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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, maggio (27)] [Credits & Disclaimers]



Per le colpe degli altri

Aurora MacColin

Aurora e Bethia MacColin, all'età di cinque e sei anni, si erano ripromesse di non permettere che nessuno le separasse. Ora, undici anni dopo, nessuna delle due poteva ripensare a quella promessa con il sorriso che si riserva a dei giochi da bambine ormai abbandonati da tempo. Tuttavia, se avesse potuto, Aurora avrebbe chiesto a sua sorella di ripetere quella promessa ancora una volta. Se non fisicamente, nessuno avrebbe dovuto separarle nello spirito. Si diceva che i maghi nelle loro Torri e i Comyn nei loro castelli avessero la capacità di creare legami magici tra le persone, legami spirituali che nessuno avrebbe mai potuto separare. Solo un paio di anni prima, alla morte del loro fratello maggiore, le due sorelle sarebbero state pronte a giurare che nessun legame poteva essere più forte del loro.
Aurora aveva sedici anni, ed ancora non si interessava agli uomini. A suo padre questo faceva comodo, perché la figlia minore era l'unica in grado di dargli una mano nel negozio, di tenergli i conti e decorare le brocche con i disegni di tralci che tutto il villaggio conosceva bene. Bethia aveva diciassette anni, e si interessava solo agli uomini o, meglio, ad un uomo in particolare, Donal McLeod.
Donal era un proprietario terriero che poteva permettersi di far coltivare da altri la sua terra, un uomo ricco, ed orgoglioso della sua ricchezza. E che onore che avesse desiderato la bella figlia di un vasaio, per quanto benestante, per averla come moglie! Aveva incantato sua sorella con le sue maniere ed i complimenti, le aveva promesso in dono una collana di pietre di fuoco per le nozze. La loro madre, Viviana, era entusiasta all'idea del matrimonio della figlia maggiore (il primo in famiglia), e non faceva che progettare e parlare di dolci e abiti agitando le mani nell'aria. Colin MacColin era molto più tranquillo, ma aveva un'aria soddisfatta e gongolante negli occhi, e quando s'intratteneva a parlare con Donal non era insolito che si comportasse con lui come un buon padre.
Era solo Aurora, in famiglia, a detestare Donal McLeod.
Possibile che nessuno si accorgesse di che pasta fosse fatto, quanto fossero untuosi i suoi modi? E di come, quando Bethia distoglieva lo sguardo, lui le guardasse - e, per gli Dei, di come guardasse soprattutto Aurora! - in modo del tutto sconveniente, come cercando di immaginare cosa si nascondesse sotto i vestiti...
Per di più, approfittando dell'affetto della sua famiglia, aveva iniziato a metterla in cattiva luce davanti ai suoi genitori, sempre con quei suoi modi cortesi ed insinuanti, facendo credere di essere preoccupato per il futuro di Aurora. Non era bene che lei cavalcasse con una sella da uomo, anche se, certo, con la supervisione di Colin che non avrebbe mai permesso niente di male. Ed Aurora, non amava forse troppo l'aria aperta? A star sempre china in giardino, chissà chi avrebbe potuto vederla... E non era forse un peccato che una ragazza così giovane e senza marito si rovinasse le mani al tornio? Ma non sembrava interessata al matrimonio, vero? Non era come la sua Beth', che un giorno sarebbe stata la madre dei suoi figli; no, Aurora non pensava a un marito. D'altronde, chissà chi se la sarebbe presa una ragazza simile...
E lei, non sapendo che fare, abbassava gli occhi come una figlia rispettosa deve fare quando si parla del suo futuro, serrando le mani sul suo lavoro per nascondere il desiderio di tirargli uno schiaffo. E cercava di sopportare quell'uomo, preparandogli i piatti migliori e fissando lo sguardo altrove mentre egli corteggiava sua sorella, che rispondeva tutta moine e sorrisi. E comunque davvero lei non aveva nessuna intenzione di sposarsi se questo doveva significare abbandonare la sua cavalla e gettar via la sella da uomo. Avrebbe preferito sedere al tornio tutta la vita, piuttosto che vedersi accanto un uomo come quello.
A quel punto, in genere, Bethia vedeva i suoi pugni serrati e le sue guance livide ed iniziava a cantare qualche ballata o a portare i piatti a tavola.
«Sorellina, Donal è solo preoccupato per te.» Le diceva quando erano nella loro stanza. «Non lo dice per farti arrabbiare: ormai è come un altro figlio per nostro padre, e si comporta di conseguenza. Ed Evanda mi sia testimone, tu non sembri davvero interessata a sposarti, e anche se papà forse non ci fa caso, la mamma è davvero preoccupata per la tua sistemazione. Povera sorellina mia, chi ti vorrà? Ma non li vuoi, dei bambini da abbracciare?»
Ma cosa avrebbe potuto rispondere a sua sorella? Come dirle che Donal faceva ogni sorta di commenti sgradevoli per poi aspettare che fossero soli e piazzarle gli occhi in faccia, cercando di catturare il suo sguardo? E quella volta, poi, quell'unica volta in cui, servendo a tavola, aveva sentito la mano del giovane sfiorarle la parte posteriore delle cosce... Se sposarsi implicava che un uomo avrebbe avuto tutto il diritto di toccarla in quel modo, certo che lei non voleva un marito!
Bethia invece era felice, e le aveva confessato di aver baciato Donal, due o tre volte. La sua barba le aveva fatto il solletico, aveva detto, ma la sensazione era stata piacevole mentre lui la teneva fra le braccia. Con sua sorella non si era mai spinto oltre, ma ne aveva sempre lodato la bellezza, la dolcezza, la voce e le lunghe dita che sapevano trarre dal rryl accordi dolcissimi.
Invece, di lei, parlava male e cercava di approfittarsi.
