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! Questo racconto tratta anche di tematiche omossesuali,
se siete contrari all'argomento o se vi offende non procedete nella lettura !



Il Vento Fantasma

Autori Vari

A causa del clima, mantenutosi insolitamente caldo per i primi mesi invernali, la popolazione della valli dei Kilghard e degli Hellers cominciano a temere l'arrivo del vento fantasma e anche molti dei telepati di Elvas dotati dei doni di precognizione prevedono l'arrivo del vento fantasma... cosa che si verifica puntualmente!




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Giorno Tre

Damon e Aliciana (1)
Fiona
Mikhail
Edric e Dyan MacAran
Kelan, Edric e Dyan
Kennard (1)
Daenerys e Kasentlaya (1)
Damon e Aliciana (2)
Dana e Illa (1)
Il Vento Fantasma
Elorie e Coryn
Shonnach (1)
Daenerys e Kasentlaya (2)
Mikhail e Renaldo (1)
Piedro, Dorian, Yllana, Caitlin, Rafe e Kyril MacAran
Shonnach (2)
Dana e Illa (2)
Kennard (2)
Mikhail e Renaldo (2)
Benton e Liriel
Shonnach (3)
Madre Gwennis e Shann McKee
Kelan
Shonnach (4)
La Vedova



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La Torre Verde, Elvas - mattina presto
     • Damon e Aliciana

Quella mattina, l'Aldaran si svegliò che era ancora presto e la Torre stava ancora dormendo.
Si vestì e scese a fare colazione. In cucina trovò Manolo che stava preparando del cibo.
Diede una mano e insieme si sedettero a mangiare.
Damon provò l'impulso di provocare un po' l'umanoide.
«L'altra sera Fiona e Aliciana hanno suonato bene, vero?»
L'umanoide alzò il volto e guardò l'Aldaran con aria interrogativa.
«Però mi sembra che Aliciana abbia suonato meglio di Fiona, non ti pare?»
Manolo grugnì qualcosa di difficile interpretazione, ma certamente l'affermazione dell'Aldaran non era piaciuta.
«Va bene, va bene, stavo solo scherzando: hanno suonato bene tutte e due,» disse Damon ridendo.
Finirono la colazione, poi Damon aiutò Manolo a ripulire e gli disse che sarebbe andato a prendere il suo cavallo per andare fuori a fare un giro della valle.
Detto questo, uscì dalla Torre.
La giornata era serena. Vide Alar che stava accomodando delle protezioni alle finestre del Northern Scoundrel, nella speranza che queste potessero in qualche modo limitare l'ingresso del polline di kireseth all'interno del locale.
Salutò il locandiere con una mano e l'uomo ricambiò.
Preparò Astrale e poi si diresse verso la verde valle di Elvas.
Qualche tempo dopo, anche Aliciana si svegliò e si preparò per andare a fare colazione.
Mentre scendeva le scale, passò davanti alla camera di Damon e bussò leggermente alla porta, ma nessuno rispose. Cercò allora di sentire con la mente la presenza dell'uomo, ma non lo trovò: probabilmente era già sceso.
Arrivò in cucina e trovò che gli altri stavano già mangiando. Cercò con lo sguardo, ma non vide Damon. La cosa in realtà non la preoccupava, ma quella mattina avrebbe proprio voluto parlare con lui e le sarebbe piaciuto vedere il suo volto tra le prime immagini della giornata.
Terminata la colazione in compagnia di Loreena e Anndra, si mise alla ricerca di Damon.
Non riuscendo a trovarlo, cominciò a spazientirsi: nessuno l'aveva visto e alla Torre non c'era.
Quando ormai non sapeva più a chi chiedere, vide Manolo davanti a sé.
«Hai visto Damon?» chiese, un po' irritata dalla infruttuosa ricerca.
Manolo le rispose con un borbottio affermativo.
Afferrò Aliciana per un lembo della manica e la portò all'ingresso della Torre. Quindi le indicò il Northern Scoundrel e aggiunse un ulteriore verso.
Aliciana lo ringraziò e si precipitò nel locale più famoso di Elvas... forse, perché era anche l'unico locale di Elvas!
Entrò con un sorriso e guardò nella sala, pensando che Damon fosse lì. Invece rimase delusa, perché all'interno non c'era nessuno.
Alar, dal bancone, la stava osservando un po' sorpreso.
«Posso esservi d'aiuto damisela? Volete che vi prepari qualche cosa?» le chiese l'uomo delle Terre Aride.
«No, niente,» rispose Aliciana. «Pensavo di trovare il nobile Damon.»
«Damon? No, non è qui. Questa mattina l'ho visto uscire presto dalla Torre. È andato a prendere il suo cavallo e poi l'ho visto allontanarsi dal villaggio al galoppo...»
Alar non aveva ancora finito di parlare, che Aliciana stava già correndo fuori dal locale. In un attimo si recò alle stalle, sellò la sua bianca cavalla e poi, come una furia, si precipitò a cercare il suo amato.
Un passante che si trovava lungo la strada fece appena in tempo a mettersi al riparo prima di essere travolto dalla cavalcatura.


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La Torre di Elvas - mattina
     • Fiona

Senza uscire dalla propria stanza, Fiona aveva seguito tutti i diversi eventi avvenuti all'interno della sua Torre in quelle poche ore. Dal risveglio mattutino di Damon e la sua discussione con Manolo al successivo risvegliarsi delle varie giovani telepati, tutte preoccupate per quello che le avrebbe attese di lì a poco.
Subito dopo il termine della sua colazione, che aveva deciso di consumare nella propria stanza, Fiona aveva ricevuto la visita di Anndra. L'uomo le aveva chiesto una paio di dosi della droga preparata da Dana per Pat e per se stesso. Avrebbero condiviso due stanze adiacenti: nel caso in cui il terrano avesse avuto dei problemi a risvegliarsi, lui sarebbe stato vicino e pronto ad intervenire.
Loreena era entrata subito dopo l'uscita del Castamir. Aveva preso la sua dose di preparato senza fare domande e si era chiusa dall'interno nella propria stanza. Fiona aveva controllato a distanza che tutto andasse per il meglio ed era stata soddisfatta nel notare che il sonnifero aggiunto alla droga faceva effetto molto prima del raivannin.
I suoi telepati si sarebbero addormentati molto prima che il polline e il suo antagonista potessero fare qualunque effetto e, con ogni probabilità, si sarebbero svegliati molto dopo il loro esaurirsi.
Fiona percepiva l'indecisione delle ragazze, ma era divertita dal fatto che per loro il problema più importante fosse l'ordine con cui si dovevano presentare da lei piuttosto che la decisione di prendere o meno la droga.
Finalmente, poco prima che la Custode si decidesse a scendere per dare una smossa agli eventi, le sue telepati si decisero e, una dopo l'altra, si presentarono per ritirare l'ampolla che speravano avrebbe annullate l'effetto del kireseth.
Amyra e Fiamma avevano deciso di chiudersi nella stanza della seconda, attendendo insieme il concludersi di quella strana giornata. Shaya e Diotima avrebbero condiviso la stanza della Aillard, mentre Aliciana sembrava aver deciso di trascorrere la giornata accanto a Damon, all'aperto.
Fiona stava per riporre le ultime fiale di droga rimaste, quando Shonnach fece la sua comparsa.
«Non sono venuta per me,» disse l'Amazzone, come per tranquillizzare la Custode. «Ci sono alcune delle nostre Rinunciatarie che hanno deboli capacità laran ma che non si azzardano a venirti a chiedere un po' del preparato di Dana.»
Fiona annuì, senza chiedere altro. Non tutti i potenziali telepati venivano da loro a farsi controllare e, a volte, alcune Rinunciatarie avevano avuto modo di farsi esaminare e addestrare da leronis di fiducia al di fuori delle Torri. Avrebbe verificato in seguito se fosse il caso o meno di sottoporre qualcuna delle richiedenti ad un controllo più accurato, con l'aiuto di Dana e di Madre Gwennis.
«Ancora decisa ad affrontare la cosa senza protezione?» chiese invece, osservando Shonnach con attenzione.
La Rinunciataria annuì, senza alzare lo sguardo dalla sacca che stava riempiendo di fiale. «Voglio essere sveglia. Non potrò fare nulla, ma almeno riuscirò a spiegarmi il perché di alcune delle sensazioni che provo.»
La Custode annuì, salutandola con un cenno mentre usciva silenziosamente dalla stanza. La seguì fino a che non la sentì entrare nella Gilda poi, alzandosi, fece un cenno di assenso a Manolo, entrato pochi secondi prima.
«Sì, hai ragione,» disse divertita. «È ora di chiudere la Torre.»


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Verso gli Hellers - mattina
     • Mikhail

Quella mattina l'intero villaggio sembrava essere percorso da un fremito avvertibile appena sotto pelle. Era come se tutto, non solo gli abitanti, stesse trattenendo il respiro in attesa dell'inevitabile.
La maggior parte dei telepati, soprattutto le giovani fanciulle e gli uomini meno temerari, erano già stati addormentati dalla mistura realizzata da Dana ed erano stati rinchiusi ognuno nella propria stanza, nella speranza che tutto andasse per il verso giusto.
Fermo sulla porta della Torre, Mikhail controllava con occhio critico il cielo sgombro da nubi. Appoggiato alla fontana anche Alar sembrava fare lo stesso, scambiando qualche battuta con i valligiani che, temerariamente, erano usciti di casa per portare a termine commissioni che non potevano aspettare.
«Deciso ad andare?» la voce di Fiona fece sobbalzare l'Ardais.
Mikhail annuì, guardando le montagne che dominavano la valle e i boschi poco distanti. «Non saprei cosa fare qui.»
Fiona controllò la matrice installata sulla porta, come per verificarne la struttura e la sicurezza. «Potresti dormire,» fece notare all'amico. «Non sarebbe un peccato.»
Mikhail si strinse nelle spalle. «Ho bisogno di fare qualche follia,» rispose, posando nuovamente lo sguardo su Alar che, con espressione quasi famelica, sembrava controllare ogni loro mossa. «Se non mi scarico potrei fare degli errori di cui poi potrei pentirmi. Sotto l'influsso del vento...»
Fiona sorrise, comprensiva. «Potresti correre dei rischi lo stesso,» insistette. «Chissà chi, o cosa, potresti incontrare.»
Mikhail sorrise serafico. «Non vedo il problema, Fiona.» Distolse lo sguardo dal locandiere e lo posò sulla Custode. «Hai intenzione di chiudere adesso?»
Fiona annuì. «Gli altri stanno già dormendo, mi sembra inutile aspettare oltre. Non appena la matrice sarà attivata, mi chiuderò nelle mie stanze e prenderò la droga.»
«Povero Manolo,» sospirò inaspettatamente Mikhail. «Tutto solo nella Torre...»
Fiona lo fissò con malcelata sopportazione. «Vattene, Mikhail,» disse, attivando la matrice, «e non farti rivedere prima di domani sera.»
L'Ardais attese fino a quando la donna non ebbe chiuso la porta dietro di sé, testando per curiosità la resistenza della serratura. Il blocco era impenetrabile: nessuno sarebbe riuscito ad entrare nella Torre da quella parte.
«Andiamo a caccia?» lo salutò Alar, guardandolo allontanarsi.
«È nelle mie intenzioni,» rispose Mikhail, senza voltarsi. «Vuoi venire? Potresti essere una preda interessante.»
Alar si sentì rabbrividire. «Non diventerò la preda di nessuno,» rassicurò il comyn, cercando di mantenere un tono convinto.
«Vedremo,» si limitò a concludere Mikhail. «Spero solo che, dopo, tu sia in grado di raccontare cosa hai fatto... potrebbe essere interessante...»
Senza riuscire a trattenersi dal fare gli scongiuri, Alar rientrò nello Scoundrel, chiudendo ermeticamente la porta dietro di sé.


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Una volta uscito dai confini del villaggio, Mikhail rimase come in ascolto, nella speranza che una sorta di guida interiore gli comunicasse da che parte dirigersi. Quando, dopo lunghi minuti di silenzio, nessuno sembrò farsi vivo, decise di incamminarsi verso il vecchio castello.
Percepì in lontananza la presenza di Kelan e, per nulla desideroso di fermarsi a parlare con qualcuno, la cosa lo spinse ad abbandonare il sentiero per prendere uno di quelli meno battuti che si inoltravano nel cuore della foresta.
Conosceva abbastanza bene buona parte delle piste che attraversavano la valle. Tra le battute di caccia con Alar e quelle con Shonnach e le altre Rinunciatarie, poteva dire di essere un esperto ma, quel giorno, non si curava delle tracce che gli animali da preda avevano lasciato, incuranti, dietro di loro.
Il pensiero degli animali lo riportò a Kelan e alla Torre e a Diotima ma, per la prima volta dal giorno della Festa del Solstizio, la sua mente non andò ad arenarsi sul ricordo doloroso di Domenic, che era riuscito sempre con fatica a sostituire con quello meno tangibile di Renaldo. Per la prima volta il pensiero del mercenario superò e scalzò senza fatica quello di qualsiasi altro abitante della valle, lasciandolo comunque con un profondo senso di insoddisfazione.
«Potrei incontrare un chieri,» si disse, «e scambiarlo per lui.» Il suono stridulo di un'aquila che si preparava ad attaccare la preda lo distrasse, riportandolo alla realtà. «Ma, con la fortuna che ho, incontrerò un chervine e lo scambierò comunque per lui...»
Ridacchiando tra sé, Mikhail continuò a salire lungo il pendio della montagna, allontanandosi dal vecchio castello e dai percorsi più battuti, inoltrandosi in una zona poco frequentata dagli abitanti della valle e, per questo, meno a rischio di incontri non desiderati.


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Sulla strada per il Vecchio Castello MacAran - mattina
     • Edric e Dyan

Edric e Dyan avevano passato le prime ore della mattina aiutando Benton McKee, nel tentativo di fissare e rendere inespugnabili le recinzioni che avrebbero protetto i suoi amati chervine da qualsiasi assalitore esterno.
I gemelli avevano accettato con gioia la colazione offerta da Liriel e, prima che il rischio del vento si facesse troppo tangibile, avevano salutato la coppia e si erano avviati verso il villaggio. Erano però bastati pochi metri per cambiare idea e, con passo deciso, si erano invece diretti verso le rovine del castello.
Da tempo l'idea di fondare una Guarnigione a difesa della valle era diventata una sorta di chiodo fisso e, anche quel giorno, volevano controllare che le rovine non fossero ridotte in condizioni più disastrose del solito. Sapevano che, sotto l'effetto del polline, avrebbero trascorso lì il resto della giornata. Quindi era più che corretto dare uno sguardo intorno e sistemare quelle cosette che, influenzati dal kireseth, non sarebbero riusciti a controllare.


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Il Vecchio Castello MacAran - mattina
     • Kelan, Edric e Dyan

Kelan si era svegliato da poco quando arrivarono i gemelli e il più giovane dei MacAran passò con loro una piacevole mattinata allenandosi con la spada. La scherma non era la sua attività preferita, ma sentiva che il suo corpo aveva bisogno di movimento, tenersi in allenamento poteva essere una buona cosa. La compagnia dei gemelli era piacevole, totalmente presi l'uno dall'altro e dall'idea di creare una guarnigione ad Elvas, non rivolsero a Kelan domande sul suo umore. Attorno all'ora di pranzo smisero e si sdraiarono sull'erba che ricopriva il cortile del castello, Kelan si sentiva pervaso da una stupenda stanchezza fisica che quasi gl'impediva di pensare.
I gemelli decisero di mangiare al castello, per poi ridiscendere a valle a controllare la situazione ad assicurasi che tutti stessero bene. Kelan decise di fermarsi con loro fino quando non si fossero incamminati, poi avrebbe deciso a sua volta che cosa fare.


