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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +1, novembre (8)] [Credits & Disclaimers]



I due Cerchi

Anndra Castamir

E' stato un viaggio lungo e faticoso,» mi disse Fiona facendomi cenno di sedermi. Un kyrri portò una bottiglia di firi e due piccoli bicchieri di cristallo. Fece un cenno col capo ed il servitore li riempì fin quasi all'orlo, poi chiuse la bottiglia e si ritirò silenziosamente.
Sorseggiammo qualche goccia del forte liquore nel silenzio della stanza della Custode. Fuori il vento urlava contro le imposte e le pareti, accentuando a tratti il suo lamento. Avevamo fatto appena in tempo a tornare, pensai tra me, ancora poco e quasi tutti i passi montani sarebbero stati chiusi. Solo il sentiero basso, quello che portava a Neskaya, avrebbe consentito di rimanere in contatto col resto del mondo... o almeno non sarebbe stato impraticabile come gli altri. Mi decisi a rispondere: «Sì, Custode, è stato un viaggio molto lungo ed anche doloroso.» Riandai con la mente al volto di Camilla, straziato da un colpo di spada. Scossi la testa... era così giovane...
«Il mondo va come vuole e non come vorremmo tu ed io,» riprese Fiona, «capisco che per te sia stato terribile vedere la morte così da vicino, ma adesso non ci devi più pensare. Abbiamo un progetto da portare avanti.»
Feci un cenno di assenso vuotando tutto in un fiato il liquore; sentii il fuoco scendermi in gola e tossii, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. «Ah! Non riuscirò mai ad abituarmi al firi, sulla mia gola ha lo stesso effetto della pece magica.» Scossi ancora la testa come per liberarmi da tutti i pensieri che mi opprimevano: «Va tutto bene, Fiona, vorrei solo aver potuto fare di più. Se non fosse stato per Elaine e per Illa saremmo tutti lassù, spolpati dai kyorebni.» Cambiai discorso. «Damon ha detto che il lavoro con gli schermi ed i relais è a buon punto. In queste ultime due settimane abbiamo lavorato molto, ma i risultati sono buoni.»
«Lo so. Avete fatto un buon lavoro. Ma ora è arrivato il momento di cominciare anche l'altro progetto, quello dei viaggi nel Sopramondo. Ho parlato con le altre Custodi, ci daranno tutto l'aiuto possibile, soprattutto cercando di evitare che nel Consiglio o nelle Famiglie qualcuno possa cominciare a fare delle domande.» Fece un cenno con la testa ed il kyrri accorse a versarle ancora un po' di firi. Mi sentii vagamente inquieto.
Fiona colse il mio turbamento e cercò di tranquillizzarmi: «Via, via, non mi dirai che ti stai tirando indietro!» rise. «O che magari, ora che ti sei deciso di dare un paio di figli alla Torre, ti fai prendere dalla tentazione di passare la vita a soffiare il naso a due marmocchi!» Ridivenne seria e distante, tornando ad essere la Custode: «Ho controllato Elaine, stanno tutti benissimo. Naturalmente in questo periodo non farà da monitore.»
Si avvicinò alla finestra ascoltando per un po' la voce del vento. «Stasera si comincia,» concluse bruscamente, «Dana e Kelan, a turno, faranno da monitori. Io non potrò esserci sempre, ma sarò comunque vicina e se non ci sarò io verrà Damon. Ne approfitterò anche per far fare un po' di esperienza a qualcuna delle nuove arrivate, Aliciana Alton e Kasentlaya Ridenow. Non ti preoccupare guarderanno e basta.»
«A stasera, allora,» risposi.


