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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, luglio (21)] [Credits & Disclaimers]



Scherzi della mente

Anthea Yllana Crowley

Erano due mesi che Anthea viveva su Darkover, ed erano due mesi che era fidanzata con Sean. Fidanzata. Per quanto prima di allora non avesse mai usato quella parola per definire le sue storie, adesso sembrava l'unica possibile. Anthea e Sean vivevano in simbiosi, ed era rarissimo vedere l'una senza l'altro. E, per quanto potesse sembrare strano, Chandra non era affatto esclusa da quel rapporto tra i due. Infatti passavano la maggior parte del tempo tutti insieme, e anche quando si separavano, Chandra non aveva mai l'impressione che fosse perché lei era un peso. Passavano il tempo a girovagare per Caer Donn o a studiare in camera dell'uno o dell'altro, ognuno col suo portatile. Studiavano tre materie completamente diverse - fisica, psicologia e lingue - ma ogni tanto uno alzava la testa e raccontava loro qualcosa di quello che stava studiando. E così imparavano senza sforzo cose che normalmente avrebbero causato stress e agitazione. Era un periodo idilliaco, per tutti e tre. Ma spesso Anthea sentiva la sofferenza in Sean, pronta a venir fuori nonostante la felicità del ragazzo. E un giorno, ormai stanca di sentire quella tristezza latente, affrontò la questione in modo aperto. Quel giorno Chandra doveva fare degli esperimenti in laboratorio, e dato che né Anthea né Sean avevano bisogno di fare niente del genere, avevano approfittato di quella giornata per girare da soli. A pranzo avevano mangiato qualcosa in una locanda, e ora erano seduti in mezzo al bosco in un punto in cui vedevano Caer Donn stendersi ai loro piedi.
Anthea fece un sospiro profondo, cercando di radunare tutto il suo coraggio. Avrebbe preferito camminare nuda in mezzo alla neve piuttosto che infliggergli anche solo un attimo di sofferenza, ma non sopportava più quella situazione, offuscava tutta la loro felicità.
«Sean... cosa c'è nel tuo passato? Cos'è che ti rende così triste?»
Sentì i muscoli del ragazzo irrigidirsi, e quasi si pentì di averglielo domandato.
«Non credo che tu voglia saperlo veramente. Non può portare niente di buono.»
«Sì invece! C'è una cosa che tu non sai di me. Forse non mi crederai ma... io sento le emozioni degli altri come se fossero le mie! Io sento la tua tristezza, e il non sapere qual è il motivo mi fa soffrire ancora di più!»
Sean la guardò stupito, ma non credette nemmeno per un secondo che gli stesse mentendo.
«Allora forse hai ragione tu. Credo che dovrò fare uno sforzo.»
«Aspetta, Sean. Io non voglio obbligarti a...»
«Non preoccuparti. Credo che sia meglio per tutti e due. È successo tanto tempo fa... beh, non così tanto. È stato tre anni fa, io avevo solo diciassette anni. Non sono mai stato una persona molto seria.»
