[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, novembre] [Credits & Disclaimers]



Sorelle di Voto

Aurora n'ha Viviana

Era abitudine che ogni Rinunciataria si preparasse un cambio d'abiti completo, durante il periodo del ritiro, o perlomeno lo facevano le donne più capaci ed amanti del cucito e del ricamo. Aurora aveva ormai finito il suo lavoro - o, meglio, era a metà del secondo cambio d'abiti, dopo averne già preparato uno completo per sé e per il figlio che le sarebbe nato, nonché fasce, fazzoletti, calze e sciarpe per alcune delle sue sorelle. Dal momento che aveva mani veloci e che la gravidanza avanzata le impediva lavori troppo pesanti, passava spesso il tempo cucendo, rammendando o ricamando gli abiti suoi ed altrui. In quel momento si trovava di guardia alla porta, ed ingannava il tempo ricamando un fregio di foglie verdi sui bordi di una tunica di lana color ocra. Sarebbe stata perfetta per una festa autunnale.
Nell'arrivare alla Gilda, aveva immaginato che la sua vita da Rinunciataria (o quanto meno da apprendista) sarebbe stata completamente diversa da quella in famiglia. In realtà, però, non era cambiato molto. Essendo incinta, non poteva prendere lezioni di lotta e scherma troppo complesse, ed era ancora in ritiro, perciò non poteva fare nessun lavoro all'esterno. Così, come quando abitava con i genitori e la sorella, si occupava delle piante, di cucito e ricamo e della cucina. Il giorno prima aveva salato, speziato e messo a seccare un quarto di cervine con l'aiuto di Asillin n'ha Fiora, quello prima ancora aveva preparato le ultime conserve autunnali, le composte e la frutta secca col miele, tre giorni prima aveva concimato delle piantine (quelle sui tavoli, perché piegarsi non era più così comodo) e così via.
La sera faceva il bagno nelle vasche comuni alla Gilda, ascoltava le sorelle che suonavano e cantavano, partecipava a lezioni e riunioni che non mancavano mai di lasciarla turbata. In particolar modo, aveva faticato ad accettare le lezioni sui diversi modi per prevenire le gravidanze. Anche se era giunta ad amare il bambino che aspettava, era consapevole che, mettere in atto qualcuno di quegli accorgimenti, sei mesi prima, l'avrebbe aiutata non poco; d'altro canto le sembrava ancora che fossero pratiche sconvenienti e si sentiva piuttosto impudica anche soltanto a studiarle.
Le riunioni alle quali era tenuta a partecipare non l'aiutavano: come nuova arrivata in ritiro, era spesso bersaglio di critiche e raffiche di domande che l'avrebbero aiutata ad acquisire il modo di pensare delle Rinunciatarie. In realtà, soprattutto nei primi mesi, era spesso tornata in camera del tutto demoralizzata, più di una volta perfino in lacrime, domandandosi cosa stava facendo della propria vita. Nessuna volta, però, neanche quando una delle sorelle aveva insinuato che Aurora si era divertita a provocare il padre di suo figlio e poi, cambiata idea, aveva pensato che diventando Rinunciataria avrebbe ottenuto una gran libertà sessuale, ella aveva mai pensato di tornare indietro.
Poco prima di mezzogiorno, qualcuno bussò alla porta della Gilda. Aurora si alzò pesantemente ed andò ad aprire. Abbagliata dalla luce del sole negli occhi, riuscì tuttavia a riconoscere la figura di una giovane donna, Rinunciataria come lei.
«Sono qui con Shavanne n'ha Marga, da Caer Donn, abbiamo portato dei semi e delle talee. Io conosco la vostra serra solo di fama, ma la mia compagna ha già commerciato con la vostra Gilda.»
"... quella voce..."