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Da qualche parte nella valle - mattina
     • Kennard

Stava sognando... era nel Sopramondo, accanto alla solita roccia, ed Emma stava correndo nella sua direzione. Ma quella mattina (mattina in quel luogo? Chissà perché gli sembrava mattina...) gli sembrava strana... era vestita con un ampio vestito azzurro, azzurro come il cielo dei Kilghard dopo una bufera di neve, ed una meravigliosa collana di pietre di fuoco le brillava intorno al collo. Ma era seria... non sorrideva... ed in mano aveva un mazzo di fiori azzurri e li agitava traendo da essi un pulviscolo dorato che riluceva al sole... No! Ma che faceva? Quelli erano fiori di kireseth, erano pericolosi... e spargerne così il polline... ne sentiva già l'odore...
Si svegliò di soprassalto. Il sole era già sorto da almeno un'ora: doveva aver dormito molto più di quanto fosse solito fare. Era sempre un po' frastornato per il sogno ed indugiò con lo sguardo sul piccolo accampamento. Sentì un bramito nervoso e stridulo e vide che il chervine scuoteva la testa e tirava la cavezza... a breve distanza gli rispose il nitrito del cavallo. Dalle froge degli animali usciva appena del vapore biancastro, segno che la temperatura era già salita di diversi gradi. E... vago, ancora quasi impercettibile... sentì l'inconfondibile profumo del kireseth!
Scattò con la velocità di un coniglio quando sente il frullo delle ali di un falco: per prima cosa prese da una sacca della sella una leggera sciarpa in fibropiuma e se la legò strettamente intorno al viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Estratto il pugnale dalla cintura prese una coperta di lana e ne tagliò due larghe strisce, rammaricandosi un po'... l'aveva fin dal tempo dei Cadetti! Con quelle, facendo bene attenzione a come si muoveva e parlando con voce bassa e suadente per non spaventarli, fece una specie di bavaglio anche agli animali. Poi le bagnò con l'acqua della borraccia, come aveva fatto con la sua sciarpa. Bastarono pochi minuti per controllare che il fuoco acceso la sera prima non conservasse ancora qualche brace e per sellare gli animali, salì sul cavallo e con un leggero schiocco della lingua lo fece muovere. Sentì che il chervine, dietro di lui, seguiva abbastanza docilmente, anche se ogni tanto si impuntava, scuoteva la testa per liberarsi dell'ingombro del bavaglio, ma ripartiva dopo un energico strattone delle briglie.
Andò avanti così per un paio d'ore, finché si accorse che stava cominciando a soffrire di piccole allucinazioni... si sentiva la testa leggera ed aveva voglia di cantare. Gli venivano in mente tutte le ballate che la sera i suoi uomini cantavano davanti al fuoco... e rise più di una volta nel ricordarsi battutacce ed imprecazioni particolarmente colorite... come quel soldato che aveva messo tre dozzine di diavoli in fila per due con Zandru in testa e li malediva ad uno ad uno inventando per ognuno di essi un nome nuovo... Ah ah ah! Rise ancora in modo sguaiato, e rise ancora, ed ancora... Ed il sentiero? Dov'era finito il sentiero? Che buffo, ne vedeva addirittura quattro o cinque davanti! Riprese a ridere, ma si fermò. Si riscosse: si guardò intorno, di nuovo lucido, incerto sulla strada da prendere.
L'odore del polline era ora sicuramente avvertibile, nonostante la protezione della sciarpa; se la tolse e vide che era impregnata di polvere gialla. La scosse per togliere il polline e la bagnò di nuovo prima di riavvolgerla intorno al viso. Ma l'aria ne era ormai satura: sentì il chervine impuntarsi per l'ennesima volta e rifiutarsi decisamente di muoversi. Allora scese da cavallo, (... gli sembrava quasi di volare...) prese dall'animale le due leggere sacche con le erbe medicinali, lo liberò dal bavaglio e lo legò ad un albero con una lunga fune. Tornò al cavallo, caricandolo del nuovo peso, ma quando cercò di montare in sella l'animale si imbizzarrì e non ci fu modo di cavalcarlo nuovamente. Rassegnato lo prese per le briglie e si avviò lungo il sentiero... cominciava ad essere preoccupato. O per lo meno era preoccupata solo una parte di lui, l'altra invece continuava a suggerirgli nuove canzoni, nuove visioni di serate accanto al fuoco, con le vivandiere che passavano sventagliando le lunghe gonne a quadri e sorridendo provocanti ed invitanti.
Fu allora che lo vide: era un cavaliere che avanzava tranquillamente lungo il sentiero, venendogli incontro. Completamente avvolto in un lungo mantello verde con strani disegni argentati (non erano i colori di un casato, si disse) aveva la testa coperta dal cappuccio, tirato fin sugli occhi. Quando gli fu vicino, senza la minima esitazione, gli si accostò e gli prese le briglie del cavallo, facendogli cenno di montare dietro di lui. Gli disse solamente: «Vieni, c'è un rifugio qui vicino.»
Il soldato che era in lui gli gridò di fare attenzione, che poteva essere una trappola... chi era quello sconosciuto? Ma quella parte di sé era diventata piccola ed insignificante, e lui accettò la mano che gli veniva porta e saltò a cavallo, dietro il misterioso individuo.
L'uomo prese un piccolo sentiero sulla destra che lui non aveva visto e continuò per un tempo indefinito, senza dire neanche una parola.
Kennard si sentiva sempre stordito e con la testa leggera. Chiuse gli occhi, ma anche attraverso le palpebre abbassate vedeva la luce del sole, che appariva e spariva fra gli alberi, come un insieme di macchie multicolori, come fosse nella sala del Consiglio... percepiva intorno a sé tutto un insieme di rumori e di odori amplificati, come se i suoi sensi si fossero sviluppati in modo magico e straordinario. Sentiva l'odore dell'erba e del sudore dei cavalli, i mille rumori del bosco, un profumo delicato di fiori che veniva dal mantello del cavaliere a cui si teneva attaccato, cingendogli i fianchi... ma su tutto un aroma dolce e intenso, inebriante... il kireseth...
Si riscosse nuovamente quando il cavallo si arrestò ed il suo sconosciuto salvatore gli indicò con una mano un piccolo rifugio sul bordo di una radura: erano salvi. Kennard prese i due cavalli per le cavezze e li condusse sotto una rozza tettoia di legno, aperta da due lati; ma c'era del fieno e sembrava abbastanza riparata; accanto c'era un pozzo, con una conduttura di legno che portava ad un trogolo di pietra pieno d'acqua. Legò i due cavalli cercando di metterli più lontano possibile fra loro pensando al chervine rimasto indietro sul sentiero. Chissà se l'avrebbe ritrovato. Poi, con passo calmo, andò a mettersi al riparo nella capanna.
Il pavimento era di pietra, squadrata grossolanamente, ma ricoperta di pelli di lupo o di qualche altro animale. Un'intera parete era occupata da un grande camino in pietra ed il fuoco vi scoppiettava allegro e pieno di brace... come se fosse stato acceso da ore ed ore. Ma mandava un calore invitante e familiare e non vi fece caso. Anzi, nella stanza faceva decisamente caldo e si sentì improvvisamente soffocare; si tolse il mantello foderato di pelliccia e poi anche la tunica, rimanendo con la bianca camicia di grosso cotone e lana.
Gli sembrava di muoversi come in un sogno, anche se una parte del suo cervello si ribellava e cercava di riprendere il controllo della situazione... era sicuramente l'effetto del Vento Fantasma. Istintivamente la sua mano cercò il sacchetto di cuoio con la matrice attaccato alla gola per contattare Rys... ma non ne ebbe il tempo. Una voce gli risuonò nella mente, dolce e suadente...
"Che bisogno hai della matrice a questa distanza?"
Si voltò e vide (ma... prima non c'era!) il misterioso cavaliere che l'aveva condotto al rifugio. Era sempre avvolto nel mantello, con il cappuccio tirato sulla testa... Si voltò e vide due occhi assurdamente grandi che lo fissavano; brillavano quasi di luce propria nella penombra del rifugio illuminato dalla luce rossastra del fuoco... sembravano quasi avere il colore di Mormallor quando a volte tramontava solitaria nelle immensità del mare di Dalereuth.
"Chi sei?" Non riusciva ad usare le parole... il contatto telepatico era stato immediato e totalizzante... come se le loro matrici fossero state sintonizzate da sempre.
"Chi vuoi tu che io sia?" gli rispose la voce nella mente.
Non badò alla stranezza della domanda, ma immediato gli venne il pensiero di quella donna così strana che incontrava nel sopramondo... e che, se ne rese immediatamente conto come se non fosse la prima volta che lo ammetteva a se stesso... che amava. Si voltò e vide, illuminata dalla luce del fuoco, l'ormai inconfondibile figura di Emma... lo guardava e sorrideva. Lui chiuse gli occhi e istintivamente tese le mani in un tacito invito ad accostarsi... e sentì sotto il suo tocco un corpo sodo e pieno, una pelle morbida e vellutata. Ne sentì il profumo della pelle, così strano ed alieno. Sentì delle dita leggere e fini levargli la camicia e gli altri indumenti e poi diventare carezze, sempre più intime e ardite... lasciò fare, come paralizzato...
Emma... ma come era possibile? Per un attimo assurdo immaginò di essersi catapultato nel sopramondo, dove sapeva che la realtà astrale poteva essere percepita come vera e reale. Aprì gli occhi: era lei, Emma, sicuramente, assurdamente, meravigliosamente Emma... e lo accarezzava, lo baciava dolcemente, lo cercava, con insistenza... Si sentì travolgere come mai gli era successo e chiuse gli occhi, abbandonandosi alle ondate di sensazioni che lo travolgevano. Da cui voleva farsi travolgere.
Sentì l'eccitazione crescere dentro di lui in modo inarrestabile e le sue barriere mentali abbassarsi fino ad essere praticamente inesistenti, protese il suo essere nell'accettazione di quella doppia fusione che solo i telepati possono avere... ma... la donna smise di accarezzarlo, si scostò da lui e gli disse con voce dolce:
«Guardami.»
E, a poco più di due passi da lui, vide... vide illuminata dalle fiamme del caminetto, che danzavano mutevoli sulla sua pelle come in una danza magica, una donna completamente svestita (si sentì, stranamente, arrossire).
Era alta più di lui e magra; di una magrezza non ossuta, ma piena e completa in ogni curva e parte del corpo. Lunghi capelli lisci e quasi privi di colore le scendevano fin quasi alla vita, confondendo alla vista un seno piccolo, ma pieno.
Si soffermò a guardarla incantato: aveva lineamenti delicati: sicuramente ed inconfondibilmente donna... Lei si avvicinò e vide biancheggiare per un attimo i denti, prima che si piantassero decisi, dolorosi ed eccitanti nella sua spalla destra. Ebbe solo modo di notare le sue mani sottili e a sei dita che gli sfioravano appena il viso per portarlo verso di sé...
"La follia si impadronisce anche di noi... io non sono colei che sogni..." disse la sua mente in un sussurro, "io in questo periodo sono... Etwi..."
Sentì di perdersi nei suoi occhi argentati e cercò di chiudere, inutilmente, i suoi. Poi una fusione mentale e fisica totale... totalizzante... poi il buio.


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Il vecchio mulino nella vallata - tarda mattina
     • Daenerys e Kasentlaya

Ancora una volta il sole del mattino ruppe con i suoi raggi il sonno di Daenerys.
Finalmente, dopo molto tempo, quella notte non aveva sognato di essere Custode, non aveva sognato gli anni dell'addestramento, il dolore del fallimento, la delusione negli occhi di Marelie, ma casa sua, Heatwine, i suoi pascoli sconfinati, i suoi colori accesi e purissimi: nel sogno galoppava attraverso quei prati, con al fianco la sua Kas.
Sorrise, al ricordo della tenerezza di quel sogno; si girò verso la compagna, che ancora dormiva placidamente, un'espressione innocente e serena stampata sul volto.
Rys, lo sguardo adorante, prese ad accarezzarle la guancia, mentre il cuore le si riempiva di dolcissime sensazioni; mai come in quel momento sentiva in tutta la loro forza i sentimenti che provava per la ragazza più piccola: desiderio di protezione, tenerezza, amicizia profonda ed anche qualcosa di meno... innocente.
Si rese conto che per la prima volta stava pensando a Kas anche come alla sua amante, non solo come alla sua compagna ed amica.
Sbatté le palpebre, incredula ed interdetta. Lasciò riluttante la guancia ed i serici capelli di Kas, decidendo di prendere una boccata d'aria, per sedare i suoi... bollenti spiriti.
Di certo non si poteva dire che quello che le due avevano fatto la sera precedente fosse infantile o privo di malizia, ma le immagini che si accumulavano copiose nella mente di Rys mentre accarezzava la guancia di Kas erano di tutt'altra natura.
La giovane si rese conto che il suo cuore batteva ad un ritmo più accelerato.
Scosse la testa, incapace di capire che cosa le stesse accadendo.
Si recò come la mattina precedente nella stalla, per accudire i cavalli: i due animali erano stranamente irrequieti, sbuffavano e scuotevano la testa senza sosta cercando invano di liberarsi dalle pastoie. Quando si avvicinò ad Alita, la giumenta roteò gli occhi senza dar segno di riconoscerla e tirò indietro le orecchie. Rys cercò di rassicurare gli animali alla bell'e meglio, e aggiunse biada nella mangiatoia credendo che il loro malessere fosse dovuto alla mancanza di cibo. Una vocina nella sua mente le sussurrava che le cose non quadravano, ma era come se i suoi pensieri fossero divenuti più nebulosi e le immagini riguardanti Kas si facevano sempre più pressanti.
Uscita dalla stalla, le sembrò che il sole avesse cambiato colore: ma era stato sempre così brillante, così acceso? Aveva sempre irradiato la sua luce con tutta quella forza?
Sempre più insistenti le immagini di Kas tornavano nella mente della Hastur; sempre più audaci si facevano i suoi pensieri.
Rys aveva caldo, maledettamente caldo.
Raggiunse quasi di corsa la polla vicino al mulino, e si affrettò a sciacquarsi ripetutamente il viso, sperando di trovare refrigerio.
Nulla da fare: il calore che sentiva era dentro di lei.
I pensieri correvano nella sua mente ad una velocità impressionante: mille desideri nascosti salivano a galla della sua coscienza.
Bagnò i polsi e le tempie: quei pensieri non erano degni di una comynara. E poi... dove aveva imparato a desiderare certe cose?
L'imbarazzo accese ancora di più le già arrossate guance della ragazza. Doveva tornare da Kas. Si alzò di scatto, portandosi un'ultima sorsata d'acqua alle labbra.
Solo in quel momento si rese conto che attorno a lei aleggiava una sottile polvere dorata, che ricopriva tutto come un manto vellutato.
Rys non poteva crederci! kireseth? Come era possibile? Scoppiò a ridere, di fronte alla sua ingenuità. Come aveva potuto non rendersi conto di quanto stava per accadere? E perché il suo donas non l'aveva avvertita? O forse era colpa sua... forse era lei che non aveva voluto vedere quello che le stava davanti agli occhi. La mancanza di pioggia, il nervosismo dei cavalli... quel caldo insopportabile. Marelie una volta le aveva detto che il suo donas poteva essere influenzato dai suoi desideri, che una delle cose che doveva imparare era il distacco emotivo, altrimenti le visioni ne sarebbero risultate sfalsate. Dei santi! Adesso capiva. Rise di nuovo, era proprio innamorata persa!
E quello era il suo effetto. Certo, non potevano esserci dubbio: tutte le sue inibizioni, tutti i muri che imprigionavano i suoi desideri erano stati abbattuti come castelli di carte. Voleva andare da Kas; voleva stare con lei. Non le interessava nulla delle conseguenze; l'unico pensiero che occupava la sua mente era Kas.
Ma a pochi metri dalla polla si bloccò di scatto. In piedi a pochi passi da lei, tra i boccioli schiusi del kireseth che solo ora vedeva, c'era la sua compagna.


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Un altopiano sopra Elvas - tarda mattina
     • Damon e Aliciana

