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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +3, marzo (15)] [Credits & Disclaimers]



Il prezzo da pagare

Kasentlaya Ridenow
Diotima Aillard

"I miei occhi non vedono
che tenebre
e le lacrime
che rigano il tuo volto.
Sono cristalli di ghiaccio prezioso,
nel mio freddo polare.

Nella disperazione non sento
la tua voce,
ma i topi del
Tempo
Che rodono(bestie insaziabili)
Queste ore di miseria

La nostra vita è un incubo."

Shadar



Tamra abbassò lentamente il coltello lordo di sangue. Non c'era altra carne che il metallo affilato potesse mordere e straziare. I corpi dei morti giacevano scomposti sul terreno, nient'altro che fagotti di stracci scuri contro il bianco abbagliante della neve. Quelli che erano sopravvissuti alla battaglia erano fuggiti, abbandonando i compagni caduti.
Tamra si deterse il sudore dal viso con la manica della giubba. Qualcuno una volta le aveva detto che una battaglia è sempre ardente, anche nella neve. Il sudore scalda. Il sangue scalda. Solo la morte è gelida.
Uno dei banditi si mosse debolmente, gemendo. Poi prese a strisciare senza meta, accecato dalla sofferenza. I solchi lasciati nella neve dai suoi movimenti convulsi si tinsero lentamente di rosa. Tamra si chinò su di lui e, afferratolo per i capelli, gli tirò indietro il capo esponendo la carne tenera della gola. Con un movimento deciso affondò il coltello.
"Proprio come si sgozza un maiale," pensò amaramente, "ma anche un porco come questo merita una morte rapida."
Dopo aver ripulito l'arma dal sangue, si guardò attorno. Devra ed Alanna avevano recuperato i cavalli, visibilmente infastiditi dal lezzo dolciastro di morte che ammorbava l'aria. Si affrettò a raggiungerle.
«Dov'è Kasentlaya?» chiese, attirando l'attenzione di Alanna.
La Rinunciataria la fissò per alcuni istanti come se non avesse capito la domanda, poi spalancò gli occhi.
«Pensavo che fosse con te... misericordiosa Avarra! Non sarà mica...» La voce le mancò e non poté proseguire.
Devra le mise una mano sulla spalla.
«Dividiamoci e cerchiamola,» disse, tentando di suonare sicura di sé, «dobbiamo trovarla in fretta.»
"E speriamo che non sia già troppo tardi." Pensò, mentre si disperdevano, frugando con lo sguardo ogni angolo del campo di battaglia.