Ma fra un mese ci sarebbe stato il matrimonio, e allora lui l'avrebbe smessa, ne era certa. Avrebbe avuto la dolce, splendida Bethia tutta per sé ed avrebbe ignorato la sorella meno bella e meno femminile.
Quel giorno era sola in casa, tranquilla per una volta. Colin MacColin lavorava nel negozio, e Bethia e Viviana erano andate a fare alcune commissioni: sarebbero passate dal sarto per la prima prova dell'abito per il matrimonio, poi dalla ricamatrice, dal calzolaio, dall'orafo e dalla fioraia per mettersi d'accordo per diverse cose. La loro famiglia era piuttosto benestante, anche se non come quella di Donal, e tutto doveva essere all'altezza delle loro abitudini, se non meglio. Conoscendo entrambe le donne, non avrebbero finito prima di sera. Proprio per questo motivo, lei aveva preferito restare in casa.
Stava canticchiando una canzone allegra, preparando le verdure da cucinare per cena, quando sentì la porta aprirsi. Si voltò perplessa: non aspettava nessuno della famiglia e chiunque altro avrebbe bussato prima... eccetto Donal, che si comportava ormai come un familiare. Era infatti lui che stava entrando. Eppure, si disse, avrebbe dovuto sapere che quel giorno Bethia sarebbe andata dal sarto: non avevano parlato d'altro negli ultimi giorni, lei che avrebbe preferito un abito color ruggine e lui che gliene suggeriva invece uno verde.
«Non è in casa Colin?»
"Smettila di chiamare mio padre per nome, chi ti credi di essere?"
«No, a quest'ora lavora ancora.»
«Vorrà dire che lo aspetterò.» Le rispose lui, cercando di fissarla negli occhi. Aurora deglutì a vuoto. Era quasi un affronto: un giovane uomo ed una ragazza soli nella stessa casa, era del tutto sconveniente! Fece per dirglielo, ma Donal la prevenne: «Ormai siamo parenti, no? È come se fossi vostro fratello. Continuate pure quello che stavate facendo.» Sedette al tavolo.
Aurora si morse le labbra, pensando che prima o poi le sarebbe venuta una piaga. Non esisteva, o non le veniva in mente un modo gentile per rifiutare la sua compagnia, e non poteva certo cacciarlo di casa! Continuò con le sue faccende, sperando che suo padre tornasse a prendere qualcosa che aveva dimenticato, che Bethia non discutesse col sarto per ogni singola piega del vestito.
Non aveva la minima voglia di voltargli le spalle: quando si trovava nella stessa stanza con Donal, egli le sembrava più pericoloso di un catman, pronto a saltarle addosso per sbranarla, o per toccarla, non faceva molta differenza. Mentre lavorava, continuava a sentirsi gli occhi di lui appiccicati alla schiena.
«Ieri vi ho vista cavalcare.» Iniziò lui all'improvviso. «Mi domando come Colin permetta queste cose...»
«Mi dispiace che non siate venuto a salutare me e mio padre. Ma, come avrete visto, ero in sua compagnia, ed uso la sella da uomo solo in quel caso, e dopo avergli chiesto il permesso.» Non sarebbe riuscito a farla passare per una ragazza meno che virtuosa, visto che lei non lo era. Con la sua risposta gli aveva fatto notare che era stato sgarbato a non salutarli, e che suo padre non aveva niente da ridire sul suo comportamento.
«Ma io non permetterei mai a mia moglie di usare una sella da uomo. E comunque, il posto di una donna è la sua casa, e non una scuderia.»
Dannazione, sua moglie sarebbe stata Bethia, non lei!
«Bethia non ama andare a cavallo, preferisce di gran lunga la musica. Non sarete scontento di lei.» Si rese conto di stringere spasmodicamente il manico del coltello, tanto che le sue nocche erano sbiancate. Posò il coltello e si allontanò. «Con il vostro permesso, mi sono appena ricordata che devo controllare Preciosa.» Ora aveva una scusa per allontanarsi, e rifugiarsi nella stalla. Suo padre le aveva regalato Preciosa per il suo quindicesimo compleanno, quando Aurora aveva iniziato a lavorare con lui. Non era una bella cavalla, non avrebbero potuto permettersela, però era docile e tranquilla ed aveva un'andatura regolare.
Ma fece appena in tempo ad arrivare nella stalla, prima di accorgersi che l'uomo l'aveva seguita ad una certa distanza. Provò l'impulso di schiaffeggiarlo, di mettersi a gridare: non lo capiva, che voleva essere lasciata in pace?
«Allora, non butterete via la vostra sella da uomo? Non sapete che può indurre degli strani pensieri in chi vi osservi?»
«Non vedo cosa si dovrebbe pensare, e comunque non mi importa. Mio padre ha il diritto di negarmene l'uso, e non l'ha mai fatto.» Senza nemmeno guardarlo, si diresse verso una balla di fieno, per dargli l'impressione di essere andata nella stalla per fare veramente qualcosa.
«Colin è vostro padre, certo, ma altri uomini potrebbero pensare, per esempio, che siete impudica. La posizione, ed il movimento del cavallo... via, non devo certo spiegarvi queste cose!»
Aurora sentì che il volto e il collo le diventavano rossi. Come si permetteva di farle certi discorsi?! Solo qualcuno che fosse insano poteva pensare certe cose, di lei, poi!
«Ma cosa dite, Donal? Non sono discorsi da fare, e nessuno potrebbe mai aver da ridire sulla mia condotta. E chi mai arriverebbe a fare pensieri simili?» Gli rispose, sempre più indignata. Quando lui le piazzò gli occhi in faccia, le sembrò - se possibile - di arrossire ancora di più, e si voltò per raccogliere la balla.
"Non pensarci, fra un mese sarà finita. Non pensarci e lavora, tieniti le mani e la mente occupate... Oh, che indecenza!"
Ma si accorse dell'errore che aveva commesso quando, mentre era china, sentì la mano di Donal sulla schiena, e la sua voce che rispondeva piano: «Io, per esempio.»