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Questa volta non mi dilungai nei preliminari: guardai Dana e le feci un cenno. Chiusi gli occhi... e saltai. Li riaprii nel grigiore perlaceo del Sopramondo: detti un'occhiata in basso e vidi il mio corpo steso su un divano e coperto da una pelliccia. Oltre a Dana c'erano Damon, la giovane Kasentlaya ed il kyrri che aveva portato un braciere per scaldare la stanza. Guardai alla mia destra la bassa costruzione che rappresentava la controparte astrale della Torre di Elvas e vidi che era un po' più alta e definita. Era inevitabile: sarebbe cresciuta sempre di più, viaggio dopo viaggio: sarebbe arrivato il momento che sarebbe stato impossibile non vederla. Ma quello non era un problema, al momento. Sapevo già dove andare e cominciai a camminare, senza fatica questa volta. Vidi la strada sfumare in una lunga scalinata che sembrava perdersi in lontananza nella nebbia, ma notai subito un grumo di nebbia talmente denso da sembrare fumo e mi diressi in quella direzione. Aveva ragione Marelie, una volta trovata la scorciatoia tra i mille diversi piani del Sopramondo si faceva in fretta. Ritrovai subito la piccola costruzione di rami e foglie, come quelle che vengono costruite in estate per proteggere le sentinelle del servizio contro gli incendi, non aveva porte né finestre, ma sembrava più solida e non informe e quasi sul punto di crollare su se stessa come la volta precedente. Girai subito dietro la costruzione e vidi ancora un sentiero inerpicarsi verso il nulla e cominciai a salire, finché mi ritrovai in una vasta radura, coperta da una nebbia simile a quella del lago di Hali. Mi fermai incerto: ero arrivato fin lì seguendo la strada che avevo già tracciato in precedenza, ma ora non sapevo dove dirigermi. Andai ancora avanti, camminando più lentamente: la nebbia mi arrivava fin quasi alla vita e non vedevo più alcun sentiero. Poi improvvisamente il terreno mi mancò sotto i piedi e cominciai a cadere nel nulla. Ma non ebbi neanche il tempo di spaventarmi, perché mi resi conto che la mia caduta era più simile a quella di una piuma di falco che a quella di un sasso e mi sembrò quasi di volare e di sognare al tempo stesso, avvolto com'ero dalla nebbia. Chiusi gli occhi lasciandomi andare a quella strana sensazione, finché non sentii di nuovo il terreno sotto ai piedi. Allora li riaprii e mi ritrovai di nuovo in mezzo alla nebbia, come se nulla fosse successo.
«Parente,» disse una voce forte dietro di me, «quando ti ho visto arrivare in questo livello del Sopramondo ho pensato che tu fossi l'ombra di qualcuno che sognava o che aveva delle visioni, ma sento che invece ti sei avventurato in questo posto volutamente.»
Mi voltai e vidi un uomo alto e magro, vestito con una lunga tunica verde e rossa con dei ricami di piume in fili d'oro, con i fianchi cinti da una larga cintura di cuoio da cui non pendeva alcuna spada.
«Chi sei? E cosa cerchi?» mi chiese.
Feci per rispondere, ma non aprii bocca, perché sentii un lieve tocco e mi resi conto che aveva preso direttamente dalla mia mente le informazioni che cercava. Sedette nella nebbia facendomi cenno di fare altrettanto ed io mi accorsi con meraviglia che dietro c'era un qualcosa di solido dove sedersi.
Disse: «Sono Kennard Ardais Castamir, laranzu del Secondo Cerchio della Torre di Elvas.»