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Era la terza volta che ripassava in quel punto eppure non aveva trovato traccia di Kasentlaya. D'un tratto il suo piede urtò contro qualcosa di duro. La guida cadde carponi, imprecando. Si mise a tastare con attenzione il terreno cercando di individuare cosa l'avesse fatta inciampare. Spostò uno sottile strato di neve ed i suoi occhi colsero il luccichio inconfondibile del metallo.
Era un coltello da caccia di alcune spanne più corto di quello che le Rinunciatarie portavano per difesa. Il manico era di legno, abbastanza pesante per bilanciare correttamente la lama: semplice, ma mortalmente efficace.
Alanna pensò, mentre lo soppesava, che era stata fortunata a non ferirsi seriamente, incespicandoci sopra.
La lama non era sporca: probabilmente qualcuno aveva lasciato cadere l'arma nella foga del combattimento, eppure una vocina nella sua testa continuava a ripeterle che aveva già visto quel coltello da qualche parte.
Alanna si rialzò, togliendosi la neve dai calzoni. A pochi passi da lei un bandito giaceva riverso sulla neve. La guida si bloccò di scatto, poi andò ad accovacciarvisi accanto. Una mano spuntava da sotto il corpo, ma era troppo piccola per essere quella di un uomo. Qualcosa scattò al suo posto nella mente di Alanna. Quel coltello da caccia apparteneva a Kasentlaya. E la ragazza si trovava sotto il cadavere del bandito.
«Tamra! Devra! L'ho trovata!»
Alanna afferrò il cadavere, cercando di spostarlo. Kasentlaya rischiava di soffocare la sotto. Se non era già morta. Scacciò con rabbia quel pensiero molesto, continuando a tirare l'uomo per le braccia cercando di spostarlo.
Tamra si voltò nel sentire il richiamo di Alanna e corse verso di lei insieme con Devra. Tra tutte e tre riuscirono a spostare l'uomo abbastanza da poterlo portare in posizione supina. Gli occhi chiari del bandito erano spalancati, congelati in un espressione di perpetua incredulità. Il coltello di Kasentlaya era conficcato fino all'elsa nella carne sotto lo sterno.
Kasentlaya era distesa sulla neve. Aveva gli occhi chiusi e sembrava non respirare. Alanna le tastò la gola cercando il polso. Le altre due Rinunciatarie rimasero in attesa, incapaci di muoversi e di toglierle gli occhi di dosso.
«È ancora viva,» disse Alanna dopo qualche minuto, «il battito del suo cuore è talmente debole che ho faticato a percepirlo, ma è viva.»
«Dobbiamo portarla al riparo. Non manca molto al tramonto del sole e la puzza del sangue attirerà gli animali selvatici.»
«Sì, ma come facciamo a spostarla? E' coperta di sangue. Non possiamo sapere se sia suo o no, rischiamo di farle più male che bene.»
Tamra si volse spazientita verso Alanna.
«Cosa proponi di fare? Restare qui fino a che non ci trova il prossimo uccello spettro?»
«Innanzitutto cerchiamo di mantenere la calma, d'accordo?» la blandì Devra, «siamo tutte preoccupate per lei.»
Tamra abbassò lo sguardo. «Hai ragione, mi dispiace.»
«Costruiamo una barella,» propose Alanna, «il rifugio non è troppo distante ed una volta al riparo potremo controllare le sue condizioni.»
Senza aggiungere altro, le Rinunciatarie si misero al lavoro. Avevano un nuovo nemico contro cui combattere, un nemico più implacabile di qualsiasi bandito.


