L'enorme sole rosso sangue tramontava già dietro le affilate cime degli Hellers, diffondendo un'intensa luce rossa e rosata sulla Valle di Elvas, pronta ad affrontare una nuova, gelida notte. Era l'ora nella quale i pensieri sfuggono ad ogni controllo, e volano via come piume trascinate dal vento, come un falco librato in volo, inseguendo la libertà.
Proprio quando la sfera infuocata era ormai sul punto di svanire, un ultimo raggio di sole illuminò il viso di Idriel. La ragazza sorrise, poi prese il suo rryl e cominciò a suonare una dolce melodia sentita chissà dove, forse una di quelle ballate delle Terre Aride che le cantava la nonna per farla addormentare.
Era una musica delicata e allo stesso tempo forte, una musica coinvolgente e rilassante, che lasciava con il fiato sospeso, che incantava il cuore e lo trascinava lontano, come fanno i pensieri al tramonto.
Si lasciò andare, si lasciò dominare dalla musica, e le sembrò di non essere più nel suo corpo... Non le era mai successo prima, non era mai riuscita ad entrare nella musica. Invece al nonno succedeva sempre; ogni volta che suonava sembrava che non fosse più in lui, come stava succedendo a lei in quel momento. Era contenta. Jacqual era sempre stato il suo maestro; ogni volta che lo andava a trovare, il nonno le insegnava nuove musiche, le correggeva la posizione della mano se qualcosa non andava, l'aiutava a pizzicare correttamente le corde, con dolcezza, quasi temendo che potessero farsi del male. Spesso suonavano insieme, e Fiora e Asillin li accompagnavano cantando. Ma lui suonava in modo diverso, quasi magico... Idriel faticava a stargli dietro, era come se lui e il suo rryl fossero un'unica cosa. Ora finalmente era successo anche a lei, ed era felice; era una sensazione strana, che la riempiva di una soddisfazione immensa.
Però... proprio non riusciva a riconoscere quella musica.
Lentamente la porta della sua stanza si aprì, ed entrò Asillin. Si sedette sul letto della ragazza, poi cominciò a cantare dolcemente.
"Queste parole..." ricordò Idriel "sono quelle della ballata del nonno!"
Sì, era proprio quella ballata, quella che il nonno aveva scritto poco dopo essere arrivato a Serrais. Era la ballata che raccontava quella storia, quella storia che Asillin conosceva bene, quella storia che aveva sentito centinaia di volte, e della quale non si sarebbe mai stancata. Era la ballata di Jacqual e Fiora, della loro fuga d'amore, della loro passione... La composizione più bella che suo nonno avesse mai scritto, l'unica che Idriel non era mai riuscita a eseguire correttamente. Era così complicata, così speciale. Bisognava esserne partecipi per poterci riuscire... ed ora lei ce l'aveva fatta.
Asillin accompagnò la nipote ancora per un po', fin quando la musica non si concluse con un lento e dolce diminuendo.
Passò qualche attimo prima che la ragazza potesse riprendersi e tornare in se stessa. Non era mai stata nel Sopramondo, ma sapeva che la sensazione era simile. Chissà, forse quell'allontanamento dal suo corpo era proprio stato un viaggio in quel mondo grigio e illimitato... Un brivido la percorse al pensiero e pian piano i contorni della stanza nella quale si trovava si fecero sempre più nitidi.
«Non sapevo la sapessi suonare così bene, chiya,» disse Asillin.
Le parole della donna la riportarono definitivamente in se stessa.
«In realtà non sapevo neanche cosa fosse quando ho cominciato a suonarla!»
«Io l'ho riconosciuta subito, non potrei mai dimenticarla,» Asillin sorrise, ma non era un sorriso di gioia, era un sorriso amaro, triste, lo sguardo della donna era distante. «Così come non potrò mai dimenticare tua madre...»
«Il nonno è davvero bravissimo, vorrei avere io il suo talento!» Idriel cambiò argomento, non le andava di parlare di sua madre. Ogni volta era così doloroso per lei.
«Ma tu l'hai già chiya!» disse la zia, accarezzandole una guancia.
«No, non è vero... non sarò mai brava come lui!»
Asillin rise. Poi, disse, sospirando:
«Parliamo di cose più serie adesso, perché c'è una cosa importante che devo dirti, e che probabilmente non ti renderà molto felice.»
