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E tutto per un sogno...

Anndra Castamir

Nevarsin era ormai a ore di cammino alle sue spalle, il tempo buono quanto può esserlo negli Hellers, la borsa ogni tanto faceva sentire il tintinnio di un buon numero di pezzi d'argento... e, soprattutto, c'era l'eccitata aspettativa di quello che l'attendeva alla fine di un breve viaggio.
Erano passate solo poche settimane, in fondo, dalla Festa del Solstizio, e da allora la sua vita era cambiata ancora una volta.
Tutto era cominciato a fine ottobre, quando aveva guidato fino a Nevarsin tre ragazzini tra i sette e nove anni e la loro scorta. Erano figli di nobili comyn destinati ad un lungo periodo di istruzione presso i monaci del Monastero di San Valentino delle Nevi: un incarico facile e remunerativo. Ma solo qualche giorno dopo il loro arrivo, la prima vera bufera invernale aveva bloccato tutti i passi, costringendolo ad una lunga sosta forzata. Non che gli fosse dispiaciuto, anzi tutto sommato era stato un periodo piacevole, trascorso in una buona locanda della cittadina; aveva mangiato degli ottimi meloni, trascorso lunghe serate a cantare e a bere nella sala comune, in compagnia di persone in buona parte simpatiche e... bloccate come lui dalla neve e dalle tormente che scendevano dal Muro intorno al Mondo. La sola cosa noiosa era il fatto che non esistevano bagni pubblici, i monaci li avevano vietati per evitare tentazioni di peccato... e quei due, illegali, che riuscivano bene o male a funzionare erano frequentati da grezalis e brutti ceffi di ogni genere. Prudentemente li aveva evitati come se vi si potesse contrarre la febbre degli Arboricoli.
Ma poi era successo un qualcosa che gli aveva messo addosso la voglia di partire; voglia che piano piano si era trasformata prima in smania e poi in assoluta necessità. Le allegre serate passate in compagnia erano diventate sempre più noiose ed insulse, fino a quando aveva cominciato a disertarle e a chiudersi presto, la sera, nella sua camera. E tutto per un sogno...


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La Festa del Solstizio era finita molto presto, molto prima che le campane del Monastero suonassero per il Rito Notturno. Daniel entrò in camera con la testa un po' pesante dopo i numerosi boccali di birra e di vino caldo e si avvicinò al catino dell'acqua per rinfrescarsi il viso. Notò con soddisfazione che l'acqua non era ancora ghiacciata, ma quando vi tuffò le mani sentì un brivido gelato penetrargli fin dentro le ossa. Si costrinse a fare gli esercizi di respirazione che i monaci gli avevano subito insegnato non appena, da ragazzo, era stato affidato alle loro cure e il freddo gli passò subito. Ma decise comunque di andare a dormire dopo essersi sciacquato solo il viso e le braccia; si addormentò non appena sentì sul corpo il peso della pesante coperta foderata di pelliccia.
Era nel Sopramondo, ma sapeva che stava sognando. Era una di quelle cose che gli capitavano di tanto in tanto e che trovava stranissime, anche se a Tramontana gli avevano spiegato che era del tutto normale. Vagava, senza meta, spesso senza incontrare qualcuno, o, nelle rare volte che succedeva, completamente ignorato come fosse un fantasma.
Quella volta, invece, vide passare accanto a sé, una ragazza sconosciuta che, incrociandolo, si portò l'indice al naso, facendogli cenno di fare silenzio. Poi dovette accorgersi di aver sbagliato persona, perché si fermò e tornò indietro.
«Com'ii, dai tuoi occhi sembra quasi che tu stia sognando... ma ancora non sono molto pratica nel riconoscere la differenza.»
La voce lo scosse, ma sapeva che stava sognando ed aprì la bocca per dirlo, ma senza riuscirci, perché nonostante si sforzasse non riusciva a far uscire la voce.
«Così a bocca aperta sembri un uccellino che aspetti l'imbeccata... ma che hai, paura di me?» riprese la ragazza guardandolo con maggiore attenzione. Poi scrollò le spalle e aggiunse: «Ecco, sicuramente stai sognando e domani non ti ricorderai di nulla. Peccato! Per una volta che riuscivo a trovare qualcuno con cui parlare...»
La voce continuava ostinatamente a non voler uscire, ma Daniel riuscì a chiudere la bocca, e a mandare un messaggio con la mente: "Aspetta! Non te ne andare! Sto sognando probabilmente... ma non ne sono proprio sicuro..."
La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa, ed anche il suo immediato tocco mentale esprimeva lo stesso sentimento: "Ma allora sei un telepate! Sogni? Ne sei sicuro?" Ma poi qualcosa doveva averla distratta o qualcuno la stava chiamando, perché senza neanche un cenno di saluto sparì, all'improvviso.


