[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti][E.S.T. pE -1, ottobre] [Credits & Disclaimers]



Il dono della chieren

Dannil Macrae y Lindir-Aillard

Il messaggero era arrivato la sera prima, un uomo fidato di mio zio Mical Macrae-Leynier. Il messaggio era breve e non lasciava spazio a dubbi di sorta sulla richiesta di aiuto. Ne avevamo discusso per buona parte della notte e anche al risveglio.
«Dobbiamo andare Dannil, non si può aspettare cosa deciderà la mamma... è ora di scegliere,» esclamò mia sorella, in piedi davanti a me.
«Ma è la domna!» dissi io. Non ero entusiasta di andare a Three Widows Bay proprio adesso che il lavoro nei campi era finito.
«Non possiamo evitarlo,» sentenziò lei. Era sempre stata la più indipendente fra noi due e la più sicura del proprio dovere. E in fondo aveva ragione.
«Va bene. Avverto Juliano e il coridom?» chiesi.
«Sì. Io torno dalla mamma e cerco di farla ragionare. La lettera era indirizzata a lei, ma l'aiuto al kiyu lo possiamo dare solo noi.»
«D'accordo.»
Il mio compito era una passeggiata in confronto con quello di lei: parlare a Domna Alarice Lindir-Aillard, signora di Hollow Tree fino ai miei sedici anni. Così aveva disposto mio padre nel suo testamento. E i Macrae seguivano l'uso delle pianure e la discendenza maschile. Non che questo importasse, poiché appartenevamo al Dominio Aillard da così tanto tempo che le donne avevano conquistato tutti i diritti anche in seno alla famiglia e non c'era stata nessuna decisione di mio padre che non fosse stata condivisa o osteggiata da mia madre. Era negli ultimi tempi, quando mia sorella ed io avevamo ottenuto molta più autonomia, che mia madre aveva discusso con noi le sue decisioni e in un paio di occasioni Arliss l'aveva convinta a cambiarle. Eppure il vecchio problema di Domna Alarice era sempre stato cedere il potere ai suoi figli, poiché questo significava che essi stavano crescendo e stavano sviluppando il loro donas così pericoloso. Il laran ci aveva divisi... fin da bambini io e Arliss avevamo la capacità di leggere il pensiero altrui e potevamo parlarci senza usare la voce. In quel periodo mia madre e mio padre ci guardavano orgogliosi e felici. Poi mio padre era morto in un incidente di caccia e la sua sposa l'aveva seguito a modo suo, chiudendosi in un malinconico silenzio. Non aveva mai usato davanti a noi la sua matrice, che teneva in un cassetto della cassaforte dello studio, ma possedeva un laran di prim'ordine, raro e forte. Odiava le Torri e rifiutava di affidarci a leroni sconosciute e non della famiglia. Quando giunse il malessere della soglia, mia sorella fu mandata dalle nostre parenti Aillard a Dalereuth; non alla Torre, ma dalla Madre del Dominio. L'esperienza cambiò il donas di mia sorella e lo rese molto sensibile. Nostra madre sembrò smettere di volerle bene e di fidarsi di lei, per un certo tempo. Poi, solo due anni fa e troppo doloroso per ricordarlo, il malessere della soglia colpì me con tutta la sua terribile forza e fui trasportato a Castel Aillard su una lettiga, febbricitante e immerso nelle visioni del delirio. A quel punto mia madre e mia sorella pervennero ad una fragile pace e mi accompagnarono, preoccupate a morte. Ero l'ultimo Macrae maschio e dovevo sopravvivere e generare a mia volta dei figli.
Sopravvissi e ebbi il mio potere cambiato e sensibilizzato. La leroni Aliciana aveva detto che avevo in pieno il donas Macrae, come anche mia sorella. Mia madre accolse la notizia con un triste orgoglio e con un'emozione per lei insolita: la paura.
Erano passati due anni da allora e avevo ricevuto l'addestramento direttamente dalla Madre e da mio zio Mical. Avevo sostenuto una prova faticosa e terribile ed ora dovevo dimostrare che cosa avevo imparato.
Il fratello di spada di mio padre, da sempre coridom di Hollow Tree, interruppe i miei pensieri ponendosi davanti a me.
«Dannil, che fai quaggiù, dom
«Ti cercavo, kiyu, dobbiamo andare a Three Widows, oggi. Partiamo prima di pranzo.»
«Partiamo chi?» domandò lui.
«Io, Arliss e Juliano. Se puoi privarti di loro anche Robard, Piedro e Romal. Forse ci sarà da spaccare qualche testa.»
«E perché? Tua sorella non deve essere esposta ai pericoli. In cosa vi volete andare a cacciare?» mi interrogò, preoccupato.
Il mio padrino stava esagerando e lo sapeva. Soffocai il mio moto di stizza, poiché la sua preoccupazione era sincera e per me era stato come un padre, ma di questa faccenda volevo occuparmi io.
«Il perché non lo so. Mio zio ha dei problemi e ha chiesto aiuto, quindi andremo là. Scopriremo cosa non va e la metteremo a posto. Poi torneremo.»
«Perché tua sorella?» insistette lui. Aveva imparato a discutere con mia madre e ora aveva a che fare con i suoi terribili figli.
Non risposi. Non c'era una buona ragione per portare Arliss, a parte che io e lei eravamo una persona sola e io avevo bisogno dei suoi consigli, a volte. Lui soppesò il mio sguardo e cominciò a incrociare le braccia sul petto. Errore. In questa cosa non poteva imporre la sua idea, non a me! Lanciai un richiamo alla sua mente e l'ebbi vinta.