Aurora indietreggiò, per far entrare l'altra nella penombra dell'ingresso. Nella figura che aveva intravisto, e nella sua voce, c'era qualcosa che le sembrava familiare, ma che non riusciva a collocare bene nei ricordi. Quando l'altra fu entrata nella stanza, poterono guardarsi in viso e scambiarsi un sorriso. Ed in quel momento Aurora la riconobbe. La carnagione chiara in ogni stagione, i capelli corti, ma un tempo raccolti in lunghe trecce, i grandi occhi verdi nel viso dolcemente arrotondato...
«Maia...?» Era così sorpresa che per un attimo sentì che le gambe le tremavano, e dovette sostenersi alla porta che stava accostando.
«Sì, mi chiamo...» iniziò l'altra, poi anch'essa la riconobbe: «Aurora, la piccola Rora MacColin! Sei viva, dunque? Ed in ottima salute, vedo! Anzi, le mie congratulazioni...» Ma non finì la frase, ed i suoi occhi si incupirono, mentre le mani allungate per abbracciarla si fermavano a metà strada.
Non si erano più incontrate da due, quasi tre anni, dalla morte di suo fratello Colin. Maia era la sorella maggiore di Morall, la fidanzata di Colin, appartenente anch'essa ad una famiglia di vasai, concorrenti ma amici dei MacColin. Aurora ricordava Maia come una giovane donna forte ed intraprendente, non particolarmente interessata all'argilla, ma neanche al lavoro di casa, i cui genitori la lasciavano piuttosto libera di seguire i propri interessi. In effetti, la giovane era in grado di catturare il cuore di tutti, e ne aveva sempre saputo approfittare, e d'altro canto aveva sempre avuto una mente piuttosto pratica, ed era in grado di dare al padre suggerimenti e consigli utili per gli affari.
Una visita di cortesia ed un viaggio di lavoro dopo l'altro, Aurora aveva conosciuto l'altra e ne era diventata amica intima in modo del tutto naturale, nonostante i quattro anni di differenza fra loro. Ed ora, dopo più di due anni di relativo silenzio, di notizie frammentarie, aveva scoperto che Maia aveva seguito la sua stessa strada.
Sentì delle lacrime bruciarle negli occhi, e premere per uscire.
«Certo che sono viva, e sono così felice di vederti! Ma perché non mi abbracci, amica mia?»
E Maia l'abbracciò forte, forte quanto poteva dato il pancione che c'era fra loro. Quando si separarono, le lacrime brillavano negli occhi di entrambe.
«Oh, piccola, ho tante cose da dirti... e anche tu, vedo! Adesso devo lavorare, ma dopo troveremo tempo per noi, te lo giuro. Ecco la mia compagna.»
Shavanne doveva aver portato i cavalli nella stalla, e poi aver rifatto il giro dall'esterno per tornare verso l'ingresso. Ora faceva capolino dalla porta, una donna ridente sulla trentina col viso contornato di riccioli scuri.
«Ho interrotto qualcosa, Maia? Non sapevo che avessi amanti anche a Elvas.»
«Shavanne! Questa è una mia vecchia amica, Aurora n'ha... Viviana, vero? Scusami se prima ti ho chiamata per cognome. E lei è Shavanne n'ha Marga, non fare caso alle sconcezze che dice, soprattutto a quelle sul mio conto.»
Quando ebbe smesso di ridacchiare (dopo sei mesi alla Gilda, era più che abituata a questo genere di battute), Aurora chiese loro se volevano fare un bagno, dopo il viaggio, o mangiare qualcosa, e se avessero un appuntamento con qualcuna della Gilda. E proprio in quel momento, come se fosse stata chiamata, arrivò Dana, dando prova del suo già sperimentato dono dell'ubiquità, perlomeno apparente, che le permetteva di trovarsi contemporaneamente in almeno due o tre posti in cui la sua presenza era richiesta.
«Benarrivate. Shavanne, sapevo che saresti venuta, ma credevo ci volessero ancora un paio di giorni. E l'altra sorella...?»
«Sono Maia n'ha Semele.»
«Seguitemi pure, vi mostro la stanza per voi, così potrete riposare un po' e poi potremo parlare di lavoro. Aurora, mi farebbe piacere che ci fossi anche tu, dopo, queste sorelle ci hanno portato dei semi di piante medicinali molto rare. Avvisa anche Jandria e Vivienne, per favore, e chiunque possa essere interessata.»