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La mattina, quando Daniel si svegliò, sentì distintamente le raffiche di neve gelata che frusciavano contro le imposte e la cosa gli fece passare la voglia di alzarsi. Si tirò fin sopra le orecchie la pesante coperta godendosi il calore del letto. Aveva una leggera nausea ed un cerchio doloroso alla testa, ricordo delle libagioni della sera precedente. Puah, la Festa del Solstizio era finita prestissimo, con pochi dolci, birra cattiva e vino che doveva risalire ai tempi di Regis IV... e inoltre quei brethren dei monaci (ridacchiò al gioco di parole) non favorivano certo gli incontri con le donne, anzi!
Fu in quel momento che gli tornò in mente il sogno della notte precedente... perché lui stava sicuramente sognando, ma l'immagine della ragazza era talmente vivida e reale... Ripensò a come l'aveva vista, giovanissima, alta, con i lunghi capelli rossi delle comynare... e gli aveva chiesto se era sicuro che stava sognando. Che pasticcio! Senza che se ne fosse reso conto, le sue mani erano andate a cercare la gemma matrice che portava intorno al collo, ed affondò la propria percezione nelle azzurre luci guizzanti della pietra, protendendo al contempo la mente.
Sentì, immediata, la consapevolezza del proprio cane (in verità si trattava di un cucciolo di lupo che il padre aveva trovato semiassiderato sul fondo di una tana. Il resto della cucciolata era già morto di fame e di freddo. La madre, probabilmente, era stata abbattuta da qualche cacciatore). Dalny guaì felice nell'immaginare la carezza del padrone e cominciò a scodinzolare, alzando la testa e fissando in attesa la porta del fienile. Dopo un po', non sentendolo arrivare, fece un paio di mugolii di protesta e si riaccucciò sulla paglia.
Daniel cercò di estendere ed acuire il più possibile la propria percezione, come gli avevano insegnato alla Torre, ma sentì soltanto il perenne, leggero fruscio mentale di sottofondo che si percepisce su Darkover. Continuò a guardare la propria pietra stellare, per acquietarne i bagliori prima di riporla al sicuro nella seta isolante, ma si interruppe, quando gli sembrò di sentire lo stesso tocco della notte precedente e protese la mente. Ma senza risultato.
Deluso, si accinse nuovamente a riporre la matrice, quando sentì una voce nella mente: "Sei sicuramente l'uccellino a bocca aperta della notte scorsa," il tono era vagamente canzonatorio, ma allegro, "allora che facevi, sognavi o no?"
Venne colto talmente di sorpresa che si ritrovò, per qualche momento, impossibilitato a rispondere, impegnato com'era ad alzare tutte le sue barriere mentali. Ed era anche tremendamente seccato per quell'immagine di uccellino da nido con la bocca aperta e in attesa dell'imbeccata. Poi, sentendo che l'altra era rimasta sconcertata per la sua reazione, cercò di darsi un po' di tono e le rispose quasi con noncuranza: "Sì, probabilmente sognavo e al tempo stesso mi rendevo conto che stavo sognando ed ero nel Sopramondo. In quella situazione non sempre è possibile rispondere."