«Va bene. Ma state attenti. Romal è nelle stalle: gli dirò di sellare Alar e Visione, per voi do'myn. Non mettetevi nei guai, altrimenti vostra madre mi storpierà i piedi!» disse, poco convinto. Assentii alle sue parole e tornai verso casa. Avevo scelto un buon gruppo, in grado di risolvere ogni problema: Piedro e Robard erano robusti soldati, Romal era un cacciatore abile e sapeva seguire qualsiasi traccia, Juliano era il mio uomo giurato ed io e Arliss potevamo sopperire a tutto il resto. Non ero uno sprovveduto. Il nostro laran poteva gestire tutte le situazioni possibili, a parte tormente di neve o incendi. Se anche c'era un esercito contro di noi, ne avremmo avuto ragione! Subito dopo quell'ultimo pensiero mi fermai, sollevando la testa come ad annusare il vento. Percepii un diverso tipo di tormenta... e mi dissi che non ci si poteva difendere da ogni cosa in assoluto: mia madre e Arliss stavano litigando di nuovo. Presi a correre e le raggiunsi tra la sala e la cucina.
«Tu non andrai, punto e basta!» stava gridando mia madre. La cuoca e la vecchia tata, dietro a lei, assentirono con forza come a prestarle energia.
«Io andrò, mamma. Il kiyu ha chiesto il nostro aiuto.»
«Non mi importa. Si è mai vista una ragazza della tua età correre a combattere insieme ai soldati?» chiese infuriata.
«È vero, bambina. Se ne occuperà tuo fratello che ormai è grande,» intervenne la tata. Il vecchio volto tirato dalla preoccupazione.
«Tu stanne fuori!» disse mia sorella, fredda.
«Non ti permettere di parlare così a Dorian, ti ha fatto da madre!» sbottò mia mamma.
«Non mi serve più una balia. E non ne serve una nemmeno a Dannil!»
Arliss stava raggiungendo il calor bianco. Mi avvicinai al gruppo e mi posi dietro a mia sorella. «Che succede? Vi trovo a discutere come sempre!»
«Tua sorella vuole venire con te!» cominciò mia madre, mi guardò un solo istante e strinse i pugni. Aveva letto solo superficialmente i miei pensieri ma aveva capito quello che stavo per dire. «E tu sei d'accordo, vero?»
«Sì. Perché non dovrebbe venire?»
«Non sapete dove state andando! Vostro zio non ha detto altro che c'è bisogno d'aiuto e di fare in fretta.»
«E tu hai perso già mezza giornata,» la interruppe Arliss, «e ora stai facendo ritardare noi!»
«Stupida ragazzina... pensi che sia un gioco?» sibilò mia madre.
«Non lo pensa,» bloccai la risposta poco educata di mia sorella posandole una mano sulla spalla. «Tu cosa ci consigli, madre? Hai una preparazione specifica? Io ho già allestito con il coridom la spedizione e anche lui ha ritenuto opportuna l'inclusione di Arliss.» Una piccola bugia, ma necessaria.
«Allora non sta per niente bene,» ribadì a voce alta la signora di Hollow Tree, «o qualcuno lo ha convinto con mezzi poco leciti!»
"Non usare il richiamo per fare ciò che vuoi!" mi giunse anche il suo pensiero, una stilettata che mi fece sobbalzare.
"Il punto non è questo!" le inviai io. "E il richiamo è precisamente il motivo per cui serve anche Arliss."
"Siete due bambini! Cosa potrete fare se ci sono dei banditi?"
"Non ci sono... e se ci sono il richiamo li sistemerà!" l'interruppe Arliss.
"Non usare il donas dei Macrae come un'arma. Andrai contro il Patto!"
Io e mia sorella la guardammo freddi. "Il Patto!" sbuffai io, con il pensiero.
"Non ti preoccupare di noi. Sapremmo risolvere il problema. E non c'è niente che ci fermerà!" fece mia sorella. Era ovvio che avremmo fatto di testa nostra, quindi la discussione non serviva che a ridurre in pezzi i già delicati rapporti famigliari.
"Benissimo!" terminò mia madre. Prese un respiro profondo e si erse in tutta la sua altezza e dignità.
«Benissimo! Tornate vivi entrambi o...» rimase interdetta un secondo, poi riprese, forse leggendomi la mente «... o storpierò i piedi al coridom
Ci inchinammo a ricevere la sua benedizione e ci voltammo, con un sorriso fra le labbra.
"Hai usato il richiamo?" chiesi a mia sorella.
"No. L'avrebbe solo fatta infuriare... è troppo forte per noi," rispose facendo cenno di no con la testa.
"... già!" commentai sconsolato. Se avessimo potuto usare il richiamo avremmo risolto tutte le liti di famiglia da un pezzo. Mi voltai indietro per guardare mia madre, e con un brivido la vidi con gli occhi di fuoco puntati sulle nostre schiene indifese, « ...e senza usare la matrice!» terminai a voce appena sussurrata.


barra

Il tempo di riunire la squadra e affilare le spade (e i coltelli) e partimmo. Dalla tenuta al villaggio c'era mezza giornata a cavallo, partendo poco prima di mezzogiorno e se non nevicava avremmo raggiunto Three Widows Bay poco prima del tramonto.
«Non mi piace, dom,» commentò Piedro, «non sappiamo cosa ci aspetta.»