Idriel rimase per un attimo senza parole, non sapeva cosa pensare. Di cosa le doveva parlare la zia? Perché non le sarebbe piaciuto?
«Di cosa si tratta?» chiese, esitante.
«Devo partire...»
Non riuscì a finire la frase che la nipote la interruppe, sorpresa, irritata e delusa: «Che cosa? Devi partire...? Ma... ma sei appena arrivata, non... non puoi partire! Zia...»
«Calmati, Dri.» Usò il nomignolo con la quale la chiamava da quando era bambina, e la ragazza si calmò.
«Non sarà per sempre, non tornerò a Serrais per rimanervi. Mi trovo bene qui, e non voglio perderti di nuovo... Devo portare a termine alcune faccende, inoltre non posso abbandonare i nonni così, devo avvisarli e, chissà, magari decideranno di venire anche loro. Ora che la locanda è stata venduta non hanno più niente che li leghi a quella città, solo brutti ricordi, proprio come me e te. Non è forse per questi brutti ricordi che hai lasciato Serrais? E non è anche per questo che io ho poi deciso di rimanere qui? Perché dovrei tornare?»
Idriel chinò il capo. «Hai ragione, scusami...»
«Non hai bisogno di scusarti Dri, non ti preoccupare. Tornerò presto, vedrai, giusto due settimane, non di più.» La guardò negli occhi, cercando di farle capire che diceva la verità. «Te lo prometto.»
La ragazza rimase silenziosa per un po': era confusa, la mente piena di pensieri che si accavallavano... Dopo qualche minuto si fece coraggio e chiese alla donna, con una sola emissione di fiato:
«Posso venire con te?»
Kasentlaya osservò con finto interesse Alar intento a preparare uno dei suoi famosi, ma soprattutto schifosi intrugli. Si era scelta un tavolo piuttosto appartato da dove poteva tener d'occhio la sala comune dello Scoundrel senza farsi notare troppo. Si chiese oziosamente se il locandiere avesse chiesto il permesso a Dana prima di trafugare dalla serra la strana pianta che ora stava maneggiando. A giudicare dal modo circospetto con cui ogni tanto lanciava fuggevoli occhiate alla porta la risposta doveva essere no.
Ma tanto qualunque precauzione l'ex-mercenario prendesse per non farsi scoprire Dana finiva sempre per fargli la ramanzina. La ragazza allungò le gambe sotto il tavolo e sospirò prendendo poi in mano il boccale che le stava di fronte. Chissà dove si era cacciata Daenerys. Le aveva dato appuntamento ma non si era ancora fatta viva. Probabilmente la lezione con Loreena si stava protraendo più del previsto. Kas bevve un sorso di sidro, non le importava di dover aspettare. Aveva tempo e inoltre aveva bisogno di schiarirsi le idee. Ultimamente erano successe moltissime cose e lei non aveva ancora trovato il tempo per riflettere un po'.
Continuò ad osservare distrattamente la taverna pressoché vuota a quell'ora. Alcuni paesani stavano litigando tra loro per il gioco dei dadi ma, rifletté Kas, nessuno dei membri della Torre si era ancora fatto vedere. Nemmeno Shonnach, che di solito bazzicava da quelle parti sempre in cerca di nuovi venuti a cui porre le sue scomode domande, aveva messo il naso nella locanda.
Magari aveva litigato con Alar...
La giovane fu strappata improvvisamente alle sue meditazioni; qualcuno aveva spalancato la porta, e la luce del sole al tramonto aveva invaso l'ambiente accecandola per un istante.
Quando Kas fu di nuovo in grado di vedere con chiarezza, il nuovo venuto si era liberato del mantello che aveva ripiegato su un braccio. Idriel si guardò intorno per qualche secondo, poi scorgendola in fondo alla sala comune si diresse un po' titubante verso di lei.
Kas sospirò, a quanto pareva il destino complottava contro di lei. Era anche vero però che la locanda non era il posto migliore per riflettere sulla propria vita. E sarebbe potuto capitarle Mikhail!
Idriel si era intanto avvicinata al tavolo «Ti da fastidio se mi siedo?»
