Illa era restata appoggiata alla porta da quando Bertrand era uscito. Si era sentita molto stupida per tutto il tempo, soprattutto perché non riusciva a sentire nulla di quello che Dana e l'altra Amazzone si stavano dicendo oltre la spessa lastra di legno.
Aveva passato l'intera giornata cercando di non pensare a quel momento, ma inevitabilmente la sua mente era corsa spesso alla ricerca di quella di Dana, dandole ragione riguardo alle sue presunte capacità telepatiche. L'Amazzone non aveva fatto commenti, aveva solo accarezzato la sua presenza accanto alla propria mente, senza cercare di forzarla ad un contatto più completo o allontanarla infastidita.
Verso sera la caviglia aveva cominciato a farle male. L'articolazione, ancora irrigidita dai danni subiti due notti prima, aveva cominciato a gonfiarsi e lo stivale era diventato una tortura inimmaginabile. Ovviamente dalle sue labbra non era uscito un solo lamento e nessuno dei suoi uomini aveva notato alterazioni nel suo modo di fare. Solo all'interno della sua camera, al riparo da occhi indiscreti, Illa aveva ceduto e, dopo una lunga lotta per togliersi la calzatura, aveva dovuto ammettere a se stessa che avrebbe necessitato di qualche giorno di riposo.
Ovviamente questo non era possibile. Doveva portare a termine l'incarico che si era assunta nei confronti della comynara e, una volta lasciata la donna alla corte di Rakhal Ridenow, lei e il suo gruppo sarebbero dovuti ripartire subito, per riunirsi agli altri componenti della banda che li stavano aspettando al castello di Diego Ridenow.
E in quel momento, mentre se ne stava aggrappata alla porta cercando di capire cosa stesse trattenendo Dana, la sola cosa a cui riusciva a pensare era come la donna sarebbe riuscita a farle passare quel fastidioso dolore alla caviglia. Poi, risolto quell'inconveniente... improvvisamente si rese conto che non aveva idea di cosa sarebbe venuto poi.
Per anni aveva immaginato cosa avrebbe potuto fare con Dana, un insieme di sogni irrealizzabili che spesso avevano riempito le sue notti solitarie, ed ora, alla consapevolezza che sarebbe riuscita veramente a concludere qualcosa con lei, tremava al pensiero come una vergine alla sua prima notte di nozze.
Non aveva mai voluto dare ascolto ai pettegolezzi che giravano su Dana, così come su tutte le altre fanciulle di casa Ridenow. Sapeva che era quasi impossibile che non avesse mai avuto esperienze ma, altrettanto sicuramente, era lei quella più esperta in materia. Non aveva mai scelto compagnie femminili per sfogare i suoi istinti, assurdamente le era sempre sembrato un modo per non tradire il suo amore non corrisposto, ma sapeva come soddisfare chi aveva il coraggio di dividere il letto con lei.
Il rumore del chiavistello che veniva azionato la fece sobbalzare. Con rapidità, dando il colpo di grazia alla caviglia dolorante, si precipitò sulla bassa poltrona che era stata posta davanti al caminetto. Grazie al suo innato senso degli affari, Illa riusciva sempre a convincere i proprietari delle locande in cui si fermava a lasciarle una delle camere meglio arredate, spesso anche quando non vi era nessuna di queste camere libera per il suo arrivo.
Dana aveva socchiuso la porta, restando per un istante ferma sulla soglia. Era ancora girata verso Danila, la capo carovana, ma l'espressione che aveva sul volto fece perdere un colpo al cuore di Illa.
«Ma sono convinta che abbia smesso di darmi per scontata da quando ci siamo rincontrate pochi giorni fa,» stava dicendo, rivolta alla Sorella. Poi, sorridendo enigmaticamente, aveva finalmente varcato la porta, chiudendola dietro di sé.
Illa era come sprofondata nei morbidi cuscini della poltrona. Non sapeva perché ma l'espressione di Dana la metteva in imbarazzo. Forse non era ancora pronta a quello che sarebbe potuto accadere tra loro. Dana sembrò percepire la sua tensione perché, avvicinandosi, assunse un'espressione più seria e un'ombra di delusione attraversò il suo sguardo.
«Qualcosa non va?» chiese alla mercenaria, sedendosi ai piedi della poltrona, sfiorando con una mano il tessuto della camicia.
Illa deglutì a vuoto. «La caviglia,» disse con tono quasi colpevole. «Fa male...»
La trasformazione in Dana fu quasi impressionante. In una frazione di secondo tornò ad essere la leronis guaritrice, il cui unico interesse era portare giovamento all'anima tormentata che aveva di fronte. Con tocco leggero controllò la caviglia. Il gonfiore era evidente ma non c'era nessun danno profondo, le bastarono solo pochi istanti per risolvere il problema.