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Kennard Ardais

Era una piccola e stretta valle, con vaste coltivazioni di alberi di mele e di noci. In mezzo un grosso villaggio cintato da un muro alto un paio di metri si stringeva intorno ad una costruzione ottagonale che si ergeva superba quasi a sfidare le nuvole. Il sole alto nel cielo traeva strani riflessi dalle pareti verdi e brillanti, lucide come specchi. Kennard Ardais fermò il cavallo per poterla osservare meglio. Quella sarebbe diventata la sua dimora per molti anni. O almeno fino a quando l'esercito degli Ardais avesse potuto tenere a bada quei caproni degli Aldaran. Il Comandante della Guardia gli si accostò, per capire il perché di quella sosta.
«Vai Dom,» disse con rispetto, «siete stanco? Volete forse salire nella portantina?» Guardò il sole alto nel cielo e proseguì: «Prima del tramonto dovremmo essere arrivati, anche senza forzare i cavalli.»
«No, Gurth,» risposi, «guardavo soltanto il villaggio e la Torre. Tu ritornerai presto a Neskaya, ma io resterò laggiù fino a quando il mio fratello e signore deciderà che sia necessario. E capisci cosa intendo, quando dico necessario.» Dissi, calcando la voce sull'ultima parola.
L'ufficiale rabbrividì nonostante facesse molto caldo. Nel carro di mezzo, fortemente scortato, c'erano ben tre barili colmi di pece magica (l'odore acre si spargeva lungo tutto il cammino, tenendo doverosamente lontano chiunque avesse avuto bisogno di un simile ammonimento), mentre un altro misterioso e pesantissimo scrigno conteneva una qualche altra maledetta arma dei Sapienti. Lui era un soldato, lo era stato fin da quando era stato in grado di tenere in mano una spada e di imbracciare un arco, e le armi dei laranzu non lo avevano mai convinto del tutto. Erano necessarie - tutti le avevano - ma non per questo gli piacevano. Meglio un onesto colpo di spada nello stomaco o nella testa che essere colpiti dalla pece magica, che ti divorava anche le ossa. Se poi era lanciata col laran, come se fosse spalmata sulla punta di una freccia ancora peggio! Non esistevano scudo e armatura capaci di fermarla, neanche il petto di un compagno di scudo. Suo fratello era morto così, trafitto nella schiena da una goccia di pece che aveva attraversato scudo, petto ed armatura del suo compagno, per poi trapassarlo da parte a parte e sparire nel terreno.
Kennard non fece troppa fatica a leggere i pensieri che passavano nella mente a quel rude, ma fedele ufficiale. Effettivamente quella in cui era morto il fratello gemello di Gurth era stata una dura battaglia. Per tre o quattro volte le forze Ardais avevano respinto l'assalto delle forze di Gabriel Aldaran, e per altrettante avevano contrattaccato, con Eric Ardais davanti, a guidare personalmente i suoi soldati. Poi, sfiniti dalle perdite, i due eserciti si erano ritirati sulle proprie posizioni, continuando a guardarsi in cagnesco, ma senza la forza per ulteriori attacchi. Erano stati allora usati tutti i gruppi di telepati a disponibili: i Sapienti avevano fatto e sventato incantesimi e magie di ogni genere, avevano usato tutte le arti a loro disposizione, per poi ritirarsi anch'essi, sfiniti, dietro i rispettivi eserciti. Le forze, anche in quel campo, si equivalevano.