Aliciana cominciava a preoccuparsi: ormai era già qualche tempo che stava cercando Damon, ma non era ancora riuscita a trovarlo. Poi sentì un nitrito provenire alla sua sinistra da dietro degli alberi.
Cercò con lo sguardo ma non riuscì a vedere molto. Lanciò quindi Edra in quella direzione rallentando appena per consentirle di oltrepassare le piante.
Dall'altra parte, finalmente, vide Damon di spalle in piedi che teneva Astrale per le briglie, immerso a parlare al suo cavallo come se dovesse spiegargli qualche cosa.
Alla visione, Aliciana sorrise e tutte le sue preoccupazioni si dissolsero nel nulla. Riprese il galoppo per raggiungere rapidamente l'uomo e rallentò solo quando fu a breve distanza da lui.
L'erba del prato e il terreno morbido avevano attutito quel tanto che bastava il rumore della cavalcatura, per evitare che Damon si distogliesse dalla sua spiegazione, così Aliciana poté raggiungerlo senza quasi che se ne accorgesse.
Quando l'Aldaran si rese conto che stava arrivando qualcuno, ormai era troppo tardi.
Mentre si voltava, l'uomo vide una persona che si stava lanciando dal proprio cavallo ancora in corsa e gli piombava addosso.
Lo scontro fu sufficientemente forte da fargli perdere l'equilibrio e Damon cadde trascinando con sé anche l'aggressore.
Le esclamazioni di felicità di Aliciana si mescolarono alle urla di sorpresa e dolore di Damon.
«Ahia! Ma che sta succedendo?» si domandò l'Aldaran preoccupato, poi aggiunse riconoscendo la ragazza: «Aliciana! Che ci fai qui?»
«Che ci faccio qui? Ma che ci fai qui tu, allora?»
Damon si sentì sollevato, non era stato attaccato da nessuno. "Da nessuno?" si domandò. E invece sì, qualcuno lo aveva attaccato!
In un attimo, anche perché il suo avversario non si aspettava questa mossa, ribaltò la situazione e così Aliciana si trovò stesa sul prato sotto di lui e immobilizzata.
«Come osate, damisela, attaccare di sorpresa Damon Aldaran y Aldaran nelle sue terre?» disse con fare deciso ma scherzoso.
Aliciana, dapprima sorpresa e poi intuendo il gioco, gli rispose: «Che cosa posso fare se Damon Aldaran y Aldaran è uno stupido che volta le spalle al nemico?»
«Stupido?» disse Damon. «Come osate! Per questo sarete punita.»
«Punita io?»
«Certamente: nessuno può aggredire così un Aldaran!»
«Ma ci mancherebbe altro: gli Aldaran si possono colpire come e quando si vuole, tanto non contano nulla!»
«Ah, è così che la mettiamo?»
«Sicuro.»
«Ma allora, anche questo Aldaran non conta nulla per voi, damisela
La frase di Damon lasciò un attimo interdetta Aliciana.
«A questo punto, mi toccherà sottoporvi alla vostra meritata punizione!» esclamò Damon con fare deciso.
Aliciana lo guardò un po' incredula, poi vide Damon abbassarsi su di lei e baciarla.
Trattenendo il fiato per la sorpresa, ricambiò il gesto.
Dopo quell'intenso bacio, ripresero un po' del fiato che l'emozione del momento aveva fatto trattenere più del previsto.
«Cosa sei venuta a fare qui?» domandò l'Aldaran.
«Sono venuta a cercarti: non ti ho trovato alla Torre e volevo vederti.»
«Beh, stavo per rientrare: ancora un po' e mi avresti rivisto.»
La donna arrossì, temendo di sembrare impaziente. «Ma come mai sei uscito così presto?»
«Non so, questa mattina mi sono svegliato di buon ora e così ho deciso di fare una passeggiata mentre l'aria era ancora fresca e il sole basso.»
«Potevi anche dirmelo.»
«Dirtelo? E quando? Mi è venuto in mente all'improvviso: non l'avevo programmato.»
«Ah. Strani voi Aldaran.» Dopo un attimo, Aliciana si affrettò ad aggiungere: «Spero che prima non ti sia offeso.»
«Per cosa?» domandò Damon.
«Perché ti ho detto che gli Aldaran non contano nulla,» e lo guardò con aria di mille scuse.
«È una cosa che pensi veramente?» le domandò di rimando Damon.
«No.»
«E allora perché mi dovrei sentire offeso? No, queste battute non mi toccano, se dette da persone che conosco, perché so che non lo pensano.»
E mentre lo diceva si lasciò rotolare per finire sul prato accanto ad Aliciana.
Lei alzò la testa, appoggiò il gomito al terreno e mise la mano sotto il capo per aiutarsi, mentre ammirava il suo amato.
I due cavalli, intanto, si erano allontanati un poco e insieme stavano gustando l'erba fresca e profumata: una rarità a quelle altezze, e in quella stagione, su Darkover!
«Sei ancora preoccupato?» chiese Aliciana.
«Sì, la situazione non è cambiata.»
«E cosa ti preoccupa di più.»
«Mah, diverse cose: noi, il vento fantasma che sta arrivando, le nuove persone che stanno giungendo a Elvas. Sai, ci potrebbe capitare qualcuno davvero pericoloso. Di sicuro è arrivata gente strana... molto strana. Mi preoccupo un po' di come vanno le cose. Del fatto che, ad esempio, pur essendoci molti contadini nella valle, non siamo ancora in numero sufficiente per poter gestire la terra che sta intorno al villaggio di Elvas. In questo modo guarda quanti fiori di kireseth ci sono! Mi preoccupo del fatto che Fiona sia ancora da sola, anche se sta addestrando Loreena. Avrebbe bisogno di un'altra Custode addestrata per darle il cambio: se dovesse sentirsi male, come facciamo? Ci fermiamo? Certo, succede anche nelle altre Torri dove c'è una sola Custode, ma loro possono permetterselo, noi no!»
«In che senso?»
«Beh, chi aiuterebbe la nostra comunità se il Cerchio non potesse più lavorare? Ora come ora non esiste più solo il Primo Cerchio, ma, anche se ci sono molti più telepati che vi lavorano, cosa riuscirebbero a fare se restassero bloccati senza guida? Cosa farebbe la gente di Elvas se la Torre non dovesse operare più? In poco tempo, le persone che ora sono arrivate per trovare una vita diversa sarebbero costrette a ritornare da dove sono venute o a cercare un nuovo posto. Non siamo ancora completamente autosufficienti, lo stato della nostra Torre è ancora troppo precario.»
«Ho capito,» annuì la donna. «Le altre Torri, che sono riconosciute dal Consiglio dei Comyn, possono aiutarsi a vicenda e quindi compiere il lavoro dovuto; le altre Torri sostengono Darkover, non un singolo villaggio o paese in attesa che il loro Cerchio torni operativo; noi, invece, non possiamo farci aiutare da nessuno.»
«Esatto. E poi mi preoccupo per come si sta comportando Kelan in questi ultimi giorni.»
«Kelan...» rispose Aliciana e nel dirlo si stese nuovamente sull'erba.
A Damon non sfuggì il tono con cui pronunciò il nome del suo amico.
Fu lui, allora, ad alzare la testa assumendo la posizione che prima era stata di Aliciana.
«Che c'è? Cosa non va con Kelan?» domandò un po' celiando.
«Niente, solo che... avrei voluto essere io al posto di Kelan!»
«Al posto di Kelan?»
«Essere al posto di Kelan, cioè aver passato tutto il tempo che lui ha passato con te!»
Damon rimase sorpreso a queste parole.
«Sai, penso che ancora oggi Kelan ti conosca meglio di quanto ti conosca io.»
«Ehi, ma mica devi fare un confronto con Kelan. È il mio migliore amico, è il mio bredu,» e Damon fece attenzione ad usare l'intonazione giusta, «e abbiamo passato la maggior parte della nostra vita sempre insieme. Ma tu non devi pensare di poter essere lui. Non so se riesci a capirmi. Kelan e Aliciana sono due persone completamente differenti per me.»
«Sì, ti capisco, sono io che sono un po'...» ma non riuscì a concludere la frase perché non trovava le parole.
«Gelosa?» aggiunse Damon.
La mano di Aliciana si strinse a pugno e colpì lievemente Damon in pieno stomaco. L'Aldaran si lasciò cadere sul prato rannicchiandosi e inscenando un dolore che in realtà era solo lieve.
«Scusa!» disse Aliciana alzandosi in soccorso.
Damon continuava ad inscenare una forte sofferenza e Aliciana si rese conto dello scherzoso tranello che stava per tenderle il suo amato.
«Scusa, non volevo colpirti così,» disse ironicamente Aliciana. «Potevo farti anche più male, bastava chiederlo!»
Damon, smise di rigirasi da un parte all'altra, aprì gli occhi e guardò Aliciana iniziando a ridere di gusto.
La donna lo ricambiò. «Imbroglione di un Aldaran!» gli disse.
«Gelosa di un'Alton!» replicò Damon.
E con i piedi dapprima le bloccò le caviglie e poi le fece perdere l'equilibrio accogliendola fra le sue braccia.
L'urlo di Aliciana echeggiò di rimando dalle pareti del monte sopra di loro.
«Io non sono gelosa!» disse Aliciana guardando il suo amato a pochi centimetri di distanza.
«Sì, lo sei!»
«No, non lo sono.»
«Mmm... beh non devi esserlo, perché io ti amo!» confermò Damon.
«Anch'io,» rispose Aliciana.
Poi le loro menti si aprirono per trasmettere quello che le parole in nessun modo avrebbero potuto fare.
Damon lasciò avvicinare Aliciana e mentre le loro menti erano unite, si unirono anche le loro labbra in un bacio che non voleva terminare.
Damon strinse ancora di più Aliciana.
Poi il desiderio crebbe in entrambi e le carezze, che prima erano innocenti, si fecero più ardite. Le mani di Aliciana iniziarono a sciogliere i lacci dei vestiti di lui e così, rassicurato dalle sue reali intenzioni, anche Damon iniziò a spogliarla.
In breve tempo furono nudi e, così come le loro menti si erano donate ed unite prima, ora anche i loro corpi fecero altrettanto: un unico essere una unica mente governata da un unico amore.


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Sfiniti, giacevano sul prato, incuranti del fatto che erano ancora nudi.
Damon aveva gli occhi chiusi, estasiato da quello che aveva appena provato, e il suo respiro era ancora accelerato.
Anche Aliciana era nelle sue stesse condizioni e stava assaporando con sorpresa ed emozione quello che era appena accaduto.
Si sollevò e guardò il prato intorno a lei e poi guardò Damon come mai prima l'aveva guardato: non solo il suo corpo, che pure amava tanto, bensì lui stesso, cioè l'essere nella sua interezza che si era appena donato a lei.
Poi notò i fiori di kireseth ancora chiusi e allora pianse di gioia.
Damon sentì i singulti e si girò per guardarla.
Gli si avvicinò: «Mia adorata, che succede? Non stai bene? Ti ho fatto male?»
Tra un singhiozzo e l'altro Aliciana gli rispose: «No, sto bene. Sto piangendo perché sono felice! Troppo felice.»
«Sì, amore, anch'io...»
La donna gli posò un dito sulle labbra. «Non capisci...» sussurrò chinandosi a sfiorargli le labbra in un leggero bacio.
«Damon,» e mai nella sua vita l'Aldaran sentì pronunciare il suo nome con tanto amore. «Guarda i fiori: sono ancora chiusi!»
Damon guardò il prato intorno a loro e vide che i boccioli di kireseth non avevano ancora rilasciato il polline. In lontananza i loro cavalli pascolavano liberamente.
Anche lui sentì una stretta al cuore: ciò che avevano fatto era autentico e non dovuto a eventi esterni. Si strinse ad Aliciana senza dire nulla.
«E sai una cosa? Questo è il prato che avevo sognato.»
E pronunciate queste parole, i due si strinsero nuovamente mentre un nuovo profumo inebriante li invadeva, penetrava dentro di loro e dava una nuova carica alla loro passione. Le menti si fusero ancora, più rapidamente di prima, e non riuscirono più a lasciarsi. I pensieri più profondi si mischiarono e le loro identità si persero impedendo di distinguere se la volontà di compiere ogni gesto fosse propria o dell'altro. I loro corpi, sotto questo irresistibile impulso, si eccitarono nuovamente e furono ancora un essere solo.


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Sopramondo - poco prima di mezzogiorno
     • Dana e Illa

Una sensazione di caldo intenso risvegliò Dana dal torpore in cui era caduta. Ricordava di essere stata rapita da Illa, di essersi risvegliata, legata e dolorante, all'interno di uno dei rifugi della valle e, soprattutto, ricordava di come Illa fosse riuscita a intossicarla di polline fino a raggiungere livelli quasi letali.
L'Amazzone si guardò intorno, notando con sorpresa che non riusciva a riconoscere nulla di quello che la circondava. Solo dopo qualche istante, quando la sensazione di paura iniziò a bloccarle lo stomaco, si rese conto di non essere nel rifugio nella vallata ma, anche se la cosa era inspiegabile, nel sopramondo.
Le pareti azzurrine che l'avevano circondata fino a quel momento si dissolsero e, attorno a lei, comparve una gigantesca distesa di fiori. Stava per alzarsi, per andare a controllare da vicino il fenomeno quando Illa la bloccò. Solo allora si rese conto di non essere sola, anche se, cosa ancora più strana ma che non la allarmava più di tanto, non riusciva a scorgerla da nessuna parte anche se ne avvertiva la presenza. Poteva sentirla ma non vederla.
Una vibrazione all'interno della propria mente la portò alla comprensione. Quando nel rifugio le loro matrici erano entrare in sintonia, anche le loro menti erano entrate in risonanza e ora si trovavano una dentro l'altra, congiunte anche se in qualche modo ancora distinte tra loro.
Dana si chiese quanto tempo poteva essere trascorso da quel momento e, guardandosi intorno, la risposta fu più che evidente. Quella che aveva creduto essere una distesa di fiori non era altro che la rappresentazione del potere racchiuso nei fiori di kireseth che stava maturando, trasformando il monocromatico e silenzioso sopramondo in un caos di colori e sensazioni.
La Rinunciataria sentì Illa stringersi a sé e, quasi controvoglia, si lasciò condurre verso una piccola altura poco distante. Solo quando si fu seduta si accorse che quella collinetta era in realtà l'intrico di spire del dragone che era la raffigurazione che la mercenaria aveva del proprio laran. Dana sorrise e, mentre si trasformava lei stessa nella gigantesca pianta rampicante che era il suo laran, ascoltò deliziata la nota argentina che arrivava fino a loro dalla grande distesa di fiori. Le corolle si stavano aprendo... il vento fantasma era solo all'inizio.


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Un altopiano sopra Elvas - quasi mezzogiorno

Una polvere gialla si levò dal prato: come una sola cosa, i fiori di kireseth rilasciarono d'incanto il loro polline. Il loro seme prese il volo e precipitò giù lungo le pareti della valle per raggiungere infine il villaggio di Elvas.

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La Fattoria dei MacAran, Elvas - intorno a mezzogiorno
     • Elorie e Coryn

Ormai il ventre di Elorie era gonfio ed ingombrante. La mattina cercare di alzarsi era una tortura, l'assalto della nausea la costringeva inchiodata al letto per almeno mezzora. Mentre se ne stava sdraiata lottando con i conati Elorie cercava di distrarsi pensando alla sera precedente.

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I bambini erano già a letto ed Elorie si godeva quei momenti di tranquillità abbandonata ad occhi chiusi nella sedia a dondolo davanti al camino.
La porta venne aperta ed i passi dei tre uomini furono accompagnati dal lieve scricchiolio del pavimento. Appesi i mantelli ai ganci Edric e Dyan si avvicinarono alla donna, le posarono un bacio sulla fronte, mentre lei socchiudeva gli occhi accogliendo quei baci, ed augurando la buona notte alla sorella salirono nella soffitta dove erano stati sistemati i loro giacigli. Coryn, invece, si sedette ai piedi della moglie.
«Non nevica neanche stanotte. Comunque le imposte delle finestre sono ben fissate e abbiamo legato bene gli animali, i maschi ben lontani tra loro.»
«Noi abbiamo fatto tutto il possibile, Coryn, poi saranno gli Dei a decidere quel che sarà.»
«In paese dicono che Dom Damon abbia avuto una premonizione e che domani saremo investiti in pieno dal Vento Fantasma.»
«Non ti preoccupare, amore, domani ce ne staremo tutti ben rintanati in casa.»


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L'improvviso sbattere di una porta riscosse Elorie dai suoi pensieri. Cercò di alzarsi ma ripiombò sul letto preda delle vertigini; facendosi forza prese uno scialle e se lo avvolse intorno alle spalle. Giunta nell'altra stanza si trovò davanti alla porta aperta, una leggera brezzolina le sfiorava il viso. Sentì le risate dei bambini provenire dall'esterno. Per quel che le permetteva il suo corpo gonfio e debilitato corse alla porta chiamando i figli.
«Piedro MacAran! È pericoloso stare fuori! Tornate a casa!»
«Sì, mamma, per pranzo!»
La salutarono e sparirono dietro la curva del sentiero.
Elorie si sentì abbracciare e fu avvolta dall'odore di Coryn, si abbandonò contro il suo petto.
«Coryn, i bambini sono usciti.»
«Bene, così abbiamo il resto della mattinata per noi.»
La donna alzò il volto a guardare il marito ed un mano ad accarezzargli la guancia. Coryn avvolse il suo polso in una delicata stretta e si portò la mano alle labbra. Il bacio si protrasse a lungo, mentre Elorie tratteneva il fiato, per emetterlo tutto insieme quando sentì le labbra di Coryn posarsi leggere sul suo collo. Trattenendo la moglie tra le sue braccia Coryn si tirò indietro lontano dalla porta. La desiderava così tanto, da quanto tempo non la sfiorava nemmeno? Troppo tempo, decisamente troppo. Con una mano le sfiorò i seni e gemette con abbandono, mentre con l'altra le carezzava la schiena. Vagando sul corpo morbido della donna, la mano di Coryn scese fino al ventre gonfio, dove si attardò in lente carezze. Improvvisamente Coryn spalancò gli occhi e si staccò bruscamente da Elorie, che lo guardò stupita.
«Ho sentito... ho sentito un calcio.»
Elorie inclinò la testa pensierosa.
«È vero, ha dato un calcio.»
Coryn allungò la mano esitante e le sfiorò il ventre, Elorie sorrise.
«Non è la prima volta che senti uno dei nostri figli scalciare, tesoro, anche se poggi la mano, non succede nulla.»
«Beata Evanda! Oh Elorie, senti come scalcia. Sarà sicuramente un maschio. Ma adesso,» ad Elorie sfuggì un grido mentre Coryn la sollevava da terra, «devi riposarti. Torna immediatamente a letto. Ci penserò io a recuperare quei mascalzoncelli!»
Coryn depose la moglie sull'ampio letto che dividevano da ormai due anni. Quando si erano stabiliti in quella valle, aveva realizzato quel letto a cui aveva pensato durante il viaggio.
«Ma Coryn, non è necessario che io stia a letto.»
«E invece voglio che tu ci stia! E non voglio discussioni.» Si inginocchiò accanto al letto. «Elorie ormai abbiamo più di trent'anni e questa è la tua sesta gravidanza. Sai a volte penso che tua sorella abbia ragione.» Cercò le mani della moglie e gliele strinse portandosele al volto. «Non voglio perderti Elorie! Ho paura di svegliarmi la mattina e non trovarti più al mio fianco. Ho paura che questo bambino ti porti via da me!»
«Coryn, non devi preoccuparti.» Elorie gli sorrise con dolcezza. «Io sono forte, e posso metter al mondo non solo questo bambino, ma anche degli altri.»
«Ma non ne avremo altri. Abbiamo già sei figli e quest'ultimo sarà il settimo.» Coryn la fissò intensamente negli occhi, poi si riscosse. «Adesso vado a cercare Piedro e gli altri.»
Elorie si abbandonò sui cuscini, improvvisamente stanca mentre Coryn, dopo averle posato un bacio sulla fronte, uscì a cercare i bambini, chiudendo alle proprie spalle la porta.
Appena fu all'esterno la decisione di cercare i suoi figli perse di importanza, si diresse invece al laboratorio che aveva attrezzato, per i lavori di falegnameria, in un angolo della stalla.
Aveva tenuto da parte una un tronco di abete non ancora sgrossato, un tronco quasi intero, gli aveva solo tolto i rami.
Prese la raspa più grossa dalla cassetta degli attrezzi ed in silenzio, quasi religioso, si avvicinò al tronco, prese lo sgabello e sedutosi lo fissò. Nel momento in cui la raspa toccò il legno un lungo sospiro gli sfuggì dalle labbra. Lavorò senza accorgersi dello scorrere del tempo e si ritrovò a fissare il legno chiaro sotto la corteccia. La luce di uno dei globi luminosi, che la Custode gli aveva quasi imposto come pagamento di un lavoro, dava alla superficie dei riflessi dorati.
Come in trance allungò una mano e prese una sgorbia, mentre la lama sfiorava il legno, un brivido gli percorse la schiena, e si sentì emozionato come la notte in cui per la prima volta aveva sfiorato Elorie, tanti anni prima.
Mentre i trucioli si accumulavano sul pavimento, sotto gli occhi di Coryn dal tronco informe fiorivano curve morbide e linee sinuose.