«Domani andrà meglio,» il tono era quasi freddo. «Però dovresti cercare di mantenere il bendaggio, anche se non la sforzi serve a sostenerla.»
Illa annuì, senza dire nulla. La mano di Dana era restata sulla sua gamba, a contatto della sua pelle nuda e la sensazione che arrivava da quella piccola parte del suo corpo la mandava completamente in confusione.
Dana avvertì il caos nella mente della donna e, a malincuore, interruppe il contatto, lasciandosi andare contro la poltrona.
«Dimmi cosa vuoi,» le chiese. «Io non riesco più a capire, non distinguo più tra i miei desideri e i tuoi e, adesso, non sono neppure sicura di aver sentito qualcosa arrivare da te.»
Illa si era alzata, con troppa energia per la caviglia appena curata. Stringendo i denti era arrivata fino alla porta, senza riuscire a capire quale fosse la parte che le doleva di più, se la caviglia o il cuore.
«Te l'ho già detto questa mattina,» il tono di Dana si era fatto più basso ed era evidente che pronunciare quelle parole era per lei molto doloroso. «Se vuoi che me ne vada, non devi fare altro che dirmelo,» sospirò, sperando che l'altra dicesse qualcosa, qualunque cosa. Non ricevendo nessuna risposta si alzò lentamente, sistemandosi i vestiti con gesti meccanici. «Quando ci rivedremo, spero che quello che è accaduto non ci sia di intralcio,» concluse, facendo un passo verso la porta.
Illa si sentì crollare il mondo addosso. Aveva passato metà della sua vita desiderando quella donna e, adesso che ne era incredibilmente ricambiata, stava facendo di tutto per farla scappare lontano da lei.
La mano della mercenaria si strinse sul chiavistello della porta, chiudendolo con decisione.
Dana si fermò dove si trovava, indecisa su come comportarsi. Dopo tutti i cambiamenti a cui aveva assistito non riusciva più a capire cosa volesse veramente Illa. Per contro, la mercenaria non sembrava intenzionata a staccarsi dalla porta. Aveva compiuto un gesto che riteneva definitivo ma, come l'altra, adesso non sapeva più cosa fare. Non era abituata ad affrontare problemi del genere, non si era mai esposta così tanto a livello personale e aveva paura.
A tutto ciò si univa il fatto che, se solo avesse tentato di fare un passo staccandosi dal sostegno che le offriva la porta, sarebbe caduta lunga distesa. La caviglia aveva ripreso a farle male e non avrebbe retto un istante di più.
«Dana,» la voce era quasi un sussurro, «se non mi aiuti resteremo così fino a domani mattina...»
L'assurdità della situazione sbloccò l'Amazzone che, trattenendosi dal ridere, si avvicinò alla mercenaria, cingendole la vita e sostenendola verso il letto. Girandosi a guardare la donna, Illa si sentì molto stupida ma, forse, era il diversivo che ci voleva per rompere la tensione che si era creata.
Aiutandola a salire sull'alto materasso, le mani di Dana scivolarono sotto la camicia di Illa. I loro corpi, sovraccaricati dalla tensione accumulatasi in quegli ultimi minuti, reagirono immediatamente e nessuna delle due oppose resistenza. Nel momento in cui le loro labbra si sfiorarono Illa sentì la propria mente espandersi. La sensazione era la stessa che aveva provato durante le scalate sui passi più alti. L'aria rarefatta le aveva fatto sentire la testa leggera ma, in quel momento, era come se la sua coscienza si stesse assottigliando, come se il velo che l'aveva sempre avvolta, oscurandole la vista interiore, stesse per strapparsi.
Mentre i loro corpi si facevano più esigenti, Dana cercò istintivamente il contatto con la mente di Illa. Il sottile velo che ancora separava la mercenaria dalla sua essenza di telepate si squarciò sotto la pressione della mente di Dana e, come un lampo, si ritrovò circondata dall'essenza più pura dell'Amazzone.
Le sensazioni della donna l'invasero, mescolandosi alle sue e aumentando così di intensità. Assurdamente il primo pensiero fu quello sentirsi circondata da fiori e l'immagine di Dana, una bambinetta di neppure due anni, immersa in un cesto colmo di ranuncoli pronti per essere essiccati spuntò da un angolo nascosto della sua memoria.
La mente di Dana, ormai legata alla sua, lesse il ricordo e strinse Illa contro di sé, con ancora più forza. Era il primo ricordo che la mercenaria aveva di lei, anche se non era quello che l'aveva fatta diventare il suo desiderio irraggiungibile.
Illa si allontanò dal corpo della Rinunciataria, rialzandosi in ginocchio e cominciando a sfilarsi gli abiti che ancora aveva addosso. Dana restò a guardarla, trattenendo il respiro in attesa di vederla, per la prima volta, senza quegli indumenti che erano in realtà la maschera che separava Illa dal resto del mondo.