Kas scosse il capo e sorrise alla parente «No di certo. E poi credo che la persona che stavo aspettando non verrà.»
Ad Idriel sembrò poco opportuno chiedere alla ragazza chi stesse attendendo. Restarono in silenzio per un poco poi Kas riprese: «Come va Dri? Ultimamente ti ho visto poco in giro... tua zia sta bene, spero.»
«Sì, grazie mille. Piuttosto... com'è alla Torre? Sempre al lavoro, eh?»
«Già. Fiona ci sta mettendo sotto... ma è anche molto interessante. Però...» sembrò soppesare la sua interlocutrice per qualche istante poi, fissandola negli occhi, disse: «Idriel, va davvero tutto bene? A guardarti con attenzione non si direbbe.»
La ragazza si agitò nervosamente sulla sedia. «Cosa ti fa pensare che ci sia qualche problema? Davvero, sto benissimo,» Kas sorrise. «È solo che mi sembri agitata... come se fossi sulle spine!»
Idriel sospirò e fece una smorfia amara. «Hai ragione... un problema c'è, ma... tu hai voglia di stare ad ascoltarmi?» Kas ridacchiò. «Io ti ascolto volentieri chiya, ma ti avverto che per ogni consiglio sono due sekal!» Le due giovani risero di gusto ed Alar da dietro il bancone si voltò verso di loro interessato.
«Allora?» chiese la ragazza, lanciando nel contempo un'occhiataccia al locandiere che stava visibilmente tendendo l'orecchio.
Idriel ritornò seria. «Ecco... mia zia Asillin sta per partire per Serrais e io... ho deciso di andare con lei,»
Kas guardava intensamente il suo boccale come ad accusarlo di essere vuoto, cercando nel contempo di mascherare la sua sorpresa. Poi incontrando ancora una volta lo sguardo dell'altra disse lentamente: «Hai paura di ritornarci?»
Idriel scosse il capo sconsolata. «Non lo so, è questo il punto! Da un lato so che è il posto dove sono cresciuta e quindi dovrei rispondere di no. Inoltre rincontrerei i miei nonni, che non vedo da tantissimo tempo, ma dall'altro... a Serrais c'è lui...» la sua voce si fece esitante mentre pronunciava la ultime parole. Non sarebbe mai riuscita a chiamarlo padre.
Kasentlaya rimase in silenzio, i suoi occhi si erano fatti vitrei e fissava Idriel come se non la vedesse realmente. La ragazza si agitò inquieta e alla fine si schiarì la voce per attirare di nuovo l'attenzione dell'amica che sobbalzò sulla sedia di nuovo nel mondo reale.
«Kas,» cominciò Idriel, esitante, «tu... sei di Serrais, vero?»
«Si, sono di Serrais,» la comynara la fissò, cercando di capire dove volesse arrivare.
L'altra rimase silenziosa per un po', pensando a come formulare la domanda, poi chiese: «Come... come ti sentiresti se decidessi di tornare a casa, a Serrais?»
Kasentlaya ci pensò su a lungo, poi esclamò, alzandosi di scatto: «Mi ci vuole qualcosa di forte!» Quindi si diresse a grandi passi verso Alyson.
Ritornò al tavolo poco dopo portando con sé due tazze ricolme di jaco bollente. Idriel la guardò cercando di sorridere: «E tu questo lo chiami forte?»
Kas sorrise a sua volta passandole una delle tazze. «Non vorrai per caso dirmi che ti piacciono le schifezze che prepara Alar! E poi siamo ancora troppo giovani per finire la serata sotto il tavolo!»
Cercava di suonare allegra ma con scarso successo. Le parole di Idriel le avevano fatto tornare in mente tutto ciò che aveva cercato di dimenticare.
Tornare a casa... come sarebbe stato? Cosa avrebbe provato? Di preciso non lo sapeva neanche lei.
«Beh,» disse infine «Di sicuro non mi farebbe piacere rivedere mio padre, però...» era come se stesse parlando solo a se stessa. Non aveva mai pensato ad un ritorno a casa, le sembrava la cosa più improbabile che potesse succederle.