Si rialzò di scatto, urtando contro di lui, e si allontanò di lato.
«Ma cosa dite?» Ripeté. «Non dovreste dirmi certe cose. E poi siete fidanzato con mia sorella, e mi sembra che stiate veramente esagerando!» Ecco, gliel'aveva detto, finalmente. Che si prendesse la responsabilità del suo atteggiamento, e la piantasse una buona volta. Per un attimo lui sembrò calmarsi, non cercò di fissarla negli occhi o di toccarla, non disse niente di male, ma mormorò soltanto il nome di Bethia.
«La mia Beth' è così bella e dolce.» Disse poi. «Ma siete voi che mi avete messo il fuoco nel sangue. Lei è così delicata, bella e femminile e voi siete così selvatica.»
«Beh, avete scelto la sorella migliore, vi lamentate?» Continuò a mantenere la balla davanti a sé, quasi come una protezione, nonostante iniziasse a pesarle.
«Forse avrei preferito non scegliere, Aurora.»
Irrazionalmente, la ragazza pensò che quella doveva essere la dichiarazione più strana mai fatta, ma non le diminuì certo il disgusto e la rabbia. Non era più tempo di pensare a certe cose, ora! E ad ogni modo lei non avrebbe mai voluto un uomo come Donal. Però, se lui si era comportato così perché l'ammirava, per una sorta di malintesa gelosia... ma era assurdo! Che cos'avrebbe detto Bethia, se l'avesse saputo?
«Basta con questi discorsi: devo lavorare. Vorreste tornare in casa per aspettare mio padre?»
«Ora non voglio parlare con vostro padre: voglio parlare con voi, prima. Possibile che quel che ho detto non vi tocchi?»
«Possibile, dato che amo mia sorella e non certo voi.» Alzò il mento in atteggiamento di sfida, serrando le dita nel fieno profumato.
Lui le fu addosso, tirandola per il braccio sinistro, facendole cadere di mano la balla. «Non dovete rispondermi in questo modo!»
«E voi non dovete trattarmi così, Donal. Non è né cortese né corretto, ed io non mi sono mai comportata male con voi.» "Anche se gli Dei sanno quante volte avrei voluto farlo!" «E se mio padre sapesse quello che mi avete detto e fatto...» Lo minacciò.
Lui le rise in faccia, serrando ancor di più la mano sul suo braccio. «Non credi che sarebbe contento che qualcuno ha un po' di interesse per i tuoi brutti occhi gialli e la tua sfacciataggine?» Le disse, passando improvvisamente alla forma colloquiale. «Alla tua età non hai neanche un corteggiatore, e non puoi permetterti di fare la schizzinosa.»
«Non mi importa dei corteggiatori, sto bene con la mia famiglia. Lasciatemi andare e comportatevi bene, o lo dirò a Bethia.» Cercò di non mostrare il suo timore. Gli occhi dell'uomo sembravano fiammeggiare, e il braccio le faceva male.
«Te l'ho detto che mi incendi il sangue, puoi almeno comportarti bene tu, con me.» La voce di Donal sembrava più roca e profonda.
«Ma cosa dite, lasciatemi andare! Cosa volete da me?» La rabbia si era trasformata in paura ed angoscia. Perché suo padre non tornava a casa? Era quasi ora ormai, e poi su cosa diavolo stavano spettegolando sua madre e sua sorella, per metterci tanto tempo?
«Cosa dite, cosa volete... non fare la stupida, ragazzina, lo so di che pasta sei fatta!» Mentre cercava di liberare il braccio, le bloccò anche l'altro e glieli portò rapidamente entrambi dietro la schiena. Una sola delle sue mani, era abbastanza grande per tenerle entrambi i polsi, e Donal era molto più alto e forte di lei. L'intera situazione le sembrava irreale: non era possibile che qualcosa di simile stesse succedendo a lei. Ma come diamine era successo?
«Lasciatemi andare, Donal. Vi prego, lasciatemi. Io... non dirò niente se non volete ma smettetela, mi spaventate così...» Si ritrovò ad implorarlo quasi piagnucolando, ed odiandosi per questo. Ma non aveva scelta.
Lui la ignorò, trascinandola verso il fondo della stalla e, quando Aurora inciampò nella balla caduta, non l'aiutò a rimettersi sui suoi piedi ma continuò a tirarla per i polsi. Sentì che i cavalli nitrivano, in reazione a quello che stava accadendo. Forse erano spaventati dalle loro voci così forti, ma gli stalli avevano porte robuste, e nemmeno da loro poteva aspettarsi aiuto. Nemmeno dalla sua Preciosa che forse aveva capito tutto. La fece sbattere col viso contro il muro, e la vista le si offuscò per qualche istante.
«Cerca di star tranquilla.» Le sibilò lui all'orecchio, facendola voltare. «Non voglio farti male, lo capisci? Però dovresti essere più gentile con me, che mi preoccupo tanto per il tuo futuro.»
«Gentile?!» Ripeté fra i singhiozzi, divincolandosi. «Non è gentilezza che vuoi...»
Donal la schiacciò col suo corpo contro il muro e cercò di baciarla. Irrazionalmente, ripensò a quel che le diceva Bethia della barba di lui, e si disse che, piuttosto che solletico, si sentiva graffiare. Mantenne le labbra serrate, con la testa troppo schiacciata contro il muro per poterla muovere ma, quando lui cercò di fargliele aprire, lo morse con forza, stringendo anche mentre lui gridava, anche quando sentì il sapore del sangue. Ma Donal aveva la sinistra libera, e le tirò un pugno nello stomaco, lasciandola senza fiato a piegarsi in due per il dolore.