Senza più nulla indosso, il corpo di Illa sembrava quello di un'adolescente, con solo un lieve accenno di quelle caratteristiche che potevano distinguerlo come femminile. I muscoli ben disegnati guizzavano alla luce del camino mentre la sola cosa che forse poteva definirne chiaramente il sesso era la mancanza di qualsiasi attributo maschile.
L'accurata ispezione di Dana fu interrotta dallo sguardo della mercenaria che, dopo un sospiro di malcelata sopportazione, si affrettò a completare la svestizione anche della compagna che, senza opporre resistenza, la lasciò fare.
Illa aveva seguito il corso dei suoi pensieri e, senza volerlo, si trovò a paragonare il proprio fisico a quello ben più generoso dell'Amazzone. Chiunque avrebbe compreso i suoi sentimenti e il desiderio di possedere la donna che aveva davanti in quel momento ma nessuno poteva essere in grado di spiegarle cosa Dana trovasse in lei.
Per tutta risposta Dana strinse forte a sé Illa. "Lasciati andare," la sollecitò, cercando uno spiraglio nella mente ancora impreparata della donna. "Puisín..."
Illa sentì un brivido percorrerle la schiena. Dana l'aveva chiamata poche volte con quel soprannome, trovatole da Clive quando era ancora molto piccola. Erano pochi quelli che si erano mai azzardati a farlo e l'Amazzone, fino a quando non aveva cominciato la sua spola tra il castello e la Torre di Neskaya, apparteneva a quell'esigua lista.
Per un breve istante, seguendo l'eco del voce di Dana, a Illa sembrò di raggiungere una sorta di deserto incolore, freddo e inospitale. La sorpresa e l'assoluto senso di irrealtà che quel luogo le dava la fece ripiombare nella realtà più carnale che ben conosceva.
Si staccò dal bacio, posando lo sguardo sul volto di Dana che, invece che essere contrariata della sua scarsa disponibilità, la stava guardando sorridendo.
«Non deve spaventarti,» le sussurrò in un orecchio, tirandole la testa nuovamente verso il suo viso. «Non hai il laran, quindi non puoi aver raggiunto il sopramondo.»
"Bak'ha!" fu la risposta della mercenaria.
Dana trattenne il fiato quando le dita di Illa la sfiorarono ancora e, senza volerlo, sentì i muscoli che si irrigidivano. La mercenaria fermò la mano dove si trovava, fissandola interrogativamente.
«Se non vuoi mi fermo,» le disse, baciandola dolcemente. "Non siamo costrette a fare nulla di più."
Dana si strinse alla compagna. "Domani saresti capace di cambiare idea di nuovo," rispose tristemente.
"Domani non saremo più insieme," le fece notare la mercenaria.
Un'ondata di quella che poteva essere malinconia investì Dana che aprì ancora di più la propria mente, per permettere alla mercenaria di percepire senza ostacoli quello che anche lei provava. Le loro menti erano fuse in un legame che andava ben oltre il contatto generato dalla vicinanza fisica. I pensieri comuni, celati l'una all'altra per anni, si erano come mescolati, lasciando ad entrambe la consapevolezza che nulla avrebbe potuto più separarli.
Trattenendo la nuca della mercenaria con la mano libera, Dana lasciò che la donna la guidasse in un lungo bacio, mentre cercava avidamente il contatto con la mente della compagna.
L'Amazzone poteva percepire perfettamente le emozioni e il caos che la sua vicinanza aveva portato nella vita controllata e imperturbabile della mercenaria.
La sorpresa per il loro incontro, l'improvvisa consapevolezza della sua vicinanza e della possibilità di contatto tra di loro, la paura che ciò accadesse e il timore di essere rifiutata.
Dana conosceva Illa da sempre, ma di lei sapeva solo quello che gli altri le avevano raccontato. La mercenaria subiva senza poter reagire l'alternarsi dei ricordi e delle sensazioni nella mente della telepate, tutte le emozioni che l'Amazzone aveva provato dal loro primo incontro fino a quel momento.
L'insieme, apparentemente incoerente di immagini e di sensazioni, non sembrava turbare o rallentare le reazioni dei loro corpi. Quando la cascata emotiva di Dana sembrò travolgerla, Illa si aggrappò con più forza alla compagna.
Riprendendo in parte il dominio della situazione, Illa riuscì ad arginare gli echi della memoria della compagna, ma ormai il canale tra le loro menti era stato aperto e frammenti di ricordi di cui non aveva coscienza affiorarono alla superficie, come richiamati da quelli di Dana e prontamente assorbiti dalla telepate.
