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Corse e ruzzoloni

Eris Skeffington & Rael McKihan

Rael stava in bilico su una sedia sistemando le ultime cose; gli avevano lasciato il pieno controllo della cucina, si asciugò la fronte dal sudore, spostando tutto in modo che fosse più facile da raggiungere per lui, era quasi odioso vedere tutto troppo in alto per le sue forze!
Ramazzò ancora per terra finché, guardandolo, si sentì soddisfatto del lavoro svolto.
Con un sospiro appoggiò la scopa al proprio posto e, dopo un'ultima occhiata alla cucina, si mise sulla porta che dava all'esterno, dondolando una gamba: aveva finito di lavorare e ora non aveva null'altro da fare.
Per la cena era già tutto pronto e in meno di un'ora avrebbe cucinato... aveva il pomeriggio libero... se fosse stato a casa avrebbe sicuramente trovato qualcosa da fare ma si sentiva ancora così insicuro a girare per la Torre!
Magari poteva andare a prendere un po' di verdura nella serra.
Forse no, pensò, perché si sarebbe sicuramente rovinata per l'ora di cena.
Si distese sul pavimento freddo ma guardare il soffitto non lo avrebbe aiutato di sicuro.
"Alla serra posso andarci comunque..." pensò, mentre il gelo del pavimento si spandeva nelle sue carni facendolo rabbrividire. "Magari un frutto..."
Saltò in piedi e si avviò, chiudendosi la porta della cucina alle spalle. I frutti coltivati nella serra erano tra i pochi della valle che riuscissero a crescere con quel clima ed erano motivo di vanto per mestra Dana e le persone che se ne occupavano.
Rael uscì dalla cucina a passo svelto, attraversando l'atrio della Torre senza neppure curarsi di mancare di rispetto a possibili laranzu presenti, per poi attraversare l'antiserra aumentando man mano il passo. Si fermò davanti alle porte della Serra prendendo un profondo sospiro, poi vi entrò.
Vagò all'interno per un po' di tempo osservando le varie specie di piante e alberi che vi crescevano finché non trovò, in un angolo, accatastato su altre ceste di vimini intrecciato, di varie dimensioni, un cestello. Allungò allora le mani fino ai frutti che aveva adocchiato e, dopo averli colti con delicatezza per non intaccare gli altri, si rimise in cammino verso la pianura ricoperta di neve quasi sciolta.
Col cesto pieno di frutti odorosi stretto nella mano destra mentre con la sinistra ne portava uno alle labbra, raccogliendone il succo sul palmo, il giovane McKihan cercava, con rapide occhiate, di riconoscere la strada che stava percorrendo, in cerca di quella casa che il nobile Elhalyn Alton stava facendo risistemare per sé.
Un guizzo di tristezza passò sul suo volto a quel pensiero. "Rimanere di nuovo solo alla Torre," pensò, mentre un pezzo del frutto gli sfuggiva dalle labbra cadendo in terra, "ma perchè la mancanza del nobile Elhalyn mi fa sentire così male? In fondo..." scosse il capo, lasciando quel pensiero cadere nel vuoto mentre sputava in terra i semi e la sagoma della casa in lontananza si stagliava contro il cielo soffuso di rosso.
Si strinse addosso i vestiti, che gli sembravano troppo leggeri tanto il freddo era penetrato nelle sue ossa e, anche per riscaldarsi (disse a se stesso), si mise a correre a perdifiato rallentando solo quando le scarpe, zuppe di acqua e residui di neve, non sbatterono sulle lastre di pietra che erano poste prima dell'entrata, quasi a simulare una piccola stradina.
Poggiò il piccolo cestino sul tavolino accanto all'uscio, guardando la porta ancora sconnessa e sbilenca nei cardini di legno.
Si guardò attorno, in cerca del padrone di casa, ma nulla ne faceva presagire la presenza.