Anthea sgranò gli occhi. Non riusciva a immaginarsi Sean diverso da come era ora, triste e riflessivo.
«Passavo tutto il tempo a bere con i miei amici e ogni sera c'era una festa diversa... Sai, in quel periodo ero su Vainwal. E a ogni festa c'era una ragazza diversa. Un giorno, non so bene come, mi ritrovai di fronte a una ragazza molto diversa da quelle a cui ero abituato. Era molto carina, e timida, e si guardava attorno spaesata. Probabilmente una delle sue amiche l'aveva convinta a venire e poi l'aveva mollata lì non appena aveva trovato un ragazzo disponibile. E non era certo un problema, quello. Normalmente non l'avrei degnata di uno sguardo - non era il corteggiamento romantico lo scopo di quelle feste - ma qualcosa nella sua espressione mi catturò. Uscimmo insieme per qualche settimana, poi lei mi disse che era incinta. Era una cosa strana. Da una parte sapevo che sarebbe stata una responsabilità enorme, una limitazione della libertà, ma dall'altra era una parte di me e di lei, e allora io credevo di amarla. Ora... dopo quello che ho conosciuto con te...»
Anthea sorrise e fece per interromperlo, ma lui la prevenne.
«Non lo dico solo perché siamo insieme ora. Era una cosa completamente diversa, ma allora era il sentimento più profondo che io avessi mai provato. Comunque, alla fine decidemmo di tenere il bambino. La famiglia di lei la prese bene, perché ci vedevano innamorati, e si fidavano di me. Non sapevano niente di quello che avevo fatto in precedenza. I primi due mesi furono bellissimi, sembrava che non ci mancasse niente. Poi un giorno, all'improvviso, senza un vero motivo, lei ebbe un aborto spontaneo. Fu un colpo terribile per tutti e due, ma io non avevo capito veramente quanto fosse legata al bambino. Voglio dire, per me non era vivo, non l'avevo mai visto, non era reale. Ma lei l'aveva avuto dentro di se. E io non la capivo, ero sicuro che tutto sarebbe passato. Almeno fino a quando lei non si è...»
Sean si bloccò, incapace di continuare, ma Anthea gli lesse la parola nella mente, marchiata a fuoco nel suo tormento. Suicidata. La ragazza gli strinse la mano, cercando di trasmettergli che aveva capito.
«E io non avevo capito, non avevo fatto niente per...»
«Non è colpa tua. Non credo che avresti potuto fare qualcosa per lei.»
«Sì invece!» tutta la rabbia che provava verso di sé si riverso su Anthea, che si sentì scuotere fino alle ossa. «Avrei potuto aiutarla, darle il mio sostegno, e invece non ho fatto niente! Niente!»
Anthea sentì ancora una volta quel flusso di energia negativa scorrere in lei, raggiungendo un picco di dolore quasi fisico, quasi sensuale. Un attimo prima di svenire pensò: "ora almeno so."