Improbabile vero, ma non impossibile. Idriel aveva involontariamente riaperto vecchie ferite mai del tutto rimarginate. Emozioni, ricordi, dolori che la giovane aveva creduto di aver definitivamente affrontato e sconfitto tornarono d'improvviso a galla. Le venne quasi voglia di ridere, che illusa era stata! Aveva creduto di poter cancellare il passato con un colpo di spugna come se fosse stato solo un incubo notturno e invece i ricordi erano più che mai vividi e tali sarebbero restati fino al giorno della sua morte. Le parole di Idriel le avevano solo rammentato che non poteva dimenticare. Come non poteva dimenticare che la giovane Rinunciataria era ancora in attesa di una sua risposta.
«C'è troppo dolore a Serrais, più di quanto io sia in grado di sopportare, per il momento almeno. Credo che un giorno ci tornerò ma deve passare ancora molto tempo e prima devo essere certa che se mai rivedrò mio padre non proverò il desiderio di strangolarlo. La mia non è stata quella che definiresti un'infanzia felice, non brutta, non sempre almeno ma piena di solitudine e di rimorso.»
Sollevò lo sguardo, Idriel la stava fissando intenta in attesa che continuasse. «A volte,» riprese Kas, «mi piacerebbe rivedere qualcuno degli abitanti del castello... le guardie di mio padre, il mastro falconiere, tutti uomini migliori di lui che purtroppo sono costretti ad obbedirgli. Ma a parte questi rari momenti Serrais non mi manca. Forse se avessi avuto una famiglia diversa proverei nostalgia... ma se fossi stata felice non me ne sarei andata.»
Idriel sorrise, un sorriso triste e leggermente amaro. Lei capiva quello che Kas intendeva dirle, lei lo sapeva perché l'aveva provato sulla sua pelle. «Allora non vale nemmeno la pena che io ti faccia la mia domanda...» Kas si sporse verso di lei e rispose con un sorriso. «Perché no? In fondo forse non ti risponderò come tu ti aspetti... a volte sorprendo anche me!»
Idriel sorrise a sua volta, poi disse: «D'accordo allora! Che ne diresti di accompagnarmi a Serrais?» ma lo disse con poca convinzione; sentiva che l'altra avrebbe risposto negativamente.
«Beh...» rispose Kas, tornando seria, «credo che questa volta non verrò, però...» alzò lo sguardo dalla tazza e guardò la Rinunciataria, «se mai dovessi decidere di tornare, chiederei sicuramente a te di accompagnarmi!»
L'altra sorrise, contenta. Non sapeva bene perché, ma la risposta di Kasentlaya l'aveva riempita d'orgoglio. Mentre pensava questo, l'altra scoppiò a ridere. Idriel rimase perplessa per qualche istante, poi chiese: «Cosa c'è, Kas?»
«Due Ridenow sulla strada del castello... per tutti gli dei! Immagina che guai che potrebbero scatenarsi!»
Idriel non poté fare a meno di scoppiare a ridere a sua volta. «Hai proprio ragione!» disse, continuando a ridere.
Visto l'improvviso scoppio di risa Alar lanciò varie occhiate curiose e un po' preoccupate alle due ragazze, che però continuarono a ridere insieme ancora a lungo, cercando ognuna di pensare a cosa effettivamente avrebbero potuto combinare viaggiando insieme, fino a quando Idriel si ricordò improvvisamente del suo turno in cucina e lasciò il locale di corsa.
Nel frattempo Alar si avvicinò a Kasentlaya chiedendole cosa ci fosse di tanto divertente per ridere a quel modo, ma si sentì rispondere solo: «Non importa Alar, non importa!»
Quattro giorni dopo, giusto il tempo di preparare il necessario, Asillin e Idriel si preparavano alla partenza. La donna non era riuscita a dire di no alla nipote, non c'era mai riuscita.
«Allora?» chiese la zia ad Idriel, mentre sostavano fuori dalla stalla della Gilda, con i cavalli per le briglie. «Come ti senti?»
«Tesa... e agitata.» La sua voce era bassa, era davvero profondamente agitata.
«Si vede, Dri, e senza bisogno di laran o empatia...» la zia le portò una mano sulla spalla, poi, quando la ragazza si girò verso di lei, le sorrise, facendole capire che era tutto a posto, sarebbe andato tutto bene.