barra

Verso l'ora di pranzo, portò un vassoio con il cibo per due persone nella stanza di Maia e Shavanne, ma l'Amazzone più anziana, dopo averla ringraziata, le disse: «Resta tu a mangiare con Maia, io scenderò in cucina a prendere qualcosa, e a vedere se c'è qualcuna che conosco. Mi farebbe anche piacere salutare Gwennis, è anche lei di Caer Donn. Invece Maia mi ha detto che non vi vedete da anni e sicuramente vorrete stare un po' insieme.»
«Grazie, Shavanne. Credo che Madre Gwennis sia nel suo ufficio, o comunque da qualche parte di sotto.»
Così le due amiche si sedettero insieme, con il vassoio fra loro, ed iniziarono a tempestarsi di domande.
Maia le raccontò che il fidanzato ricco ma malaticcio che le avevano scelto i suoi era morto di febbre polmonare, senza che ciò le lasciasse troppi rimpianti, e che ella aveva poi deciso di diventare una Rinunciataria e di specializzarsi (come la stessa Aurora) nel giardinaggio e nell'erboristeria. Tutto ciò era accaduto più di un anno prima, ma la sua famiglia si era ben guardata dal diffondere la notizia fuori da Caer Donn. Morall si era invece felicemente sposata con un giovane carpentiere e gli aveva dato un bambino.
«Ero lì quando è nato, vedessi com'era grosso! Temevamo tutti che ci sarebbero stati dei problemi per il parto, visto quanto era grande, ma per fortuna è andato tutto bene. E il tuo, quando nascerà? A occhio e croce dovrebbero volerci ancora tre o quattro mesi. Come lo chiamerai?»
«Sì, circa tre mesi se nascerà al momento giusto. Non ho ancora deciso il nome, ma se sarà un maschio di certo non lo chiamerò Colin: nella mia famiglia ce ne sono già troppi. E se sarà femmina, come spero, vorrei darle i nomi di almeno mezza dozzina di sorelle della Gilda!»
«Posso domandarti chi è il padre? E poi devi ancora raccontarmi come hai deciso di diventare Rinunciataria.» Fece un attimo di pausa, poi le prese la mano. «Le due cose sono collegate, non è vero?»
«Sì, ma non nel modo che credi... questo bambino non è stato concepito sotto le quattro lune, ma sotto la lama di un coltello.» Inconsciamente, Aurora si toccò la cicatrice sulla guancia. «Ma per mio padre era la stessa cosa che se me la fossi cercata, e non volevo finire legata a... al padre del bambino, né volevo essere costretta a diventare quello che mio padre diceva che fossi. Non è stata una scelta facile, ma era l'unica possibilità che avevo davanti, e qui sto bene, è la mia vita ormai. Fra una decade presterò il Giuramento, e ne sono felice.»
«Mi dispiace tanto che ti sia successa una cosa del genere, breda!» Maia l'abbracciò d'impulso, sporgendosi da sopra il vassoio. «Speravo che fosse stato qualcosa di bello per te...» Aurora affondò il viso nei capelli dai riflessi mogano, poi si staccò dall'amica.
«Il mondo va come vuole, Maia, non come vorremmo noi due. Rimpiango soltanto di non poter vedere Bethia. Non so nemmeno se potrebbe capire la mia scelta.»
Di nuovo, come un paio d'ore prima, gli occhi di Maia si incupirono.
«Devo dirti qualcosa al riguardo, Aurora. Ricordi che credevo fossi morta?» Aspettò un cenno di assenso. «Ecco, io sono passata dal tuo villaggio, venendo a Elvas, perché era su una strada comoda per noi, e Shavanne aveva un affare non concluso nelle vicinanze. Così, ho deciso di vedere come stava la tua famiglia, e volevo venire a trovarti perché era tanto tempo che non ci vedevamo e non avevo tue notizie. Sapevo bene che tuo padre non avrebbe voluto una Rinunciataria in casa propria, perciò ho deciso di andare al pozzo, perché pensavo di vedere te, Bethia e vostra madre. Sono passata vicino alla vostra casa, dalla parte di dietro e ho visto qualcosa... accanto al tumulo per tuo fratello ce n'era un altro. A dire il vero, ho pensato che fosse successo qualcosa a tuo padre, o che tua madre avesse avuto una gravidanza in età avanzata e...