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Quando aprì gli occhi, non riusciva a capire dove fosse. Ricordava l'altura, e quello che le aveva detto Sean, ma non riusciva a capire. Quando riuscì a mettere a fuoco un po' meglio riconobbe la stanza di ospedale, uguale a tutte le altre che aveva visitato. Sapeva che c'era qualcosa che non le piaceva in quella situazione, ma era stranamente non le importava abbastanza per ribellarsi. Quando girò la testa, vide Sean di spalle che guardava fuori dalla finestra.
«Sean...» mormorò, troppo debole persino per parlare.
Lui si girò di scatto.
«Anthea, sei sveglia!»
Vedeva la preoccupazione sul suo viso, ma non riusciva a sentirlo.
«Anthea, amore, cosa ti ho fatto... ho fatto del male anche a te alla fine...»
«No Sean, non dire così. Vieni qua, dammi la mano, ho bisogno della tua forza adesso, non dei tuoi sensi di colpa.»
Il ragazzo si sedette accanto a lei e le prese la mano. Anthea cominciava a preoccuparsi. Neanche attraverso il contatto riusciva più a sentire le sue emozioni. Cosa mi sta succedendo?
Con la strana sensibilità che a volte mostrava, Sean disse: «Ti hanno somministrato degli antipsicotici. Non preoccuparti se ora ti senti un po' strana.»
«Antipsicotici?» "Cosa ho fatto?"
«Sei svenuta, così ti ho portata qua. Quando ti sei svegliata la prima volta continuavi ad urlare e hanno dovuto darti quel farmaco per farti calmare. Solo dopo ti hanno dato un sonnifero, in modo da farti riprendere un po' di forza.»
In quel momento entrò suo padre con due caffè.
«Anthea! Come stai, piccola?»
Appoggiò i caffè sul comodino e si chinò a baciarla.
«Sono felice di vederti sveglia. Stai bene?»
Anthea si chiese come poteva stare bene quando non poteva più sentire gli altri. Si sentiva impotente, come se all'improvviso avesse perso la vista o l'udito. Ma questo non poteva spiegarlo a suo padre. E comunque non era così importante.
«Sì papà. Solo un po' di mal di testa.»
«È normale, devi smaltire l'anestetico. Stasera puoi già tornare a casa, ma sarà meglio che tu non esca per un paio di giorni.»
Anthea annuì. Sapeva che avrebbe dovuto essere felice di andarsene così presto, perché quel luogo la metteva a disagio, ma la cosa non la interessava poi molto. Si rendeva conte che suo padre aveva probabilmente usato la sua autorità per diminuirle la degenza, e gli era grata per questo.
Rimasero lì ancora un po', fino a quando l'infermiera non li cacciò per farla riposare, intimandogli che se non se ne fossero andati non avrebbe fatto uscire Anthea.
Una volta rimasta sola, Anthea ricordò che c'era qualcosa che avrebbe dovuto ricordarsi, come un sogno in un sogno, ma non riuscì a capire cosa. Sapeva che era qualcosa di importante, ma tutto quello che riusciva a portare a galla era una sensazione di galleggiare nel grigio, e di una voce che le parlava, e sapeva che quello che aveva detto era fondamentale e le avrebbe cambiato la vita, ma non riusciva in alcun modo a ricordare le sue parole.
L'infermiera entrò con in mano una siringa. Anthea la guardò preoccupata. Probabilmente l'effetto dell'antipsicotico stava finendo, perché cominciava a rendersi conto che l'apatia che provava era dovuta ad esso, e poi sentiva confusamente le emozioni più forti provenienti dal resto dell'ospedale.
«Cosa c'è in quella siringa?»
L'infermiera sorrise dolcemente.
«Niente di preoccupante, è solo un sonnifero. Devi dormire, o non ti riprenderai mai.»
Anthea la guardò con aria preoccupata.
«La prego, non me ne inietti ancora! So che questo tipo di farmaci ha un effetto rimbalzo, non ho intenzione di passare le prossime settimane in preda agli incubi!»
«Ma tesoro, se non dormi...»
«Ma io dormirò, in realtà mi sento già assonnata, se mi spegne la luce probabilmente mi addormenterò subito.»
L'infermiera la guardò poco convinta, ma annuì.
«Però se entro un ora non dovessi riuscire ad addormentarti, chiamami. Hai assolutamente bisogno di dormire.»
Anthea accettò sollevata. Non avrebbe preso quel farmaco per nulla al mondo. Sarebbe già stata fortunata se non avesse avuto incubi quella notte.