Subito dopo, la invitò con un cenno del capo a seguirla: era il momento degli arrivederci. Poco più lontano c'era un piccolo gruppetto di Rinunciatarie e di membri della Torre. Idriel provò a sorridere a tutti loro, ma non poteva nascondere il suo turbamento. Quel ritorno a Serrais la inquietava, era intimorita. Quasi tutti se ne accorsero, e le rivolsero frasi d'incoraggiamento.
«Andiamo, chiya, non c'è bisogno di essere così agitata!» le disse Gwennis.
«Vedrai che andrà tutto bene!» aggiunse Dana.
«Giustissimo,» confermò Aliciana, poi aggiunse: «Anche a noi dispiace che tu parta, ma sappiamo che tornerai presto e che ti potremo riabbracciare tra non molto.»
«E devi fare lo stesso anche tu,» precisò Amyra.
«Fatti forza, Dri,» disse semplicemente Kasentlaya, usando il nomignolo che ormai era d'uso tra tutti.
Dopo aver salutato gli amici, Idriel prese Lisia per le briglie e, seguita da Asillin, s'incamminò all'esterno del villaggio.
Quando fu salita in alto, oltre i margini della valle, quella valle che era diventata la sua casa, si sentì vuota. Non aveva mai creduto possibile un suo ritorno a Serrais, anzi, non aveva mai creduto possibile neanche lasciare Elvas. Ma ora era così: stava lasciando la sua casa, ed era triste. Già ne sentiva la mancanza.
Non aveva sentito la mancanza di Serrais quando era partita, e sapeva bene perché: suo padre. Lì, ad Elvas, non c'era nessuno come lui, nessuno da cui fuggire; solo amici, cari amici, che le volevano bene e che erano diventati la sua famiglia. Una piccola lacrima involontaria le scivolò lungo la guancia, ma si costrinse a smettere: gli altri avevano ragione, sarebbe tornata presto, e quella era l'unica cosa che contava.
Guardò il villaggio: il sole non era ancora molto alto nel cielo, ma tutto era chiaro e luminoso; la Torre svettava alta e sicura su tutti gli altri edifici; gli abitanti della piccola Valle andavano e venivano... sì, anche se avrebbe lasciato quel luogo solo per tre, forse quattro settimane, le sarebbe mancato moltissimo.
Asillin era in una piccola stanza, illuminata soltanto dalla fioca luce di un lume posato su di un tavolino. Era solo una bambina, doveva avere circa sei, sette anni. Era seduta su un letto disfatto, e piangeva. Una delle sue amiche le aveva detto delle cose molto brutte, solo perché lei le aveva rivelato che voleva diventare una Rinunciataria. La piccola Asillin si era molto offesa, ed era corsa a casa, in lacrime. Era andata nella sua camera al secondo piano, quindi aveva chiuso la porta e si era seduta sul letto. Piangeva a dirotto, era sconvolta; era come se il mondo le fosse crollato addosso.
Poi era entrata Ysabeth. Era più piccola della sorella di due anni, una bellissima bambina dagli occhi scuri e profondi, e i capelli lunghi che le cadevano sulle spalle in due morbide trecce. Aveva cercato di raggiungere la maniglia della porta per chiuderla, e dopo un grande sforzo ci era riuscita. Quindi si era avvicinata alla sorellina, e le aveva scostato le mani dal viso. Asillin l'aveva guardata con gli occhi pieni di lacrime, e allora anche Ysabeth aveva cominciato a piangere. Aveva asciugato le guance della sorella maggiore e l'aveva abbracciata forte forte. Asillin aveva fatto lo stesso, lasciando che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi, mentre era invasa dal tenero odore di bambina della sorella, e aveva accarezzato i suoi morbidi capelli. Ysabeth le aveva sussurrato dolcemente all'orecchio: «Non pianzele, Lin, non pianzele,» chiamandola con il nomignolo che usava sempre, e Asillin aveva smesso. La sorella era come una medicina; era la sua breda, la sua metà...