Ma quella stretta valle, e soprattutto la sua verde Torre, era troppo importante per poter essere lasciata all'avversario. La sorte della guerra era rimasta in bilico fra i due schieramenti, fino a quando, vista l'impossibilità di prevalere l'uno sull'altro, era stato raggiunto un accordo. Gli Aldaran, che avevano rioccupato la vallata qualche anno prima, avrebbero lasciato libera parte della Torre e ritirato un Cerchio di Sapienti; gli Ardais avrebbero ritirato l'esercito al di qua del Carthon, insediando a loro volta un gruppo di telepati nella Torre. I due Cerchi si sarebbero sorvegliati a vicenda, impedendo ciascuno all'avversario di utilizzare la vallata e la Torre a fini bellici. Per rendere più sicura la cosa erano stati scambiati anche degli ostaggi ed era stato disposto il ritiro di ogni armata da Elvas. Sarebbero stati sufficienti i due Cerchi di telepati e le loro armi.
Questi erano gli accordi pubblici, ma nel segreto delle proprie fortezze ognuno sapeva che proprio lì, ad Elvas, si stava giocando la partita forse decisiva. Il castello dei MacAran, rude bastione eretto su uno dei picchi più alti degli Hellers era ormai un mucchio di rovine e non serviva più a nessuno, se non a qualche banda di banditi. La cerniera che - scardinata - avrebbe potuto determinare la vittoria e la sconfitta era proprio la vallata di Elvas... o più precisamente la sua Torre.
Nei tempi migliori aveva ospitato anche quattro Cerchi di telepati, e ad ogni cambio di proprietà i Cerchi che erano subentrati avevano eretto nuove case, nuovi piani della Torre, nuove fortificazioni. Finché era diventata così alta e così robusta da suscitare l'invidia e la gelosia delle due Torri madri, Neskaya e Tramontana. E allora nessuno aveva costruito più nulla, limitandosi alla normale manutenzione dei muri e delle fortificazioni ed i Cerchi completi erano passati da quattro a tre, e poi ancora a due.
Rimuginai tutte queste cose nella mente mentre la carovana scendeva verso la vallata, preparandomi a quella che sarebbe diventata la mia battaglia. Gli ordini del mio Signore e fratello Eric erano stati precisi: dovevo impiantare nella Torre il più potente Cerchio di telepati di tutto il Regno, superiore come potenza e varietà di laran non solo a quello di Neskaya, ma addirittura a quello ormai mitico di Hali. Lì, si vociferava, operavano quattro o cinque Cerchi, di cui almeno due del decimo o addirittura dodicesimo livello. Avevo con me un gruppo veramente formidabile: dieci telepati eccezionali, di cui due almeno avrebbero potuto benissimo essere Custodi della stessa Neskaya. Io, Kennard Ardais y Castamir, quinto figlio maschio di Alar Ardais e Marguerida Castamir, già secondo del Primo Cerchio della Torre di Neskaya, sarei stato l'undicesimo elemento, punta di lancia di una matrice di undicesimo livello che avrebbe squarciato il cuore del Regno di Aldaran. Non era stato possibile (troppo pericoloso) trasportare durante un lungo viaggio in mezzo alle montagne una matrice artificiale di undicesimo livello costruita a Neskaya: avremmo provveduto a farlo direttamente ad Elvas. E con quella avremmo spazzato gli Hellers fino a Caer Donn, fino, forse, a distruggere la stessa Tramontana. Era un obiettivo ambizioso, ma se realizzato avrebbe consentito agli Ardais di dominare Darkover da Neskaya fino al Muro intorno al Mondo. Gli stessi Hastur si sarebbero dovuti ritirare da almeno una parte delle fertili pianure di Arilinn e chissà, forse addirittura al di là delle colline Venza. Ed io sarei diventato il laranzu più famoso e forse più temuto dell'intero pianeta.
Ma anche i viaggi di mille leghe devono cominciare dal primo passo, ed il primo passo, in questo caso, era proprio la costruzione della più potente matrice da guerra mai costruita.