La casa era piena di calcinacci e, sinceramente, ora come ora non sarebbe neppure riuscito ad immaginarsi come sarebbe diventata dopo i lavori, ma il suo padrone aveva assicurato che le fondamenta erano buone e anche i muri non avevano ricevuto troppo le ingiurie del tempo e Rael non poteva fare nient'altro che credergli sulla parola.
Era rimasto indeciso lì sulla soglia della porta finché un rumore di risa aveva attirato la sua attenzione.
Il Nobile Tristam era fuori, seduto sullo steccato sconnesso con altri due uomini: stava ridendo e sembrava divertirsi.
All'improvviso Rael trovò l'idea della visita molto meno attraente.
Che cosa faceva lì lui?
Si sentiva tremendamente fuori posto.
Si avviò silenzioso alla porta per tornare da dove era venuto.
Rael sospirò un'ultima volta e, prima di riprendere la strada che portava verso la parte meno abitata del villaggio, allungò una mano dentro la casa per afferrare un mantello più pesante che il comyn aveva insistito per fargli spesso indossare. Era molto semplice, di quella lana leggera ma calda che lavorano nelle città sui monti e aveva una bordatura di pelliccia scura sul collo e sul cappuccio. Avanzò verso la parte semidisabitata senza più gioia né fretta di arrivare, anzi quasi strascicando i piedi ad ogni passo.
Lì, lontano dal villaggio e dalla Torre, cominciavano a stagliarsi piccole macchie d'alberi ad alto fusto dal profumo resinoso. Tristam gli aveva detto che spesso quando si era in viaggio si utilizzava quella resina per gettarla nel fuoco in modo che alcuni tipi di bestie non infastidissero il sonno. Si diresse in quella direzione sperando di rimanere per un po' in completa solitudine o al massimo in compagnia di qualche rabbithorn sfuggente.


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Tutta Elvas pareva essere addormentata sotto la sottile coltre di neve: i fiori, i campi, gli alberi, tutto rimaneva sopito sotto i merletti candidi di quel gelo. Da alcuni rami pendevano piccoli ghiaccioli che splendevano come tante gocce di sangue al sole vermiglio del pianeta. Chissà se il sole era così rosso in ogni parte di Darkover e se la neve era la signora di ogni luogo. Forse esistevano città in cui vi erano fiori dai mille colori e frutti spontanei come quelli che loro coltivavano nella serra.
Gli avevano spiegato che alcune volte era così anche lì e che era l'effetto del Vento Fantasma ma sinceramente lui non aveva capito molto di quella spiegazione datagli tra una frittella dolce e una tazza di jaco, forse perché era un po' ottuso nelle cose che riguardavano scienza o magia.
All'interno del boschetto la temperatura era molto più bassa e la luce del sole penetrava così poco che la neve era ancora soffice e fitta. Camminò a lungo, immemore del tempo che scorreva e del sole che lentamente si spostava nella semisfera del cielo, mutando di intensità di colore. Infine arrivò davanti ad un albero maestoso che faceva un'ombra deliziosa tutt'attorno, quasi quasi rimpianse di non avere ancora un frutto da mangiare lì nella quiete di quell'ombra.
Si mise seduto su una delle grandi radici sporgenti.
Si stava davvero bene e c'era un panorama bellissimo. La neve, ai piedi dell'albero si era trasformata in rigagnoli e ora colava verso un leggero declivio più a nord.
Il cielo, del tipico colore lievemente aranciato di quella stagione, era un arabesco tra i rami che dondolavano al vento,e un vento freddo scompigliava i capelli argentei del ragazzo albino che pendeva dall'albero davanti alla sua faccia e c'erano le risate in lontan...
IL RAGAZZO ALBINO CHE PENDEVA DAVANTI A LUI?!
Rael fece uno scatto indietro, dimentico dell'albero che aveva alle spalle, finendo solo per dare una gran schienata alla dura corteccia umida che lo fece scivolare indietro, complice il peso male equilibrato, gambe all'aria.
Si ritrovò per terra, con il cappuccio e un lembo del mantello che gli ostruivano parzialmente la vista.