«Neanche a me. Ma non abbiamo alternative,» dissi io. Con la mente lanciai un richiamo ad un falco che volava alto sulla valle e lo mandai in avanscoperta. Non avevo il dono di entrare in rapporto con gli animali e vedere attraverso i loro occhi come facevano i MacAran, ma l'addestramento ricevuto per il mio laran aveva incluso lezioni teoriche e di strategia... tutto quello che si poteva fare con il potere e che veniva ricordato ad Aillard, a parte lavorare in un Cerchio delle Torri dei comyn, allora io e Arliss lo sapevamo già fare. Non potevamo usare il fuoco o la telecinesi... non avevamo ereditato il laran di nostra madre, se non qualche goccia, ma - come amava ripetere lo zio Mical - se qualcosa possedeva una mente razionale, allora io e mia sorella ce ne saremmo serviti senza riserve! Ed era vero. Non avevamo fatto nessun tipo di giuramento degli operatori delle Torri, nessun laranzu aveva pasticciato con la nostra mente, e il richiamo era un'arma formidabile.
"No, non un'arma. Non l'abbiamo mai usata come arma se non in addestramento e con menti consenzienti," mi dissi, sorridendo alla mia piccola bugia.
"Ci sono menti non-consenzienti?" m'inviò mia sorella, seguendo il mio pensiero, come sempre.
"È questo il punto, vero?" risposi io, voltandomi a guardarla cavalcare al mio fianco. "Quando mai chi riceve il richiamo è non-consenziente?"
"Beh, dopo! Immagino..." sussurrò Arliss. Sorridemmo entrambi alla battuta. Il richiamo non poteva imporre la volontà, come il rapporto forzato degli Alton, ma il suo meccanismo era più subdolo, quasi perverso. Si poteva suggerire a una mente, far desiderare qualcosa e ottenere risposta ai propri desideri. Cominciai a riflettere e a ricordare; una volta la leronis Aliciana mi aveva parlato con molta serietà di comportamento morale.
«I Macrae sono pericolosi per il mondo e il mondo è una costante tentazione per loro.»
«Che vuoi dire, domna?» chiesi spaventato.
«Il nobile comyn che prenda una giovane donna per il suo piacere non deve rendere conto a nessuno, perché è nei suoi diritti. Nessuno si preoccupa della giovane, o del suo promesso sposo, o del padre di lei,» disse lei, a mo' di esempio esplicativo. Certo che ne aveva scelto uno strano... persino a memoria dei monaci di Nevarsin, non c'era stata nessuna donna che non volesse un figlio da un nobile comyn, nella segreta speranza di generare prole dotata di potere.
«Molte donne non hanno scelta, chiedi alle Rinunciatarie quante si rifugiano da loro,» disse Aliciana, seguendo il mio pensiero. La mia mente rimase in dubbio, ma era vero che vi erano molte donne consenzienti. Lo dissi a voce alta.
«Molte donne lo sono, altre danno la caccia ai giovani comyn come lupi ad un chervine, altre vengono prese senza il loro consenso. Ti assicuro che è così!» continuò lei con veemenza, l'esempio la stava portando fuori dal discorso che cercava di spiegarmi. Ma capivo cosa intendeva: il potere ubriacava come e più del vino. Il potere sugli altri uomini era il potere assoluto. «Usa il richiamo solo per difenderti e mai ingiustamente. Cerca sempre un'alternativa,» terminò, con un accenno di tenerezza nella voce. «I cristoforos direbbero che hai un fardello enorme da portare, ma esso è il tuo fardello e solo tu lo puoi portare!»
Era vero. Usavo il potere ancora come un bambino e a volte solo mia madre mi fermava dal comportarmi come un bandito. E anche Arliss era incappata in un paio di errori. Se usato male o egoisticamente il richiamo poteva colpire con forza. Era l'avverarsi di tutti i desideri e in mano ad un adolescente poteva fare molti danni...
Un potere non dava necessariamente la saggezza per usarlo. Potevo farmi amare da qualsiasi fanciulla e obbedire da chiunque. Potevo farmi desiderare da chiunque! Potevo ottenere qualsiasi cosa!
«Perché con un potere simile i Macrae sono così poco importanti?» domandai alla sapiente, non per la prima volta. "Perché siamo vassalli di Aillard e non suoi padroni?"
Aliciana mi sorrise. «Prova ad inviare un richiamo qualsiasi a me.»
«Non potrei, domna,» l'avevo fatto una volta sola, durante la prova del donas, l'anno precedente. Quella volta ero riuscito a ingannare sia Aliciana che mia sorella con un astuto stratagemma, ma non la Madre.
«Potresti, se io non fossi concentrata sulla matrice e sulle barriere della mia mente. Probabilmente potresti lanciarmi con successo un richiamo.»
Assentii. Se mi concentravo con forza e lei era distratta da qualcos'altro potevo prenderla di sorpresa.
«Ma... e poi?» domandò lei. «Io sono addestrata a vedere le interferenze nella mia mente: appena fuori dalla tua influenza mi accorgerei del tuo inganno e dovresti rendermene conto.»
«Ho capito,» risposi. Dato che tutti i regnanti e i comyn erano dotati di laran e quasi tutti venivano poi addestrati presso le Torri, molte persone potevano accorgersi del richiamo.
«Per non parlare delle debolezze legate al tuo donas: sei molto sensibile alle scariche di potere telepatico,» mi disse, sedendosi su una poltrona comoda e prendendomi la mano in un raro gesto per una leronis, «se qualcuno ti inviasse una tale scarica potresti cadere svenuto, perché percepiresti l'equivalente laran di un...» cercò una immagine chiarificatrice, «... dell'urlo di un banshee nella tormenta.»
Assentii. Ricordavo il dolore dei primi giorni del malessere. Solo mia madre, completamente schermata e con uno smorzatore attivato fra le mani mi si poteva avvicinare senza che io sentissi la puntura delle fruste di Zandru e Naotalba dritta nel cervello. La Sapiente prelevò dalla mia mente l'immagine dei ricordi e mi guardò seria... «Allora non avevi protezione dalle menti perché le tue barriere erano state spazzate via dalla nuova sensibilità del tuo laran. Adesso sarebbe più difficile ridurti a quei livelli... ma ti abbiamo quasi perso, questo te lo ricordi?»