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Elorie si era appisolata pochi minuti dopo che Coryn l'aveva deposta sul letto, rassicurata dal fatto che il marito fosse andato a cercare i bambini. Fu risvegliata da un brivido freddo che le percorreva la schiena. Faticosamente si tirò in piedi, accorgendosi dell'innaturale silenzio che regnava in casa, girò per tutte le stanze chiamando Coryn ed i figli, senza ottenere alcuna risposta, allora aprì la porta. Le sue narici furono investite da uno strano profumo, e si ritrovò per terra scossa dai brividi e boccheggiante.
Cercò di chiamare aiuto, ma la voce le uscì così flebile, quasi inudibile. Chiuse gli occhi appoggiandosi allo stipite della porta e respirò a fondo alcune volte. All'improvviso la sua mente fu invasa da decine di voci e poco dopo si sentì sommergere da una marea oscura.


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Coryn respirò a fondo, stirando i muscoli e sciogliendo i tendini delle spalle tutti irrigiditi. Davanti a lui una bellissima statua di una donna nuda, lunghi capelli sciolti ad un vento inesistente, la testa inclinata come in ascolto, le mani sollevate a trattenere due ciocche lontane dal viso, un piedino davanti all'altro, il volto di una sconosciuta, che solo vagamente gli ricordava la moglie. Quasi tremando allungò una mano e sfiorò la superficie liscia e senza impurità di un fianco, ritraendola quasi di scatto, stupendosi che non fosse calda e vibrante. Si alzò e arretrando uscì dal laboratorio. Appena fu nell'aia volse le spalle alla porta che aveva lasciata aperta e vide Elorie svenuta sulla soglia di casa. Fece cadere la lima che ancora teneva in mano e corse verso la moglie. La sollevò delicatamente da terra ed entrò in casa chiudendo la porta con un piede. Dandosi dello stupido per averla lasciata sola, la portò in camera da letto e la adagiò delicatamente sulle coltri. Si inginocchiò al suo fianco e cominciò a pregare la Beata Evanda e la Misericordiosa Avarra che non gli portassero via la moglie.

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La piazza della fontana - poco dopo mezzogiorno
     • Shonnach

L'Amazzone aveva concluso rapidamente la distribuzione della droga preparata da Dana e, non appena fu certa che la Gilda fosse bloccata e isolata quanto lo era la vicina Torre, si diresse con calma e serenità verso la fontana che decorava il centro del villaggio.
Poteva percepire gli sguardi sorpresi e incuriositi degli abitanti di quella parte del villaggio e, solo con una piccola parte della sua coscienza, valutò quanti di quegli occhi che la stavano osservando fossero reali o creati dalla sua mente sovraeccitata.
Anche se non era così evidente, il polline aveva iniziato a invadere l'aria della valle fin dalle prime ore del giorno. Le varie parti della vallata erano state colpite in momenti differenti e lì, al centro del loro piccolo universo, l'ondata di polline sarebbe giunta a più riprese, di potenza sempre inferiore ma sempre altamente contaminante.
Shonnach respirò profondamente e, finalmente, riuscì a percepire il profumo dei kireseth. Si sedette sul bordo della fontana e, pazientemente, attese l'inevitabile.


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Il vecchio mulino nella vallata - poco dopo mezzogiorno
     • Daenerys e Kasentlaya

Quando si era destata Kasentlaya non era rimasta affatto stupita dall'assenza di Rys. Le coperte erano ancora calde quindi in teoria non si era alzata da molto. Però avrebbe anche potuto svegliarla! Odiava fare la figura della pigrona.
Qualcosa però le sembrava strano, i colori attorno a lei si erano fatti forse più vividi? O era forse colpa della luce del sole che entrava dalla porta rimasta aperta? Appunto, ecco il problema, era troppo caldo per quel periodo dell'anno... a quel punto avrebbe dovuto cominciare a battere i denti. E poi quello strano odore nell'aria, sembrava resina ma era meno pungente e sconvolgeva i suoi sensi come nessun altra cosa prima d'allora.
Non riusciva a trarre delle conclusioni, era come se quei pensieri la eludessero giocando ad un gioco noto solo a loro. Fissò per alcuni istanti il pulviscolo che danzava nella luce del sole; avvertiva l'elettricità dell'aria pizzicarle la pelle come quando durante un temporale il fulmine si scarica sulla terra.
Si riscosse con rabbia e per un istante le parve di riuscire a pensare più chiaramente. Per quale assurdo motivo Rys aveva lasciato la porta aperta? Doveva andare a cercarla. Scostò le coperte e si fermò attonita fissando il tessuto marrone. Piccoli granelli dorati si erano depositati tra le pieghe della stoffa... sembrava polvere ma non lo era... era... kireseth.
Una parte di lei scostò la mano ricordando i tabù vigenti nelle Torri riguardo l'uso di quel fiore dalle potenzialità immense.
Era una parte molto piccola e difatti Kas reagì molto più freddamente di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Alzatasi con calma cercò di dominare la massa di sensazioni che i suoi sensi, ormai sovraccarichi e annebbiati dal polline, le trasmettevano.
Se aveva dormito con la porta aperta ormai il danno era fatto, il polline stava già agendo su di lei e le ci voleva tutta la concentrazione acquisita in quei mesi alla Torre per pensare coerentemente.
Quello che doveva fare adesso era assicurarsi che Rys stesse bene, uscì quindi dal rifugio cercando di concentrarsi su piccole cose, contando mentalmente i passi che la separavano dalla compagna, che percepiva molto vicina.
Doveva trovarla al più presto, non solo perché aveva paura che potesse accaderle qualcosa ma anche perché, assimilò quel pensiero con stupore, voleva sentire ancora la dolcezza del corpo di lei premuto contro il suo, voleva...
E non era solo il kireseth la causa del suo desiderio. Certamente stava cancellando le sue inibizioni ma i pensieri erano suoi anche se fino a quell'istante erano restati sepolti nei recessi della sua mente.
Si accorse di essersi fermata, stava fissando la polla che anticamente alimentava il mulino. Anzi no, il suo sguardo era puntato in quella direzione ma il soggetto era diverso.
Rys stava vicino alla sorgente e la fissava di rimando, nei suoi occhi Kas poteva leggere lo stesso desiderio che sentiva crescere inarrestabile dentro di lei.
Le sembrava che il suo sguardo fosse più intenso ed i suoi occhi erano lucidi e dilatati. I capelli di Rys parvero bruciare al tocco del sole quando lei si mosse per andarle incontro.
"Il kireseth..."
"Lo so..." Kas sorrise, "ma non m'interessa; quello di cui m'importa realmente in questo momento sei tu."
"Dovremmo controllare che i cavalli stiano bene..."
"Dovremmo slegarli, in fondo hanno tutto il diritto di divertirsi come faremo noi..."
Kas si ritrovò dentro il rifugio senza ricordare bene come.
Rys la spinse con dolcezza sulle coperte cercandole avidamente la bocca come poco prima aveva cercato l'acqua.
Si sentiva confusa, quell'infinitesima parte di lei che ancora cercava di trovare un senso a quello che stava accadendo loro le stava dicendo che le comynare di solito non facevano certe cose. Ma loro non erano solo comynare. Inutile dire che quella parte di lei venne deliberatamente ignorata e spedita a congelarsi nel nono inferno di Zandru.


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Lungo la valle di Elvas - dopo mezzogio
     • Mikhail e Renaldo

Quando Mikhail si decise a dichiararsi irrimediabilmente perso, aveva ormai perduto anche la cognizione del tempo trascorso. Dalla posizione del sole, che si intravedeva tra le cime degli alberi, poteva scommettere sul fatto che fosse trascorso da poco il mezzogiorno e, dall'odore dolciastro e inebriante che percepiva attorno e su di sé, non aveva dubbi sul fatto che il vento fosse ormai spirato e che tutto fosse impregnato di polline.
Il solo pensiero che lo preoccupava era che aveva fame e, per soddisfarla, avrebbe dovuto trovare un rifugio dove poter scaldare un po' di acqua e prepararsi le razioni di cibo che si era portato dietro dalle cucine della Torre. Un rifugio come quello che si trovava davanti a lui in quel momento e che aveva notato solo quando aveva realizzato di avere fame.
Mikhail si avvicinò alla porta che, assurdamente, resistette alla sua pressione come se fosse stata chiusa dall'interno. Ma chi poteva essere così stupido da chiudersi dentro ad un rifugio durante una giornata bella come quella? ... forse qualcuno che voleva ripararsi dal vento fantasma, concluse da solo il comyn.
Si voltò e si appoggiò all'uscio, lasciandosi andare contro la sottile lastra di legno con tutto il peso del suo corpo e, contro ogni aspettativa, la porta si aprì dietro di lui, facendolo cadere rovinosamente al suolo.
«Ma, per tutte le p... Renaldo?» Poteva essere lungo disteso al suolo, ma quello che lo sovrastava sembrava proprio lui. «Non puoi essere tu?!»
Il mercenario si allontanò di qualche passo, un'espressione perplessa e sospettosa sul volto. «Perché non dovrei essere io?» si informò. «Tu, piuttosto, non puoi essere tu.»
«Oh, questa è bella!» esclamò Mikhail, rialzandosi a fatica. «Ho fatto tutta questa strada, mi sono perso in un bosco che dovrei conoscere a menadito, solo per sentirmi dire che non sono io!»
Renaldo era ancora fermo sulla soglia, per nulla preoccupato dal polline che andava posandosi su di lui, cosa che deliziò Mikhail. «Dentro è completamente coperto di kireseth,» commentò il mercenario, come rispondendo ai timori del comyn. «E poi dovrei essere io a sapere chi sono,» continuò, riprendendo l'interessante discussione. «Sono arrivato fin qui da Caer Donn per vedere te,» puntò un indice minaccioso contro il petto di Mikhail. «Quindi è ovvio che io sia io, e che tu sia una allucinazione!»
Mikhail sgranò tanto d'occhi. «Avresti attraversato gli Hellers in pieno inverno per vedere me?» chiese incredulo. «Sei pazzo?»
«C'è il vento fantasma,» rispose Renaldo, con logica inoppugnabile.
«Mi fai entrare?» chiese ancora Mikhail.
«Sei un miraggio.»
«È un problema?»
Renaldo sembrò pensarci un po' sopra, come valutandone i pro e i contro. «No,» rispose alla fine, afferrando il comyn per un braccio e tirandolo dentro senza troppi complimenti.


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Il villaggio, Elvas - dopo mezzogiorno
     • Piedro, Dorian, Yllana, Caitlin, Rafe e Kyril

Piedro la ricordava perfettamente, nell'angolo che la Torre formava con la parete a vetro della serra rivolta verso le colline, nascosta dall'interno da alcuni alberi da frutto e dall'esterno da un cespuglio. Il passaggio era perfetto, l'aveva scoperto la sera della festa. Sfuggito a zia Marelie aveva girovagato tra gli ospiti e poi si era infilato dietro il bancone da lavoro ricoperto dai vassoi con il cibo, tra i vasi. Già quella notte il vetro era incrinato, nei mesi seguenti, ogni tanto, senza dare nell'occhio era passato a controllarlo dall'esterno, il freddo esterno ed il caldo interno avevano ingrandito le crepe. Non sapeva come sfruttare questa sua scoperta, era ancora un segreto, non ne aveva parlato nemmeno con Dorian, sarebbe corso subito a spifferare tutto alla mamma, ma era sicuro che prima o poi avrebbe trovato modo di sfruttare quel pannello di vetro incrinato così facile da rompere. Sapeva che prima o poi gli sarebbe venuta l'idea giusta. Il problema maggiore era, però, trovare la serra vuota: se non c'era Dana o un'altra Rinunciataria, c'era Alar.
Da alcuni giorni faceva caldo e la sera non pioveva, né lui né tanto meno i suoi fratelli ricordavano giornate simili, se non nel pieno dell'estate. Quella mattina Elorie li aveva lasciati andare a giocare presto con la promessa di tornare per il pranzo, ma poi erano cominciate quelle folate di vento dallo strano profumo e si dimenticarono totalmente del pranzo, nella mente di Piedro era ricomparso quel pannello incrinato nella serra. S'incamminarono lungo il sentiero che portava in paese, quatti quatti, guardandosi in giro e se scorgevano qualcuno s'abbassavano per nascondersi in un cespuglio. Erano tutti e sei lui, Dorian, le gemelle e anche Rafe e Kyril, che caracollavano in fondo alla fila. Finalmente la Torre si fece vicinissima ed imponente con le sue alte pareti verdi. Costeggiarono tre degli otto lati fino alla serra; il vetro non era stato cambiato e quindi bastò un calcio leggero per farlo crollare in mille schegge; sempre con i piedi le scostarono, poi s'inginocchiarono e gattonarono all'interno.
Il suo sogno si era avverato, la serra era deserta, né Dana, né Alar, nessuno. Si aggirarono tra le piante, le bambine annusavano i fiori, Rafe e Kiryll trovarono della terra e ci si misero a giocare, Dorian invece rimase affascinato alcuni strani strumenti da lavoro di Dana e questo attirò anche l'attenzione di Piedro su una ampolla piena di liquido trasparente, aveva lo stesso odore del vento. Prendendola in mano a Piedro venne un'altra idea. Si guardò intorno e vide altre ampolle, con liquidi più o meno densi, più o meno scuri e dagli odori più o meno nauseanti. Le prese tutte, un po' le diede da tenere a Dorian, le altre le tenne lui. Poi chiamò le gemelle e i due bambini. Passarono di nuovo dalla cornice del vetro rotto e con le mani piene di boccette si diressero passando dal retro della Torre verso la locanda. Piedro mise dentro la testa, anche il grande stanzone riscaldato dai due camini era deserto. Erano a metà strada dal bancone quando sentirono delle voci che si avvicinavano. Per un attimo rimasero immobili poi spiccarono la corsa e s'infilarono nella cucina. Trovarono un pentolone pieno di zuppa sobbollente abbandonato sul fuoco morente. Piedro si fece aiutare da Dorian ad avvicinare una sedia al pentolone e versò metà del contenuto delle fiale nella zuppa. Nella cucina, dopo aver giocato con la terra nella serra, i due più piccoli avevano trovato una sacco di farina lasciato aperto e ci tuffarono le mani emettendo risolini deliziati. Le gemelle avevano invece scoperto una botte di sidro e, anche loro in piedi su una sedia, vi stavano attingendo grossi bicchieri. Dorian e Piedro esplorarono vari armadietti e s'ingozzarono di formaggi e salumi gelosamente custoditi da Alar in un armadietto basso nell'angolo della cucina.
Quando si furono stancati della devastazione compiuta nella cucina del Northern Scoundrel si avviarono verso la porta della taverna; mentre l'aprivano sentirono però delle voci, e decisero di passare dall'altra porta che dava sulla sala comune della locanda. Usciti in strada si guardarono intorno e trovarono l'obbiettivo seguente.
Di nuovo percorsero i sentieri esterni del villaggio, fino ad arrivare al cancello delle stalle della Gilda; trovarono un'asse fissata male e s'infilarono nel cortile. Videro del movimento negli stalli dei cavalli, e sentirono dei sonori nitriti che coprirono il cigolio della porta che dava all'interno. Una volta dentro le bambine assunsero il ruolo di guide; una volta zia Marelie le aveva portate a fare un giro nell'edificio, portando i fratelli nelle cucine. Qui non c'erano pentoloni abbandonati, ma una grossa botte contenente jaco freddo pronto per essere versato nelle brocche da riscaldare vicino al fuoco. Piedro versò il contenuto restante nelle fiale nella botte e senza lasciare tempo ai fratelli di compiere troppi disastri anche all'interno di quella cucina, li rimise in riga. Sgattaiolarono fuori dall'edificio lungo la strada percorsa prima.
Una volta fuori tornarono ridendo verso casa e si sdraiarono nel prato davanti l'ingresso ridendo come matti. Lì li trovò Elorie alcune ore dopo addormentati, tutti coperti di terra, farina ed Elorie era sicura di non voler sapere cos'altro.