Le immagini cambiarono bruscamente. Asillin era appena entrata in quella stessa stanza, ma c'erano due letti, ora. Su uno di questi era sdraiata Ysabeth. Doveva avere all'incirca diciotto, o forse diciannove anni. Era in lacrime. Quando Asillin le chiese cos'era successo l'altra non volle rispondere, continuando invece a piangere a dirotto. Questa volta fu la maggiore ad abbracciarla, a consolarla. Le disse che qualunque cosa fosse stata a ridurla così, non poteva di certo essere così grave... ma lei non sapeva. Non sapeva cos'era successo la sera prima. Quando la ragazza più giovane trovò il coraggio di dirglielo, Asillin sbiancò. Le parole le mancarono, non sapeva cosa dire, cosa fare. Ysabeth le disse, singhiozzando: «Ho paura, Lin, ho paura...» Allora Asillin era stata invasa da un'impotenza mai provata prima. Avrebbe voluto piangere, urlare, prendere quell'arrogante di un Comyn a pugni... ma l'unica cosa che era riuscita a fare era stata stringere l'altra tra le sue braccia... Ancora una volta aveva sentito quel profumo, lo stesso di tanti anni prima, e ancora una volta accarezzato quegli stessi capelli.
Le immagini cambiarono ancora, ma la stanza era sempre la stessa. C'erano Asillin, Ysabeth... e Idriel, una bambina di soli cinque anni. Se non fosse stato per gli occhi, sarebbe stata identica alla madre a quella stessa età. La bambina stava ballando con la zia, mentre la madre le guardava sorridendo. C'era un'atmosfera allegra nella stanza, tutto era pervaso da una piacevolissima serenità. Dopo un po' Dri si era fermata, stanca, ed aveva chiesto alla zia Lin di prenderla in braccio. La donna aveva obbedito e... il profumo che aveva sentito era lo stesso, i capelli che aveva accarezzato erano gli stessi.
Ancora una volta le immagini cambiarono. Idriel era nel corridoio, era appena uscita dalla stanza della madre. Aveva tredici anni, e piangeva silenziosamente. «Cos'è successo, Dri?» Lo sguardo di Asillin era teso. «Mamma è... è...» non continuò mai quella frase, non ce n'era bisogno. Asillin la prese tra le braccia, e cominciò a piangere con lei. Il giorno più brutto della sua vita, della loro vita. Quello era il giorno nel quale tutti avevano perso una parte di se stessi...
All'alba del quarto giorno passato nel rifugio, il sole illuminava la piccola stanza e il sorriso tornò prepotente sulle labbra delle due.
«È finita,» disse Idriel.
«Si, Dri, è finita. Non sai quanto mi senta sollevata!» rispose Asillin.
«Non credo che sia dovuto solo alla fine della tempesta, zia,» la ragazza sorrise all'altra, che fece lo stesso, capendo al volo a cosa si riferisse la nipote. «Mi sento così leggera...» proseguì Idriel. «Com'è possibile che prima d'ora non abbiamo mai parlato di mamma?»
«Credo che fosse la paura. La paura di rievocare momenti troppo dolorosi, di star male parlando di lei...»
«Lo credo anch'io,» il suo viso si era rabbuiato, ma, guardandosi intorno, tornò a sorridere. «Mentre eravamo lì dentro, mi sono detta molte volte che la prima cosa che avrei fatto, non appena fosse finita la tempesta, sarebbe stata tornare ad Elvas. Avevo paura che tornando a Serrais avrei sofferto ancora,» s'interruppe un attimo, accarezzando Lisia. «Ma ora ho cambiato idea. Non ho più paura di tornare a casa. Voglio rivedere i nonni, e non mi dispiacerebbe incontrare Dom Felix. Mi piacerebbe chiedergli se si ricorda di me, se sa chi sono. E se non lo sa... beh, allora mi piacerebbe dargli un bel pugno nello stomaco!»
«Idriel!» la zia la sgridò, ma la ragazza sorrise, guardandola dritto negli occhi, con malizia. «Andiamo, zia, confessa: piacerebbe anche a te, non è così?»
«Beh...» Asillin rise, poi disse semplicemente: «Sì!»
Le due scoppiarono a ridere, pensando alla faccia di Dom Felix contratta per la sorpresa del colpo e soprattutto per la vergogna: di sicuro non sarebbe stato molto onorevole per lui essere colpito da una donna!
Dopo qualche minuto, Idriel disse:
«Ora è meglio che andiamo, non vorrei perdere altro tempo. Serrais ci aspetta!»
Spronarono le due cavalle, che senza farselo ripetere due volte cominciarono a correre su per il sentiero, verso Serrais.