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Come previsto dagli accordi, quando la nostra carovana arrivò al villaggio la parte est della Torre venne abbandonata dalle forze Aldaran e insieme a quei locali prendemmo possesso della parte del villaggio di nostra pertinenza. Le due scorte armate si fronteggiarono con gli stendardi al vento fino a quando gli Ardais, armi, bagagli, servitori e kyrri del Secondo Cerchio si furono definitivamente sistemati ed ebbero eretto tutte le difese previste. Poi, guardandosi sempre alle spalle, si allontanarono dal villaggio, diventato improvvisamente, per la mancanza di soldati, uno dei luoghi più pacifici di Darkover.
I mesi che seguirono furono di frenetica e febbrile attività. Uno spesso muro costruito col laran divideva verticalmente in due la Torre, e impediva ai due gruppi, unitamente alle spesse cortine di seta isolante, di comunicare - e spiarsi - l'uno con l'altro. I componenti del mio Cerchio erano già stati abituati a lavorare insieme ed il lavoro della griglia proseguiva con rapidità. Non fu facile mettere in risonanza tra loro il numero apparentemente infinito di matrici e di frammenti di matrici che avrebbero permesso ai miei telepati il controllo della nuova arma, ma ora, a pochi giorni dalla Festa del Solstizio, eravamo quasi pronti. Mancava l'ultima e più delicata operazione, la fusione in un unico nucleo delle quattro parti che avrebbero costituito la nuova matrice.
Guardai i componenti del mio Cerchio, seduti intorno a me con una disposizione che poteva sembrare casuale, ma che aveva invece uno scopo preciso. Al mio fianco, anche se un poco più in basso, mia sorella Manilla Ardais, che fungeva da mia aiutante diretta, che avrebbe dovuto sostituirmi alla guida del Cerchio in caso di malore o per qualsiasi altra necessità. Più all'esterno quattro tecnici controllavano quattro grosse matrici, tutte fra il secondo ed il quarto livello: ognuna aveva il nome di una delle lune ed una caratteristica diversa. Insieme avrebbero costituito la Matrice di Elvas.
Alla mia destra Elorie Ardais con Idriel, una matrice di terzo livello dai riflessi verdi come la luna da cui prendeva il nome e che avrebbe costituito il cuore della nuova arma. Accanto a lei, e di fronte a me, Danilo Lindir controllava invece Liriel, dai riflessi color porpora, come la luna e come il fuoco del nostro Sole. E come il fuoco che sarebbe stata in grado di scatenare. Kyrridis invece costituiva il nostro scudo e ci avrebbe protetto dai contrattacchi del nemico: Camilla MacAran riusciva a dominarla con una certa fatica.
Ruwen Harryl teneva invece in pugno l'ultima matrice, la più grossa, di quarto livello: bianca come Mormallor, gelida come la sua luce nelle notti invernali, più mortale della punta di una spada.
Più all'esterno cinque monitori avrebbero provveduto a controllare l'intero Cerchio e a fornire una riserva di laran quasi inesauribile.
Manilla mi fece un cenno per farmi capire che era il momento di cominciare: ci accostammo insieme ad una larga griglia, concava quasi come una ciotola, ricca di venature in metallo intersecate da frammenti di matrice. Era quello il metodo più seguito per costruire delle matrici sintetiche, largamente conosciuto in tutta Darkover. Il procedimento segreto, da me studiato a Neskaya, prevedeva in aggiunta una serie di 4 canali in rame che dall'esterno confluivano verso il centro della griglia, veri e propri conduttori dell'energia laran fornita dall'intero Cerchio. Nel bordo esterno quattro piccole incavature in argento attendevano di ricevere altrettante matrici. I quattro tecnici, uno dopo l'altro, posarono con attenzione e devozione le pietre a loro affidate negli appositi supporti, poi fecero un passo indietro, mantenendo con una parte del loro potere il controllo della matrice, ricercando invece con l'altra il collegamento con Manilla.
La leronis prese con sicurezza gli impulsi di energia che le venivano indirizzati come fossero funi ed incominciò ad intrecciarli fra loro con estrema attenzione; quando fu sicura di avere in pugno la situazione tirò con forza assumendo su di sé la forza dei quattro tecnici, per poi rilanciarmela sotto la forma visibile di una scarica elettrica azzurro-violacea di forte intensità.
Io allora protendendo semplicemente la mente raccolsi tutta questa energia, facendo da polo di intensità e carica elettrica opposta a quella di mia sorella. Chiusi gli occhi e sentii dentro di me scorrere forte e potente tutto il potere del laran del Cerchio, visualizzandolo in quattro grandi mani di luce brillante. Attingendo energia da tutti i componenti afferrai saldamente le quattro matrici, facendole scivolare lentamente ed inesorabilmente verso il centro della Griglia. Le pietre cominciarono a brillare sempre di più a mano a mano che si avvicinavano al centro e tentavano di muoversi di forza propria, sfuggendo al mio controllo. La sala ormai era invasa da una luce fortissima e multicolore: il bianco accecante di Mormallor si caricava del rosso cupo di Liriel e del viola lucente di Kyrridis, cedeva al verde smeraldo di Idriel, prendendone il colore, ma non perdendo la spietatezza adamantina della propria luce.
Con un lampo accecante le quattro pietre, ormai vicinissime, ruppero ogni tentativo di controllo e si fusero in un'unica grande, eccezionale matrice: la Matrice di Elvas.
Al centro della Griglia, che aveva perso la sua consistenza vetrosa e trasparente, brillava verdastra l'arma che avrebbe deciso ogni guerra per chissà quanti anni.
E la Famiglia degli Ardais, insieme ai suoi alleati (controllandoli, naturalmente) avrebbe prima spazzato via gli Aldaran e poi una dopo l'altra tutte le altre cento famiglie di Darkover.