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Il villaggio, Elvas - primo pomeriggio
     • Shonnach

Shonnach non aveva mai sperimentato gli effetti del vento fantasma, ma si era documentata a riguardo per buona parte della sua vita.
Non appena era stato identificato il suo donas, preso sottogamba da molti dei telepati e dei laranzuin che aveva incontrato, aveva iniziato a studiare cosa sarebbe stato in grado di aiutarla e cosa, invece, sarebbe stato in grado di portarla sull'orlo del suicidio.
Dalla storia della propria famiglia, Shonnach aveva scoperto che il suo donas si ripresentava ciclicamente, prevalentemente tra la rappresentanza femminile. Con preoccupazione, ma non troppo stupita della cosa, aveva anche scoperto che buona parte delle portatrici di quel laran così infido finivano vittime di strani incidenti... una definizione che rendeva la parola suicidio più accettabile agli occhi dei parenti restati in vita e immuni da quel donas maledetto.
L'Amazzone non sapeva come sarebbe iniziata la cosa. Poteva solo immaginare cosa ciò che la sua mente sovraeccitata dal polline sarebbe stata in grado di percepire, ma non come l'avrebbe visualizzato. Solo quando vide uscire dalla Torre alcuni dei componenti del Cerchio che aveva portato alla distruzione della vallata, Shonnach realizzò che sarebbe stato molto peggio di quanto aveva mai osato immaginare.
La Rinunciataria aveva seguito le vicende dei due Cerchi della Torre, ai tempi della sua distruzione, grazie ai viaggi nel Sopramondo effettuati da Anndra mesi prima e, mentre fissava senza essere vista i fantasmi scaturiti da quel passato, non aveva dubbi sulla loro identità.
I telepati si erano fermati sulla soglia della Torre e fissavano con ansietà gli ultimi piani dell'alta costruzione. Shonnach sapeva che non era il giorno della catastrofe, ma la presenza della nuova arma portata dalla Torre di Castel Aldaran li metteva in apprensione.
Era una variante della pece stregata, un esperimento che gli Aldaran non volevano provare sul loro territorio e che, ben sapendo della criticità della situazione nella valle, speravano di testare al più presto contro i vicini Ardais. A nessuno dei telepati del Cerchio inviato nella valle dagli Aldaran era stato spiegato nel dettaglio come funzionasse quell'arma. La sola cosa che era stata detta loro era che avrebbe lasciato intatti gli edifici, soprattutto quelli in pietra, ma che avrebbe distrutto tutto il materiale organico che avrebbe incontrato nella sua discesa.
Shonnach si avvicinò al gruppo di fantasmi, ascoltando rapita la discussione in atto su come avrebbero potuto liberarsi di quella trappola mortale, cercando nel contempo di obbedire agli ordini dei loro superiori, cercando di arrecare il maggior danno possibile ai loro nemici.
Un rumore di porte sbattute e di gridolini divertiti distrasse la donna. Shonnach notò con la coda dell'occhio il gruppetto dei figli di Elorie e Coryn MacAran uscire di corsa dallo Scoundrel e dirigersi verso l'esterno del villaggio. Per un istante fu tentata di seguirli, poi, voltandosi nuovamente verso la Torre, il pensiero fuggì dalla sua mente, sostituito dal terrore panico che pervadeva gli animi degli abitanti di Elvas.
Sapeva che quello che stava provando non era reale, che era solo l'eco dei fatti accaduti centinaia, se non migliaia di anni prima. Ma l'ondata di terrore allo stato puro che la travolse le fece mancare il fiato.
I telepati erano svaniti ma, attraverso l'occhio sovraeccitato della sua mente, poteva vedere il Cerchio fedele agli Ardais che stava tentando di assemblare quella che sarebbe stata una delle matrici artificiali più potenti di tutti i tempi.
Shonnach tentò di distogliere lo sguardo: sapeva cosa sarebbe accaduto, aveva già assistito a quegli eventi attraverso gli occhi di Anndra, ma non poté allontanarsi. Come divisa in centinaia di piccole entità autonome, l'Amazzone poteva avvertire e condividere gli stati d'animo, le paure e il dolore dei telepati impegnati nella creazione della matrice e, dall'alto della Torre, assistere e preparare quella che sarebbe stata la fine della valle.
Mentre la matrice prendeva coscienza di se stessa, al riparo sul terrazzo della Torre il Cerchio degli Aldaran stava caricando la nuova arma creata per distruggere il regno degli Ardais. L'esultanza della matrice, improvvisamente libera dal controllo dei telepati, gli fece perdere il controllo della sostanza mortale che stavano maneggiando e, come una nuvola di spore liberate da un improvviso innalzarsi della temperatura, la loro arma sperimentale venne trasportata su tutto il villaggio, scendendo al suolo come una leggera spruzzata di neve.
L'effetto non fu immediato. Quello che avrebbe creato l'azione distruttiva più evidente sarebbe stata la pece stregata che, di lì a poco, avrebbero utilizzato per distruggere la mostruosa matrice a cui avevano dato vita. La polvere mortale, il prototipo di una nuova arma che non sarebbe mai più stata utilizzata, si depositò sulle persone, sulle piante, sugli animali, provocando una morte lenta e incredibilmente dolorosa, cancellando ogni forma di vita dal villaggio e, nei giorni successivi, quando il vento l'avrebbe trasportata lontano, dall'intera valle di Elvas.
Shonnach rabbrividì, quando percepì la fine dell'ultima creatura vivente nella valle e, come se quei pochi passi le costassero una fatica immane, si allontanò dalla fontana, dirigendosi verso le Terme e la valle distrutta che si apriva al di là.


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Un rifugio scavato nella montagna - pomeriggio
     • Dana e Illa

«Nevica,» Illa sobbalzò al suono della voce di Dana. «Ha piovuto per una decina di minuti e sta già nevicando.»
La mercenaria si sollevò sui gomiti, guardandosi intorno preoccupata. «Dove siamo?» chiese, la voce impastata e la testa che le pulsava come dopo una colossale sbronza.
«Sono felice che tu mi abbia rapita, legata e trascinata in un rifugio e che ora, dopo neanche un giorno, non ricordi più nulla!»
Gli occhi di Illa si fecero sempre più grandi ad ogni parola dalla compagna, provocando nella Rinunciataria un accesso di risa.
«Scusami,» disse subito, avvicinandosi e sedendosi accanto a lei, «non volevo ridere...»
«Io avrei fatto tutto questo?» la mercenaria era perplessa. «E perché?»
Dana sospirò. «Perché hai passato gli ultimi due giorni a rotolarti tra i fiori di kireseth?» chiese di rimando.
«Io?»
L'Amazzone afferrò una manciata dei fiori ormai secchi che coprivano il pavimento e glieli mise sotto il naso.
«Ah...» fu il solo commento di Illa.
«Dobbiamo tornare al villaggio,» il tono della Rinunciataria si fece nuovamente serio. «Se continua a nevicare così resteremo presto bloccate.»
Illa annuì, senza parlare. Si sentiva strana, la testa pesante e con una strana sensazione, non del tutto sgradevole, che la pervadeva.
«So che non ti senti bene,» fu il commento di Dana, «i giochetti che hai fatto con le nostre matrici renderanno la vita più difficile a te che a me.»
Illa l'afferrò per un braccio, costringendola a sedersi. «Cosa ho fatto?» chiese, il tono di voce serio e veramente preoccupato.
«In breve?» La mercenaria annuì. «Mi hai portato qui, dove avevi già raccolto una quantità incredibile di fiori, e hai costretto entrambe ad assumere una dose di polline tale da rendere anche un atelepate potente come una Custode. Poi sei riuscita a far sintonizzare le nostre matrici.»
Illa portò la mano al sacchettino che era nuovamente appeso al suo collo.
«Grazie al polline, si sono sintonizzate anche le nostre menti,» Dana alzò una mano, per impedire alla compagna di commentare. «Lo so, eravamo già sintonizzate... ma adesso le nostre menti sono come fuse insieme. È come se ci trovassimo sempre e costantemente in contatto... presto la cosa potrebbe anche darci dei problemi, se non riusciremo a controllarla.»
«Credi che potrei non riuscirci?» chiese preoccupata Illa.
Dana si alzò, finendo di raccogliere le poche cose che valeva la pena portarsi indietro. «Non lo so.»
Il volto di Illa sbiancò e, per un breve istante, il terrore irrazionale della mercenaria sembrò sopraffare anche l'Amazzone.
«Ma abbiamo tutto il resto dell'inverno per riuscirci,» ribatté Illa, riprendendo il controllo. «Non ci arrenderemo per così poco?»
«È una domanda o una affermazione?» chiese divertita l'Amazzone.
«Ha smesso di nevicare,» fu la pronta risposta della mercenaria. «E sembra che noi non abbiamo fatto nulla di quello ci si aspetta capiti durante un vento fantasma.»
«Del tipo?» Dana lasciò cadere a terra la sacca e si voltò verso al compagna. «Combattere fino allo stremo delle forze?»
«Una specie...» Illa sorrise, godendo dei brividi che l'eccitazione stava provocando alla Rinunciataria. Dopo tutto, la nuova situazione in cui si trovavano non era del tutto spiacevole.
Dana sorrise a sua volta, percependo i pensieri della compagna ancor prima che venissero formulati. «E se restiamo bloccate?»
«Avremo più tempo.»


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Un rifugio, da qualche parte nella valle - pomeriggio
     • Kennard

La prima cosa che Kennard percepì fu il frusciare secco della neve contro i muri del rifugio; una neve secca e granulosa, come quella che preannuncia le grandi tempeste invernali che scendono improvvise dagli Hellers.
Il fuoco era sempre acceso e in una teglia messa su un treppiede qualcosa stava sfrigolando: sentì il profumo di uno stufato di coniglio diffuso in tutta la stanza. Ancora confuso si alzò in piedi, rendendosi conto al tempo stesso che aveva una grande fame... e che era quasi nudo. Ben ripiegate su uno scranno accanto al camino vide le sue brache di cuoio e si affrettò ad indossarle. Vide anche un mantello verde con strani disegni argentati: sentendolo leggero ma caldo, se lo drappeggiò sulle spalle. Si accostò alla porta, aprendola con cautela: c'erano già tre o quattro centimetri di neve sul terreno, ma il vento era quasi cessato: guardò il cielo grigio fra gli alberi e pensò che prima di sera avrebbe cominciato a nevicare sul serio. Sotto la tettoia vide che il suo cavallo e il chervine erano tranquilli e stavano strappando delle larghe boccate di fieno dalla parete davanti a loro.
Richiuse la porta e si soffermò, indeciso, in ascolto. C'era qualcosa che non andava... anzi, forse più d'una. Automaticamente portò la mano al collo per cercare il sacchetto con la matrice e nel toccare la morbida pelle che la conteneva sentì di aver freddo. Era a torso nudo e si passò una mano sul corpo mentre con lo sguardo cercava intorno a sé la camicia e la tunica.
Un leggero bruciore lo fece trasalire: sulla spalla destra il segno inequivocabile di un morso... e sul petto i segni rossastri di un graffio... di una mano a sei dita...
Il ricordo di quanto era successo gli esplose nella mente... Emma? No, non era possibile... Cercò di richiamare il ricordo di un viso e di un corpo... e gli apparve il volto sorridente di una sconosciuta.
Aveva il volto pallido ed allungato, dominato da due occhi grigio argento, più lucenti della luce di Mormallor in fondo ad un pozzo... grandi, immensi; capelli così chiari da sembrare quasi bianchi ed una bocca, piccola, aperta in un sorriso dolce ed enigmatico al tempo stesso.
E nella nebbia che ancora gli avvolgeva la mente sentì una voce risuonargli quieta: "Affrettati a rientrare nel tuo Nido, il tempo sta cambiando. Tieni pure il mio mantello... adelandeyo chiyu."


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Lungo la valle di Elvas - pomeriggio
     • Mikhail e Renaldo

Il rumore della pioggia che batteva contro le pareti di legno del rifugio svegliò Mikhail dallo stato di torpore in cui era caduto. L'interno della baracca non era più illuminato dal camino e il freddo intenso che sentiva poteva significare solo che la temperatura esterna era in discesa e che presto la pioggia si sarebbe trasformata in neve. La lucidità del ragionamento lo fece rabbrividire più del freddo: l'intossicazione del polline era terminata.
Si strinse contro il corpo caldo del mercenario, ancora addormentato accanto a lui. Almeno sperava che fosse Renaldo, e non qualche sconosciuto o un chervine.
«Chi dovrei essere?» la voce impastata del compagno lo colse di sorpresa. «Ricordo una discussione riguardo chi era chi, hai le idee ancora confuse?»
«No, solo un gran mal di testa,» rispose, sbadigliando e stiracchiandosi. «Inoltre ho il sospetto che tu mi legga i pensieri.»
La risata di Renaldo era sarcastica. «Solo perché ho i capelli rossi come un comyn?» chiese. «Se ci limitiamo a questo, allora tu dovresti essere un predone delle Terre Aride, non un nobile dei Domini.» Mikhail fece la mossa di alzarsi, ma il braccio del mercenario lo trattenne accanto a sé. «Non te la prendere per così poco,» disse, quasi preoccupato.
Mikhail si strinse nuovamente a lui. «Volevo solo riaccendere il fuoco,» lo tranquillizzò. «Quanto ai predoni, una mia bisnonna era una Ridenow... quindi è probabile che abbia parenti anche da quelle parti...»
«Potresti essere consanguineo di Alar,» Renaldo iniziò ad accarezzare la schiena e le spalle del comyn, sorridendo nel sentirlo rabbrividire. «Hai così freddo? Riaccendo il fuoco.»
«Era il pensiero di essere cugino di Alar che mi ha fatto rabbrividire,» Mikhail lo trattenne, sdraiandosi su di lui, «ma conosco altri modi per scaldarci.»
«Il vento è passato,» ribatté il mercenario, per nulla preoccupato dalle intenzioni del compagno. «Non hai più la scusa del polline...»
Mikhail si fermò un attimo, sollevandosi per guardarlo fisso negli occhi. «La cosa è un problema?» chiese, preoccupato. «Se pensi che potrò essere di intralcio alla tua reputazione, mi ritirerò nella Torre e cercherò di non farmi vedere con te in pubblico... o di dimenticarti.»
Per un attimo Renaldo non riuscì a capire se il tono del comyn fosse serio o meno e, osservandolo con più attenzione, si rese conto che l'altro stava cercando di essere scherzoso, riuscendoci solo in parte. «Credo che dovresti essere tu a preoccuparti per la tua reputazione,» lo tranquillizzò. «Non ho mai nascosto le mie preferenze e nessuna delle persone che rappresentano la mia famiglia se n'è mai preoccupata. Tu sei un comyn: cosa direbbero se venissero a scoprire che te la intendi con un mercenario, un assassino a pagamento?»
«Dopo essere stato ospite degli Aldaran, nessuno della mia famiglia vuole avere più a che fare con me!» esclamò ridendo Mikhail. «Avere la possibilità di assoldare una banda di mercenari usufruendo di qualche vantaggio, perché ho una relazione con uno dei suoi membri, questo sì che mi farebbe guadagnare qualche punto... se la cosa mi interessasse, naturalmente.»
«Illa non ti concederebbe mai uno sconto,» replicò Renaldo, «essere il mio amante non ti concederà alcun vantaggio.»
«Non è da lei che voglio vantaggi,» Mikhail lo baciò a lungo, mentre le braccia del mercenario lo stringevano con più forza. «Non voglio essere la causa di rappresaglie da parte di Dana. Anche se non so...»
Renaldo lo costrinse spalle a terra, chiudendogli la bocca con una mano. «Ci penseremo domani, quando torneremo al villaggio,» disse, «per oggi voglio verificare un paio di cose, senza polline e chervine intorno.»
Mikhail annuì, per nulla preoccupato. Mancavano ancora molte ore al loro rientro a Elvas ed entrambi sapevano benissimo come impiegare quel tempo.


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Fattoria dei McKee, Elvas - pomeriggio
     • Benton e Liriel

Nonostante le previsioni pessimistiche di tutti quelli che aveva incontrato, Liriel considerò che il tanto temuto vento fantasma non era poi così pericoloso come dicevano.
La mattina era trascorsa tranquilla e, mentre Benton e i gemelli MacAran erano impegnati a rinforzare gli stalli e il recinto, lei si era dedicata completamente alla cucina e, quando finalmente i tre uomini sembrarono aver terminato i lavori, una abbondante colazione li aspettava sulla tavola ben apparecchiata.
Poi lei e Benton erano rimasti finalmente soli, anche se la preoccupazione dell'uomo per l'incolumità dei suoi amati chervine lo faceva scattare ad ogni rumore sospetto.
Wymee lo seguiva in ogni spostamento e, pur non essendo in grado di comprenderne il linguaggio come sembrava saper fare Kelan MacAran, sia Liriel che Benton erano in grado di avvertire la necessità dell'animale di uscire e trascorrere la giornata all'aperto, libero di sfogarsi come meglio credeva.
Fu subito dopo pranzo che la situazione iniziò a peggiorare.
Mentre i due umani erano impegnati a scambiarsi effusioni di ogni genere, Wymee sembrò fiutare un pericolo e, senza troppi preamboli, iniziò ad abbaiare furioso fino a quando Benton non si decise a dargli ascolto.
Fuori della stalla, attratti dalla presenza di un discreto numero di femmine andate in calore non appena il clima aveva iniziato a riscaldarsi, un gruppo di chervine di provenienza sconosciuta stava cercando di trovare un varco per penetrare all'interno del recinto.
Benton si vestì in un baleno e, correndo fuori armato di forcone, tentò di scacciare gli intrusi.
Un brivido di paura percorse la schiena di Liriel. Al villaggio le avevano raccontato che, sotto l'effetto del polline, anche la bestia più mansueta poteva diventare un pericolo e in quel momento, mentre guardava impotente Benton correre in difesa del suo gregge, temette il peggio.
Fortunatamente le bestie vennero spaventate dall'assalto di Wymee che, abbaiando come un ossesso, riuscì ad allontanarle prima ancora che il padrone lo raggiungesse.
Nel preciso istante in cui Benton fu accanto al suo cane, il recinto costruito con tanta cura cedette sotto la pressione dei chervine rinchiusi al suo interno. Il McKee guardò costernato le sue amate bestiole sfondare il recinto e inseguire di buona lena i maschi che erano stati così avventatamente allontanati da loro.
Benton gridò tutto il suo disappunto, correndo dietro al gregge ma, raggiunto il torrente che divideva la sua proprietà da quella dei vicini, si arrese sconsolato. Non sarebbe mai riuscito a raggiungerle, separarle dai maschi e convincerle a rientrare nella stalla.
Quando Liriel lo raggiunse, Benton era seduto sui sassi che creavano un passaggio da un lato all'altro del torrente e stava piangendo come mai lo aveva visto fare.
Il primo impulso della ragazza fu quello di scoppiare a ridere, ma l'espressione sconsolata del compagno riempì il suo cuore di una tenerezza tale che le impedì di fare altro che non sedersi accanto a lui e abbracciarlo con trasporto.
Il profumo dei capelli e della pelle di Liriel sovrastò per un istante il dolciastro sapore del polline dei kireseth e travolse Benton con la forza di un chervine lanciato all'attacco.
Sollevò lo sguardo e rimase a fissare gli occhi brillanti e carichi di passione della compagna, chiedendosi perché mai si fosse preoccupato così tanto da piangere come un bambino e, quando le loro labbra si fusero nel primo di una lunga serie di baci, il pensiero dei chervine fuggiaschi svanì completamente dalla sua mente, sostituito dall'immensità dell'amore che nutriva per Liriel.
Prima ancora che la ragazza potesse protestare, Benton la sollevò tra le braccia e la ricondusse alla fattoria.
Wymee rimase ad osservarli con aria perplessa, stupito dello strano comportamento del padrone. Poi, annusando l'aria carica di odori, decise che non era più un suo problema e, senza più pensare a Benton, Liriel o i chervine fuggiaschi, si inoltrò nella valle in cerca di qualche avventura.