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Arrivare al rifugio prima che calasse il buio si era rivelata un'impresa tutt'altro che semplice. Con l'approssimarsi della sera la temperatura era calata in modo considerevole e la neve, scioltasi durante il giorno, aveva formato sul terreno larghe lastre di infido ghiaccio. I cavalli, già costretti a procedere con cautela, si muovevano ancor più lentamente a causa della barella che trasportava il corpo inerte di Kasentlaya. Dopo averla spostata con attenzione, le Rinunciatarie avevano avvolto la ragazza in quasi tutte le loro coperte. La cosa più importante, almeno fino a che non avessero compreso quali erano le sue reali condizioni, era mantenere costante la sua temperatura corporea.
Giunte al rifugio, Devra e Tamra portarono la ragazza all'interno, mentre Alanna si preoccupava di sistemare le bestie nella stalla adiacente all'edificio principale.
Dopo aver steso alcune coperte sul pavimento, le due donne vi adagiarono sopra Kasentlaya.
La giovane non aveva ripreso conoscenza nemmeno una volta durante il tragitto. Una parte del suo volto era coperta di sangue e anche il davanti della sopratunica ne era impregnato.
«Credo che almeno quello sui vestiti non sia suo,» commentò Devra, «in caso contrario sarebbe già morta,» concluse, ignorando la smorfia della Sorella.
«Io accendo il fuoco,» disse Tamra, «tu cerca di vedere cosa si può fare. Sei sempre stata quella più versata in queste cose.»
Mentre Devra si metteva al lavoro, Tamra si guardò intorno cercando la legna. Vicino al camino, dove avrebbero dovuto essercene almeno un paio di cassette, erano rimasti soltanto alcuni ciocchi, che non sarebbero serviti per mantenere vivo il fuoco durante la notte.
"E di questo dobbiamo ringraziare i precedenti occupanti della baracca!" pensò infastidita la Rinunciataria, avviandosi poi all'esterno per raccogliere qualche ramo caduto. Certa gente non aveva proprio rispetto per niente.
Tamra non era preparata alla scena che le si parò davanti quando riaprì la porta del rifugio poco più tardi, le braccia cariche di rami secchi.
Kasentlaya stava rannicchiata in un angolo con le braccia protettivamente strette al petto. I suoi occhi erano spalancati, ma sembrava che non vedessero nulla di ciò che la circondava. La ferita che aveva sul viso aveva ripreso a sanguinare e la giovane leccava inconsciamente il sangue che le colava sulle labbra.
Devra le si avvicinò lentamente, tendendo una mano.
«Bambina non mi riconosci? Sono io, Devra. Sei al sicuro adesso, nessuno ti farà del male.» Quando cercò di toccarla, Kasentlaya si ritrasse ancora di più, schiacciandosi contro il muro e scoprì i denti in un ringhio silenzioso.
Alanna era inginocchiata sul pavimento e teneva tra le mani il sacchetto delle erbe. Un po' del suo contenuto era sparso sul pavimento.
Tamra lasciò cadere a terra la legna e si avvicinò rapidamente a Devra, allontanandola da Kasentlaya.
«Non la toccare.»
Senza darle altre spiegazioni si inginocchiò accanto alla giovane, senza però fare alcun tentativo di stabilire un contatto fisico. Dopo la sorpresa iniziale, aveva riconosciuto quelli che potevano essere definiti dei sintomi del Mal della Soglia. Ricordava molto bene come anche lei si fosse comportata quasi allo stesso modo, poco dopo essere entrata alla Gilda. Maigan le aveva insegnato a controllare il suo laran e a difendersi dai pensieri degli atelepati che la circondavano. Per qualche motivo le barriere che isolavano la mente di Kasentlaya erano crollate e adesso la ragazza stava lottando per non farsi sommergere dalle emozioni di Devra ed Alanna, che non si rendevano nemmeno conto di trasmetterle.
"Kas, permettimi di aiutarti." Tamra estese la sua mente verso quella ferita della ragazza. Poteva percepire le sue sensazioni: il dolore che provava a causa della ferita, mescolato ad un terrore cieco.
Con cautela, passò un braccio attorno alle spalle di Kasentlaya, attirandola a sé. Sentì i suoi muscoli tendersi per un istante, poi, quando le sue barriere mentali avvolsero la coscienza della ragazza, questa si abbandonò stremata tra le sue braccia.


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Il bandito che era riuscito a tirarla giù da cavallo le si avvicinava, minaccioso. Lei si alzò lentamente in piedi, cercando di non scivolare sul terreno ghiacciato. Il suo respiro e quello dell'uomo si mischiavano, condensandosi nell'aria gelida.
Estrasse il coltello che Gwennis le aveva dato alla Gilda, notando distrattamente una tacca sulla lama che prima non aveva mai visto, probabilmente il risultato di qualche combattimento precedente.
Era strano come la mente in momenti di estremo pericolo potesse indugiare su dettagli insignificanti.
La ragazza spostò i piedi, cercando di mantenere l'equilibrio sul terreno ineguale e strinse la presa sul coltello. Il bandito doveva aver colto la sua indecisione perché d'improvviso le si scagliò contro con un grido, levando in alto la spada. D'istinto lei alzò le braccia, protendendo il coltello davanti a sé. L'espressione sorpresa del bandito doveva riflettere quella del suo stesso volto quando avvertì il coltello penetrare fino all'elsa nel corpo del proprio avversario. Il sangue sprizzò dallo squarcio nel busto dell'uomo inzuppandole i guanti e il davanti della giubba. Con un ultimo guizzo di volontà il bandito calò la lama che stringeva tra le mani verso il suo volto. L'impatto le fece perdere l'equilibrio e lei cadde all'indietro urlando di dolore. Il bandito le crollò addosso. Adesso il suo stesso sangue le riempiva la bocca, soffocandola. Tutto si tinse di rosso. E lei si sentì morire...