«Razza di grezalis!» Imprecò, sputando il sangue. Poi estrasse il coltello che portava alla cintura e la minacciò. «Non provarci più, o ti cavo quegli occhi da serpente, hai capito?» La costrinse a raddrizzarsi, tremante, e la bloccò di nuovo, stavolta con la minaccia della lama a due dita dai suoi occhi. Attraverso un velo di lacrime poteva vedere la luce che luccicava sulla punta affilata, e più indietro vedeva la rabbia e l'eccitazione negli occhi dell'uomo, e la sua barba macchiata di sangue che si apriva in un ghigno spaventoso. Sentì il corpo di lui che le si muoveva contro e la reggeva contro il muro, e sentì che le aveva lasciato le mani per poterla toccare e per... che Avarra l'aiutasse... per sollevarle gonna e sottogonna, toccandole le gambe.
Forse, ora che aveva le mani libere... ma Donal le lesse l'intenzione negli occhi e mosse minaccioso il coltello, fino ad appoggiarglielo sullo zigomo, appena al di sotto dell'occhio. Sentì il gelo della punta e si immobilizzò, cercando di frenare i singhiozzi e il tremito: anche un movimento così piccolo avrebbe potuto renderla cieca. Ma il suo corpo non le rispondeva, e non riusciva a fermarsi. Avrebbe voluto poter spegnere la sua mente, come si faceva con le candele, per non sentire e non sapere nulla, ma il coltello ed il corpo dell'uomo le premevano addosso e la mano le strappava i vestiti per aver libero accesso alla pelle.
Quando la toccò tra le gambe, Aurora sentì i muscoli delle cosce contrarsi, indipendentemente dalla sua volontà, ma egli lo prese come un ultimo tentativo di resistenza.
«Sta' ferma.» Le sibilò in faccia e, per render più chiaro il concetto, premette ed abbassò di scatto il coltello. Aurora soffocò il grido fra i denti, sentendo il metallo tagliarle la carne, ed il sangue scivolarle sul viso e sul collo, mescolandosi alle lacrime.
Ma gli Dei furono pietosi con lei, e presto svenne.


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Quando si risvegliò, Donal era sparito, ma le aveva lasciato in ricordo una mezza dozzina di dolori diversi. Aveva i capelli sciolti, il viso ed il vestito pieni di sangue, e così le gambe. Si rannicchiò su se stessa, tremante, cercando la forza di sollevarsi. Avrebbe dovuto lavarsi e cambiarsi, lo sapeva. Avrebbe dovuto finire di preparare la cena, controllando che non si bruciasse sul fuoco. E poi sarebbero arrivati i suoi familiari, e forse Donal... riprese a singhiozzare, mordendo il vestito.
No, si disse poi. Lui non sarebbe venuto questa sera, non avrebbe potuto farlo. Se non altro perché avrebbe avuto il labbro gonfio per il suo morso, e poi come avrebbe osato presentarsi davanti ai suoi occhi dopo ciò che aveva fatto? Questo pensiero le diede la forza di alzarsi.
"So cosa devo fare. Buttar via questo vestito, lavarmi e vestirmi. Pettinarmi. Togliere lo stufato dal fuoco. E poi aspettare mio padre. Gli dirò cosa mi ha fatto, e lui... annullerà il matrimonio di Bethia, e forse lo ucciderà. Sì, voglio vederlo morto. Che sia maledetto..."
C'era ancora mezzo secchio d'acqua nella stanza sua e di Bethia, e si sfregò a lungo con del lino ruvido. Vide che la pelle diventava rossa, e si graffiava qua e là, ma le sembrò che lo sporco non andasse via. Continuò a sfregare finché il braccio non riprese a farle male, poi passò la stoffa nella mano destra e si lavò ancora, goffamente, passando e ripassando sulla pelle irritata. Con questo fastidio, almeno, si sentiva un po' meno sporca, un po' meno disgustosa dopo quello che Donal le aveva fatto. Quando l'acqua finì, aveva allagato mezza stanza, ma si sentiva un po' meglio, anche se continuava a perdere sangue sul volto e soprattutto fra le gambe. Nel rivestirsi, indossò una delle pezzuole che usava per le sue regole, ed infine si rifece la treccia.
La casa era vuota e silenziosa, tranne che per il borbottio della pentola sul fuoco nella cucina calda. Era come se non fosse successo niente.
A tornare per prime furono sua madre e sua sorella, soddisfatte della loro passeggiata. Parlavano ancora dei ricami per l'abito e delle stoffe. Aurora si sentiva male: come avrebbe potuto dire a Bethia quel che era successo? Lei era così felice e non vedeva l'ora di sposare quel mostro! Forse avrebbe potuto parlarne prima con sua madre e suo padre, si disse.
«Aurora, cosa ti sei fatta alla faccia?»
«Io... mi è sfuggito il coltello.» Mentì.
«Brediya, così vicino all'occhio! E ti resterà una cicatrice, è orribile! Ti fa tanto male?»
"Ma cosa vuoi che m'importi della cicatrice!" Ma Bethia non sapeva niente, e non era certo colpa sua, ciò che era successo, si disse.
"Beh, è per causa sua che quell'uomo ha iniziato a venire qui!"
Alzò le spalle e si voltò, fingendosi occupata in qualcosa. Ma sua sorella era già andata a chiamare la madre, per mostrarle quello che era successo. Per fortuna Viviana aveva la vista corta, e minimizzò la gravità del taglio. «Tranquille, bambine, si rimarginerà e resterà una linea sottile. Ci sono delle creme che hanno il colore della pelle e possono coprire le cicatrici, manderò vostro padre a cercarle da uno speziale di Caer Donn.»
In quel momento, come se fosse stato chiamato, tornò anche il padre, riportando in casa il familiare odore di argilla. Aurora preparò i piatti e li portò a tavola, mentre la moglie gli spiegava del taglietto e della crema. Colin non sembrò troppo preoccupato, e gliene fu grata.
«Dovevo parlare a Donal, non è venuto?» Chiese poco dopo.