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Vidi che Manilla era esausta e che attingeva sempre più forza dai membri esterni del Cerchio; anche gli altri davano cenni di fame e di stanchezza. Decisi allora di rimandare di qualche giorno la sperimentazione della nuova arma per far riposare tutti, me compreso. Lanciai un breve ordine mentale a Ruwen, che era anche un ottimo telecinetico, per fargli trasportare l'apposita custodia di seta isolante che avrebbe prima coperto, e poi pian piano disattivato la grande matrice.
Ah, come ero orgoglioso di me! Sarei passato alla storia ed il mio nome si sarebbe tramandato di Torre in Torre, di generazione in generazione, di secolo in secolo. Kennard Ardais y Castamir, il più grande e geniale laranzu di tutta la storia di Darkover! I menestrelli e i cantanti girovaghi avrebbero scritto ballate degne del Signore della Luce e di tutti gli altri dei... le madri avrebbero fatto a gara per dare il mio nome ai loro figli! E con la fama e il potere della matrice... forse anche il potere politico... senza tradire il mio Signore e fratello naturalmente, ma con forte voce in capitolo per tutto quanto avrebbe riguardato il destino del Pianeta. E poi... chissà!
Ma... il fuoco della Matrice non si smorzava come avevamo previsto, anzi proprio non ne voleva sapere. Vidi con improvvisa inquietudine la seta isolante brillare e sparire in un bagliore di fiamma, mentre il materiale di vetro e ceramica della griglia diventava sempre più molle, dando l'impressione di poter fondere. La pietra cominciò ad emettere lampi di luce verdastra con un ritmo incostante, simile al possente respiro del vento, quando durante le più violente tempeste scende a raffiche, ululando, dalle cime degli Hellers. Camilla MacAran crollò in ginocchio singhiozzando e facendo venir meno la potenza del suo laran, provocando quindi la possibilità di un progressivo cedimento dell'intero Cerchio. Facendo appello a tutte le mie energie mi assunsi il peso anche del suo controllo, cercando di domare immediatamente questa immensa forza che minacciava di scatenarsi. E la mia forza unita all'orgoglio riuscirono nell'intento.
Infatti, finalmente, ce la facemmo: il pulsare della pietra si fece più regolare ed il bagliore scemò progressivamente, anche se non del tutto come avrei voluto ed una leggera luminescenza verdastra e pulsante continuò ad illuminare la matrice. Coprii di nuovo la pietra con una nuova e più pesante schermatura di seta che nel frattempo Manilla era riuscita a trovare e finalmente sciolsi il Cerchio.
Il sospiro mentale di sollievo che uscì dalle nostre menti fu infinitamente più rumoroso di quello che non facemmo uscire dalle nostre gole.