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Tamra si svegliò ansimando, la camicia inzuppata di sudore le si era incollata addosso. Rimase per alcuni istanti a fissare il fuoco morente prima di realizzare che il sogno non era suo, ma della giovane donna che le era distesa accanto.
Kasentlaya si agitava, intrappolata nel sonno inquieto in cui era caduta da quando le sue barriere mentali erano crollate. Tamra le si fece più vicina, prendendola tra le braccia.
«Shhh, va tutto bene piccola,» mormorò, accarezzandole il viso. La giovane tremava incontrollabilmente e non sembrava che avesse udito le sue parole. Tamra la strinse contro di sé cercando di trasmetterle dei pensieri tranquillizzanti. Il contatto mentale che le univa si fece più profondo e la Rinunciataria riuscì ad avvertire il dolore che lacerava le carni della ragazza. Non pensava di poter far molto per quello, ma avrebbero dovuto portare Kasentlaya alla Torre nel minor tempo possibile. Nonostante il legame che le univa permettesse all'empate di escludere i pensieri delle altre donne, il dolore avrebbe finito col farla impazzire.
Alla fine la ragazza si acquietò un poco, poggiando il capo sulla spalla di Tamra.
«Come sta?» la voce di Devra era solo un sussurro, ma la donna sobbalzò comunque.
«Non bene,» rispose, «dobbiamo portarla ad Elvas. Domani sarà meglio ripartire.»
Devra la fissò sorpresa. «Domani? Ma le sue condizioni...»
Tamra non le diede il tempo di finire. «Sono critiche, ma anche se restassimo qui non cambierebbe nulla. Anzi probabilmente morirebbe. Hai visto anche tu che aspetto ha la ferita. A quest'ora gli impacchi avrebbero dovuto sortire un qualche effetto ed invece ogni volta che cambiamo la medicazione ricomincia a sanguinare. Probabilmente c'era qualcosa sulla lama. Bastardi senza onore!»
Come se potesse avvertire la sua rabbia, Kasentlaya si mosse gemendo. La Rinunciataria mormorò qualcosa, accarezzandole i capelli.
«Faremo come dici,» sospirò alla fine Devra.
L'altra annuì distrattamente, ma i suoi occhi apparivano velati e distanti e Devra sapeva che in quel momento la sua mente e quella della giovane erano unite in un luogo che ne lei ne nessun altro atelepate avrebbero mai potuto raggiungere.


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Entrarono nel villaggio che era quasi il tramonto. Non c'era nessuno in giro. Mai come in quel momento Elvas parve a Devra il luogo in rovina di cui le aveva raccontato Dana. Il fatto che qua e là si notassero alcuni segni della presenza umana rendeva tutto ancora più angoscioso e surreale. La ciotola di un cane, una vecchia coperta da cavallo, un giocattolo abbandonato vicino alla porta di una casa. La Rinunciataria si riscosse da quei cupi pensieri con un moto di rabbia. Si voltò indietro. Tamra era subito dietro di lei in sella al più massiccio dei loro cavalli. Kasentlaya era seduta davanti a lei immobile tra le braccia della spadaccina, il volto pallido come quello della morte.
Dopo quello che parve a Devra un tempo infinito giunsero sulla piazza principale del villaggio. Nemmeno lì, dov'era il cuore pulsante del paese, si vedeva anima viva. Solo le finestre illuminate degli edifici davano una sensazione di calore nell'oscurità crescente.
Davanti alla Torre le Rinunciatarie scesero da cavallo, Tamra praticamente prendendo tra le braccia la giovane ferita. Kasentlaya le si aggrappava spasmodicamente, non sarebbe riuscita a stare in piedi senza il sostegno della donna. Quasi che gli dei avessero voluto dar loro una mano, quella mattina Tamra era riuscita a svegliare la giovane dal torpore in cui era caduta abbastanza da metterla sul cavallo. Non essendo più obbligate a servirsi della barella di fortuna che avevano costruito, le donne avevano viaggiato più speditamente. Il viaggio aveva comunque richiesto quasi tutto il giorno.
La donna più anziana del gruppo si avvicinò alla porta della Torre, bussando con forza. I colpi rimasero sospesi per alcuni istanti nel silenzio che le circondava. Nessuno venne ad aprire.
Devra alzò il pugno per bussare una seconda volta alla porta della Torre. E se nessuno avesse risposto? Kasentlaya era sotto la sua responsabilità e se fosse morta lei non se lo sarebbe mai perdonato. D'improvviso la porta si aprì. Sull'uscio c'era Manolo.
La Rinunciataria cercò le parole per spiegare quanto era successo, ma prima che potesse aprir bocca l'umanoide scomparve all'interno.


