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Risveglio

Rael McKihan & Dana n'ha Angela

Il sonno sembrava tenerlo legato in un abbraccio caldo, forse troppo caldo perché quando riuscì a fare un pensiero coerente e ad aprire gli occhi senti principalmente piccole serpeggianti lingue di calore sul corpo, gli occhi gonfi, stanchi, e la gola secca.
Osservò il luogo dove si trovava con un timore quasi palpabile, come se fosse una realtà illusoria, leggera come un sogno.
Non era certo un luogo familiare, nulla glielo ricordava; stava osservando davanti a sé intento, quasi rapito, finché non riconobbe l'oggetto della sua attenzione per ciò che era, un arazzo, non uno solo, intessuto cosi finemente come lui non avrebbe saputo apprezzare.
Si giro cercando di mettersi seduto ma arrivò ben poco oltre al girare il volto la stanchezza gli pesava addosso come roccia.
Vi era qualcuno, accanto a lui che ora lo stava osservando, dopo il primo momento di stupore si ritrovo a voler domandare... ma troppe domande gli sorsero e la lingua si intrecciò e cominciò a tossire come se avesse da vomitare l'anima.
Posto davanti ad una finestra sbarrata e coperta da pesanti tendaggi, un globo che sembrava irradiare una bassa luce rossastra riscaldava l'ambiente e, davanti ad esso, a poca distanza dal letto, una poltrona ospitava uno sconosciuto.
Non appena si fu abituato alla semioscurità notò che in realtà l'individuo era una donna, anche se indossava pantaloni e portava i capelli terribilmente corti.
La Libera Amazzone, non poteva essere altrimenti, si avvicinò al letto e, sollevando il capo del ragazzo con delicatezza, gli fece bere un po' di acqua fresca.
«Ben tornato tra noi,» disse con un tono molto basso. «Io sono Dana n'ha Angela e questo è il Villaggio di Elvas,» continuò, rispondendo ad alcune delle domande che gli affollavano la mente.
La gola ringraziava mentre Rael accennava solo di sì con la testa appena appena e poi continuava a bere.
Si ritrovò riappoggiato sui cuscini rialzati, poteva guardarsi attorno senza sforzarsi troppo. Così tante cure lo lasciavano senza parole.
Si guardò ancora attorno, stupito che quegli arazzi coprissero tutte le pareti, oltretutto sembrava fossero soli in quella stanza.
«Oh... grazie... ma...»
La voce gli mancò, si sentiva spudorato a domandare cosi dell'uomo che era con lui... o avrebbe dovuto esserlo... forse lo aveva lasciato li e aveva proseguito... si sentiva smarrito, nessuna certezza a cui appigliarsi, nulla.
Dana, nonostante gli smorzatori attivati, colse la vertiginosa sequenza di immagini e pensieri provenire dalla mente del ragazzo.
«Siete arrivati qui quasi cinque giorni fa,» riprese, tornando a sedersi sulla poltrona. «Il tuo compagno era mezzo assiderato, ma al tuo confronto stava benissimo.»
Rael non rispose, attendendo che la donna continuasse.
«Oltre al principio di assideramento, avevi anche un inizio di polmonite e un accenno di malessere della Soglia,» fece una pausa, ma non giunsero domande, «per questo ti abbiamo messo qui. Questa stanza è protetta dalle interferenze degli altri telepati che abitano qui.»
«Siete stati davvero cosi... gentili... io non so come ringraziare...»
Abbassò la testa, sentiva i propri pensieri come se fossero quasi qualcosa di esterno, cosi estranei sotto certi aspetti.
«Ma, ma... la persona che era con me allora... ora... come sta?»
La lingua voleva aggiungere altre domande ma riuscì a frenarla.
Nonostante si sentisse addosso la febbre come un parassita, nonostante il luogo estraneo, si sentiva al sicuro ed era una bella sensazione.
E ancora sebbene la parola compagno gli avesse stretto le labbra a una sottile riga, era stato più fortunato di quanto si aspettasse, non era stato abbandonato.