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Ma se noi, sfiniti di stanchezza, ci precipitammo in cucina ad ingurgitare famelicamente qualsiasi cosa ci venisse presentato dai kyrri, per poi crollare in un sonno profondo, nell'altra parte della Torre Lewis Aldaran provvedeva a radunare con frenetica urgenza tutti i componenti del suo Cerchio. L'esplosione di potenza che aveva segnato la nascita della nostra matrice era riuscita infatti a superare ogni nostra barriera ed era stata distintamente percepita da ogni telepate della Torre. La natura fu chiara a tutto il clan Aldaran, senza bisogno neanche di parlarne: era una nuova arma a laran, probabilmente un matrice da guerra di enorme potenza e quindi pericolosissima. Lewis si mise subito in contatto telepatico con Dom Esteban, il Signore di Aldaran a Caer Donn, spiegando in breve quello che pensava fosse successo. Ma nel Castello erano già tutti in allarme, il laranzu di Tramontana aveva percepito una forte anomalia nella zona di Elvas ed era giunto alla stessa conclusione: i maledetti Ardais stavano per violare tutti gli accordi sottoscritti con una nuova e potente arma laran. Andavano fermati ad ogni costo e con ogni mezzo.
Gli otto telepati si riunirono in Cerchio, cercando di penetrare in ogni modo le difese erette dagli avversari, ma senza risultato. Per quanti sforzi facessero dovettero ammettere che era impossibile penetrare le pesanti schermature eretta a difesa dell'arma. Dopo un frenetico via vai di messaggi a mezzo dei relais, fu Dom Esteban Aldaran in persona a prendere una decisione che doveva poi rivelarsi fatale: scatenare l'attacco con la pece magica. In gran fretta ed in silenzio, utilizzando il passaggio segreto che dalla Torre portava alla cantina della Taverna del villaggio, tutti abbandonarono l'edificio. Solo il monitore più anziano venne lasciato ai relais per continuare a farli funzionare, onde non potesse essere scoperto l'inganno. Lo abbracciarono tutti con gravità, senza lacrime ma col cuore in tumulto, ben sapendo che l'uomo andava incontro una fine orribile.
Il Cerchio fu ricostituito in una parte della cantina, già attrezzata per simili evenienze: tutti i dieci barili disponibili vennero scoperchiati e l'acre odore della pece magica si diffuse nel locale. Forse fu proprio questo a determinare il fallimento dell'attacco: quando utilizzando il laran la pece venne prima estratta e poi forgiata come una grande palla, sollevandola alta nel cielo per dirigerla contro la Torre e gli odiati Ardais, uno dei tecnici ebbe un improvviso conato di vomito, perdendo per un attimo il controllo del suo potere. Fu così che la pece, invece di riversarsi tutta e subito contro la Torre, si sparpagliò a pioggia sull'intero villaggio e arrivò solo in parte a colpirne le spesse mura.
Ed allora accadde l'impensabile: la grande matrice si attivò da sola. O meglio le sue varie componenti si scatenarono sia a protezione del locale dove era custodita, sia per ricercare ogni arma o forza che potesse minacciarla.
Il primo obiettivo fu un grande scrigno di metallo ricolmo di polvere mangiaossa che gli Aldaran avevano nella Torre: venne scagliato verso il cielo e ridotto in brandelli non più grandi dell'occhio di un falco. Una lama accecante di luce bianca corse poi per il villaggio, veloce e mortale come il fulmine di un temporale estivo, colpendo ogni cosa che desse segno di vita. Una palla rossa di fuoco si avvolse attorno ad ogni tetto, ad ogni muro, ad ogni albero, ad ogni pietra, bruciando tutto come se le stesse fornaci di Zandru si fossero aperte sulla terra. Una luce violacea avvolse al contempo la torre, erigendo uno scudo di energia invalicabile, a protezione dell'enorme pietra che ormai diffondeva nella stanza ove era contenuta una brillante luce verde.
Tutti e undici, terrorizzati, ci stringemmo attorno alla matrice, cercando invano di controllarla. La matrice ormai era diventata un qualcosa di mai visto, terribilmente micidiale e soprattutto... sembrava vivo!
Mentre tenendoci per mano (sì, tenendoci per mano!) cercavamo di prendere il controllo della situazione, ben sapendo che tutto era inutile, mi sentii chiamare. E rispondendo presi forse l'unica decisione giusta della mia vita.
I due Cerchi, realizato da Kasentlaya "Sono Lewis Aldaran, laranzu di quello che era il Primo Cerchio della Torre di Elvas. Voglio parlare con te."
"Ti ascolto," risposi.
"Sai quello che ci aspetta e quello che sta succedendo nella Valle. Dei suoi duecento abitanti non vi è quasi più traccia, bruciati fino a consumarne le ossa. E se qualcuno dovesse sopravvivere ha già il sangue avvelenato e morirà di una morte ancora più orribile. Tutti i miei telepati sono già morti, ed io ne ho ormai per poco."
"Continuo ad ascoltarti," dissi ancora diffidente.
"Noi abbiamo scatenato la morte per evitare che voi scatenaste la vostra arma, qualunque essa fosse. E siamo colpevoli di questo davanti a tutti gli Dei. Ma ora che l'ho vista operare vi dico che avete creato un mostro che può mettere in pericolo non solo questa piccola valle o l'intero Regno Aldaran: può distruggere veramente tutto Darkover. E soprattutto... voi non siete più in grado di controllarlo."
Il mio silenzio fu più eloquente di qualsiasi risposta.
"C'è solo un modo di fermare tutto questo... sempre che ci si riesca. E ti dico come..."