«Sì, è venuto nel pomeriggio, ma poi è andato via.» Gli rispose, con gli occhi fissi sul suo piatto. "Quel vigliacco! Che Zandru se lo porti nell'inferno più gelato e buio!"
Per il resto del tempo, la conversazione familiare fu manipolata dalle altre donne della famiglia, che descrissero le stoffe e i ricami scelti per l'abito da sposa, i fiori per le decorazioni e così via. Aurora non le ascoltò, limitandosi ad annuire di tanto in tanto, e probabilmente la sua famiglia pensò che fosse di cattivo umore per il taglio che si era procurata.
Dopo cena, come succedeva spesso, Bethia prese il rryl ed iniziò a suonare la Ballata di Hastur e Cassilda. Tuttavia, stavolta Aurora non riusciva a farsi trasportare dalla musica come succedeva di solito. La sua mente continuava a tornare al pomeriggio, a ciò che era successo. Doveva parlarne a suo padre o a sua madre, ma come fare? Erano entrambi rapiti dalla Ballata, che pure conoscevano a memoria, e non si sarebbero allontanati da Bethia. E, se li avesse chiamati in disparte, sicuramente sua sorella si sarebbe posta delle domande.
Dannato fosse quell'uomo! Prima del suo arrivo, non c'erano stati segreti tra loro!
Per fortuna, la Ballata finì, e sua sorella era troppo stanca per cantare ancora. Quando la invitò ad accompagnarla a dormire, Aurora le rispose che sarebbe rimasta ancora qualche minuto a ricamare. In realtà, aveva tenuto in mano il ricamo per tutta la serata, dando solo un punto di tanto in tanto giusto per far vedere che stava facendo qualcosa.
Era arrivato il momento che aveva atteso e temuto per tutto il giorno. Aspettò ancora qualche minuto, per esser certa che Bethia fosse a letto e non tornasse indietro. Poi, proprio quando suo padre stava per alzarsi, forse per andare a dormire anche lui, parlò.
«Devo dirvi una cosa.»
«Cos'è successo, chiya?» Le chiese la madre, stupita per il tono serio.
«Vi ho mentito: non è vero che mi sono fatta male cucinando. Solo che non volevo parlarne davanti a Bethia.» Entrambi ora la guardavano perplessi. Continuò: «A ferirmi è stato Donal, questo pomeriggio.»
«Donal? Ma che stai dicendo, Aurora?»
«Mi ha ferita perché non volevo...» la voce le morì in gola. Come poteva dirlo? Come poteva trasformare in parole quel che era successo? Sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime. Per fortuna, ormai era buio ed alla luce della lampada i suoi genitori non dovevano essersene accorti. Aspettavano che spiegasse. «Non volevo che mi violentasse.» Finì con un fil di voce.
«Che cos'è questa storia?» Scattò suo padre, mentre sua madre, in silenzio, si premeva una mano sulla bocca.
Aurora chinò la testa, senza parlare.
«Stai dicendo che Donal ti ha ferita in viso...?»
«Sì padre. E mi ha anche... mi ha costretta... lui...» Non riuscì a ripeterlo. Una lacrima iniziò a scivolarle sulla guancia e se l'asciugò in fretta con la mano.
Viviana le si avvicinò e la circondò con un braccio. «Tesoro, non è possibile, cosa dici?» Sembrava combattuta fra lo sdegno e l'incredulità.
«Lo so, nemmeno io voglio crederci, mamma.» Le nascose il viso sul petto, cercando di trattenere le lacrime.
«Ma Donal non farebbe mai niente del genere!» Intervenne il padre con voce soffocata. «È un uomo onorevole, e poi...»
Aurora non rispose. Suo padre era sconvolto, poteva sentirlo dalla sua voce. E la madre, che l'abbracciava, stava tremando come lei.
"Certo, è onorevole ed è fidanzato con Bethia, glielo ho detto anche io, ma lui mi ha violentata lo stesso."
Venne staccata gentilmente dalle braccia di sua madre.
«Vai a dormire, ora. Ne parliamo domani.»
Chinò il capo, da brava ragazza obbediente, e se ne andò. Bethia dormiva già, quando si infilò nel letto, e continuò a sentire a lungo le voci smorzate dei suoi genitori che parlavano nella loro stanza.


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Camminando a testa bassa, trasportò i secchi dell'acqua nella bottega, appena in tempo prima che suo padre chiudesse la porta per la pausa dell'ora di pranzo. Non avevano riparlato di ciò che era successo, ed aveva pensato che suo padre stesse decidendo cosa fare con Donal. Ma ora egli le domandò come mai avesse detto che si era ferita mentre cucinava.
«Te l'ho detto, papà, non volevo parlarne davanti a Bethia. Ho pensato che fosse meglio così dal momento che Donal è il suo promesso sposo.»
«Gliene ho parlato.»
«A Bethia?»
«No, a Donal.» Aurora alzò gli occhi, pieni di speranza. Il volto di suo padre era inespressivo. «Ha detto di essere molto dispiaciuto di quel che è successo.»
«Dispiaciuto?» Forse quel verme pensava che questo sarebbe bastato? Oh, no, suo padre non avrebbe tollerato questa vergogna, ne era certa. E chi mai l'avrebbe tollerata, dopo tutto?
«Sì, molto. Anzi...» Alzò la voce, voltandosi verso il retro. «Puoi venire, Donal?»
Aurora si sentì mancare. Lui era lì, e suo padre era disposto ad ascoltarlo? Anzi, suo padre gli aveva parlato mentre lei era via, e l'aveva pregato di restare. Ma lei conosceva la sua famiglia, e certo non si sarebbero accontentati di un'indennità qualsiasi. Quell'uomo l'aveva violentata, per gli Dei! Via via che Donal avanzava, la ragazza arretrò di qualche passo, in modo automatico, mettendo i secchi fra lei e i due uomini. Notò la lunga occhiata che si scambiarono fra di loro.