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Diotima, che stava scendendo dal primo piano, sentì bussare alla porta e si chiese chi potesse essere a quell'ora. Un telepate della Torre non avrebbe certo avuto bisogno di farsi aprire, ma chi altri poteva presentarsi da loro al tramonto?
Quando poi vide Manolo tornare dall'ingresso con una strana espressione sul volto, fece di corsa gli ultimi scalini che le restavano e si precipitò verso l'umanoide.
Giunta davanti a lui, fece appena in tempo a dire: «Manolo, ma cosa...»
Il factotum della Custode non le lasciò terminare la frase e le indicò la porta con insistenza.
Senza la minima esitazione, la donna corse verso l'ingresso della Torre. Giunta sulla porta si arrestò. Kasentlaya, il volto pallido e sofferente si teneva aggrappata a Tamra come se senza il suo sostegno le fosse impossibile restare in piedi.
«Che cosa è successo?» chiese la Aillard, sbiancando in viso.
Irrazionalmente, la colse un fugace moto di rabbia: le Rinunciatarie con cui Kasentlaya era partita avrebbero dovuto proteggerla! Ma riprese il controllo e si precipitò accanto alla giovane ferita, per aiutare Tamra a sorreggerla e portarla all'interno della Torre: era necessario che si verificassero le sue condizioni. Ma non appena Diotima toccò il braccio di Kasentlaya, quest'ultima si ritrasse emettendo un grido di dolore.
"Per Aldones," pensò esterrefatta la giovane vedova, "le sue barriere sono crollate..." Si affrettò allora ad alzare le proprie al massimo, mentre con tono dolce si rivolgeva alla Ridenow: «Calmati, chiya, adesso sei al sicuro, sei a casa.»
Mentre trasportavano Kasentlaya all'interno, Diotima contattò mentalmente Fiona, per informala brevemente della situazione e chiederle istruzioni su dove portare la ragazza ferita.
La Custode suggerì di accompagnarla nella sua stanza al secondo piano, intanto lei si sarebbe occupata di contattare un monitore della Torre e le avrebbe raggiunte.
Quando arrivarono alle scale, Manolo si fece loro incontro e con fare deciso prese Kasentlaya tra le braccia, rivolgendo poi uno sguardo interrogativo a Diotima, come per chiedere dove dovesse portare la ragazza.
«Nella sua stanza,» gli disse Diotima e si apprestò a seguire l'umanoide su per le scale.
Tamra avrebbe voluto andare con loro, ma dopotutto non era una telepate né un membro della Torre e aveva paura che la sua sarebbe stata presa come un'intromissione. Rimase ferma, come indecisa, ai piedi delle scale.
Diotima, notando che la giovane Rinunciataria non li seguiva, si fermò e, voltatasi verso di lei, le disse:
«Se vuoi, puoi venire con noi. Serve qualcuno che sia in grado di raccontare quello che è accaduto e Kasentlaya non sembra nella condizione di poterlo fare.»
Tamra le si affiancò. Mentre camminavano Diotima le lanciava qualche occhiata curiosa. La Rinunciataria disse, celando un sorriso: «Vuoi sapere se ho il laran, vero?»
Diotima arrossì. «Visto che Kasentlaya non sembrava soffrire del contatto fisico con te, in effetti me lo stavo domandando...» ammise la Aillard.
«Ho sempre ignorato volutamente le mie... capacità,» Tamra sospirò, «mi è stato insegnato ad usarlo, ma non l'ho mai fatto. In fondo è per colpa del laran se sono diventata una Rinunciataria.»
«Ora è tutto più chiaro,» commentò la comynara che, nonostante fosse incuriosita da ciò che Tamra aveva accennato, non osò chiedere nulla, per paura di sembrare troppo invadente.
Tamra rimase in silenzio. Quella donna le piaceva e forse prima o poi le avrebbe raccontato come era diventata ciò che era. Ma non era quello il giorno. L'attendente della Custode si era fermato davanti ad una solida porta di legno, che venne aperta dall'interno. Evidentemente qualcuno li stava aspettando.
Fiona lanciò uno sguardo preoccupato a Kasentlaya, poi si fece da parte per lasciare entrare Manolo.
Anche Tamra e Diotima entrarono nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Poco dopo le raggiunse anche Duane, che si avvicinò alla ragazza sdraiata sul letto. Fortunatamente il giovane si trovava nel negozio dello zio ed era quindi potuto arrivare in tempi brevi alla Torre, in risposta al richiamo telepatico della Custode.
«Com'è successo?»
«Alcuni banditi ci hanno teso un'imboscata, vai leronis. Non ci aspettavamo un attacco così vicino ad Elvas.» Scosse tristemente il capo. «Ci sono stati addosso prima che ce ne accorgessimo.» Gli occhi di Fiona erano simili a quelli di un falco. Tamra si mosse a disagio sotto l'esame implacabile della Custode. «Non so cos'abbia distrutto le sue barriere,» ammise. «Dopo la battaglia l'abbiamo trovata sotto il cadavere di uno dei briganti. Era priva di sensi.»
La Custode assunse un'espressione pensierosa. Un lampo di comprensione attraversò il suo viso, ma non disse nulla. Si voltò invece verso Duane: «Allora?»
Gli occhi di tutti i presenti si fissarono sul monitore.
Il giovane ripose la matrice nel sacchetto. «La ferita è pulita anche se abbastanza profonda... però... credo che l'arma che l'ha provocata fosse avvelenata. I nervi dell'occhio sono danneggiati.»
«L'entità del danno?» chiese Fiona. «Credi che rischi di perdere la vista?»
«Il rischio c'è, ma intervenendo dovremmo riuscire ad evitarlo,» rispose Duane.
«Vediamo cosa possiamo fare allora.»
Fiona si avvicinò al letto, accompagnata dalla cugina.
L'occhio destro di Kasentlaya era coperto da una benda di lino. Diotima la rimosse con delicatezza, ma quando vide la ferita non riuscì a trattenere un'esclamazione d'angoscia.
Il taglio era davvero profondo e, una volta rimosse le medicazioni, ricominciò a sanguinare. La donna non riusciva ad immaginare come Duane intendesse sistemare le cose, ma sperava con tutto il cuore che ci riuscisse.