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Stava sognando. Il suo corpo galleggiava in mezzo a una pianura grigia e sconfinata. In lontananza vedeva risplendere delle costruzioni, una specie di fari ma fatti completamente di luce. Improvvisamente vide uno di essi sfolgorare e si ritrovo a pochi passi dalla Torre. Perché da qui si vedeva bene che era una Torre, verde e bellissima. Eppure sembrava mutare davanti ai suoi occhi.
Poi apparve una donna bellissima, che sembrava scintillare allo stesso modo della Torre. Era una donna piccola, fragile all'apparenza, ma Anthea sentiva che in realtà era forte e dura come il granito. Sembrava giovane e antica al tempo stesso, e ispirava una sensazione di fiducia completa.
La donna la guardò con curiosità e le chiese: «Chi sei? Non mi pare di averti mai vista nel sopramondo.»
«Cos'è il sopramondo?»
«Il sopramondo è questo piano mentale in cui ci troviamo.»
«Ma no ti sbagli,» rispose Anthea, sentendosi improvvisamente piccola e spaventata «Questo è il mio sogno. Chi sei tu?»
«Io sono Fiona di Elvas, e questo non è un tuo sogno, credimi, anche se probabilmente tu stai davvero dormendo.»
Anthea si sentì girare la testa. Un piano mentale? E cosa voleva dire che non era un sogno anche se stava dormendo?
Mille domando si affacciarono alla sua mente. Le sembrava di essere sul punto di scoprire qualcosa di fondamentale, ma sentiva anche che quello che avrebbe scoperto l'avrebbe cambiata per sempre, e lei non era sicura di essere pronta a cambiare. Improvvisamente si sentì trascinare verso il suo corpo. Piombò in un sonno profondo e senza sogni. Quando si svegliò la mattina ricordava perfettamente quello strano sogno della pianura grigia, ma anche se lo considerava importante dal punto di vista psicologico, non credeva che fosse diverso da mille altri sogni sognati in precedenza.
Guardò fuori dalla finestra. Era già sera. Perché suo padre non era ancora arrivato? Ora che aveva smaltito del tutto l'antipsicotico, sentiva l'antica paura per gli ospedali riaffiorare. Non riusciva più a sopportare il dolore degli altri pazienti, e per di più non riusciva neanche a schermarsi come aveva fatto in passato. Dov'era suo padre?
Come se fosse stato chiamato da quel pensiero, suo padre entro di corsa dalla porta, con un infermiera arrabbiatissima alle calcagna.
«Scusami tesoro, mi hanno trattenuto e non sono riuscito a venire prima. Riesci ad alzarti?»
«Signor Crowley!» lo interruppe l'infermiera, indignata. «Non può precipitarsi qui disturbando mezzo reparto, mettersi a correre nei corridoi e poi obbligare questa povera ragazza a seguirla subito, senza neanche preoccuparsi del suo stato!»
Anthea sorrise. Era la stessa infermiera del pomeriggio.
«Lasci stare, signorina. Io sto bene, davvero. È in questo momento l'unica cosa che voglio è tornare a casa.»
Lasciò che l'infermiera l'aiutasse a vestirsi, mentre suo padre distoglieva educatamente lo sguardo. Non c'erano mai stati grossi tabù tra di loro, ma in presenza di estranei suo padre preferiva evidentemente attenersi all'etichetta. In pochi minuti finì di vestirsi e uscì con suo padre nei corridoi dell'ospedale. Fortunatamente Anthea aveva addosso gli abiti darkovani, altrimenti non avrebbe di certo potuto sopportare il vento gelido della strada. Si chiese come mai i terrestri non avessero costruito ancora un corridoio di collegamento tra l'ospedale e il centro, e in quel momento vide un piccolo tunnel in costruzione. Anthea sorrise. Figuriamoci. I terrestri sembravano avere una atavica predisposizione ad odiare gli ambienti esterni, e facevano di tutto per evitare di uscire dalle stanze riscaldate.
«Papà, ho fame...»
«Certo, piccola, scusa se non ci ho pensato prima. Vuoi che facciamo un salto alla mensa?»
Anthea fece una smorfia disgustata, e il padre scoppiò a ridere.
«Te l'ho chiesto solo perché è vicina. Se andiamo a casa ci vorrà un po' prima di cucinare qualcosa di decente.»
Una cosa che Anthea aveva sempre apprezzato di suo padre era l'ostinazione a cucinare lui stesso. A nessuno dei due piacevano i cibi del sintetizzatore che dopo tutto non erano altro che copie dei prodotti originali, per quanto accurate. La mensa dei vari centri, poi, era una cosa talmente obbrobriosa che sembrava respingerli con un muro invisibile. I piatti erano preparati apposta per non dispiacere nessun abitante dell'Impero, il che voleva dire in pratica che non avevano nessun sapore, erano solo pappette inconsistenti di sostanze nutrienti.
«Perché non andiamo in qualche locanda?»
Il padre annuì in silenzio, e si avviarono verso un posto dove mangiarono una deliziosa zuppa di verdure e carne.
Una volta mangiato, Anthea si sentì molto meglio. Mentre si avviavano a casa, si stropicciò gli occhi come una bambina assonnata.
«È assurdo, ho passato tutto il giorno a dormire e ho ancora sonno!»
Il padre le accarezzo la testa, e attraverso quel contatto Anthea sentì il suo amore e si sentì estremamente rassicurata. Almeno questo, in questo momento in cui sembrava che tutto il suo mondo andasse in pezzi, non era cambiato.
A casa, Anthea si sentiva molto insicura. Suo padre in qualche modo se ne accorse, e si sedette sul suo letto come faceva quando era piccola. Cercando di calmarla, le cantò persino la ninna nanna che le cantava in quel periodo.