«Ho presentato le mie scuse a tuo padre, Aurora, e le ripeto a te.» Le disse. Avrebbe voluto cancellargli quel sorriso a suon di calci, strappargli quei denti bianchissimi uno per uno. Dal momento che non gli rispondeva, Donal continuò: «Come sta la tua ferita? Vedo che non si è infettata, per fortuna il tuo coltello era pulito.»
"Il mio coltello?"
«Come... come osi? Sei stato tu a ferirmi, bestia!» Data la situazione, e dato che lui sembrava aver definitivamente abbandonato il voi, usò anche lei la forma colloquiale.
Sul viso del giovane comparve un'espressione addolorata. «Che dici? Capisco che tu possa rimpiangere quel che abbiamo fatto, ma non puoi incolparmi di un incidente.»
«Rimpiangere quel che è successo? Non ho mai desiderato niente del genere, e sai bene che hai dovuto picchiarmi e ferirmi per... Papà, non crederai a quello che sta dicendo?»
Prima che il padre potesse rispondere, l'altro riprese la parola: «Colin, mi dispiace, ma non avrei mai pensato di poter essere accusato di qualcosa di simile. Certo, non sarò stato il più delicato degli uomini, ma anche tu sei stato un ragazzo, ed avrai avuto qualche... tentazione. Sai anche tu che ad un certo punto non è facile ragionare e conservare il decoro.» Se non altro, aveva avuto la delicatezza di arrossire, mentre parlava di questi argomenti.
Le sembrava di vivere un sogno, un terribile incubo: suo padre guardava Donal, e sembrava credere ad ogni sua parola.
"Ma io sono sempre tua figlia! Come puoi credere ad un estraneo e non a me? Mi conosci da quando sono nata, padre mio, e preferisci credere che io mi sia data a quest'uomo con piacere?"
«Come puoi credergli?» Gridò.
Suo padre la schiaffeggiò sulla bocca, come non aveva mai fatto da quando lei era bambina, e le ordinò di tacere.
«Vuoi ancora parlare? Piccola grezalis non sei stata capace altro che di comportarti come un animale? Avrei dovuto tenerti al laccio, come si fa con le cagne! Devi solo ringraziare la bontà d'animo di tuo cognato, che è stato disposto a prendersi la sua responsabilità, anziché negare tutto come hai fatto tu. Lui si è sempre preoccupato per te e per la tua rispettabilità.» Donal taceva, tenendosi rispettosamente a distanza, mentre Colin continuava a gridare ed insultarla. Aurora aveva sempre conosciuto suo padre come un uomo dalla collera silenziosa: quando uno dei figli si comportava male, gli tirava uno schiaffo, o gli assegnava una punizione, ma mai con nessuno, nella famiglia o fuori, era stato volgare fino a ricoprirlo di insulti. Si tenne a fatica in piedi, immobile e senza espressione. Cos'avrebbe potuto fare, mentre tutto il resto le crollava intorno?
Alla fine, Colin le ordinò di rimettere in ordine fra i campioni e gli scarti del retrobottega: era un lavoro lungo e noioso, che facevano di tanto in tanto ed impegnava giornate intere. Evidentemente non voleva averla fra i piedi, e lei stessa non voleva avere suo padre davanti a sé. Forse quella sera, parlando con la madre, sarebbe riuscita a farli ragionare, si disse, mentre si avviava verso la porta, senza parlare e senza guardarli.
Iniziando a lavorare, colse alcune frasi che i due uomini si scambiavano, anche se avrebbe preferito non sentirli. Parlavano di denaro, e poi di casa, poi colse il suo nome ripetuto due o tre volte, e quello della sorella. Donal aveva lasciato sul piccolo tavolo una bisaccia, e venne a raccoglierla. Quando la guardò, Aurora ricambiò il suo sguardo con disprezzo. Lui aveva sul viso il suo solito sorriso beffardo, lo stesso che aveva avuto il pomeriggio precedente.
Come sempre, il lavoro manuale l'aiutò a non pensare, e prima di sera era quasi di umore normale. Pensò che sarebbe andata a casa per prima, ed avrebbe parlato con la mamma, e se necessario anche con Bethia. Le donne della sua famiglia l'avrebbero aiutata, ne era sicura, ed avrebbero fatto in modo che suo padre si rendesse conto di quel che aveva detto. Avrebbe potuto mostrargli l'abito strappato ed insanguinato, dal momento che provava vergogna a mostrare i lividi sul corpo. Sarebbe andato tutto bene.
Ma suo padre le ordinò di restare a lavorare per un altro paio d'ore dopo la chiusura del negozio. Sarebbe venuto a prenderla, le disse, per accompagnarla a casa. L'aveva sempre fatto: accompagnare le figlie quando il sole era calato per evitar loro incontri spiacevoli. Ma all'improvviso questa premura le sembrò una beffa. "Perché vuoi accompagnarmi, se mi ritieni una grezalis? Lasciami andare da sola, magari ti porterò un guadagno in più a casa!" fu tentata di gridargli contro, ma si morse le labbra.


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Arrivata a casa, le fu chiaro che i suoi famigliari avevano parlato, mentre lei non c'era. Bethia era già a dormire, le dissero, e sua madre aveva il volto rigido, fisso come quello di una statua. Non c'era da aspettarsi niente di buono da quell'espressione, che Viviana indossava ogni volta che voleva nascondere qualcosa: un dolore, una cattiva notizia...
«Cosa dobbiamo fare con te, bambina mia?» La sentì sussurrare mentre le passava accanto per sedersi.
Colin non aveva sentito niente, e le domandò: «Forse ti degnerai di dire a me e a tua madre cosa ti aspettavi di ottenere con il tuo comportamento?»
«Non mi aspettavo di ottenere niente, papà. Ti ho detto come sono andate le cose, ma se preferisci non fidarti di me non so cosa dirti.»