Nel frattempo cercava freneticamente e inutilmente qualche cosa di diverso da dire. "Per le palle di Zandru," imprecò fra sé, "cosa si può dire ad una comynara che ho avuto la sventatezza di andare a cercare? È proprio vero che se la stupidità fosse un crimine metà della razza umana sarebbe impiccata ad un crocicchio! Ed io ora meriterei quattro buone spanne di corda intorno al collo!"
"Domna?" concluse dando un tono volutamente interrogativo al suo pensiero.
"Semmai damisela..." ribattè l'altra con sussiego, "non sono maritata, né ho una casa da governare," per un attimo le apparve, assurdamente, l'immagine di una grande Casa, "sono in addestramento in una Torre," esitò, non sapeva se dire il proprio nome per intero. Poi decise per il no. "Kasentlaya. E tu?"
"Daniel, Daniel Harryl. Sei in una Torre? Io ho fatto l'addestramento a Tramontana... ma lì non avevano né il tempo né le persone sufficienti per darci l'addestramento come nelle Torri delle pianure. Ci sono stato un anno intero, ma mi rendo conto di aver imparato ben poco. Non ho neanche la qualifica di monitore. La mia Custode diceva che non era poi così importante, se non avevo intenzione di restare con loro." Sentì un po' di amarezza... gli sarebbe piaciuto imparare di più, ma non era stato proprio possibile... Capì anche che le sue barriere si dovevano essere un po' abbassate e che qualcosa dei suoi ultimi pensieri doveva essere trapelato, perché ebbe l'impressione che l'altra fosse stata in qualche modo... partecipe della sua insoddisfazione e dei suoi rimpianti. Si riscosse subito, riprendendo il pieno controllo dei propri pensieri. Non poteva certo apparire debole come un portatore di sandali!
"Ma in fondo non serviva, un addestramento simile a quello delle grandi Torri, intendo. Volevo fare la guida e ci sono riuscito." Concluse con fierezza.
"Davvero? Anche in questa stagione!"
"Solo i pazzi e i disperati viaggiano d'inverno per Darkover!" rise. "Ma ogni tanto qualcuno c'è, tra una tempesta e l'altra. Ora sono fermo a Nevarsin da quasi un mese, ma ho già un contratto per un viaggio per Neskaya, andata e ritorno. Partirò non appena il tempo ce lo permetterà." Si rese conto che aveva parlato quasi sempre lui e che sapeva ben poco della sua interlocutrice. "Ma tu, damisela Kasentlaya, non mi hai ancora detto dove stai facendo il tuo addestramento. Ad Arilinn forse? O a Neskaya?"
"In questo momento..." lasciò la frase in sospeso, incerta. Doveva parlare o no della Torre? No, sicuramente no... D'altra parte non poteva neanche mentire, per quanto inesperto l'altro se ne sarebbe accorto subito. "...sto passando le feste presso parenti... ad Elvas."
Concluse.
"Elvas? È un nome che ho già sentito... ma in un modo molto strano." Daniel si sentì in imbarazzo: come faceva a dire che l'aveva sentito forse in un sogno come quello della notte precedente? Anche se era quasi sicuro che quella volta non stesse sognando... "Elvas..." ripeté quasi trasognato, "...il nome di una valle... il nome di una Torre... un nome di sogno, forse..."
"Hai sentito il messaggio anche tu?" il tono della donna, ora, era quasi ansioso ed un qualcosa in esso lo riportò bruscamente alla realtà.
"... ma allora non sognavo! Ma allora il messaggio l'ho sentito, davvero! Solo che... pensavo fosse un sogno! Ma non era così, vero?"
"No," disse debolmente la voce nella sua mente, "non era un sogno, era un appello... a tutti i telepati di Darkover!"