Anthea, cara bambina, Anthea, cara a sua madre
Cara a suo padre, figlia di re di terre lontane
Anche se a volte sei sola, non lo sei veramente
Perché col cuore io sono sempre con te.
Lava i capelli, te li acconcerò con mille perline
Pari sarai così alle più belle principesse delle stelle
Anthea, piccola mia, bellissima e forte
Quando sarai più grande il regno sarà tuo.
Sogna adesso e non pensare
Che il tuo papà ti vuole bene.


Scivolò così in un sonno di sogni dorati, dove vedeva stelle, perline e regni sconfinati, ma a un certo punto vide apparire una terra diversa. Il cielo viola e il sole rosso erano quelli di Darkover, anche se lei nel sonno non se ne rendeva conto. C'era un castello, c'era un piccolo villaggio, ma soprattutto c'era una Torre. Anzi, c'era la Torre. La Torre che aveva visto nel suo sogno durante il giorno. Anthea sentiva che quella torre era veramente importante, ma non riusciva a capire perché. E poi, bruscamente, il sogno cambiò di nuovo, e quando si svegliò il mattino dopo si era dimenticata tutto, tranne la sensazione di aver sognato qualcosa di fondamentale.


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Episodi di quel genere si ripeterono ancora, e alla fine i medici non si azzardavano a lasciare che Anthea andasse in giro senza psicofarmaci. In una settimana aveva avuto quattro o cinque crisi di quel tipo, che la stavano debilitando fisicamente oltre che psicologicamente. Inizialmente aveva mostrato anche un po' di febbre, ma era bastata un antipiretico per fargliela scendere. La cosa che preoccupava veramente tutti, anche il comandante Crowley, era il fatto che durante l'ultimo attacco Anthea avesse avuto il principio di un attacco di epilessia. Non aveva mai sofferto di quel disturbo e i normali farmaci avevano avuto un effetto molto blando: fortunatamente le convulsioni erano cessate da sole.
Oramai Anthea passava le sue giornate in camera sotto l'effetto dei farmaci e nemmeno l'amore di Sean e l'affetto di Chandra riuscivano a riscuoterla dallo stato di torpore.
Un attimo prima di prendere l'antipsicotico, quando l'effetto del precedente cominciava a svanire, Anthea riusciva a sentire nuovamente le sensazioni degli altri, e così sapeva quanto tutti fossero preoccupati per lei.
In uno dei quei rari momenti di lucidità assoluta, si era accorta che Sean era addolorato dalla sua totale mancanza di reazioni.
«Sean, ti prego, non pensare che io non ti amo più,» cercava di rassicurarlo «Lo sai che è solo l'effetto di quei farmaci maledetti. Non ci posso fare niente, per la maggior parte del tempo sono emotivamente un vegetale...»
Allora Sean sorrideva e la abbracciava stretta.
«Non ti preoccupare, amore, lo so.»
Si baciavano, e lei si sentiva di nuovo viva, ma poi entrava suo padre con il farmaco e in pochi minuti tutto tornava normale.
Allora l'espressione di triste di Sean o quella di suo padre non le dicevano più niente, anche se razionalmente pensava: "Non posso lasciare che mi facciano questo, non posso vivere, sarebbe meglio morire." Ma non riusciva a mantenere la concentrazione neanche per il tempo necessario a mettere in pratica quell'idea.
Sempre più spesso suo padre usciva la sera a ubriacarsi, e proprio una di quelle sere incontrò una vecchina che sembrava conoscere il suo problema e che gli consigliò di andare nella valle di Elvas, dove addestravano chiunque avesse la facoltà giuste, senza curarsi della discendenza.
Anche se inizialmente gli era sembrata una cosa assurda, quando aveva visto Anthea aggrapparsi disperatamente a Sean nel breve momento di lucidità aveva deciso di tentare, per quanto folle potesse sembrare folle. E così adesso Anthea si ritrovava su un cavallo, per la prima volta dopo molti giorni libera dai farmaci, in direzione della valle di Elvas.









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Disclaimers

La permanenza di Anthea su Darkover risveglia i suoi poteri ESP assopiti e la porta sull'orlo della crisi.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008