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Presi con me Danilo e Ruwen, scendendo di corsa nelle segrete della nostra parte dell'edificio. In uno dei nascondigli più protetti si trovavano ancora i tre barili di pece magica che avevamo portato da Neskaya. Ne prendemmo uno, e lo portammo faticosamente fino in cima alla Torre, nella stanza dove la matrice, sempre circondata dai miei compagni continuava a sfavillare. Facemmo il viaggio altre due volte. Fuori dalla Torre la matrice doveva aver distrutto tutto quello che c'era da distruggere, bruciato tutto quello che era possibile bruciare, ucciso tutto ciò che era vivo, animale o volatile o uomo che fosse. Né, evidentemente, il mostro riteneva di poter correre alcun pericolo, perché anche lo scudo di energia che aveva eretto a difesa non brillava più. Se ne stava quasi a mezz'aria, sopra i resti vetrificati di quella che era stata una delle più potenti e geniali griglie mai costruite dall'uomo.
Con precauzione togliemmo il coperchio ai tre barili. I miei compagni mi si strinsero intorno e ci abbracciammo e baciammo tutti, l'uno con l'altro, con calma e senza piangere. Ormai consapevoli che la nostra vita finiva quel giorno... e che non ci sarebbe stato un ritorno. Cercai con la mente quello che una volta era stato il mio nemico più acerrimo, e che ora stava morendo col corpo quasi completamente bruciato dalla pece magica. Gli resi mentalmente omaggio: per poter sopravvivere così caparbiamente, grazie alla forza del suo laran, era stato davvero un grande laranzu, più di quanto non lo fossi io stesso.
"No, nessuno di noi due è stato grande, né passeremo alla storia. Possa la misericordiosa Avarra avere pietà di noi. Addio."
La sua voce si spense nella mia mente, anche se lo sentii ancora presente: sicuramente non voleva perdersi quanto sarebbe successo... o forse non si fidava completamente di me. Sentii la sua risata... aveva un sapore più acre del fiele.
Feci un cenno a tutti i componenti di quello che era stato il mio Cerchio e tutti insieme, col laran naturalmente, estraemmo la pece magica dai barili e la plasmammo a forma di ciotola ricolma della mortale sostanza. Poi lentamente spingemmo il nero manufatto sotto la matrice che intanto continuava a pulsare apparentemente inoffensiva, e con un ultimo sforzo mentale alzammo di colpo la ciotola facendo così penetrare la pietra nella pece.
Sentii quasi un urlo disperato, che bruciò completamente i centri nervosi del mio cervello e di quelli dei miei compagni ed amici. Ma ormai inutilmente. Al contatto della sostanza la matrice esplose in frammenti più minuti di quelli che ricoprono la spiaggia del mare di Dalereuth, quasi tutta la parte alta della Torre, che si sbriciolò letteralmente. Quando tutto fu finito, della valle di Elvas restava solo una distesa annerita coperta dalla luminescenza verdastra della polvere mangiaossa.
Di noi non rimase neppure il ricordo.









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Disclaimers

Al rientro del suo viaggio ad Arilinn, Anndra inzia a mettere a frutto le nozioni apprese durante la sua permanenza nella Torre.

Credits

La canzone scelta come accompagnamento al racconto è The Fallen Hero, tradizione scozzese. Seguendo il link, che vi porterà alle pagine della sezione musicale, avrete ulteriori informazioni sulla canzone e sugli autori.

Il disegno I Due Cerchi di Kasentlaya Ridenow è stato realizzato appositamente per questo racconto


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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008