Rammentavo poco, sicuramente era stato orribile oltre ogni dire. E ricordavo i sedativi e gli smorzatori, usati separatamente o insieme, il raivannin e persino il kirian.
«Sì. Credo che ai giovani Macrae si diano più droghe telepatiche durante il malessere della soglia che a un Elhalyn in tutta la vita,» commentò stancamente Aliciana.
«Però sono qui, vivo per raccontarlo.»
«E non accettare mai di bere il kirian se non con una Custode Aillard vicino. I tuoi pensieri diverrebbero più sconnessi e pericolosi dei ponti sui baratri degli Hellers!» rise Aliciana, per sdrammatizzare.
Risi anch'io con gusto. Per un attimo immaginai cosa avrei potuto fare con la mente incontrollata sotto l'effetto di un Vento Fantasma. Le immagini mentali mi fecero arrossire e non potei fare a meno di pensare... "Misericordiosa Avarra!"
Tornai nella sicurezza e identità della mia mente dai ricordi, stavo cavalcando verso Three Widows Bay con mia sorella e gli altri. Il vento gelido sbatteva su di noi una pioggia leggera che diventava fastidiosa e ci faceva dannare. La mente di mia sorella era con me, guardava i miei ricordi come avrebbe assistito ad una rappresentazione lirica nel teatro di Thendara. Il suo doppio astrale mi strizzò l'occhio, poggiandomi una mano sulla spalla. "Capisco il dolore... era come se lupi affamati mi strappassero le viscere, ogni volta che captavo un pensiero altrui... solo la mamma e le sapienti riuscivano a non farsi sentire, mentre mi curavano."
"Anche per me, e credo che Aliciana mi abbia salvato la vita."
"L'ha fatto certamente, caryu." Concesse lei, assentendo. Spronò il suo cavallo per raggiungermi, la pioggia si stava infittendo, attorno a noi. «Ma non dimenticare: il suo compito, come quello della mamma e delle sapienti Aillard è controllare che i Macrae non abusino del loro donas. La Madre del Dominio ce le ha affiancate proprio per questo.»
«Non esagerare, breda,» risposi io, «non siamo mica criminali! Abbiamo il nostro onore!»
Lei mosse la testa negativamente. «No: l'onore ci è stato insegnato! Quello che abbiamo dalla nascita è il laran e il nostro sangue. Il richiamo è venuto anch'esso indesiderato, come il mal della soglia, ma l'avevamo già nei nostri geni. L'onore ci è stato insegnato da nostro padre e dalla mamma! E poi le sapienti Aillard hanno voluto controllare che noi fossimo buoni e calmi strumenti della Madre. E ci sono riuscite in pieno.
Fermai il cavallo guardandola avanzare... cosa voleva dire? Qualcuno ci controllava? Avevano pasticciato con le nostre menti? Ripresi a spingere il cavallo con il richiamo e la raggiunsi.
«Che vuoi dire?»
«Hanno l'ordine di controllarci o distruggerci,» disse lei, quieta. «Ti ho raccontato di Danvan Macrae, nostro prozio.»
"Sì." La storia di Danvan Auster Macrae y Aillard era stata eroica e tragica insieme. Un militare che aveva combattuto come generale per Aillard contro gli Alton e i Syrtis, alla fine delle Epoche del caos... forse l'ultima guerra che aveva toccato da vicino il nostro Dominio, così tanti anni addietro che si ricordava come una leggenda. Il nostro prozio aveva usato i Cerchi di sapienti per colpire l'esercito avversario con le armi del potere e la terribile pece stregata, e il terrore che ispirava era così forte che molti nemici avevano cambiato bandiera... così si diceva, ma a chi era a parte del segreto del richiamo era chiaro cosa era successo: i nemici erano vittima del suo potere e desideravano allearsi con lui... unirsi al suo esercito e portarlo in trionfo per le strade di Valeron. Non si conosceva un militare con un carisma così forte. Certo, ma il generale era diventato così potente e in vista che persino gli Hastur avevano cercato di accaparrarselo per i loro eserciti. Danvan era morto avvelenato, si diceva per mano degli Aillard stessi, la sua stella era tramontata per sempre e con lui il suo genio militare.
«Non si sa per certo chi l'abbia ucciso,» precisai io.
«Ma per ordine di chi è facile immaginarlo,» commentò lei, «le Aillard erano le uniche che avrebbero tratto vantaggio dal tenere segreto il richiamo dei Macrae e inoltre sai bene che da allora le Aillard hanno fatto in modo che non si ripetesse mai più. Hanno tenuto sotto stretta sorveglianza ogni figlio Macrae fino a nostro padre e a noi. Hanno impedito che frequentassimo altri comyn...»
Non serviva che continuasse e la fermai con un gesto della mano. Sapevo perfettamente che nessun Macrae, mai, aveva prestato servizio nei Cadetti, nessuno aveva ricevuto l'addestramento delle Torri, neppure quella di Dalereuth. Nessuno era andato a Thendara ai balli di corte o in società. Non eravamo abbastanza ricchi, d'altro canto, per suscitare interesse nelle famiglie. Solo gli Aillard avevano ancora rapporti con noi, cosicché eravamo legati ai nostri dom con tutti i legami possibili, di fedeltà e di matrimonio.
"I prigionieri e i carcerieri insieme," le inviai con il pensiero.
"Già. E senza via di uscita, poiché le Aillard nostre madri sono le guardie di sicurezza."