«Beh, sono andata al pozzo e ho visto che tua madre era viva. Allora l'ho seguita fino a una strada appartata, perché sapevo che nemmeno lei avrebbe voluto farsi vedere in pubblico con una di noi. Mi sono fatta riconoscere e le ho chiesto di voi due...»
«Ti ha detto che ero morta?» Aurora sentiva un groppo alla gola. Non aveva considerato questa possibilità. Certo, una figlia morta era una disgrazia, ma una figlia con l'orecchino e i pantaloni era una vergogna. Doveva essere stata un'idea di suo padre, ovviamente.
«Sì, mi ha detto che ormai le restava una sola figlia, che solo Bethia era la sua consolazione. Aveva uno sguardo così duro, piuttosto che affranto. Duro, come se si fosse messa addosso una corazza, ed ora ne capisco il motivo. Non penso che lei avesse voluto perderti in questo modo, non penso che ti avrebbe preferita morta, ma forse per loro è più semplice così. Se tuo padre ti ha trattata come mi hai detto... non penso che tua madre o tua sorella potrebbero crederti una poco di buono, non tu! Dev'essere stato un modo per negare in ogni modo quello che non riuscivano a capire.»
Aurora scosse la testa. Non poteva crederci, e tuttavia era così logico, e così credibile quello che Maia le stava dicendo. Preferì cambiare discorso e chiedere della sorella.
«Mi ha detto che era sposata, sai? Ma probabilmente hai conosciuto il suo fidanzato, si sono sposati cinque mesi fa, mi ha detto. Dea misericordiosa! È stato lui? Breda, è stato lui a violentarti? Guarda come tremi, preciosa, cerca di calmarti. Conosci Bethia meglio di me: lei è contenta di essersi sistemata, non voleva niente altro, lei non è come noi. Oh, sta' tranquilla, preciosa, Bethia è felice, te lo giuro, dopo l'ho vista e lei mi ha salutata con affetto, ma non abbiamo parlato di te perché vostra madre mi aveva chiesto di non farlo. Mi avrebbe detto la verità, capisci? Mi avrebbe detto che sei viva, lo so, e che le manchi... mi avrebbe chiesto di cercarti perché io posso andare dove voglio; di cercarti e portarti il suo amore e forse mi avrebbe chiesto scusa da parte di suo marito. Va tutto bene, preciosa, ci sono io, va tutto bene, oh, ti voglio tanto bene, piccola...»
Il discorso si trasformò in parole e rassicurazioni senza senso, mentre Aurora, scossa dai singhiozzi, si aggrappava a Maia. Pianse finché non le sembrò che gli occhi le si fossero seccati, poi chiese timidamente scusa per il suo comportamento, e l'altra si mise a ridere. «Non devi nemmeno pensare di scusarti! Almeno tu hai pianto; quando ti ho vista qui, io ho desiderato ucciderli uno per uno e non ho avuto il coraggio di dirti niente.»
«No, è solo la gravidanza che mi fa ridere e piangere senza motivo. Se avessi qui quel bastardo lo ucciderei con il mio coltello, anche se non ho avuto modo di imparare davvero a combattere, nel mio stato! Ma vorresti accompagnarmi a lavarmi la faccia? Penso che ormai Dana e Shavanne ci aspettino da un pezzo.»
Mentre erano in bagno, a Maia venne un'idea.
«Ascoltami, Aurora, noi dovremmo trattenerci qui per tre o quattro giorni, ma potrei chiedere a Shavanne se per lei va bene restare qualche giorno in più. Mi piacerebbe assistere al tuo Giuramento, sempre se tu sei d'accordo.»
«Se sono d'accordo? Sarebbe bellissimo, diventeremmo sorelle di voto!»
Pochi minuti dopo, erano sedute ad un tavolo nella serra, a discutere di semi e concime insieme alle altre donne. E se anche gli occhi di Aurora erano un po' arrossati e gonfi, il suo sorriso non avrebbe permesso a qualcuno di soffermarsi su quel particolare.