Dana sorrise. Non era la prima volta che assisteva giovani colpiti dal malessere e, tutte le volte, doveva stare attenta a barricarsi più di quanto già facesse normalmente.
Ma, come tutte le volte, la precauzione non serviva a nulla.
I pensieri erano lanciati con così tanta violenza che era quasi impossibile escluderli, cosa che stava accadendo anche con il giovane che aveva davanti.
Sotto la sensazione di gratitudine nei loro confronti, anche se l'idea di chi fossero loro era ancora molto vaga, un ammasso di emozioni contrastanti si sovrapponevano, faticando ad uscire allo scoperto.
La contentezza nello scoprire che il suo compagno, che l'aveva portato fin lì anche a rischio della sua stessa vita, gli era restato in qualche modo accanto.
Il timore di essere stato lasciato indietro, la cupa sensazione che fossero giunti fin lì solo perché era il posto più lontano e per lui sarebbe stato più difficile tornare indietro.
Dana si ritrasse rapidamente. La forza con cui queste sensazioni si alternavano, unita alla forza sempre maggiore dei pensieri, rischiavano di travolgerla.
Non poteva correre il rischio di essere soffocata dalle sensazioni non sue, anche se lo studio di quello che il ragazzo provava sarebbe servito in seguito, per aiutarlo a superare il trauma che li aveva condotti fino a loro.
Il ricordo era profondo, sommerso dalla marea di altre emozioni, ma indubbiamente presente.
Sembrava calato il silenzio, ignaro di quello che in realtà stava facendo, Rael si domandava cosa avesse fatto per far restare senza parole la signora, nella sua ingenuità non aveva altro modo di appellare la figura che gli stava di fronte con il viso increspato dalla preoccupazione o cosi almeno a lui sembrava.
«È successo qualcosa?»
Le mani strinsero le coltri anche se senza la forza di sempre le sentiva gonfie come se fossero un accessorio in più, un pezzo fastidioso.
Dana sorrise. «Imparerai presto,» rispose enigmatica.
Si alzò, dirigendosi alla finestra. «Pensi ti dia fastidio la luce?» chiese, prima di scostare il pesante tendaggio.
Rael cercò di scuotere la testa negativamente, ma il movimento gli fece salire un lieve senso di nausea.
«No,» rispose a voce. «Non credo almeno...»
Dana scostò leggermente la copertura più esterna, lasciando che le tende più leggere e trasparenti coprissero la luce del pomeriggio.
Tornò poi verso il letto, sedendosi sul bordo invece che sulla poltrona. Osservò con attenzione il volto del ragazzo, a cui non avrebbe dato più di tredici o quattordici anni.
L'intasamento dato dal malessere sembrava essere sparito dai canali ma, fino a quando non fosse stato in grado di gestire le sue barriere, qualsiasi stimolo troppo intenso avrebbe potuto peggiorare nuovamente la situazione.
«Cosa volevate dire poco fa?» si decise a chiedere Rael.
«Tanto per cominciare è meglio presentaci di nuovo,» rispose Dana. «Come ti ho già detto, il mio nome è Dana e qui sono il primo monitore.»
Rael non aveva molta dimestichezza con il laran e le Torri, ma sapeva dai discorsi dei comyn che quello era un grado che si raggiungeva se lavoravi in una Torre.
«Io... io...» non sapeva cosa dire di sé.
L'idea di essere in una Torre lo metteva in soggezione, lui di certo non era all'altezza di essere ospitato all'interno di una di quelle magnifiche costruzioni.
"Questo non deve preoccuparti," il pensiero gli arrivò direttamente nella testa, forte e chiaro come se Dana avesse parlato a voce alta.
«Per adesso basta che mi dici chi sei...»
Rael arrossì violentemente.
«Mi... chiamo Rael McKihan,» già con quelle poche parole sembro scatenarsi il finimondo nei pensieri del ragazzino, come se avessero stappato una bottiglia di vino.
Eppure riuscì a proseguire.
«Io servo attualmente a Castel Alton... presso la famiglia di Valentine Alton... e... li è il villaggio dove abito... sono... sono molto lontano da li?»