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Da qualche parte fuori dal villaggio, Elvas - tardo pomeriggio
     • Shonnach

Non era stato facile uscire dal villaggio.
Ad ogni angolo apparivano davanti a Shonnach le figure spettrali degli antichi abitanti di Elvas. La loro carne sembrava essere stata mangiata dalla nuova arma, forse la più terribile inventata fino a quel momento, visto che si presentava incolore ed insapore, come il vento fantasma, ma portatrice di una morte lenta e atroce.
Solo quando riuscì a raggiungere il confine esterno del villaggio, le apparizioni iniziarono a calare, ma solo per essere sostituite da un altro tipo di percezioni.
Come tutti sapevano, la vallata era stata a lungo considerata maledetta. All'inizio per via della catastrofe che l'aveva colpita, poi per colpa delle storie che tutti quelli che osavano avventurarsi lungo i suoi sentieri riportavano a casa... quando riuscivano a farvi ritorno.
Il giorno in cui erano arrivati lì, Fiona aveva incontrato una sua vecchia collega che, come lei, aveva deciso di intraprendere una via che l'avrebbe porta lontano dal rigido e controllato mondo delle Torri governate dai comyn. Shonnach, mentre le due Custodi parlavano e Dana era impegnata a dare l'ultimo saluto alla sua compagna, si era avvicinata di nascosto alla piccola scorta che accompagnava la seconda Custode. Le due Amazzoni non l'avevano sentita arrivare, ma la cosa non l'aveva stupita.
L'atmosfera che regnava attorno alle rovine della Torre era talmente carica di energia negativa che anche un atelepate ne sarebbe rimasto atterrito e il silenzio innaturale che le circondava, dovuto alla totale assenza di animali selvatici, rendeva la sensazione ancora più terrorizzante.
Solo quando la seconda Custode si fu allontanata, lasciando il gruppo di Fiona libero di studiare quella che sarebbe diventata la loro casa nei mesi a venire, il donas di Dana aveva preso il sopravvento sulle sensazioni negative donando a tutti una pace e una calma che aveva allontanato ogni dubbio o timore.
Mentre fissava i volti di tutte le vittime della maledizione della valle, Shonnach capì perché la cattiva fama di Elvas si era mantenuta inalterata per così tanto tempo.
Nonostante il suo corpo fosse ora fermo, seduto sotto un albero vicino al piccolo lago termale che si trovava poco fuori dal villaggio, dal lato delle Terme, Shonnach era tornata dentro la Torre. Una sorta di richiamo echeggiava in tutte le ombre delle menti che circondavano Shonnach e, come un canto ipnotico a cui era impossibile resistere, come loro anche l'Amazzone si sentiva attratta verso l'entrata dell'alta costruzione, la cui cima distrutta dalla forza dell'esplosione puntava contro il cielo un nero dito accusatore.
La porta della Torre era libera dai detriti, come se migliaia di mani avessero, nel corso del tempo, spostato lontano le pietre cadute e le macerie accumulate dal tempo e dalle piogge. Oltre la soglia, debolmente illuminata dai raggi del tramonto, regnava l'oscurità più nera.
Il corpo immateriale di Shonnach si trovò costretto a seguire quello dei fantasmi che, secoli prima, erano stati incantati dal richiamo. Forse perché quello che stava ascoltando era solo il fantasma di un richiamo, ormai inattivo da tempo. Forse perché il polline stesso, oltre ad accentuare le sue visioni, le forniva anche una resistenza maggiore ad esse, opponendo una strenua resistenza, riuscì a non farsi annullare del tutto, mantenendo quasi inalterata la propria forza di volontà.
I fantasmi degli antichi visitatori della Torre la condussero verso il sotterraneo e, mano a mano che scendeva le scale, Shonnach vide che lo spazio attorno a lei sembrava debolmente illuminato da una luce livida. Una volta giunta davanti alla sala dove, sin dalla sua costruzione, si riuniva il Cerchio, la Rinunciataria vide svanire come nebbia tutti gli spiriti che l'avevano accompagnata e si ritrovò da sola, immersa nella pozza di luce che proveniva dall'interno.
Shonnach entrò senza esitazioni. Il pensiero di scoprire l'origine della maledizione che aveva gravato sulla valle per secoli, persino dopo la guarigione dalle ferite dovute alle armi create dalle Torri, era troppo forte per essere ignorato.
Rimase ferma appena oltre la soglia. Una matrice di quinto livello dominava il centro della sala, sostenuta da una sorta di treppiede realizzato da una complicata struttura di rame, forse destinata ad ampliarne la potenza. Poteva ancora percepire il richiamo che l'aveva condotta fin lì e, fissando lo sguardo nelle profondità di quella matrice, si rese conto che era proprio lei l'origine del suono.
La sorpresa di Shonnach si tramutò in irritazione. Da nessuna parte risultava che all'interno della loro Torre fosse stata conservata una matrice di quinto livello, attiva per di più. Nessuna delle leggende ne parlava, nessuna ballata parlava della matrice fantasma che illuminava la notte popolata di ombre della valle di Elvas.
Quando il richiamo si tramutò in una vibrazione costante, quasi dolorosa per la sua mente, Shonnach si rese conto di essere caduta in trappola. La certezza di essere in salvo da ogni pericolo, visto che il suo corpo stava in realtà riposando sotto un albero, a centinaia di metri da lì, non la sfiorò neppure per un istante. La sua mente era completamente concentrata sulla matrice, sulla luce pulsante che stava emettendo e sulla vibrazione che, se ascoltata con attenzione, sembrava formare addirittura delle parole. Una voce che la stava chiamando, una voce assetata di sangue, di energia, di vendetta.
L'ombra proiettata dal treppiede sulle pietre del pavimento sembrò condensarsi e risalire strisciando verso la pietra che sorreggeva. All'interno di quella pozza di oscurità una mano, quasi risplendente nel biancore della pelle, si aggrappò al bordo della matrice, sollevando con fatica un corpo sottile, coperto da lunghe vesti bianche e lacere.
Shonnach rimase immobile a fissare inorridita la creatura che stava cercando di uscire dalla pietra, registrando con una piccola parte della mente quei dettegli che le permettevano di riconoscere in quell'essere quella che un tempo doveva essere stata non solo una donna, ma anche un monitore di uno dei Cerchi che si erano alternati nell'utilizzo di quella pietra che ora la teneva prigioniera.
La donna era quasi fuori quando, come accorgendosi solo in quel momento della sua presenza, sollevò il volto verso di lei. Gli occhi, due cavità vuote ma, nel contempo, cariche di un odio inumano, la fissarono fin nella profondità della sua mente, scavando fino a trovare quello che cercava: un laran abbastanza potente da permettere a lei e alla matrice che l'aveva imprigionata di sopravvivere e di mantenere attiva la trappola ancora per lungo tempo.
La creatura era ormai completamente fuori dalla matrice e, con passo incerto, si stava dirigendo verso Shonnach. Le mani protese davanti a sé, mentre i lunghi capelli color della pece sembravano essere mossi da una brezza inesistente, proveniente non tanto dai recessi della matrice quanto dal più profondo inferno di Zandru.
Shonnach era immobilizzata dal terrore. Non sembrava neppure in grado di allontanarsi, indietreggiando di quei pochi passi che l'avrebbero portata fuori dal cono di luce creato dalla matrice. Non era solo la sua paura ad impedirle di muoversi, ma era come invischiata nella densa melassa creata dal terrore che le vittime della matrice avevano riversato in quella stanza, creando una trappola ancor più mortale della stessa pietra.
Quando la mano della creatura si posò su di lei, Shonnach si ritrovò improvvisamene nel proprio corpo, ansimante e grondante di sudore, come dopo una corsa a perdifiato.
L'Amazzone si guardò intorno. La riva del piccolo lago era deserta, nessun fantasma l'aveva raggiunta e il richiamo della matrice trappola sembrava svanito nelle nebbie del tempo.


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Il negozio dei McKee, Elvas - tardo pomeriggio
     • Madre Gwennis e Shann

Da tre giorni ormai non pioveva, e tutti gli abitanti di Elvas si erano ormai cautelati contro il Vento Fantasma. Per quello che ci si poteva cautelare, naturalmente; perché il Vento Fantasma era un destino periodico a cui difficilmente si riusciva a sfuggire. Shann e Madre Gwennis avevano deciso di trascorrere qualche tempo nelle stanze sopra la bottega, per poter essere più al sicuro e più vicini ai compaesani in caso di necessità; non volevano che Aengus potesse ritrovarsi da solo. Shann si preoccupò di non lasciare abbandonato a se stesso neanche Alban, e fu così che nel pomeriggio del terzo giorno di assenza di pioggia la famigliola si ritrovò riunita sopra alla bottega di Shann a un'ora insolita.
Tutti i vetri delle finestre erano chiusi, e Shann si era portato in camera da letto alcuni finimenti su cui stava lavorando, per non perdere tempo. Alban, da parte sua, era decisamente insofferente alla situazione. Gwennis, seduta in un angolo e impegnata a ricucirsi una camicia vicino alla cesta di Aengus, lo osservava di sottecchi camminare su e giù per la stanza, la più calda della casa. Diede un'occhiata a Shann, ma questi le restituì uno sguardo severo.
«Vado di sotto a mangiare qualcosa,» disse infine il ragazzo, strascicando i piedi.
«Non andare fuori,» lo avvertì Shann.
«No-oo,» sbottò Alban, e scese due gradini alla volta.
Shann gettò un'occhiata a una sedia nell'angolo. «No, non andrà da nessuna parte. Ha lasciato qui il suo mantello.»
Gwennis lo guardò dritto in faccia. «Io dico che potremmo lasciarlo uscire.»
Shann scosse la testa. «Potrebbe far male a se stesso e agli altri.»
«Sì... come tutti gli altri giorni! Come quando va da Edric e Dyan ad allenarsi con la spada.»
«È diverso.» Shann la guardò in faccia. «Tu non hai mai provato, vero?»
«Provato cosa? Il Vento Fantasma? No. Sarà una strana coincidenza, ma non mi sono mai trovata in quelle circostanze.»
«Io sì.» La voce di Shann era stranamente dura. «Due volte. La prima, beh, è stata classica... c'era un bordello nelle vicinanze, e, uhm...»
A quel punto sorrise, come un ragazzino colto sul fatto. Gwennis, il viso chinato sul cucito, gli rivolse uno sguardo divertito da sotto i capelli. «Ripeto... che c'è di strano?»
«Ingrata,» replicò lui con finta indignazione. Poi tornò cupo. «Ma la seconda, quella fu pericolosa. Ero in missione con i miei commilitoni e fummo sorpresi fra le montagne. Cominciammo a vedere nemici dovunque. Prima che passasse, io ero quasi morto dissanguato - senza che nessuno badasse a me - e due si erano uccisi fra loro.»
Gwennis scosse la testa, presa da una sorta di pietà. «Ma che cosa si prova? Ti sei reso conto che... stavi agendo in modo strano?»
«La prima volta sì. Era facile, sentivo che volevo fare pazzie e che era la prima volta che non avrei avuto scrupoli o timidezze. Ma la seconda, a noi pareva tutto perfettamente logico. Era ovvio ammazzarci a vicenda, era quello che eravamo venuti a fare, mi capisci?»
Lei annuì. «Quindi non sempre ci si accorge di quello che sta succedendo.»
«Quasi mai. Ecco perché non voglio che Alban esca. La vita è già abbastanza dura senza rovinarsela anche per uno stupido fiore, non ti pare?»
Gwennis respirò a fondo. Riusciva forse a sentire un vago profumo nell'aria? Una sorta di pizzicore? Probabilmente era solo la sua immaginazione. Certamente, se il vento si fosse messo a soffiare nella direzione giusta le finestre chiuse non sarebbero servite a niente. Sapeva quanto quella vecchia bottega riuscisse a essere piena di spifferi, malgrado le ristrutturazioni recentemente effettuate, e quanto dovessero stare attenti a tenere Aengus ben riparato e loro due ben al caldo sotto le coperte... non che fosse del tutto spiacevole. Se era destino, il Vento Fantasma avrebbe colpito anche loro.
Shann mise giù i finimenti e si alzò, andando alla finestra. Gwennis lo scrutò intenta. Probabilmente stava cercando di controllare se per caso Alban non stava tentando un'evasione. «E se tu adesso fossi all'aperto,» gli chiese, «che cosa staresti facendo?»
Shann scrollò le spalle. «Non ne ho idea.» Sorrise. «Non so quale potrebbe essere il desiderio del momento che cercherei di esaudire.»
«Beh, Elvas non ha bordelli,» considerò lei mordicchiandosi pensierosamente un labbro. «Naturalmente c'è lo Scoundrel...»
«Bah. Io adesso voglio soltanto te.»
«Solo perché sei qui con me. Ma se tu fossi in giro da solo...»
Shann si staccò dalla finestra e si avvicinò a lei, piegandosi su un ginocchio per guardarla in faccia. «Ma non sono in giro da solo... ho fatto in modo di essere qui. Dovrà significare qualcosa, no?»
Gwennis sorrise e gli accarezzò il viso. «Sì, certo.»
«E tu?» chiese lui in tono invitante. «Se tu fossi fuori senza di me, che cosa staresti facendo in questo momento?»
«Non saprei,» replicò lei in tono meditativo. «Probabilmente starei cercando di infilarmi nel letto di Dyan MacAran.»
Shann la fissò con occhi sbarrati. «Cosa
«Beh sì,» replicò Gwennis innocentemente. «Che c'è di male?»
Shann batté le palpebre un paio di volte. «No, no, niente, figurati. Tanto è tutto così per dire, no?»
«Ma certo, caro,» lo rassicurò lei con dolcezza. «Tanto per dire, me li prenderei tutti e due, in effetti. Dyan ed Edric. Contemporaneamente.»
Shann si alzò in piedi di scatto. «Non ci credo!»
«Perché no? Anche il Dom, adesso che ci penso.»
Shann sembrava sul punto di strapparsi i capelli. «Non mi dire che ti è capitato di pensare a uno di... di costoro... mentre stai con me!»
«No, pensarci no. Mi chiedo come sarebbe provare.»
Lui lasciò ricadere le braccia, poi si strofinò il mento. «Forse non è una cattiva idea.»
«Andare con Edric e Dyan e Damon?»
«Ma sì. Perché no?» Era perfettamente serio. «E lo sai chi mi prenderei io in questo momento?»
Gwennis gli rivolse un sorriso tagliente. «Sentiamo.»
Shann le restituì il sorriso. «L'intera Gilda!»
«COSA?!» Gwennis balzò dalla sedia, spargendo al suolo la camicia e gli strumenti del cucito.
«Contemporaneamente, è ovvio.»
«Non ti azzardare a dire una cosa del genere?»
«Perché? Va bene, lo ammetto. Mi è capitato di disapprovarti perché porti i capelli corti...»
«Non porto i capelli corti!»
«Non cambiare discorso. Li portavi quando ti ho conosciuta. O i pantaloni, o quella spada in cintura... Ecco, non l'ho mai ammesso, ma... è una cosa che mi eccita da pazzi! Una donna forte, alla mia altezza... meglio di tante comynare smorfiose!»
«Adesso me lo dici!» Gwennis gli diede uno spintone, senza riuscire a smuoverlo di molto. Lui rise e l'afferrò per i gomiti, perché stava per rimbalzare indietro. «Adesso hai il coraggio di ammetterlo! Io ti... ti...»
«Sì?» fece lui con un sorriso esasperante.
«Io ti faccio notare che se solo le tue intenzioni depravate verso la Gilda dovessero diventare di dominio pubblico...»
«Sì, lo so, mi ritroverei la daga di Shonnach alla gola!»
«Sì e il pugnale di Illa da qualche altra parte.»
Shann inorridì, poi rise nervosamente. «Ma tanto stiamo dicendo per dire...»
In quel momento, Alban rientrò nella stanza, con un certo disappunto di Gwennis a cui pareva che la conversazione stesse prendendo una piega interessante. Non l'avevano neanche sentito salire le scale. Il ragazzo si avvicinò con fare assente al suo mantello e lo raccolse con gesti meccanici.
«Che stai facendo?» chiese Shann.
«Esco.»
«Ti ho detto di no!»
«Esco lo stesso.»
«Non se ne parla, piccolo. Ti chiudo in cucina.»
«Esco dalla finestra.»
«Alban, che ti prende?» chiese Gwennis, rendendosi conto immediatamente che era una domanda idiota.
Il ragazzo si voltò a guardarla con un'aria sognante. «Non lo sentite questo profumo? Questa dolcezza nell'aria, questo tepore che entra fino al fondo delle viscere?»
«È il kireseth, scemo,» replicò Shann.
«Nooo. È la sintesi di ogni fragranza nascosta in ogni casa di Elvas... in ogni cameretta inviolata... in ogni... ragazza!»
«Oh beata Evanda,» esclamò Gwennis.
«Va bene, è tutto chiaro,» disse Shann in tono pratico. Fece un passo avanti e prima che Alban avesse il tempo di reagire si chinò e lo afferrò alla vita, gettandoselo su una spalla come un fagotto.
Il ragazzo lanciò un urlo e cercò di dibattersi mentre Shann si avviava verso le scale. Divertita, Gwennis li seguì di sotto. Shann arrivò nell'atrio, tenendo il ragazzino con un braccio si chinò e spalancò la cassapanca dei mantelli accanto alla porta, ne tolse il contenuto in un colpo solo e vi rovesciò il nipote urlante. «Gwennis!» chiamò. «Dammi una mano, chiudi il coperchio mentre lo tengo fermo!»
«Lasciatemiii!»
«Togli le mani, Shann!»
«Argh!»
«Te l'avevo detto...»
«Come la blocchiamo?»
«Tienila chiusa... aspetta... mettiamoci sopra qualcosa di pesante!» Shann scattò, lasciando Gwennis distesa con tutto il suo peso sulla cassapanca. Tornò di corsa dalle scuderie con un enorme sacco di biada. «Levati!» Lei fece appena in tempo a scostarsi che il sacco piombò sulla cassapanca, suscitando un urlo ancora più acuto di Alban.
Gwennis si raddrizzò e i due fecero un passo indietro, osservando con orgoglio la loro opera, Shann un poco senza fiato. Le urla del nipote non accennavano a placarsi. «Ma respira lì dentro?» chiese Gwennis con vaga curiosità.
«Certo. È tutta spifferi. Non preoccuparti... abbiamo fatto la cosa migliore. Ci sono già abbastanza McKee in questo paese!»
Cominciarono a risalire le scale, tenendosi abbracciati, sia per affetto che per un certo passo barcollante, dovuto forse allo sforzo fisico. «Però,» disse Shann, e parlava da ubriaco, «sei stata brava con quella cassapana... cassapanda... quella roba lì.»
Gwennis rise. «Sì, vero? La cassapanda mi saltò addosso, ma io la afferrai fermamente e la trascinai nel fango...»
Shann le diede una pacca sul sedere. «Per Zandru, che donna che mi ritrovo!» Sghignazzò ad alta voce. Arrivarono in cima alle scale e lui le prese il volto fra le mani e le assestò un bacio mozzafiato. «Sei meravigliosa,» le sussurrò. «Sei la sola donna che potrebbe quasi starmi alla pari.» Poi cacciò un guaito, perché Gwennis aveva stretto brutalmente le mani sulla zona della sua schiena che stava afferrando in quel momento.
«Come quasi?!»
Shann la guardò con fare ovvio. «Beh, tu sei una donna, non puoi farcela contro un uomo.»
Gwennis incrociò le braccia e alzò il mento. «E chi lo ha detto?»
Lui rise, un po' nervosamente. «Beh, è evidente!»
La successiva cosa che seppe era che si trovava con il sedere per terra e la mandibola indolenzita. Gwennis stava in piedi davanti a lui, scuotendo la mano destra con soddisfazione. Shann la guardò allibito. «Mi hai colto di sorpresa!»
«Adesso cerca pure tutte le scuse.» Con un sorriso diabolico, Gwennis allungò la mano verso la propria cintura, che non avrebbe mai abbandonato di sotto, e ne estrasse la daga. «Potrei tranquillamente tagliarti la gola.»
Shann si rimise in piedi con uno scatto di reni, prendendo nota mentalmente di non farlo più di una volta al giorno, tese la mano e staccò la spada dal muro. «E adesso?»
Gwennis alzò un dito. «Aspetta.» Depose coscienziosamente la spada contro il muro, si chinò e raccolse la cesta di Aengus. Sotto lo sguardo compiaciuto di Shann, lo portò in punta di piedi nel ripostiglio e lo appoggiò su un ripiano. Il bambino dormiva felice. Gwennis chiuse la porta in silenzio, attraversò la stanza e mentre ancora Shann la fissava con occhi inteneriti afferrò la spada, lanciò un urlo e gli corse incontro.
Shann fece appena in tempo a mettersi in guardia che lei lo tempestò di una gragnola di colpi, spingendolo a indietreggiare. Sbalordito, decise di attaccare a sua volta. «Non puoi farcela. Sono più forte di te.»
«Ma io sono più veloce,» sogghignò lei, ed evitò il suo attacco, cominciando a balzare per la stanza fuori dalla portata dei suoi peraltro inoffensivi colpi.