barra

Le righe di parole, sul foglio, non erano dritte ma prendevano strane inclinazioni verso l'alto o il basso. Le stesse lettere si contorcevano su se stesse, con gambi troppo corti e cerchi imprecisi. Infine, Aurora abbandonò il tentativo di finire la pagina di esercizi.
«Eppure hai delle mani precisissime per il ricamo.» Le fece notare Maia, sua inseparabile compagna negli ultimi giorni.
«In genere non vado così male e le lettere le conosco tutte,» si giustificò, «sono solo un po' nervosa.»
«Hai qualche dubbio sul Giuramento? Puoi chiedere di prolungare il ritiro.» L'altra era perplessa.
«No, no, nessun dubbio: ormai mi sento del tutto una Rinunciataria. È che non posso evitare il nervosismo... un Giuramento è sempre un Giuramento, ecco. E poi, finirà il mio ritiro, ed anche questo mi rende nervosa. All'infuori delle Rinunciatarie, posso dire di non conoscere praticamente nessuno qui, e loro non conoscono me.»
«E questo è un problema?»
«Non veramente, anche perché molti di loro è come se già li conoscessi dalle chiacchiere delle altre. Ma sono rimasta qui per sei mesi e domani voglio uscire, voglio cavalcare, sentire la neve sul viso e tutto il resto. E poi voglio lavorare, anche se con questa pancia non sarà comodissimo. Un lavoro vero, intendo. Sai, forse potrò ricominciare a lavorare l'argilla: il nonno di Idriel (più tardi te la farò conoscere, ha un anno più di me ed è una ragazza molto dolce), suo nonno, dicevo, fa il vasaio e ha bisogno di una mano. Ma nel frattempo, chiusa qui, ci sono giorni in cui pur di sentire un po' di sole e di vento mi offro volontaria per spalare il letame delle stalle al posto di chi dovrebbe farlo quel giorno. E d'altra parte, essendo rimasta al chiuso per tanto tempo, è come se avessi timore di uscire, non so spiegarlo.» Alzò le spalle.
«Oh, non preoccuparti, succede a tutte noi. Ma ora lavati le mani, sei piena di inchiostro. Non vorrai iniziare la tua vera vita da Rinunciataria tutta sporca! Ti ho raccontato del mio Giuramento? Una sorella stava portando una brocca di vino da bere dopo, ma è inciampata e mi ha inzuppata dalla testa ai piedi. Così ho dovuto cambiarmi in fretta e furia ed ho fatto il Giuramento con gli abiti per cavalcare, puzzando di vino da dieci piedi di distanza! Pensa che mi ero fatta una gonna verde così bella, ed ho dovuto tingerla di nero perché le macchie di vino non sono più sparite.»
Fu senza macchie d'inchiostro, ma senza neanche una gonna, che Aurora entrò nella sala comune. Mentre si preparava con l'aiuto dell'amica, le altre l'avevano addobbata a dovere. Candele della migliore qualità spandevano in parti uguali luce e profumo di miele, e legno aromatico bruciava nel camino; alcune piante erano state trasportate dalla serra, mentre ad altre erano stati recisi dei fiori, poi sistemati nei vasi. I tavoli erano stati spostati lungo le pareti per non intralciare, ed erano carichi di brocche e vassoi di dolci e focacce. Aspettandola, molte Rinunciatarie si erano sedute su cuscini e poltrone, intorno ad Idriel che pizzicava le corde del suo rryl.
"Tutto questo per me!" pensò, e si sentì rispondere, da qualche parte della sua mente: "E perché no?"
Maia le passò un braccio intorno alla vita, bisbigliandole un incoraggiamento, e l'accompagnò fino al luogo preciso in cui la cerimonia si sarebbe tenuta, nelle vicinanze del camino. Mentre passava fra di loro, le altre donne le rivolsero qualche parola - saluti, incoraggiamenti, battute - ed iniziarono a spostarsi verso l'altro lato della stanza, per non essere d'impiccio.