Anche questo era vero. Solo Aillard dotate di forte potere e escluse dalla successione al titolo e al seggio venivano a parte del segreto. Alcune venivano promesse ai Macrae maschi fin dalla culla e addestrate a controllare il potere dei loro sposi. Altre, come la sapiente Aliciana, dovevano apprendere tutto del donas di famiglia, per lavorare a stretto contatto con noi e i chieren. E su tutte loro la Madre del Dominio, potente come Cassilda stessa e grande alleata dei chieren; nel Dominio aveva diritto di parlare per prima, anche prima della Aillard che aveva il Seggio nel Consiglio dei Comyn, sebbene quest'ultima decideva della politica di tutto il Clan. Capitava di rado che la Dama e la Madre fossero in disaccordo e in qualche occasione, due o tre volte nella storia recente, erano la stessa persona. Forse Sabrina, la figlia maggiore di domna Liane, avrebbe avuto quell'onore. Ma non ne ero sicuro e il mio potere non mi mostrava visioni del futuro come quello degli Aldaran.
Smisi di pensare e mi concentrai sulla strada. Di solito non mi piaceva viaggiare nelle terre che sarebbero diventate mie, preferivo stare nella tenuta e lavorare con gli animali. In questo ero dissimile da mio padre, che restava insieme ai pescatori di Three Widows per quasi tutta la stagione della pesca. Arliss amava il mare, ma non come lui. Nessuno era come mio padre, a pensarci bene.
La strada digradava lentamente verso la costa, il vento proveniente dal mare non era gelido, solo la pioggia mi impediva di godere la cavalcata. Lanciai un richiamo ad un coniglio non molto lontano da noi, fermo davanti alla sua tana. Lo mandai in avanscoperta oltre l'ultima collina e lui si lanciò in una frettolosa corsa ballonzolante. Percepii la sua tranquillità e spinsi un richiamo ancora più lontano, agganciai una mente più insolita (per me, almeno) e un corvo prese a volare curioso sotto la pioggia verso il villaggio. Non c'era nulla di particolare, per quello che potevo capire dalle sue emozioni. Mi avvicinai ad Arliss.
«Non ci sono banditi o briganti,» dissi, veloce.
«Perché? Speravi che ci fossero?» chiese lei, divertita.
«No, che c'entra,» negai. «Certo una bella battaglia mi piacerebbe!»
Lei sbuffò al mio indirizzo con disprezzo. «Uomini!» alzò la mano sinistra con impotenza. I soldati, dietro a noi, si guardarono l'un l'altro divertiti.
«Damisela. Non avercela con il giovane dom! È bene che voglia mostrare la sua abilità con le armi e il comando,» disse Piedro con voce stentorea.
«È un uomo, ormai,» aggiunse Robard.
«Appunto,» rispose mia sorella. «Come dicevo: uomini! Vi spalleggiate a vicenda, magari non vi rallegrate abbastanza se non c'è una battaglia sanguinosa in cui affettarvi l'un l'altro!»
«Vero,» commentò Romal, uno sguardo insolitamente soddisfatto.
«Già!» assentì Piedro con un ghigno animalesco sotto la sua barba riccia e scura. Arliss ci guardò con sdegno e scosse la testa. Io sorrisi poiché capivo cosa erano le battaglie per un uomo... la forza e la lotta e vincere contro il nemico! La possibilità di dimostrare la propria abilità con la spada e la tattica militare.
Ma eravamo arrivati, quindi non c'era più tempo per chiacchierare tra noi. Eravamo in ritardo rispetto alle previsioni, la pioggia ci aveva rallentato e il sole era coperto da spesse nubi temporalesche, l'acqua dal cielo si sarebbe presto trasformata in neve, strano che non l'avesse già fatto, tra l'altro.
Il villaggio si presentava tranquillo come al solito, la casa grande, dove mio zio Mical e la sua sposa vivevano stabilmente e gli altri del piccolo villaggio si riunivano per le feste e le adunate, era illuminata, mentre le altre casette della valle sembravano lasciate in tutta fretta, abbandonate.
«Attenti. Qualcosa non va di certo. Sono tutti riuniti come per un'emergenza,» avvertii gli altri. Stavamo attraversando la piazzetta con la fontana e la piccola stalla.
«È vero,» si voltò mia sorella da una parte all'altra. «Eppure le case sono abbandonate con ordine. Chiuse e tranquille. Non ci sono animali in giro.»
«E nessuna guardia... andiamo avanti con prudenza.»
Non trovammo proprio nessuno; c'erano altre case, più in alto nella valletta, salendo scoscese scale irregolari che s'inoltravano tra alberi di mele e di pesche su terrazze di terra appositamente costruite per tenere i frutteti al sole per tutto o per buona parte del giorno. L'unico modo per coltivare la terra in una valle così piccola, chiusa dai monti e di fronte al mare per tutta la sua estensione.
«Andiamo alla casa grande, è inutile cercare ancora: troveremo lo zio e le risposte che vogliamo,» si stancò Arliss, nervosa. Three Widows sembrava una cittadina fantasma.
«Va bene,» assentii. Misi mano alla spada e accennai agli uomini di fare altrettanto. Juliano passò davanti a me e Romal si pose alle sue spalle, protettivamente. Piedro e Robard, di retroguardia, tennero tra loro Arliss che estrasse la pietra matrice tanto per essere sicura. La luce azzurra sfolgorò per un breve attimo e mia sorella chiuse gli occhi.
"Sono tutti qui. Uomini e donne. Mical è tra loro. Sa che siamo qui!" mi inviò dopo un secondo.
Feci cenno a Juliano di procedere. Non potevamo essere più pronti di così. Il mio uomo giurato spinse la porta della casa grande ed entrò. Sguainò la spada e annunciò con voce forte e ferma.