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Diotima sospirò e posò sulle ginocchia il ricamo a cui stava lavorando. Non aveva osato lasciare la stanza nemmeno per poco tempo, quindi aveva chiesto ad Aliciana di portarle la tela.
Fissò per un attimo lo sguardo sulla figura addormentata di Kasentlaya, ma ben presto a quell'immagine si sostituì il ricordo di quello che era successo poche ore prima.
Duane era accanto al letto della giovane comynara, la mente concentrata sui sottili filamenti nervosi dell'occhio ferito, mentre la Aillard e Fiona erano collegate con lui, pronte a dargli tutto il supporto di cui potesse necessitare. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, se non... Il danno subito...
Era bastato poco al giovane McKee, per rendersi conto che ogni sforzo teso a restituire funzionalità all'occhio di Kasentlaya era inutile. La situazione gli si era presentata subito in tutta la sua terribile evidenza. Era riuscito ad evitare un'infezione, ma niente di più. L'occhio non sarebbe più stato in grado di vedere.
Diotima ricordava con disagio il terribile senso di angoscia che aveva colto tutti, nella stanza, appena avevano percepito i pensieri di Duane. L'unico che era riuscito a dire qualcosa, una volta interrotto il contatto mentale, fu il monitore: «Le benderò gli occhi, meglio che stiano a riposo. Qualcuno poi dovrebbe rimanere qui con lei, meglio non sia sola quando si sveglierà.»
«Resterò io,» aveva annunciato Diotima e, appena gli altri erano usciti dalla stanza, si era seduta sulla sedia dove si trovava tuttora.