Ancora convinto di aver visto male li scostò con malagrazia e... si ritrovò quel ragazzo dai capelli candidi come la neve che credeva di aver immaginato a pochi centimetri dal viso, comodamente infilato tra le gambe mentre la schiena era ancora intorpidita dalla caduta.
Non trovò nulla di più intelligente da fare che cacciare un urlo.
Un urlo che probabilmente avrebbe richiamato tutta Elvas (mai diffidare di giovani corde vocali) e che sarebbe stato degno di una banshee se il ragazzetto non lo avesse distolto con un gesto molto infantile.
Il grido gli morì sulle labbra mentre osservava un piccolo cristallo che, con un abile gesto, il ragazzo aveva messo in equilibrio sul suo naso.
Il McKihan lo guardo incapace di muoversi, attanagliato dal terrore che cadesse in terra frantumandosi in mille schegge. Era così bello ma così fragile che sembrava dover cadere in pezzi alla minima vibrazione, perciò rimase zitto aspettando qualcosa, ma gli occhi del ragazzo viaggiavano dal piccolo minerale ai suoi senza che nessuna parola gli uscisse dalle labbra rosee.
La gemma rimaneva in perfetto equilibrio, forse aiutata da una leggera insenatura che aderiva perfettamente al setto nasale sottile di Rael, e rifletteva, nelle sue sfaccettature i raggi obliqui del sole, accendendosi di una luce tenue e rosata che ricordava i primi soffusi rossori di una vergine alla sua prima festa del Solstizio. Rael rimaneva in silenzio, osservando il paesaggio attraverso quel pezzo traslucido che deformava e ripeteva al suo interno una distorta parodia dell'albino e del soffice manto di neve, e lui, nonostante potesse pensare di essere umiliato dalla posizione cui era costretto, non aveva quasi il coraggio di respirare.
Poi qualcosa ruppe quella silente magia: con uno scatto felino che lo avrebbe lasciato a bocca aperta (se l'avesse potuta aprire, ovviamente) l'albino si mise in piedi facendo quello che gli parve un mimo.
La mano segnò il numero uno e Rael, toltosi il cristallo con la punta delle dita per non farlo cadere in terra, si sollevò a sedere e lo osservò.
L'albino nel mentre si indicava ripetutamente con l'indice sfoderando un largo sorriso sul volto mentre i capelli, illuminati dal sole, si accendevano di mille riflessi rosei. Osservando Rael il ragazzo pose le mani a coppa accanto alle labbra, come se fosse pronto a urlare qualcosa.
Rael si tappò le orecchie d'istinto, ma un dito gli alzò il mento verso l'alto e nessun suono giunse a perforare il silenzio del luogo.
Ora aveva nuovamente il volto dell'estraneo a pochi centimetri da sé e le sue mani gelide sul volto che premevano in una leggera torsione che gli fece girare, senza forzatura, il capo verso l'albero. L'albino si frugò nelle tasche della tunica leggera ("ma come faceva a resistere con quel freddo?" pensò Rael rabbrividendo) e ne estrasse un pezzo di quella che pareva argilla compatta o un pezzo di coccio rotto e si mise a disegnare sulla corteccia dell'albero lasciandolo attonito e perplesso.
Soddisfatto si allontanò indicando il disegno e di nuovo se stesso.
Aveva disegnato un Eris, lo riconosceva bene.
Rael ci passò sopra un dito sbavando il disegno su un lato.
«Ti chiami cosi?» chiese esitante. «Eris?»
Eris lo abbracciò con slancio e con identico sentimento gli stampò un bacino sul naso, leggero come una farfalla.
Rael, d'istinto più che per cattiveria, si spostò indietro lasciando andare nella neve il minerale che ancora stringeva nella mano, ma sembrò che il ragazzo non capisse il suo gesto, perché si lasciò andare con lui e finirono ruzzoloni giù per una curva dell'altura appena accennata che ospitava gli alberi.
Alla fine della caduta, dopo che molte pietre e neve e fango si era incollato alle loro vesti, Rael riaprì gli occhi molto indeciso mentre si contava mentalmente i lividi.