«Fate largo a Dannil Rafael Keith Aillard y Lindir-Macrae, dom di Hollow Tree e Three Widows Bay!» si volse a sinistra e a destra, eseguendo il suo dovere di scudiero.
Entrai e venni assalito dai pensieri dei paesani, per un secondo le mie barriere vennero sollecitate eccessivamente, ma tenni duro fino ad abituarmi alla nuova condizione.
"Macrae!" "Il dom!" "Siamo salvi!" "Il giovane dom!" eravamo entrati tutti, ormai, quindi ci rilassammo alla vista delle occhiate speranzose che soprattutto le vecchie comari ci lanciavano. Tra gli altri, ricevetti l'impaziente contatto di un altro telepate. "Finalmente, chiyu!"
«Zio Mical!» dissi ad alta voce. «Che succede?»
«Vieni, non c'è problema che non possa attendere una tazza di jaco caldo,» mi accolse mio zio. Con la mente mi inviò anche: "Aspetta... riguarda il richiamo."
«Parente, vieni ad abbracciarmi,» mi salutò la moglie di mio zio, allargando le braccia nella mia direzione. «E c'è anche tua sorella! Che bella sorpresa!»
«Speravo che venisse anche Arliss,» mi confidò a bassa voce zio Mical.
«Zia Clarissa, sono felice di vederti,» abbracciai la mia parente dei Leynier. Era molto bassa e minuta, malgrado il suo sangue Alton fosse così evidente dagli altri suoi tratti e i capelli rosso fuoco la definivano una ottima telepate. Una donna sempre ridente, malgrado la sua vita piena di lutti familiari e di dolori. Mi accoglieva tutte le volte con calore e non avevo dubbio alcuno sull'amore che la legava a Mical Macrae e al nostro clan. Era anche una donna coraggiosa, nata in una famiglia comyn in cui si dava poco valore alle donne e soffocante quanto possibile. Clarissa, già operatrice del secondo Cerchio di Dalereuth, aveva ottenuto di sposare un uomo al di sotto del suo rango e aveva rotto i rapporti con il Clan e con le Torri comyn. Mio zio Mical aveva sposato una donna senza dote e di salute gracile, indubbiamente per amore e non per motivi dinastici. Gli Dei non avevano benedetto la loro unione con il dono di un figlio, e la Leynier aveva accettato i figli nedestro di Mical come propri, secondo l'uso.
«Sono così orgogliosa dei miei nipoti,» commentò Clarissa ad alta voce verso la vecchia Carnia che era seduta davanti al fuoco, con lei. L'anziana donna, con uno scialle di lana grossa, fece un sorriso tirato e accennò di sì con la testa. «I figli di dom Ruyven sono la speranza di tutti noi, domna.» Mi guardai intorno e, nella grande stanza fumosa, vidi diversi visi spaventati, troppi. E mancavano alcuni uomini tra i pescatori. Individuai con lo sguardo la moglie di uno di loro e notai i cerchi rossi attorno agli occhi, quella donna aveva pianto a lungo. Mia sorella - come sempre - percepì i miei propositi e mi anticipò. Si diresse subito verso di lei e la prese per mano con tenerezza. «Comare, ti siamo vicini.»
«Vai domna! Grazie,» rispose la donna abbassando gli occhi, piangente. Altre donne vicino a lei cominciarono i lamenti dei defunti.
«Che cosa è successo, zio?» cominciai io. Stabilii il contatto laran per ricevere finalmente le spiegazioni che attendevo. "E cerca di essere esauriente."
Mical cominciò a sorseggiare il jaco che aveva in mano. Una serva portò diverse tazze di terracotta su un vassoio anche per noi viaggiatori. Arliss si avvicinò alla tavola alta dove mi ero seduto e ne prese una, grata del calore della bevanda per il suo corpo infreddolito. Si chinò a baciare Clarissa e anche Mical, sedendosi poi tra me e la vecchia Carnia. Juliano si mise nella posizione dello scudiero, in piedi un passo dietro la mia sedia. Adesso tutti i telepati presenti erano vicini. Tutti, chi più chi meno, erano a conoscenza dei segreti di famiglia... Clarissa era stata addestrata dalle Sapienti Aillard (come già mia madre) per controllare da vicino mio zio Mical, Juliano era il mio uomo giurato e aveva appreso alcune cose da me e da Arliss, anche se non sapeva tutto... e la vecchia Carnia era... era sempre vissuta a Three Widows e aveva fatto da balia a mio padre, conosceva tutte le storie popolari e le leggende attorno ai chieren, e la sua capacità di prevedere con esattezza il tempo e le tempeste era preziosa per tutti. La chiamavano leronis e le donne del villaggio le chiedevano sempre consiglio per qualsiasi cosa; anche qualche uomo, prima di mettere in acqua la barca; ma non aveva mai avuto l'addestramento delle Torri perché era di estrazione troppo bassa. Il suo laran era incostante e il suo strano potere di leggere il tempo atmosferico le veniva da chissà quale avo delle montagne vicino a Storn o Caer Donn. Non ricordavo esattamente. A me era sufficiente che una leronis inviata dalla Madre avesse controllato la vecchia e che essa avesse riscosso la sua fiducia e quella di mio padre e di mio zio Mical. Però una serie di domande si affacciò nella mia mente già piena di preoccupazioni.
Possibile che il potere fosse così capriccioso da comparire così dopo diverse generazioni? O tutti, nobili e popolani, possedevano naturalmente il laran e solo i comyn si preoccupavano di coltivarlo? Ci avevano insegnato che noi nobili eravamo tutti figli di Hastur e questo era il fondamento della nostra religione e della divisione della società. Ma chissà quanta parte delle storie era vera?