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Kasentlaya riprese coscienza del suo corpo tanto violentemente da essere scossa da uno spasimo. Sentiva un peso opprimente schiacciarle il volto. Cercò di aprire gli occhi per vedere di cosa si trattasse, ma realizzò con un moto di panico di non poterlo fare.
Un nodo che non la lasciava respirare le strinse la gola. La sua mente confusa e stremata le impediva di comprendere, la paura consumava tutto tranne l'istinto bestiale che la spinse ad artigliarsi il viso cercando freneticamente di strapparsi di dosso quelle che non sapeva essere bende, quelle che per lei erano solo una costrizione soffocante.
Ancora immersa nei suoi pensieri e nel lavoro che aveva in grembo, Diotima avvertì improvvisamente l'agitazione di Kasentlaya e il panico che l'aveva presto sostituita. Abbandonò il ricamo e si diresse al capezzale della ragazza, proprio mentre la giovane Ridenow si portava le mani al volto nel tentativo di strappare le bende che le coprivano gli occhi.
«Calmati Kasentlaya,» le impose la Aillard, afferrando le mani della ragazza e stringendole con forza tra le sue. «Non puoi togliere le bende, i tuoi occhi hanno bisogno di rimanere al buio.»
La ragazza non accennava a calmarsi, pareva sconvolta e in preda ad un tale attacco di panico, che le era impossibile recepire ciò che la giovane vedova le stava dicendo. Diotima allora si sedette accanto a lei e sfruttò il peso del suo corpo per tenerle a freno le braccia.
«Kasentlaya, ascoltami!» disse in tono deciso l'Aillard, mentre con un dolce tocco della mente cercava di penetrare quel muro di angoscia. «Non avere paura, sei a casa, nel tuo letto e non può succederti niente di male. Cerca di reagire e di tornare in te! Non posso aiutarti se non mi spieghi cosa ti spaventa e ti angoscia tanto!»
Dopo quella che parve un'eternità, Diotima sentì che la giovane rilassava i muscoli. Quando fu sicura che non avrebbe fatto altri tentativi di togliersi la medicazione, la lasciò andare.
Poteva ancora avvertire la paura di Kasentlaya, ma sembrava che in qualche modo il messaggio fosse stato percepito dalla sua mente offuscata. Decise allora di tentare di nuovo il contatto mentale.
"Kasentlaya, chiya, permettimi di aiutarti."
Dal miscuglio confuso dei pensieri della giovane, emerse una risposta "... fa... fa tanto freddo... e buio..."
Poi: "... l'ho ucciso... è colpa mia... li ho uccisi tutti e due..."
Frammentarie immagini di lotta e di sangue si presentarono alla mente di Diotima, che ne rimase sconvolta. Sapeva poco di quello che era accaduto durante l'assalto dei banditi. Doveva cercare di fare in modo che Kasentlaya le raccontasse quello che era successo, per farla sfogare e per capire se ciò di cui si accusava la ragazza era realtà o solo frutto di una distorta ricostruzione degli eventi traumatici in era cui stata coinvolta.
Cercò innanzitutto di trasmetterle tutto il calore che veniva dall'affetto che provava per lei. Poi le disse dolcemente: «Kas, te la senti di raccontarmi quello che è successo?»
Sapeva che per la ragazza sarebbe stato difficile, ma Diotima non voleva che le visioni di ciò che era accaduto avessero il tempo di tormentare troppo a lungo la sua mente, col rischio di distorcersi e di farla sprofondare in un abisso di colpa e paura da cui sarebbe stato ancora più difficile uscire.
"Non avevo mai ucciso un uomo prima... ho visto... il suo dolore. E l'ho provato. Non credevo che il sangue avesse un odore tanto immondo. E il suo mi ricopriva."
Diotima rabbrividì. Poté vivere in parte quell'esperienza attraverso le proiezioni mentali di Kasentlaya e ne rimase quasi sopraffatta. Come poteva trovare le parole giuste per alleviare il dolore della ragazza?