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«Ho sentito un rumore strano,» disse Dyan MacAran.
Suo fratello Edric si fermò nel mezzo della via e rimase in silenzio ad ascoltare. I due indossavano l'armatura di cuoio che si erano portati via da Caer Donn, senza particolarmente perdersi in dettagli burocratici come chiedere un permesso scritto. Entrambi portavano la spada, ed Edric aveva anche uno scudo rotondo sulle spalle; Dyan un lungo pugnale in cintura, e reggeva una lanterna. Una luce guerriera brillava nei loro occhi, ora ancora più accesa dalla prospettiva di un pericolo nelle vicinanze.
Un nuovo schianto venne da sopra di loro. Alzarono lo sguardo alle finestre illuminate della casa di Shann. «Che sia in pericolo?» disse Edric, allarmato. Andò alla porta e bussò vigorosamente, poi cercò di aprirla. Era chiusa dall'interno.
«Aspetta, tienimi la lanterna,» disse Dyan. Quando il gemello si scostò, assestò alla porta un calcio che spezzò di netto il chiavistello. Entrarono, e immediatamente sentirono i tonfi e le invocazioni ormai disperate provenire dalla cassapanca. Nello stesso momento, si udì nettamente il fragore di un mobile che si schiantava al suolo al piano di sopra.
Dyan fece per scattare su per le scale, quando si sentì nettissima un'esclamazione di trionfo gettata da una voce femminile. Edric lo afferrò per il mantello. «È Madre Gwennis,» disse.
«Ah beh,» replicò Dyan. «Allora è tutto normale.»
Abbassò lo sguardo e si dedicò al mistero della cassapanca. Spinse a terra il sacco di biada, ed Edric sollevò il coperchio. Alban McKee si tirò a sedere di scatto, sudato e rosso in viso per la rabbia. Strizzò gli occhi alla luce della lanterna, osservando allibito i due uomini armati fino ai denti davanti a lui.
«Ma siete voi,» mormorò. «Che è successo?»
«Pensavamo che il capitano fosse nei guai,» spiegò Edric.
Alban si imbronciò improvvisamente. «No, kiyu Shann mi ha chiuso lì dentro per impedirmi di uscire con il Vento Fantasma.» Alzò lo sguardo anche lui all'apocalisse che veniva dal piano di sopra, ma non parve preoccuparsi oltre misura. «C'è kiya Gwennis con lui, non ho capito perché tutti devono divertirsi e io no...» Un urlo inarticolato di incerta attribuzione echeggiò da sopra.
«Eh sì, il capitano è sempre stato un uomo coscienzioso,» ammise Dyan.
«Probo e incrollabile, invero,» aggiunse Edric serio, e rivolse la sua attenzione sul ragazzino spettinato davanti a loro. «Ebbene, Alban, si tratta solo del Vento Fantasma, tutto sommato. Perché non dovresti uscire? Guarda noi... ti sembriamo alterati?»
Alban li fissò. «No, per niente. Solo...» Guardò le armi. «Dove state andando?»
«Alla guarnigione di Castel MacAran, è ovvio!» esclamò Dyan con un gran sorriso.
Gli occhi di Alban si spalancarono. «Guarnigione? Quale guarnigione?»
I due gemelli si scambiarono un'occhiata. «Beh ... ci siamo noi... e poi speravamo che il capitano McKee volesse venire con noi, ma sembra altrimenti occupato.» Il secco tunk di una spada che si conficcava nel pavimento li spinse ad alzare lo sguardo di nuovo, ma il successivo rumore di passi frenetici li rassicurò.
Un minimo di razionalità residua spinse Alban a chiedere: «Ma... non siamo attaccati...»
«Che ne sai!» esclamò Dyan. «Da lassù si vede tutta la valle: solo così potremo esserne sicuri!»
«Ma è quasi notte,« azzardò ancora Alban, poi, vedendo che si stavano avviando alla porta, schizzò fuori dalla cassapanca. «Aspettate! Vengo con voi!»
I gemelli si scambiarono uno sguardo. «Perché no,» disse Dyan.
«Ma non è neanche armato,» considerò Edric.
Dyan si tolse il pugnale dalla cintura. «Adesso sì.» Glielo infilò nella cintura e fece un passo indietro a guardarlo. «Perfetto, no?»
«Tutta un'altra cosa,» rise Edric.
Alban li fissò a bocca aperta, poi abbassò lo sguardo sul pugnale appeso goffamente in cintura che quasi strisciava per terra. Un largo sorriso si aprì sul suo volto, e i suoi occhi colmi di adorante gratitudine si levarono sui gemelli.
«Forza, dunque, andiamo,» stabilì Edric. Alban afferrò un mantello qualsiasi dal mucchio, se lo gettò sulle spalle e si affrettò a seguire i due, reggendo il pugnale.
Appena fuori, i due uomini si stavano avviando già per il sentiero, ma Alban si interruppe. Annusò l'aria nostalgicamente.
Edric si girò. «Allora, vieni?»
Alban batté le palpebre. «Io stavo pensando a qualcosa, prima...» Inalò in profondità e ricordò. «Ragazze!»
«Ragazze?!» ripeté Edric.
Dyan annusò a sua volta: «In effetti...»
Anche Edric fece la prova. «Sì, certo... odore di donne. Ma noi abbiamo cose più importanti da fare!»
«Ci sono cose più importanti delle ragazze?»
«Certo. La guarnigione!»
Alban lo guardò perplesso. Il suo sguardo vagò di nuovo verso il villaggio con una vaga malinconia. «Ma le ragazze...» Poi guardò di nuovo i due gemelli, alzò lo sguardo verso le rovine del castello, più rosse che mai nel tramonto, e gli occhi gli si accesero. «E va bene... guarnigione!»
Si avviarono verso le colline, cantando una canzone irriferibile che, comunque, parlava di ragazze.


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Dopo l'ennesima finta e inseguimento attraverso la stanza, Gwennis cominciava a pensare che era il caso di porre fine a quel simpatico ma sfiancante esercizio. Saltò sul letto allungando a Shann una piattonata sulla spalla. «Toccato!»
Shann per tutta risposta le afferrò una caviglia e la rovesciò sul letto. Lei si svincolò, ma lui la seguì rapidamente. Rotolarono giù in un groviglio di copriletto. Shann gettò via la spada e le piombò addosso, suscitando un grugnito e afferrandole i polsi. Le batté la mano contro il pavimento, non forte, un colpo simbolico. «Toccata.»
Lei lasciò andare con riluttanza la spada.
«Vedi,» disse Shann, ansante e spettinato, guardandola da un paio di centimetri di distanza, «se stessimo facendo sul serio avresti avuto la peggio.»
Gwennis rispose con un ringhio, il petto che si alzava e si abbassava sotto il suo. Era immobilizzata: i polsi stretti nelle mani di Shann, le gambe bloccate dalle sue. Cercò di azzannargli il naso, ma lui, abituato a giocare con Wymee, si scostò di scatto e rise. Lei non poté far altro che fissarlo con occhi infuocati.
«Non è colpa tua,» le disse dolcemente lui, accarezzandole il viso con lo sguardo. «È che io sono più grosso di te.»
«Rrrrr,» replicò Gwennis in tono di riluttante concessione.
«Ti adoro quando fai così,» sussurrò Shann vicino alle sue labbra. Vedendo che non suscitava un altro morso, si chinò a baciarla.
Gwennis si rilassò, rassegnandosi ad apprezzare il momento. Aprì i pugni, socchiuse le labbra sotto le sue. Shann emise un grugnito di soddisfazione e continuò a baciarla più intimamente. Il lieve formicolio della sua barba non fatta era una delle sensazioni più eccitanti che Gwennis conoscesse. Si rilassò un poco sotto di lui, assestando meglio il bacino, accarezzandogli i fianchi con le cosce. Shann mugolò qualcosa contro le sue labbra e le lasciò andare le braccia ormai intorpidite. Le accarezzò il viso, poi con una mano scese per il fianco, indugiando sulle zone più morbide. Finalmente libera, Gwennis gli passò una mano beatamente lungo la schiena, rispondendo ai suoi mormorii estatici. Intanto allungò l'altro braccio, incontrò il vaso da notte, l'afferrò con fermezza e glielo fracassò in testa.
Shann cacciò un urlo e istintivamente cercò di allontanarsi da lei, coprendosi la testa con le mani. Per fortuna il vaso da notte era vuoto, ma ciò non toglieva che fosse stata una gran bella botta. Gwennis immediatamente scivolò via da sotto di lui e balzò di nuovo in piedi, afferrando la spada e puntandogliela contro. «Vedi, se stessimo facendo sul serio avresti avuto tu la peggio...»
Shann scosse la testa, mezzo incredulo, mezzo stordito. «Neanche per sogno, ti avrei già ammazzata da un pezzo.» Vacillò, raccogliendo la spada. Non sapeva più se stava scherzando o che cosa. Era contento di sapere che Gwennis avesse tante risorse; eppure cominciava a chiedersi quando sarebbe finito il gioco. Era vero: con un avversario autentico lo avrebbe già ucciso, quindi che senso aveva andare avanti? «Smettila,» disse. «Va bene, è stato divertente. Adesso non ne ho più voglia.»
«Non sai perdere,» esclamò Gwennis. Shann emise un ringhio sotto voce. Non aveva intenzione di farle del male, ma avrebbe posto fine a quel balletto in un modo o nell'altro. Non trattenne più la rabbia. Si gettò di nuovo all'assalto, cercando di bloccarle la ritirata. Gwennis indietreggiò abilmente, spalancò una finestra e saltò fuori sul tetto coperto di neve.
Sull'onda dello slancio, Shann la seguì. Non appena ebbe varcato la finestra, quasi se ne pentì. Non indossava mantello, e il vento della sera tirava gelido. Le tegole erano viscide e insidiose. Gwennis era in piedi vicino al camino fumante, e sorrideva. Tenendo una mano sulla sommità del tetto, Shann si fece sotto. Con una manovra che lo avrebbe fatto inorridire se non fossero stati entrambi così fuori di cervello, Gwennis lo oltrepassò con un balzo, slittò pericolosamente sulle tegole e rientrò di nuovo dalla finestra. Prima che Shann riuscisse a girarsi senza rischiare l'osso del collo, la donna aveva richiuso gli scuri e li aveva sbarrati.
«Ehi, stai scherzando? Gwennis. Fammi entrare. Ehi, Gwen. Avanti, fammi entrare!»
Nessuna risposta.
Shann provò le finestre degli altri abbaini. Tutte sbarrate. Cercò di far forza: sarebbe stato disposto a scardinarli, ma non c'era niente da fare. Coryn MacAran aveva fatto un buon lavoro. Shann valutò la possibilità di saltare dal tetto, ma erano più di dieci braccia, e il tetto delle stalle era troppo lontano.
Passavano i minuti. Il freddo gli stava salendo addosso, paralizzandogli gli arti. Shann si accovacciò accanto alla finestra, battendo di tanto in tanto il pugno contro gli scuri. Il braccio era sempre più intorpidito, le dita insensibili. Ha intenzione di uccidermi, si disse. Non poteva crederci, ma non trovava altra soluzione. La notte di Darkover poteva uccidere un uomo molto in fretta, soprattutto un uomo mezzo svestito. Il duello aveva raggiunto una svolta inaspettata. Shann era remotamente consapevole che il kireseth liberava dalle inibizioni. Era questo che Gwennis voleva davvero? Sbarazzarsi di lui? La disperazione lo colse. Perché? Che cosa le aveva fatto? O era semplicemente perché era un uomo? Aveva creduto che in tutto quel tempo Gwennis avesse scelto di perdonargli quell'immensa colpa. Adesso, tuttavia, non ne era più sicuro. Si rannicchiò ancora più strettamente su se stesso, abbandonandosi ai brividi.