Aurora avrebbe pronunciato il Giuramento davanti a Dana n'ha Angela, come madre di voto, ed alle sorelle cui si era avvicinata di più durante il ritiro. Fra Aurora e Dana, già sua insegnante di erboristeria e giardinaggio, si era sviluppato un forte rapporto di amicizia e rispetto reciproco, giorno dopo giorno nella serra, lavorando fianco a fianco, curando piante malate e scoraggiando Alar nelle sue visite.
Fra le sorelle di voto, oltre a Maia, c'erano Idriel e Vivienne. Anche il rapporto con loro era cresciuto lentamente, in quiete conversazioni durante il lavoro, scambi di pareri, semplice vicinanza. Essere amica di una comynara poi, non cessava ancora di stupirla: era così lontano da qualsiasi cosa avesse potuto immaginare! Tuttavia, nella Gilda non c'erano distinzioni di censo, e tutte le donne erano considerate solo per ciò che erano dentro.
«La tradizione vuole che tu ti scopra i seni davanti a noi, per dimostrarci di essere una donna, e non un uomo travestito che cerchi di ingannarci. Ovviamente, sappiamo tutte che sei una donna ma, per favore, scopriti.» Le disse Dana, quando ciascuna ebbe preso il proprio posto.
Con un certo imbarazzo, si sfilò di dosso lo scialle di lana e slacciò la camicia, ampia ma troppo leggera, che aveva indossato. Nell'allargarla, strinse le mani sulla stoffa per evitare il gesto istintivo di coprirsi. A meno che gli uomini non fossero in grado di portare e partorire bambini, si disse, a tutte doveva essere chiaro che lei era una ragazza, già con i vestiti addosso, figurarsi senza! Una dopo l'altra, le sfilarono davanti per controllare la sua femminilità; Maia le fece di nascosto l'occhiolino, altre diedero solo un'occhiata di sfuggita, forse come gesto di rispetto verso il suo imbarazzo.
«Molto bene, allora. Credo che siamo d'accordo tutte quante sul fatto che tu sia una donna. Se qualcuna dovesse avere dei dubbi sulla sua identità, la prego di parlare immediatamente, e di richiedere che questa persona venga spogliata completamente.» Nei pochi secondi di silenzio che seguirono, si sentì qualche risolino soffocato. «Così sia, Aurora, ti accettiamo fra noi come donna.» Al cenno che seguì, la ragazza armeggiò con i bottoni per rivestirsi, rabbrividendo dal freddo, e si avvolse l'ampio scialle intorno alle spalle e alla vita, bloccandolo in modo da mantenere le braccia libere.
Dana continuò: «Ora, tu ti sei tagliata i capelli e sei venuta tra noi di tua volontà; perciò ti invito a ripetere il Giuramento dato, ai tempi di Varzil il Buono, alla Lega delle Libere Amazzoni, in armonia con lo Statuto, conservato a Nevarsin. Alla presenza di queste testimoni ripeti con me...»
E lentamente Aurora ripeté: «Men dia pre z'hiuro...» Conosceva già quelle parole: gliele avevano dette un paio di volte, le aveva ricopiate nei suoi esercizi per la calligrafia e vi aveva pensato a lungo, per essere certa del passo che avrebbe compiuto, per impegnarsi al meglio, per sentire se effettivamente sarebbe stata in grado di farle sue. E talmente sue sentiva queste parole che, frase dopo frase, fu come se un fardello le scivolasse via dalle spalle, come se un guscio le si rompesse intorno. Qualche lacrima di gioia le sfuggì dagli occhi, mentre le si disegnava in volto un sorriso sempre più grande.









barra









Disclaimers

Pochi giorni prima del Giuramento, l'arrivo di Maia n'ha Semele alla Gilda riporta alla mente di Aurora i momenti tristi del passato.

torna all'inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008