«Deve essere stato orribile, chiya. Neanche attraverso quello che mi trasmette la tua mente posso rendermi pienamente conto di quello che devi aver provato. Ma hai difeso la tua vita, Kas, questo non dimenticarlo. Dovevi difenderti e non avevi scelta!»
S'interruppe un attimo, sfiorando con delicatezza le bende che coprivano l'occhio ferito della Ridenow.
«Mi pare ovvio che quell'uomo non avesse buone intenzioni,» continuò la Aillard. «Altrimenti per quale motivo avrebbe avuto con sé un pugnale avvelenato? È normale girare armati, per essere sempre pronti a difendersi, ma il veleno non è certo necessario! No, Kas, quell'uomo aveva tutte le intenzioni di uccidere e non per difesa.» concluse amaramente.
Kasentlaya scosse il capo con violenza, quasi a voler negare le parole della donna. "Ma lei no...lei non era armata ed io l'ho uccisa comunque..."
«Chi hai ucciso, chiya? Non ti capisco...» mormorò la donna, aggrottando la fronte. Non riusciva a capire chi fosse la lei a cui la ragazza si riferiva. A quanto ne sapeva, nello scontro erano morti solo dei banditi e nessuna delle Rinunciatarie aveva perso la vita.
La ragazza non rispose subito e Diotima ebbe l'impressione che stesse ripensando a quello che era accaduto. "Wren..." Il messaggio di Kasentlaya era appena udibile e colmo di dolore.
"Wren? Di chi stai parlando?"
"Breda..."
"Tua sorella..."
Diotima si chiese cosa c'entrasse la sorella di Kasentlaya in tutto questo. La ragazza era morta un anno prima di parto e... Tutt'a un tratto capì. «Chiya,» disse la donna con un tono molto dolce, che non nascondeva però una certa meraviglia, «tu ti stai incolpando della morte di tua sorella, perché lei è rimasta uccisa dando alla luce il figlio dell'uomo che avresti dovuto sposare tu! È così, vero?»
Kasentlaya fece un leggero cenno di assenso col capo. Si umettò le labbra un paio di volte.
«Non avrei dovuto... andarmene.» La sua voce era un sussurro raschiante.
"Ti stai addossando colpe che non sono tue," la rimproverò gentilmente la Aillard. "Non hai pensato che, anche se tu fossi rimasta, tua sorella avrebbe potuto sposarsi comunque con un altro uomo e andare incontro allo stesso crudele destino?"
"Sono scappata dalle mie responsabilità. Era questo che voleva dirmi mia madre... ma ora so. E sto pagandone il prezzo."
"Sei scappata, è vero. Questo non si può negare," ammise Diotima. "Forse avresti potuto trovare un'altra strada, ma il punto è che lo hai fatto per seguire il tuo destino, per diventare quello che sapevi dovevi diventare. Altrimenti cosa ti avrebbe spinto con così tanta forza a Elvas?"
La ragazza volse il viso verso di lei e, anche se il suoi occhi erano bendati, Diotima ebbe l'impressione che la stesse guardando.
«Io... non so. Sono così stanca...» fece un debole gesto con la mano, quasi di stizza, poi la tese verso Diotima. La donna sentì un brivido di ghiaccio correrle lungo la schiena, riconoscendo già in quel semplice atto, le movenze di un cieco.
«Forse è meglio che tu ti riposi ora,» le suggerì la donna, sistemandole le coperte perché stesse al caldo. «Abbiamo parlato anche troppo. L'importante è che tu ora ti senta più tranquilla. Credi di riuscire a dormire un po'?»
La ragazza annuì debolmente. «Diotima... non lasciarmi sola, ti prego...»
"Non ci penso nemmeno, chiya," l'assicurò con tono fermo la donna, sedendosi vicino al letto e prendendo la mano della ragazza. Rimase a lungo immobile, ascoltando il respiro della giovane farsi profondo e regolare. E per quella notte non riuscì a dormire.









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Disclaimers

Ferita sulla strada del ritorno dal suo viaggio a casa, Kasentlaya viene riportata a Elvas dalle Amazzoni della scorta. La situazione si presenta subito gravissima.

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The Elvas Project © 1999 - 2007
© Kasentlaya Ridenow & Diotima Aillard
Ultimo aggiornamento: 20/08/2005