Il ricordo di lunghi pomeriggi passati in compagnia del gigantesco Clive, accanto alla allor giovane e piacente Fran, controllando con occhi preoccupati i primi passi di Dana. Le interminabili ore trascorse nelle cucine, ad osservare la coppia di amanti scambiarsi tenerezze, mentre cercava di non farsi coinvolgere dai giochi per lei incomprensibili della piccola comynara. Le passeggiate nella serra, lei e Dana per mano a Fran, mentre controllavano le piante messe ad essiccare o si procuravano le spezie per la cena...
L'Amazzone non aveva ricordi dei suoi primi anni di vita, ma la figura piccola e perennemente imbronciata di Illa, costretta a soli otto anni ad unirsi alla banda di mercenari capitanata dall'uomo che l'aveva adottata, sembrava essere stata sempre presente nella sua mente e rivivere quei momenti attraverso la memoria della compagna era qualcosa che non aveva mai provato prima.
Il fluire dei ricordi del loro passato, e la scoperta di aver da sempre conservato le emozioni legate l'una all'altra, le distrasse quel tanto che bastava per provocare un lento calo del desiderio. Invece che giungere all'apice del piacere fisico, le loro menti sembrarono unirsi in una spirale di sensazioni che le riportò a varcare i confini del sopramondo, sublimando la potenza di quello che stavano provando nella raffigurazione astrale del loro laran.
Questa volta Illa non si ritrasse spaventata dall'ambiente spoglio e inospitale che la circondava. Si aggrappò alla presenza della compagna e lasciò che le piante che sembravano avvolgerla la stringessero ancora più vicino a lei.
"Loro sono il modo con cui io visualizzo il mio potere," le spiegò dolcemente, lasciando che i rami la accarezzassero e la stringessero, attenta a non causarle dolore. "Ogni telepate vede il proprio laran in maniera diversa. Anche tu troverai il modo di visualizzarlo..."
Illa afferrò un viticcio, che sembrava cercare titubante il punto migliore dove posarsi, tirandolo verso di sé come per osservarlo meglio. «Io non ho il laran,» obiettò con forza. «Non vedrò nulla in nessun modo!»
Dana ridacchiò. Sapeva che la donna non si sarebbe arresa neppure davanti all'evidenza dei fatti. Lasciò che la sua energia la circondasse, avvolgendola dolcemente come l'edera sembra fare con i muri delle costruzioni poi, come la pianta rampicante, lasciò che le radici dei rami scendessero in profondità, incuneandosi tra le crepe e gli spazi che esistevano nella parete di incredulità della mercenaria. Lentamente ma inesorabilmente, le radichette arrivarono a toccarne la parte più intima e Dana restò in attesa di una qualche reazione.
Era una comunione che poteva esistere solo tra persone non solo dotate delle stesse capacità ma anche profondamente in sintonia tra loro. Nessun telepate, per quanto vicino ad un suo simile, avrebbe mai lasciato che un contatto di quell'intensità giungesse sino a quel punto.
Lentamente Illa sembrò reagire a quell'intrusione della sua intimità e, per quanto si ostinasse a negarlo, le sue poche capacità telepatiche si mobilitarono in difesa. Risalendo sinuosamente da un punto imprecisato del suo essere, la forma ancora abbozzata ma chiaramente riconoscibile di un animale quasi leggendario arrivò in superficie e si strinse attorno al fusto da cui i rampicanti di Dana sembravano generarsi.
L'Amazzone restò per un istante stupita davanti alla raffigurazione del potere più intimo della compagna poi, lasciando che le spire del drago nero si avvolgessero attorno al suo corpo, creando un intrico indissolubile tra le loro strutture, accarezzò la schiena della donna, riportando le loro coscienze all'interno dei rispettivi corpi.
«Un drago?» chiese alla fine, strappando un sospiro irritato dalle labbra di Illa.
«Meglio le tue piante?» fu la replica della donna, mentre tornava ad avvicinarsi alla compagna.
Le loro bocche si cercarono quasi immediatamente e, altrettanto rapidamente, le loro menti si fusero in una sola.
Come intrappolate tra le sensazioni fisiche dei loro corpi e la fusione delle loro essenze, le due donne potevano vedere con l'occhio della mente le due raffigurazioni del loro laran strette in un solido e spasmodico abbraccio.
Le spire del drago avvolte in quelle dei rampicanti che, suddivisi in mille ramificazioni, si insinuavano in ogni spazio lasciato libero dalle lucenti scaglie. I due corpi fusi insieme sembravano essere generati da un unico punto d'origine, cosicché era impossibile riconoscerli come due entità separate.
Quando la fusione fu completa in entrambi i mondi, fisico e astrale contemporaneamente, Dana e Illa si strinsero con forza, accasciandosi poi l'una contro l'altra, entrambe senza più energia.
Passarono il resto della notte strettamente abbracciate, condividendo e assaporando il più profondamente possibile quelle poche ore che potevano trascorrere ancora insieme.