Era meglio un dono come quello della vecchia Carnia, debole ma usato per il bene di tutti, che tutto il laran di Arilinn usato solo per pochi eletti!
"Visto che siamo tutti qui... tanto vale che ne parliamo subito," inviai io a mio zio con il pensiero.
"D'accordo, dom," rispose lui, bevendo il jaco. Percepivo che era ansioso di liberarsi della responsabilità, non per codardia, però, questo lo sapevo, ma per riposare, finalmente. Sollevò gli occhi grigi verso di me e sorrise di sghembo. "Riposare, sì. Sono due giorni che non chiudo occhio."
"Spiegati."
"C'è una chieren, qui. Sulla scogliera."
"Una chieren?" inviò mia sorella, sconcertata.
"È arrivata con la tempesta. Due giorni fa. Non ne sappiamo di più di questo," fece Clarissa. Aveva smesso di sorridere e aveva sollevato le mani a sistemare i capelli.
"Canta incessantemente," intervenne con il pensiero di Carnia.
"Ferita e disperata. Invia il suo laran colpendo a caso. Ha già portato alla follia quattro uomini. Io non riesco ad avvicinarmi... è troppo forte per me. Non sono riuscito a calmarla."
Fissai lo sguardo su mia sorella e tra noi corse un rapido dialogo mentale.
"Se soffre o delira, può ucciderci tutti! Devi stabilire il contatto," inviò Arliss, sapeva cosa mi stava chiedendo ed era preoccupata quanto me.
"Ho tentato solo con Ela durante la prova."
"Sei l'unico che può farlo. Io cercherò di sostenerti."
"In due siamo più forti. E dovremo bastare, sorella. Non c'è nessun altro."
Dall'esterno sembrava che nessuno di noi parlasse, ma che ognuno fissasse gli altri negli occhi. Clarissa, con senso pratico, stava riassumendo i fatti con la vecchia Carnia in modo tranquillo e pacato.
«Che cosa possiamo fare?»
«Non so, domna. Gli elfi del mare sono sfuggenti e pericolosi. Dotati di magia terribile.»
«Penseremo noi a questa stregoneria,» dissi ad alta voce. Toccai il sacchetto che proteggeva la matrice, sulla gola. Il gesto, automatico e consolatorio, trasmetteva fiducia a me e catalizzava l'attenzione del popolino. Ero un comyn, in grado di usare il laran contro la stregoneria dei chieren.
«Volete riposare un poco? È il tramonto, ormai,» fece zio Mical, poco convinto. La vecchia Carnia smise di guardare il fuoco. «Meglio subito,» disse in un sussurro.
«Fuori dall'acqua non sopravvivrà a lungo,» disse Arliss, assentendo.
«Dom, damisela,» intervenne Juliano. «E' troppo pericoloso.»
«Dobbiamo farlo comunque,» risposi io.
«E inimicarsi i figli del mare può maledirci tutti,» fece Carnia, melodrammatica. I contadini e i pescatori del villaggio, intorno a noi, assentirono impauriti.
«È vero. Quando Dama Lyonore Castamir venne con la sua pietra di stella al seguito dell'esercito di Asturias, cinquecento anni fa, affrontò una strega chieren con il laran. L'esercito fu spazzato via,» disse un vecchio servitore, «e anche se la chieren fu sconfitta, per lungo tempo tutta la zona subì la sua maledizione. Nulla cresceva nei campi e i pesci si erano allontanati dalla costa.»
Arliss sbuffò. «Buon Istvan, non ricordi bene la storia. Mi pare che la vai leronis perdette la ragione e usò la matrice 'Falce di Luna' per distruggere l'esercito del suo Signore. La chieren pose fine alla vita dei laranzu'in impazziti e mise al sicuro la matrice sfuggita al controllo. E poi gli Asturias avevano invaso Aillard!»
«È vero,» concordò Carnia voltandosi verso il fuoco. «Portò in fondo al mare la matrice e la chiuse in una grotta sottomarina.»
Zio Mical si schiarì la voce. «Ma questo non c'entra con il caso presente, figlioli. Adesso concentratevi su questa missione.»
In questa mi raggiunse il pensiero di Juliano. "Non andrete da nessuna parte senza di me."
Io guardai speranzoso Arliss ma mia sorella scosse il capo... sarebbe stato già difficile così senza doversi preoccupare anche di lui.
Terminai di bere e mi alzai. Avevamo preso già la decisione.
«Bene. Andiamo subito,» dissi, mettendo fine alla discussione. Notai la sensazione di sollievo che corse per la stanza a questo annuncio. Mi diressi verso la porta e mi imbattei in Piedro e Robard, fermi e armati, come due alberi irti di aculei a guardia della porta. Juliano mi corse dietro e si fermò dietro di me.
«Dom. Non andrai da solo,» ribadì, semplicemente.
Mi voltai. «Bredu. Non mi sarai d'aiuto, anzi: dovrò preoccuparmi che tu sia al sicuro e questo mi distrarrà.»
Arliss mi raggiunse. «E' vero, Juliano. È più sicuro che tutti voi restiate qui con Mical. Nessuna arma può difendervi dai canti di una chieren. Solo il potere può assicurarci una difesa. Io e mio fratello riusciremo a sistemare le cose.»
«Ma io devo difendervi!» protestò Juliano.
«Tu devi obbedirci!» dissi io.
Il mio scudiero strinse le labbra. «Il dovere di proteggerti è più importante di quello di obbedirti,» e la sua mente inviò: "Morirei per voi!"
«Lo so, bredu,» cercai di convincerlo. «Ho la più grande fiducia in te e nel tuo desiderio di proteggermi. Ed è reciproco. Ma non sei in grado di affrontare...»