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Tutto era cominciato così. Daniel aveva rivissuto in un attimo, nella mente della ragazza, quello che aveva subito catalogato, e cancellato alla memoria, come un sogno strano. E che invece era stato vero e reale.
Si erano sentiti solo un'altra volta, dopo quella mattina, ma il collegamento era stato breve, quasi frettoloso. Come se lei (Kasentlaya? Che nome strano, o per lo meno poco comune su Darkover) non volesse - o non potesse - dirgli di più. Si era limitata a fargli leggere, nella mente, il punto in cui la strada alta, quella che da Armida porta a Caer Donn, si biforca a destra in un piccolo sentiero. E l'immagine di un piccolissimo villaggio aggrappato intorno a quello che in passato doveva esser stato un complesso imponente di edifici.
Qualche giorno dopo la Festa del Solstizio il tempo era migliorato, e Daniel aveva potuto riaccompagnare fino a Neskaya un gruppo di ricchi mercanti che era rimasto bloccato dalla neve. Lì aveva sostato solo qualche giorno ed era ripartito alla volta di Nevarsin con un piccolo, prezioso carico di firi per le locande del paese. Solo tre carri, pochi inservienti e due taciturne, acide Amazzoni, con le quali aveva scambiato nei dieci lunghi giorni di viaggio solo poche parole. E sempre per motivi di servizio. Il tempo era volato così in fretta, che si era trovato alla metà di febbraio senza neanche accorgersene, mentre nel frattempo il tarlo della curiosità e del desiderio avevano scavato nel suo spirito gallerie così lunghe e profonde da rendere impossibile il non prenderne atto. Aveva avuto ancora una volta la scusa per rinviare la partenza (era stato riferito che il Vento Fantasma aveva spazzato in modo violento una o più vallate delle Kilghard ), ma alla fine aveva dovuto cedere ad un richiamo che si era diffuso nel suo essere in modo più tenace e profondo delle pulci nella pelliccia del cane di un mendicante. Voleva, doveva andare ad Elvas.
Sentì per un attimo, al margine della coscienza, il filo sottile che lo legava al suo lupo: l'animale si era fermato fiutando con attenzione l'aria intorno a sé, poi, di nuovo tranquillo, aveva ricominciato a scorrazzare davanti e dietro a lui e al suo cavallo.
Dalny gli riportò dolorosamente alla mente il ricordo dei genitori adottivi, che aveva adorato come se fossero stati veramente i suoi. In realtà Dyan McLeod era il marito della sorella di sua madre Marisela, cui era stato dato in affidamento. Il suo vero padre, Domenic Harryl, aveva una tenuta nei dintorni di Darriel, già troppo piccola per essere divisa tra i due figli maggiori Gabriel e Mikhail e consentire una dote dignitosa per sua sorella Elisa. L'arrivo del piccolo Daniel aveva in un primo momento accresciuto i problemi del capofamiglia, finché Marisela aveva proposto di farlo allevare dalla sorella Eleonora che non poteva aver figli.
Era cresciuto così per otto anni nella casa degli zii, fino a quando - dietro insistenza della madre adottiva che aspirava a fargli avere un'istruzione sufficiente per la conduzione della loro tenuta - era stato mandato a Nevarsin dai monaci per imparare a leggere, scrivere e tenere i conti.
Contrariamente a tanti ragazzi, Daniel si era abituato rapidamente al freddo ed al modo di vivere del convento, tanto che una volta uno dei monaci aveva prospettato l'ipotesi di tenerlo con loro per sempre. Ma lui aveva in progetto di tornare a casa il prima possibile e già alla fine del secondo anno, complici anche i primi attacchi del Mal della Soglia, era riuscito a lasciare Nevarsin... per la Torre di Tramontana.
«Un anno quasi inutile,» aveva sentenziato il padre adottivo nel riprenderselo. Era cominciato così il periodo più felice della sua vita. Dyan gli aveva insegnato tutto, ma proprio tutto, ciò che serve per diventare un cacciatore ed una buona guida. Insieme avevano girato ed esplorato tutto il Kilghard e buona parte degli Hellers; aveva imparato a tendere trappole usando della semplice erbacorda, ad accendere un fuoco anche sotto la pioggia e la neve; ad orientarsi in ogni condizione di tempo e di visibilità. A sfruttare la sua capacità di entrare facilmente in rapporto con gli animali (non era proprio il vecchio tocco dei MacAran, aveva sentenziato la leronis, ma una variante; non riusciva ad imporsi, ma il contatto era più semplice ed immediato anche con creature inferiori come il corniglio e lo scoiattolo) e di percepire con largo anticipo i mutamenti del tempo. A soli quindici anni si era già fatto una solida esperienza come guida (non come uomo di scorta: maneggiava la spada senza particolari abilità che eccedessero la semplice difesa personale) e cominciava ad essere già ricercato da qualche capo carovana, anche se il suo destino - come gli ricordava sempre Eleonora - era quello di governare la tenuta paterna.
Poi tutte e quattro le lune gli erano crollate addosso, all'improvviso. Mentre era ad Armida per comprare dei cavalli, uno dei più grandi ed estesi incendi che si ricordassero a memoria d'uomo aveva devastato tutta la zona: della tenuta erano restati solo pochi ruderi calcinati dalle fiamme, dei genitori adottivi ancora meno.
Non prese neanche in considerazione la possibilità di tornare dai genitori naturali: accettò subito un ingaggio come aiuto-guida in una grossa carovana diretta a Caer Donn. A vent'anni, era diventato una delle guide più apprezzate e ricercate dai capo carovana.
Il cavallo si era fermato in cima ad uno dei tanti passi e Dalny, davanti a lui, con la lingua penzoloni, lo guardava con aria interrogativa. Daniel riannodò nella solita corta coda i capelli color stoppa; poi scosse il capo, come per cacciar via i pensieri che gli avevano tenuto compagnia fino a quel momento; annusò l'aria e guardò le nuvole rosate e grigie che si sfilacciavano nel cielo sotto il freddo vento che scendeva dal Muro intorno al Mondo. Non c'era aria di tempesta in arrivo, almeno per i prossimi due o tre giorni. Ma sarebbe arrivato ad Elvas prima.









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Disclaimers

Dopo aver festeggiato il Solstizio tra i monaci, Daniel Harryl incontra nel Sopramondo Kasentlaya. Mesi dopo Daniel decide, mentre è in viaggio da Armida verso Caer Donn, di fermarsi a Elvas.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008