«Allora continui a negare?»
«Io non nego niente, ve l'ho detto cos'è successo!»
Due paia d'occhi la fissavano severamente dall'altro lato del tavolo.
«Volete... volete che vi mostri i miei lividi, i segni che ho sul corpo?» Domandò, vergognandosi per le proprie parole, con un fil di voce.
«Come puoi parlare in questo modo ai tuoi genitori? So io di cos'hai bisogno, Aurora: di un uomo che ti rimetta in riga. Pensi forse, per il fatto che ti lasciamo così libera, di poter fare tutto quello che ti pare?» Suo padre alzò la voce, rosso in viso per la rabbia. L'immagine e le parole la spaventarono un po', ma la irritarono molto di più.
«Un uomo che mi rimetta in riga?» Gli rispose, polemica. «E dove lo troverai, adesso, uno che mi voglia? Quanto a me, non ho la minima intenzio...» Uno schiaffo la zittì, prendendola in pieno sulla cicatrice, da cui riprese ad uscire qualche goccia di sangue.
«Quello che hai intenzione di fare, ormai, lo decido solo io, ragazzina.» Riabbassò la voce. «Donal è disposto a prenderti in casa sua, se sarai diligente e rispettosa come devi. Dannazione, come lo sei sempre stata fino a qualche giorno fa... proprio questo doveva succedere, alla vigilia delle nozze di tua sorella?»
«Ma non sono stata io a... oh mamma, nemmeno tu mi credi? E non dici niente? Prendermi in casa sua, quando è stato lui a mancarmi di rispetto! Io non ho fatto niente di male, ve lo giuro, come posso dimostrarvelo? L'hai detto anche tu, papà, che sono sempre stata brava, allora come puoi credergli?»
I genitori tacquero, e non le sfuggì lo sguardo che si scambiarono. Allora, dovevano aver già considerato la possibilità che lei fosse nel giusto. L'avevano scartata? O avevano deciso che era più comodo in questo modo?
«Bambina,» le disse la madre, «noi non sappiamo cosa credere. Tu sei sempre stata un'ottima figlia, così come Donal è un ottimo genero. Ad ogni modo, prima o poi avresti dovuto sposarti e andar via da casa, lo sai. In qualsiasi modo siano andate le cose, capisci bene che sarebbe difficile per te trovare un marito.» Bel modo di dirle che nessuno l'avrebbe voluta, disgustato da lei! «E Donal è uno della famiglia, sarà il marito di tua sorella, e ha proposto di accoglierti nella sua casa come se tu fossi la sua... ecco, la sua stessa sorella.»
Viviana aveva usato la parola breda con l'intonazione che significava sorella, parente.
"Sorella, eh? Mamma, hai sbagliato intonazione, io direi piuttosto la sua amante!" Sentì la pelle d'oca sulle braccia.
«Ma io non posso tollerare nemmeno la sua vista, lo sapete! Ti prego, papà, non pensarci. Resterò una brava ragazza, nonostante quel che è successo. Voglio stare con voi, e aiutarti nel negozio.»
«Ma cosa dici? Non capisci che non puoi neanche pensarci? Dovresti ringraziarci per non averti buttata in mezzo alla strada!» Nonostante la mediazione della moglie, l'uomo era ancora irritato, e non voleva sentire ragioni. Aveva lo sguardo ostinato, ed Aurora sapeva che non sarebbe tornato sulla sua decisione.
«Su, chiya, sei grande ormai e devi prenderti le tue responsabilità. Tuo padre è arrabbiato, ma rabbia o non rabbia prima o poi... Donal lo conosci già e potrai stare con Bethia. A pensarci bene, è la soluzione migliore e lo capirai anche tu. Noi ti vogliamo bene, e facciamo quel che è meglio per le nostre bambine. Oh, non fare quella faccia, siamo tutte spaventate quando...»
S'interruppe bruscamente, ma Aurora immaginò facilmente il resto della frase: siamo tutte spaventate quando stiamo per sposarci, per legarci a un uomo. Ma lei aveva già affrontato la prova più spaventosa, no?
Il padre riprese il discorso: «Ad ogni modo, la decisione è presa, Aurora, e a dire il vero questo fatto ha solo accelerato le cose perché avrei dovuto pensare a te già da tempo e questa è la soluzione migliore. Vai a dormire adesso, non voglio più sentire discussioni.»
Aurora strinse i denti, e se ne andò in camera.
Si infilò nel letto cercando di non far rumore, ma Bethia doveva essere ancora sveglia, per quanto insonnolita, e la chiamò: «Aurora? È vero quello che hanno detto mamma e papà?»
Si prese un attimo per rispondere. Chissà se le avevano parlato, prima che lei arrivasse; chissà cosa aveva sentito del poco che si erano detti in cucina. Cosa avrebbe dovuto dirle? Anche se Bethia era la maggiore fra loro, si sentiva in dovere di proteggerla.
«Bethia, io...» Iniziò, non ben sicura di ciò che avrebbe detto. Ma la sorella la interruppe.
«Comunque va bene. Volevo dirti questo, che non sono arrabbiata con te. Io... beh, ti capisco. Ed è meglio così, no?, siamo sorelle e non sono gelosa di te. Anzi, così potremo restare vicine. Ecco tutto.»
Ecco tutto. Avarra misericordiosa!
Sentì la pelle d'oca sotto la camicia da notte. Per i genitori e la sorella era tutto semplice: lo scandalo poteva essere insabbiato, o meglio evitato del tutto, e non importava cosa pensasse lei. Ma certo: Aurora era solo una ragazza, e ormai non più vergine, cos'altro avrebbe potuto desiderare dalla vita adesso? Avrebbe dovuto accettare con gratitudine la pietosa offerta di Donal McLeod e restare al suo posto. E niente più cavalcate, niente più decorazioni sui vasi o erbe aromatiche da trapiantare, ma soltanto fusi, telai, conserve e Donal nel suo letto a notti alterne fino alla vecchiaia, sempre che non fosse morta di parto. Si impose di respirare lentamente, finché il nodo alla gola che minacciava di soffocarla non passò.
