anche gli altri potessero dire la loro. Naturalmente non lo faceva per dividere con gli altri le proprie responsabilità, ma solo per una forma di rispetto nei confronti del Cerchio.
Marelie lentamente aveva inserito anche Marguerida nel cerchio grazie all'aiuto di Miralys e dalla posizione focale controllava i flussi di energon. La ragazza riusciva a controllarsi abbastanza bene ed era perfettamente in sintonia con la cugina, cosa che rendeva le cose molto più semplici.
Ora doveva cominciare il lavoro vero e proprio del cerchio: le previsioni del tempo, come le aveva chiamate Mikhail. Sentire i flussi di energia del pianeta era la mia specialità. Di solito serviva per scendere nelle viscere del pianeta per trovare i filoni dei preziosi minerali da estrarre, ma si poteva anche tentare di volare in alto.
Sentii le forze del Cerchio, fuse in un unico fascio di energon, rafforzare la mia sensibilità e spingermi in alto.
Quello era un momento difficile che affrontavo sempre con un certo timore, specialmente quando lavoravo con telepati che non conoscevo. La sensazione era quella di un salto nel vuoto, di un brusco cambio di gravità, che sentivo nonostante la lontananza dal mio corpo. A volte il cuore perdeva qualche colpo, o iniziava a battere ad una frequenza sempre maggiore; la pressione poteva diminuire considerevolmente o crescere a dismisura.
Era sempre una cosa momentanea, che in un Cerchio non costituiva nessun pericolo perché, di solito, un buon controllore riusciva a dare una regolata all'organismo in poco tempo. Forse Mikhail aveva proposto quell'esperimento proprio in considerazione di quel fatto: sarebbe stata un'ottima prova per tutti, ma soprattutto tranquillizzante per me. Sentii accanto la presenza di Elaine, la sua forza tranquilla e potente mi dava sicurezza, anche se in fondo al cuore sentivo una certa preoccupazione. Marelie, con cui avevo parlato a lungo, mi aveva tranquillizzato pienamente: Elaine non sarebbe salita nel Sopramondo, avrebbe soltanto funzionato come da mappa per la Custode, nella ricerca di una specie di scorciatoia per muoversi in alcuni livelli particolari.
Allora mi abbandonai a seguire le correnti di energia che percorrevano i cieli del pianeta come nastri scintillanti, come le cortine luminose di vari colori che spesso in pieno inverno si notavano in lontananza nel cielo, al di là del Muro intorno al Mondo. Feci un piccolo salto... ed ero parte del cielo, delle tracce scintillanti che si riflettevano al di sopra delle montagne... ero le tempeste di neve che imperversavano in luoghi più o meno lontani... ero la bianca luce accecante di Mormallor... giocavo con l'alone verde di Idriel e quello verde e blu di Kyrridis, per poi sfumare in quello color porpora di Liriel, la luna che più delle altre tre sorelle somigliava al sole color sangue del nostro pianeta... e mi ritrovai ad Arilinn, in mezzo ai telepati del primo Cerchio.
La Custode annuì brevemente, mostrando così che la prova era stata positiva, avevo superato il suo esame. Nel frattempo un kyrri aveva posto due poltrone, comode e foderate di morbida pelliccia, in mezzo al Cerchio e fui invitato ad occuparne una. L'altra era destinata alla Custode.
Marelie fece un ultimo controllo prima di iniziare il lavoro: io sarei stato controllato da Elaine, lei da Mikhail, ambedue con il supporto di Miralys e Margherita, che a turno avrebbero dato loro il cambio. Altri due telepati più giovani (uno lo riconobbi, era quello che mi aveva accolto all'arrivo, Eric Ridenow) avrebbero completato il Cerchio fornendo semplicemente energia.
Chiusi gli occhi e cercai un'immagine mentale per entrare nel Sopramondo (a differenza di tanti altri non usavo sempre il solito sistema, avevo tre o quattro immagini che preferivo): questa volta scelsi quella che utilizzavo quando ero solo, senza nessuno che mi controllasse. Ero in cima al pinnacolo più alto della Torre di Dalereuth, allargai le braccia come fossero le ali di un falco e mi lanciai verso il gelido mare sottostante... caddi fino ad entrare nell'acqua gelida, verde e livida... sprofondai sentendo il gelo che mi entrava nelle ossa e lottai per tornare a galla. Normalmente la mia reazione al freddo e alla mancanza di respirazione attivavano alcuni meccanismi ben collaudati in tanti anni, ma quella volta mi sentii prendere bruscamente per un braccio e tirar fuori dall'acqua, mentre un soffio più caldo delle fornaci del Popolo delle Forge spazzava via il gelo dell'acqua.
Marelie già mi aspettava.
"Non potresti trovare immagini meno difficili?" mi rimproverò, "sicuramente stai mettendo alla prova chi ti deve controllare."