E l'atteggiamento che ebbe alla risposta affermativa sembrò cosi stonato da preoccupare il monitore, sembrava sinceramente rasserenato.
Qualcosa però era storto, doveva essere cosi perché dopo quell'attimo di quiete si scatenò una tempesta, Rael cominciò a piangere. Sul momento singhiozzava tanto da averla fatta sobbalzare e poi tutto si trasformò in qualcosa di più timido, di più chiuso: come se cercasse di dominarsi e non riuscisse del tutto a farlo.
Cercando di dominare l'apparenza all'esterno, Rael concentrò tutto il suo dolore all'interno, lasciando che implodesse in lui.
Sfortunatamente Dana si trovava ancora collegata a lui e, attraverso le barriere saldamente poste a protezione della sua mente, l'Amazzone sentì filtrare con tutta chiarezza la marea di risentimento che covava dentro il ragazzo.
Risentimento verso se stesso e verso la propria origine. Legato profondamente alla paura che aveva dato origine a quella situazione e una nota bassa e profonda di vergogna.
Vergogna per se stesso, per aver costretto altri a soffrire per lui e per essere felice di essere giunto così lontano da tutto il mondo che conosceva.
Non con la rapidità che avrebbe desiderato, Dana recise il contatto, restando vicino al giovane per controllare che l'improvvisa ondata di emozioni non sovraccaricasse nuovamente i canali del laran.
Ignaro di tutto quello che aveva scatenato, e di quanto si fosse scoperto, rimase a piangere quasi silenziosamente, a far scendere piccole lacrime asciugate via di fretta mentre cercava un po' di controllo che non riusciva a trovare.
Alla fine lo sfogo si fermò e lui rivolse gli occhi arrossati verso la figura che era rimasta silenziosa accanto a lui, aspettando.
«Mi... scuso, sono... mortificato...»
Dana non disse nulla, trovava fin troppo arrendevole quel ragazzo e la sua paura di essere di troppo la lasciava inquieta.
Forse perché non era abituata ad un simile atteggiamento.
«Per oggi credo possa bastare,» disse piano, prelevando dal basso tavolino posto accanto al letto una bottiglia di liquore ambrato, con cui riempì un bicchiere di vetro di dimensioni piccolissime.
Rael si asciugò gli occhi con una manica della camicia.
«Cos'è?» chiese dubbioso.
«Un sedativo,» disse semplicemente la donna. «Ti farà dormire e isolerà i tuoi pensieri per qualche ora. In questo momento non saresti in grado di farlo neppure se lo volessi.»
«Isolare...» Rael sospirò, era cosi estraneo a quel luogo che non aveva davvero pensato a cosa potesse percepire... già cosa?
Ma ora non voleva altri tormenti, di questo almeno era certo.
Allungò una mano ringraziando.
Stava ancora galleggiando su una realtà oleosa, incerta, ma sarebbe stato meglio, avrebbe avuto una lucidità di pensiero che ora non aveva, doveva solo aspettare.
Mandò giù d'un fiato, e poi si stese.
«Ancora grazie... io cercherò... di non recarvi disturbo...»
Si accoccolò sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Dana restò un attimo in ascolto. La mente di Rael si stava lentamente calmando, i pensieri si susseguivano con meno vigore e, alla fine, solo un eco lontana delle sensazioni che l'avevano travolto risalì in superficie per portargli sogni che, probabilmente, non sarebbero stati ricordati la mattina dopo.
Prima di uscire richiuse la tenda, riportando l'oscurità nella stanza, e controllò che il globo avesse ancora abbastanza carica per durare fino al risveglio del ragazzo.
Alla fine, voltandosi ancora una volta per controllare che fosse tutto in ordine, uscì dalla stanza, chiudendo dietro la pesante porta imbottita di seta i segreti che quel giovane sconosciuto aveva portato con sé ad Elvas.










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Disclaimers

Dopo alcuni giorni di incoscienza anche Rael si sveglia e fa la conoscenza di Dana.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008