Doveva esserci un'altra possibilità! Non poteva andare così, non se lo meritava! Era stata una brava ragazza per tutta la vita ed ora si trovava costretta a pagare le malefatte di quel verme... non l'avrebbe accettato. Piuttosto, poteva tornare in cucina, ora che i suoi dormivano, e prendere quello stesso coltello con cui aveva detto di essersi ferita. Sapeva dove tagliare: sui polsi, dove si vedono in trasparenza i vasi sanguigni, o sulla gola, come si faceva per gli animali da scannare. Per un attimo si sentì davvero sul punto di farlo, ma non riuscì ad alzarsi dal letto. Tremava come se fosse stato inverno, mentre Bethia aveva già buttato a terra le sue coperte per il caldo.
Non voleva morire. E non voleva vivere in quel modo.
Ma cosa le restava, se i suoi genitori non la volevano più con sé, se suo padre era disgustato da lei?
Una ragazza non poteva certo vivere sola!
"Eppure ci sono delle donne che lo fanno. Un paio di mesi fa ne sono passate due dal villaggio: avevano i capelli corti, i pantaloni ed un coltello alla cintura..."
Sentì che le lacrime le pizzicavano di nuovo gli occhi. Oh, non poteva essere quella, l'unica soluzione!
"Beh, posso sempre andare di là ed ammazzarmi. Mio padre e quell'altro mostro sentirebbero i sensi di colpa ma io resterei morta, mentre è Donal che voglio veder morto. No, non posso morire per questa ingiustizia. E tutta l'onta di essere un'Amazzone, credo, deriva dal fatto di essere forte e capace come un uomo, e di riconoscerlo apertamente. Al tornio sono già più brava di quanto non lo fosse mio fratello, e papà diceva sempre che l'avrei superato in fretta, allora perché non dovrei riconoscerlo? Sono in grado di portare avanti la casa, di lavorare l'argilla e di coltivare l'orto, perché dovrei aver bisogno di un uomo che si senta libero di farmi tutte quelle cose?"
La consapevolezza si fece rapidamente strada dentro di lei. Era forte ed abituata al lavoro fin da piccola. Sapeva mandare avanti una casa, come ogni donna, e sapeva lavorare come un uomo. Non aveva la minima intenzione di sposarsi, ora meno che mai, se anche qualcuno l'avesse voluta in quello stato. Se fosse rimasta lì, beh, il suo destino era già stato deciso.
"Dicono che le Amazzoni... le Rinunciatarie mi pare si dica... Dicono che siano tutte menhiedris ma quelle che erano passate dal villaggio non hanno fatto niente a noi altre e non sembravano legate che come me e Bethia. E comunque preferirei di gran lunga una donna a un uomo! E dicono che abbiano dei costumi licenziosi, ma sarebbero capaci di dirlo anche di me, che sono stata costretta. Ad ogni modo preferisco essere una svergognata per davvero, piuttosto che sentirmelo dire per le colpe degli altri!"
"Sì, me ne andrò. Potrò sempre tornare, un giorno, per spiegare le mie ragioni, anche se dubito che mio padre le capirebbe. Tornerò per Bethia, forse. Ma adesso non posso permettere che decidano per me. Non questa volta."
Si sentiva forte, come mai era stata nei giorni scorsi, nelle scorse settimane. Si alzò in silenzio e si rivestì, appuntandosi la treccia sulla testa con un fermaglio di legno. Aveva indossato dei calzoni larghi che erano stati di suo padre, e che usava ogni tanto per cavalcare, quando glielo permettevano. Si mosse silenziosamente per la casa, raccogliendo quel che le sarebbe servito per il viaggio: pane, formaggio e frutta secca sarebbero andati bene come cibo, poi il mantello di lana e un cambio d'abiti. E, diamine, qualche moneta dal nascondiglio, sotto una pietra non fissata del camino!
Pensò che avrebbe potuto andare a Caer Donn, che distava pochi giorni di viaggio tranquillo: lì c'era una Gilda che sperava l'avrebbe accettata. Subito dopo scosse la testa: a Caer Donn c'erano amici di famiglia e lontani parenti, e vi si recavano di tanto in tanto. Sarebbe stato facile rintracciarla e trascinarla di nuovo a casa, a compiere un dovere che non le spettava.
Ma c'era un villaggio, non tanto lontano, una valle dove era difficile arrivare... ne aveva sentito dire qualcosa in giro, anche da quelle Rinunciatarie quando le aveva viste al pozzo. Un villaggio con una piccola Gilda, dove i suoi genitori e Donal non sarebbero forse mai venuti a cercarla o, se l'avessero fatto, la legge l'avrebbe difesa perché, per allora, sarebbe stata una Rinunciataria anche lei. Elvas.
Oltre a Preciosa, i suoi genitori le avevano regalato un altro fermaglio per le belle occasioni, una farfalla di legno rossastro delicatamente intagliato, che Bethia le aveva invidiato tanto. Quando si fosse tagliata i capelli, non le sarebbe più servito, si disse. Lo prese dalla cassapanca, implorando gli Dei perché il rumore dei cardini di legno non svegliasse nessuno, e lo strinse tra le mani. Qualsiasi cosa ne pensasse lei, Bethia era felice di sposarsi, e quel fermaglio sarebbe stato benissimo con il vestito rosso e verde che si sarebbe fatta fare. Si avvicinò al letto della sorella, che dormiva semiscoperta, dandole le spalle, e lo fece scivolare sotto il suo cuscino.
Poi andò a prendere Preciosa.









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Disclaimers

la vita di Aurora MacColin cambia improvvisamente in maniera drammatica, spingendola ad abbandonare la famiglia.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008