Non avevo voglia di rispondere, e non lo feci. Guardai invece la Custode davanti a me, immersa nella luce azzurrina del Sopramondo che la mostrava ancora più gelida, distante ed impassibile, con gli abiti ed il velo cremisi che sembravano risplendere di luce propria. Sembrava vecchia, e all'improvviso mi resi conto che quella era l'immagine che aveva di se stessa.
"Sono pronto," dissi guardando l'immensa pianura che si stendeva davanti a me e sentendo dietro l'immagine possente e sicura della Torre di Arilinn.
Bastarono pochi passi per vedere Arilinn diventare piccola e quasi insignificante, Marelie camminava a larghi passi veloci e faticavo a starle dietro. Poi cominciò a rallentare ed il suo passo si fece più lento ed intuii che stava cercando la strada; la vidi stranamente incerta ed insicura. Il grigio mondo che ci avvolgeva sembrava diventare a tratti sempre più scuro, illuminato occasionalmente da un qualcosa di informe che non lasciava intuire la sua origine e destinazione. Vide che la strada che stavano percorrendo sfumava in una lunga scalinata che sembrava perdersi in lontananza nella nebbia, ma Marelie si fermò una, due volte, lo sguardo assorto. Poi sembrò ritrovare la sua sicurezza e puntò decisamente verso un grumo di nebbia talmente denso da sembrare fumo. Mi prese allora per mano e sentii la sua stretta diventare sempre più forte e sicura.
"Ecco, questo è il punto di riferimento, questa è la strada che hai già percorso una volta dietro il richiamo di Elaine Gabriela Alton. Questo rifugio lo hai costruito tu quando l'hai ritrovata; come vedi è appena abbozzato, ti sei fermato qui per pochissimo tempo."
Era una piccola costruzione di rami e foglie, come quelle che vengono costruite in estate per proteggere le sentinelle del servizio contro gli incendi: ma non aveva porte né finestre, ed appariva informe e quasi sul punto di crollare su se stessa. Impressi nella mia memoria il luogo e la strada fatta per arrivarci. Sempre tenendomi per mano la Custode girò dietro la costruzione e vidi una strada inerpicarsi verso il nulla. Una strada tanto ripida che un chervine non l'avrebbe mai potuta percorrere. Io cominciai a salire, come preso da una nuova energia, in preda ad una sensazione di già visto che mi eccitava. Ero io, ora, a fare da battistrada, e la Custode si faceva tirare sempre di più. Ed era sempre più difficile, perché la sua mano sembrava sempre più piccola e fragile nella mia, finché sentii mancare la presa e mi girai.
La Custode... era rimasta indietro e rimpiccioliva sempre di più in lontananza. Ma non sembrava neanche più lei, era molto più giovane e non aveva più gli abiti ed il velo cremisi, ma una semplice tunica legata in vita e calzoni di cuoio che potevano appartenere solo ad un fratello più grande.
"Anndra," chiamò, "torna indietro! Ho dato ordine che ci facciano arrivare non oltre al primo stadio della crisi, non fino alle convulsioni. Io non posso seguirti, non più." E la sua non era la voce forte e potente di una Custode, sembrava quella di una bambina spaventata. Guardai in avanti e vidi la nebbia meno densa che si squarciava a tratti, facendo filtrare una luce perlacea. Mi girai, non vidi più Marelie... e mi sentii perso. Il cuore cominciò a martellarmi in gola, ma poi lo sentii acquietarsi, sotto un tocco leggero come una carezza. Mi sforzai di restare calmo, dovevo restare calmo. Mi accorsi che quella strada l'avevo già percorsa e mi sentii più sicuro. Allora ricominciai testardamente a salire, sentendo finalmente il passo farsi più leggero e spedito, finché mi ritrovai in una vasta radura, coperta da una nebbia simile a quella del lago di Hali. Ma non riuscii neanche a guardarmi intorno, perché mi sentii tirare verso il basso con forza e come strappare dentro... ed allora persi l'equilibrio e caddi, caddi, in un precipitare senza fine, finché vidi sotto di me la pianura sconfinata del Sopramondo e la sagoma ormai familiare della costruzione di Elvas. Chiusi gli occhi perché mi sentii ancora tirare, e quando dopo un attimo di stordimento li riaprii, vidi sopra di me gli sguardi preoccupati di Elaine e Mikhail.
«Sono qua, va tutto bene,» dissi, «ed ho una gran fame.»









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Disclaimers

Pochi giorni dopo il suo arrivo, Anndra viene convocato da Fiona: hanno una missione per lui, che lo porterà fino alle Torri di Neskaya e di Arilinn. Anche se contrariato, Anndra si vede costretto ad accettare.

Credits

La canzone scelta come accompagnamento al racconto è Star of County Down, tradizione irlandese. Seguendo il link, che vi porterà alle pagine della sezione musicale, avrete ulteriori informazioni sulla canzone e sugli autori.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008