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Per prima cosa, Gwennis aveva controllato Aengus nel ripostiglio. Il bambino dormiva tranquillo, assolutamente superiore ai funambolismi dei suoi genitori, e non si era svegliato neppure quando lei gli aveva baciato teneramente i capelli. Poi la donna si era rassettata, aveva messo altri ceppi sul fuoco in modo da riscaldare per bene la stanza, aveva messo a scaldare un brodino e aveva velocemente raccolto macerie e drappi squarciati.
Alla fine si stiracchiò, controllò l'altezza della candela e decise che era sufficiente.
Andò alla finestra e aprì gli scuri. Shann era rannicchiato con la testa incassata fra le spalle, le mani sotto le ascelle. Quando Gwennis lo chiamò, sulle prime non si girò. Poi voltò la testa molto lentamente e la guardò senza espressione.
«Avanti, vieni dentro,» lei gli disse. Gli tese la mano e lo guardò mentre si scuoteva dalla sua immobilità e rigidamente si sporgeva verso di lei. Lo afferrò per le spalle, facendo attenzione che non scivolasse, e lo fece entrare dall'abbaino.
Entrato nella stanza, Shann vacillò verso il letto e ci si rannicchiò. Batteva i denti, scosso da brividi incontrollabili. Gwennis sedette accanto a lui, gli sfilò con una certa fatica i vestiti bagnati, gli mise addosso una coperta che aveva tenuto accanto al camino e gli accostò alle labbra il brodino.
Per un poco, Shann non riuscì a parlare. Inghiottì a sorsi brevi il brodino, guardando le fiamme del camino. Quando finalmente riuscì ad appoggiarsi ai cuscini, mezzo assiderato, la guardò. «Ma perché lo hai fatto?» sussurrò.
«Perché potevo,» replicò Gwennis. «Adesso stai tranquillo un momento, e aspettiamo che ci passi, va bene?»
Shann annuì debolmente, mentre la prima cosa che cominciava a riscaldarsi era il suo sguardo. Con le labbra ancora livide, riuscì a sorridere. Gwennis scostò le coperte e si infilò sotto insieme a lui. Lo coprì con il suo corpo e cominciò a baciargli dolcemente le labbra gelide, stringendogli le mani contro il seno fino a quando ripresero vita.
Che cosa provano i telepati in questo momento, si chiese, e sollevò il viso per guardarlo. Si sentì annegare in quel cielo limpido e pensò che tutto sommato non sentiva la mancanza della telepatia.
Più tardi, molto più tardi, quando ogni parte del suo corpo fu riscaldata a dovere, Gwennis lo sentì mormorare: «Ma dopo tutto... in questo momento mi sto veramente godendo l'intera Gilda.»
«Maiale,» replicò Gwennis, e rise di piacere, mentre la notte del Vento Fantasma si concludeva nel migliore dei modi.


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Lungo la valle di Elvas - poco prima del tramonto
     • Kelan

Dopo la tranquilla mattinata trascorsa con i fratelli, Kelan riprese nel pomeriggio i suoi vagabondaggi per la valle. Fiona non l'aveva contattato, alla Torre non avevano bisogno di lui, e poteva starsene a chiacchierare di cose per lui futili con gli animali del bosco.
Era già trascorsa qualche ora quando di lontano scorse un movimento tra gli alberi. Si concentrò e con gli occhi di un picchio vide Mikhail anche lui a zonzo per la valle.
Anche Mikhail ultimamente viveva nel passato, forse se avessero parlato tra loro, avrebbero potuto aiutarsi un po', "non oggi, però."
Camminò fino a giungere al limite degli alberi, le cime delle montagne a nord della vallata non erano troppo lontane. Era quasi il tramonto e decise di fermarsi. Si sedette ad ammirare il tramonto tra le cime; poco dopo vide un falco che sorvolava la zona e decise di fare un giro di controllo. Non ebbe quasi bisogno di concentrarsi e si ritrovò a sorvolare la zona: il vento tra le remiganti gli dava una sensazione stupenda, si sentiva senza peso. I suoi occhi erano più acuti che mai. All'improvviso vide un grande uccello bianco dirigersi verso un corpo ai piedi di un albero. Sapeva che quell'uccello era troppo grande, ma non resistette all'impulso e si gettò in picchiata, gli artigli tesi a ghermire la preda, il rostro pronto a straziare la carne; nelle orecchie sentiva già le strida, la frenesia del sangue gli invadeva il cervello. Ecco, la preda era a pochi metri, sempre più vicina, ma nel momento in cui afferrò l'uccello candido dalle grandi ali che terminavano in remiganti nere, i suoi artigli si chiusero sull'aria. Il falco attraversò il corpo del gabbiano che si dissolse e Kelan si ritrovò sbalzato nel proprio corpo, senza fiato, il sapore di una cocente delusione in bocca. Il sole era tramontato ed il falco tornava la suo nido, Kelan si avvolse nella coperta e s'addormentò sotto le fronde dell'albero. Ovviamente tutte le civette ed i gufi residenti negli alberi circostanti vennero ad augurargli la buona notte. Venne svegliato, dopo un tempo imprecisato, da una serie di sussurri.
"Piano che lo svegli!"
"Guarda che sei tu che stai facendo un baccano d'inferno, ti sentirebbe persino un essere uomo."
"Lui è un essere uomo."
"Sì, ma lui ci sente e se vai avanti così lo sveglierai! Attento con quella noce."
"E tu stai attenta alle nocciole."
Kelan represse un sorriso. Gli scoiattoli non erano assolutamente capaci di far una qualsiasi cosa senza fare rumore, e pensare che loro si ritengono degli animali silenziosi! Sollevò appena una palpebra e vide due scoiattolini che stavano ammassando vicino alla sua testa alcune noci e delle nocciole. A quel punto decise che tanto valeva farsi vedere sveglio.
" Salve."
"Oh, salve Kelan!" La scoiattolina si rivolse al suo compagno. "Ecco hai visto? L'hai svegliato! Sei sempre così rumoroso! Ti abbiamo portato delle noci, abbiamo pensato che ti avrebbero fatto piacere domani mattina per colazione."
La femmina ruppe il guscio di una nocciola e la porse a Kelan che la prese tra le dita. Anche il maschio ruppe il guscio di una noce e si mise a mangiare il gheriglio.
"Grazie, è stato un pensiero proprio carino," ma la femmina non lo stava ascoltando: sentito il rumore del guscio infranto e delle mandibole che rosicchiavano il gheriglio si girò e non si limitò a fulminare il compagno con lo sguardo.
"Guarda che le abbiamo portate per lui, non te le devi mangiare tu, stupido!"
"Scusami, ormai l'avevo sgusciata e lui stava mangiando la tua, non sapevo che farne della mia e così l'ho mangiata!"
Kelan si mise a ridere, ringraziò ancora una volta gli scoiattoli e li consigliò di tornarsene al loro nido, "L'inverno non è ancora finito, tornate al vostro letargo, questa è una falsa primavera."
Gli scoiattoli risalirono il tronco dell'albero e scomparvero all'interno della loro cavità, Kelan rimase seduto ad ammirare le montagne e respirare l'aria pura che spirava dalle cime. Quando tornò ad acclimatarsi all'aria ancora troppo calda della serata, uscì dalla coperta, l'arrotolò e s'incamminò verso valle.
"Sono stato fuori per troppo tempo, Fiona potrebbe aver bisogno di me."
Stava scendendo un pendio che declinava dolcemente verso una conca immersa negli alberi. Improvvisamente il suo punto di vista cambiò.
Sorvolava la valle a centinaia di metri dal terreno. Sul declivio un essere uomo compì una paio di passi e poi stramazzò al suolo, ma gli era del tutto indifferente, gli esseri uomo sono troppo grandi da cacciare, anche i cuccioli, meglio, molto meglio, un piccolo roditore, o magari un coniglio. Vediamo un po' in giro se si trova qualcosa di buono. Il falco compì cerchi sempre più alti nel cielo lilla della valle, si spinse fin sopra il villaggio, dalla sua postazione vide alcuni cuccioli di essere uomo che si rincorrevano fuori dal loro nido. Era curioso, erano buffi quei cuccioli, non ce n'erano due uguali, ma lo stimolo della fame fu più forte della curiosità. Riprese il suo pattugliamento dell'aria, scorgeva altri rapaci anche loro in cerca di preda. Il tempo fluiva in maniera diversa librati nel vento. All'improvviso un grido gli gelò il sangue nelle vene, poi lo vide, un grosso banshee che si levava da terra e giunto quasi alla sua altezza spariva nel nulla. I cuccioli dell'essere uomo adesso avanzavano verso il nido più grosso al centro della valle. Un movimento attrasse il suo sguardo, una colomba volava sopra quella fattoria, nessun altro rapace in giro, ecco al sua preda. Si lanciò in picchiata tutto proteso verso la preda e mentre chiudeva gli artigli sul corpo arrendevole.
"Kelan, Kelan, amore svegliati."
Kelan aprì un occhio, era di nuovo sul declivio, aprì anche l'altro occhio, si girò verso la voce che lo chiamava. Una figura controluce: la gonna verde e la camicia bianca, lunghi capelli sciolti che si levavano attorno al suo capo, mossi dal vento.
"Kelan, amore."
"Marguerida."


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Da qualche parte fuori dal villaggio, Elvas - notte
     • Shonnach

Il rumore di alcune voci che gridavano in lontananza strappò Shonnach dal sonno agitato in cui era caduta dopo l'incontro con la matrice trappola.
L'Amazzone si stiracchiò, cercando di allontanare da sé la sensazione di essere osservata e la certezza che, se si fosse voltata in quel preciso istante, si sarebbe trovata a fissare le orbite vuote della creatura imprigionata nella matrice. Invece si alzò con eccessiva lentezza, cercando di capire da dove provenissero le voci, fino a quando la sensazione non scomparve.
Allontanandosi dal lago, Shonnach lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. Solo la luce bluastra di Kyrddis si rifletteva nelle calme acque del laghetto. Nessun fantasma la stava inseguendo e nessuna creatura assetata del suo laran la aspettava per aggredirla.
Non poteva di certo competere con l'incontro avvenuto solo poche ore prima, ma anche lo spettacolo che le si parò davanti non appena uscì dal boschetto che circondava il lago le tolse quasi il fiato.
Un esercito di spettri, costituito dai soldati morti nelle innumerevoli battaglie svoltesi per il dominio della valle, stava tentando la scalata del sentiero che portava al vecchio castello. Una accozzaglia di colori, vessilli, armi e vestiti provenienti da ogni secolo e fazione stava cercando di conquistare Castel MacAran e, con lui, il predominio sulla valle.
Ma non era tutto. Sollevando lo sguardo verso i ruderi del castello, Shonnach constatò che anche gli abitanti del castello non avevano perso tempo e, riunitisi sugli spalti, stavano difendendosi scagliando frecce e proiettili di varia natura.
La Rinunciataria fece per avvicinarsi, quando una freccia, reale quanto lei stessa, le passò sibilando a pochi centimetri dalla testa.
Tra le guardie uscite dal passato, Edric e Dyan MacAran stavano dando prova del loro coraggio combattendo contro nemici morti secoli prima della loro nascita, ma mettendo in pericolo chiunque avesse tentato di avvicinarsi al castello.
Shonnach rimase a guardare l'evolversi della battaglia da una distanza di sicurezza poi, senza preoccuparsi di attenderne l'esito, si allontanò verso il villaggio, in cerca di un posto dove fermarsi a dormire.
Un leggero nevischio aveva iniziato a cadere e, presto, si sarebbe trasformato in neve. Il vento e i suoi fantasmi stavano per lasciare la valle.


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Le terme, Elvas - notte
     • La Vedova

La Vedova aveva pensato a lungo per decidere se fosse stato il caso di andare alla Torre e farsi rinchiudere come gli altri telepati. In principio aveva vinto il sì: lei non aveva mai provato sulla propria pelle gli effetti del vento fantasma e, dalle descrizioni che aveva sentito, non era certa di voler fare l'esperienza. Poi, distratta dall'osservare i vari preparativi che gli altri valligiani stavano facendo, aveva improvvisamente deciso che, almeno una volta nella vita, doveva sperimentare anche questo.
Quindi, la mattina preannunciata da Damon come quella fatidica, la donna aveva fatto un giro per il villaggio, salutato la Custode e assistito all'attivazione della matrice e alla chiusura della porta. Era persino rimasta a fare due chiacchiere con Shonnach, la sola dell'intera Elvas che sembrava intenzionata a non rintanarsi in qualche buco sicuro. Poi, quando ormai era giunto il mezzogiorno, era tornata alle Terme, era salita nei suoi appartamenti e aveva atteso.
Non sapeva cosa doveva aspettarsi dal vento. C'era chi le aveva parlato di orge indimenticabili, chi le aveva narrato storie angoscianti di come aveva rischiato di morire per mano di amici. C'era chi, addirittura, era pronto a giurare che il vento fantasma in realtà era solo un'invenzione, ma erano veramente in pochi.
Era talmente pronta a tutto che, quando i tre ballerini si erano presentati a lei, la Vedova non si era preoccupata troppo e, anzi, si era sentita un po' annoiata. Poi, osservandoli più attentamente, aveva notato l'aspetto esotico dei tre giovani. La pelle era scura e lucida come se si fossero cosparsi di olio profumato. Gli occhi di un nero così profondo da sembrare quasi senza iride. I loro corpi erano muscolosi e flessuosi, come solo chi era stato allevato per danzare poteva avere, e due di loro erano coperti solo da una tunica cortissima e da preziose catene che non nascondevano nulla del loro fisico eccezionale.
La Vedova li aveva ammirati con crescente piacere, mentre con mosse languide e provocanti si avvicinavano a lei e cercavano di indurla a toccarli, stuzzicandola con gesti e movenze degni di una danzatrice educata nell'arte della danza nei più prestigiosi serragli delle Terre Aride.
La presenza del terzo giovane, restato immobile fino ad allora alle spalle dei due compagni, stava risultando inopportuna agli occhi eccitati della donna. Vestito di abiti eleganti sembrava quasi ridicolo se paragonato alla nuda opulenza degli altri.
Proprio nel momento in cui la Vedova stava per protestare, intenzionata ad allontanarlo dalla stanza, il terzo ballerino iniziò ad avvicinarsi. Come rispondendo ad un segnale convenuto, i due compagni si erano fermati, sedendosi a terra e lo stavano osservando in silenzio mentre, con passi lenti e misurati, raggiungeva la poltrona dove la donna loro ospite era sprofondata completamente.
Il giovane si chinò in avanti, appoggiandosi sui braccioli per sorreggersi, arrivando fino a sfiorare il volto della Vedova. Poi, con uno scatto repentino, tornò ad allontanarsi, fermandosi a pochi metri da lei.
La Vedova ebbe la strana sensazione che le luci nel locale si fossero abbassate, mentre una sorta di cono luminoso sembrava illuminare solo il ballerino, fermo ed immobile al centro della stanza. Una musica conturbante iniziò a suonare, scaturendo dal nulla, e il giovane iniziò a muoversi.
Per prima cosa, il ballerino iniziò ad allargare i legacci che fermavano la lunga casacca che lo ricopriva fino alle ginocchia. Una vampata di calore salì al viso della Vedova quando l'indumento cadde al suolo e venne allontanato con un colpo deciso del piede. Poi fu il turno della cinta dei pantaloni, che venne sfilata con lentezza e passata ad uno degli altri ballerini.
Prima di iniziare a slacciarsi la camicia, il giovane si avvicinò alla poltrona e, sempre evitando di toccarla direttamente, si chinò nuovamente sulla Vedova fino a sfiorala. Questa volta non si allontanò di molto, anzi... si mise in ginocchio davanti a lei e iniziò a sbottonare la camicia, passandosi le mani sulla pelle, mano a mano che questa veniva scoperta. Quando rimase un solo bottone a tenerla chiusa, uno degli altri due ballerini si avvicinò e, con decisione, la strappò di dosso al compagno, lasciandolo a torso nudo.
La musica sembrò aumentare di intensità quando, alzandosi e appoggiandosi al bracciolo della poltrona, il giovane iniziò a sfilarsi gli stivali e, terminata l'operazione, si tornò a mettere davanti a lei, a pochissima distanza. Una posizione più che favorevole per ammirare quelle lunghe dita che, con lentezza, iniziavano a slacciarsi i pantaloni, facendoli poi scivolare verso il basso, scoprendo... in quel momento un forte rumore proveniente dal piano terra distrasse la Vedova facendola girare verso la porta alle sue spalle.
Quando, non vedendo comparire nessuno, riportò l'attenzione davanti a sé non trovò più nulla. I ballerini erano scomparsi, non c'era più traccia di loro, era come se non fossero mai esistiti.
Quando altro frastuono, come di suppellettili rovesciate, arrivò dal salone principale, la Vedova si alzò di scatto e, meditando una vendetta adeguata, si precipitò di sotto per scoprire chi era l'intruso che aveva interrotto sul più bello quello spettacolo così particolare.
Semisommerso da una montagna di teli da bagno, Alar la guardò entrare nell'anticamera della piscina riservata ai maschi. La Vedova stringeva tra le mani un robusto frustino e, per un attimo, il locandiere temette che volesse picchiarlo. Poi il suo sguardo salì dal frustino al volto della donna e, rabbrividendo, considerò che forse quella sarebbe stata la cosa migliore che poteva capitargli quella notte.
La Vedova sostenne il suo sguardo e, sorridendo, si avvicinò a lui con passo deciso. «Hai rovinato l'intrattenimento che avevano preparato solo per me,» disse. «Dovrai rimediare...» il sorriso famelico della donna fu l'ultima cosa che Alar vide quella sera, prima di perdere conoscenza.









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Disclaimers

A causa del clima, mantenutosi insolitamente caldo per i primi mesi invernali, la popolazione della valli dei Kilghard e degli Hellers cominciano a temere l'arrivo del vento fantasma e anche molti dei telepati di Elvas dotati dei doni di precognizione prevedono l'arrivo del vento fantasma... cosa che si verifica puntualmente!

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008