Avevano ruzzolato per un bel po', non c'era che dire, constatò guardando in su dove l'albero infingardo che aveva causato la sua prima caduta rimaneva nella sua imperturbabile posizione.
Eris era a cavalcioni sopra di lui e lo troneggiava da quella posizione. Lo fissò per un attimo con le sue iridi chiare, quasi trasparenti alla luce del sole, poi scoppiò in una risata, o almeno parve tale a Rael poiché era priva di suono.
«Mi sono fatto male!» protestò vivacemente Rael, più per proforma che per reale dolore.
Poi non sapendo come reagire gli diede una tirata ai lacci della camicia.
«Insomma togliti da lì sopra!»
Si ritrovò a guardarlo ancora sorridente mentre Eris, come se non comprendesse le sue parole, aveva ribaltato le posizioni e ora Rael si trovava sopra di lui con la testa che gli girava. Si sentiva una bambolina di tela di sacco ma quel contatto era troppo ravvicinato per i suoi gusti e, facendo leva sulle gambe ancora tremanti per l'emozione della caduta, cercò di sollevarsi.
Ce la fece.
Per un paio di secondi.
Prima che Eris, con la lingua fra i denti in una smorfia assolutamente da birbante, gli tirasse i calzoni facendolo cadere di nuovo nell'erba.
Stava giocando, anche se pareva che questo Rael non lo capisse proprio.
Per gioco ancora si mise seduto sopra di lui battendo i piedi convinto, Rael non riusciva più a tirarsi su e cominciò ad urlargli dietro di lasciarlo in pace, furioso.
Eris sembrò cambiare improvvisamente espressione.
Ma Rael la notò di sfuggita mentre si alzava si risistemava i calzoni e si allontanava a passi veloci senza voltarsi indietro.
«È un vero idiota! Comportarsi così con un perfetto sconosciuto come se fossero amici d'infanzia,» ripeteva Rael camminando con passo sostenuto verso la Torre.
Sarebbe dovuto tornare di corsa in cucina, lavarsi le mani alla pompa con quell'odiosa acqua gelida e leggermente giallastra. «Prima o poi dovrò parlare a Dana dell'acqua, non mi convince...» bofonchiò, enumerando sulle dita i compiti della giornata, tra cui finire di cucinare e pulire, «e quell'idiota perde tempo con degli estranei! Non ha nulla di meglio da fare?»
Si fermò di colpo, colto da un dubbio: forse non stava più parlando di Eris ma di Tristam?
Arrivò in cucina con passo lento, meditabondo.
Era arrabbiato perchè aveva trovato il nobile Tristam in compagnia? Non era molto logico...
Nonostante tutto guardando la situazione col senno di poi, quel ragazzo stava solo cercando, beh, di tirargli su il morale... da dove venisse tutto quel nervosismo per averlo trattato tanto male non riusciva a capire.
Il tempo passava e quando si accorse di che ora fosse, i suoi pensieri volarono via cacciati dalla bisogna: la cena! Stava dimenticandosi la cena!
Così per un po' i suoi dubbi furono accantonati, sostituiti da problemi di intingoli e cotture, ma, inesorabili, tornarono e la sua mente abilmente, collaborando col suo subconscio, cancellò il dubbio su cosa avesse provato quando aveva visto il nobile Tristam in compagnia e si concentrò su come cercare di scusarsi con quel giovane che, invece, della sua rabbia non aveva alcuna colpa. Si concentrò talmente da mettere in secondo piano anche la sua naturale timidezza attribuendosi tutte le colpe e pensando... a come rimediare...
Alla fine risolse ben poco: riuscì solo ad accantonare una domanda e a concentrarsi sull'altra.
Non poté fare altro che attendere il giorno successivo e provare a reincontrare Eris, se gli Dei lo avessero aiutato nell'impresa.









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Disclaimers

Eris e Rael si incontrano per la prima volta nei pressi della nuova casa di Tristam.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008