Mia sorella si mise fra noi e lanciò un richiamo a lui e alle guardie. «Non sarete in grado di difenderci dalla stregoneria. È meglio che proteggiate questa gente.»
Piedro e Robard smisero di incrociare le braccia e si fecero da parte, indossammo le giacche pesanti e uscimmo. L'ultima cosa che vidi, voltandomi, era il mio uomo giurato, ritto sulla porta, che piangeva senza ritegno, i muscoli tesi come a volerci correre dietro. La mano stretta sull'elsa della spada.


barra

Non c'era molta strada tra il villaggio e la scogliera, pochi minuti a piedi che d'estate facevamo di corsa con vesti leggere e incontro al sole. Ora la neve - finissima e leggera - copriva il sentiero con uno strato esile e bianco.
«Mi sento un traditore!» sbottai, dando un calcio a un sasso.
«Lascia perdere: Juliano ci perdonerà,» rispose Arliss. Si fermò ed estrasse la sua matrice. «Fai come me.»
Staccai il laccio di cuoio che teneva al suo posto la mia pietra e la liberai dalla seta protettiva. Affondai lo sguardo dentro le luci azzurre e mi sentii istantaneamente a mio agio. Mia sorella aveva legato il cordoncino al polso, in modo che la matrice poggiasse sulla sua mano destra già libera dal guanto di pelle. Io seguii il suo esempio ma con la sinistra, entrambi avevamo lasciato libera la mano che teneva la spada, non si poteva mai sapere. Legai strettamente la gemma alla mano.
«Adesso concentrati sulla matrice, bredillu,» mi guidò la sua voce, «non cercare un contatto diretto con la mia mente, ma appoggiati a lei, dolcemente. Ricorda: il laran della chieren tende a scuotere le linee di potere dei Cerchi; se siamo uniti ci sconfiggerà più facilmente, se l'attacchiamo separati e simultaneamente possiamo spiazzarla.»
«Come tu e Aliciana durante la prova?» chiesi io, titubante.
«Sì. Non te lo so spiegare, ma abbiamo notato che i chieren combattono sempre soli, un nemico alla volta. Loro non possono unirsi in Cerchio, non sappiamo perché, e lo vedono come una entità unica, non come l'unione di pensieri. Quindi l'attacco a noi uniti sarebbe immediato, mentre l'attacco a noi separati sarebbe per lo meno in due tempi.»
Ci riflettei, non capendo bene. «Stai dicendo che soli siamo più forti.»
«Tu sei più forte! Io ti invierò energia, ma non direttamente. È più facile farlo che dirlo. E cercherò di distrarla in qualche modo,» terminò convinta.
Ormai eravamo vicini alla costa. La neve turbinava e sentivo la presenza non-umana, famelica, stridente: sapevo dove cercare. Puntai il dito e cominciai a lanciare il richiamo davanti a me. Una folata di vento improvvisa ci colpì in risposta, atterrandomi e strappando un urlo ad Arliss. Il laran della chieren corse verso di me rapido e scrollò le mie barriere, sofferenza, dolore sordo, sanguigno. Strinsi i denti e chiusi la mente e il cuore.
«E questo cosa era?» gridai. Sembrava che uncini di metallo raschiassero il fondo di un pozzo di pietra asciutto... ma doveva essere la mia mente.
«Resisti! Sta esplorando i tuoi pensieri.»
«Mi sta uccidendo!» urlai in risposta. Non riuscivo a mettere i piedi uno davanti all'altro. Ma eravamo già in vista dell'essere marino. Guardai il mare e gli scogli. Rincantucciata contro la pietra nera c'era una chieren inginocchiata, la testa nascosta fra le braccia, stava cantando. Vacillai.
«Chiudi la mente!» urlò mia sorella. «Colpisci con me.»
«Aspetta,» la fermai. «E' ferita e delira. Fammi provare a parlarle.» Inviai il richiamo verso la mente sconvolta, visualizzando un arpeggio di rryl fermo e delicato, formai parole umane.
"Siamo amici! Vogliamo aiutarti, ma non ce lo permetti!"
Il suo strano laran rispose con accordi disarmonici e rumore di grandine sopra i vetri di una serra "Vattene. Ti sento, saavi-nan, odio rigetto ferma il dolore bruciabruciabruciabr..." l'assalto soverchiò le mie barriere e io cominciai ad avanzare verso di lei: vedevo il mio corpo muoversi ma non potevo impedirlo. La mia coscienza si era ritratta nella matrice. Mia sorella colpì con forza l'altra mente "Ferma! Lo stai uccidendo."
"Bruciabruciabrucia non respiro, odio, doloredolore, vattene carri... carrishèiva!"
Ripresi il controllo della mente in tempo per veder cadere mia sorella a terra, schiacciata da un vento perpendicolare al suolo. Trassi due respiri (o meglio: lo feci fare al mio corpo!) e mi concentrai sulla matrice nella mia mano. Era calda. La sentivo nella mente e sulla pelle, in una sorta di sogno. Mi chiesi se non era meglio uscire dal corpo e andare nel supramondo, ma per una frazione di secondo che mi costò tanta energia realizzai che sarebbe stata la mia morte: la chieren poteva spazzarmi via con un solo pensiero. Rafforzai la presa sul mio corpo e feci altri passi in direzione dell'essere non-umano, non pensai ad Arliss, né a null'altro che non fossi io e il richiamo.
"Basta! Non colpirci oltre!" inviai con tutta l'energia raccolta. Mia sorella colpì con rapidità. "Non vuoi farci del male!"
"Non muoverti!"
"Siamo amici."
"Non cantare!"
"Come ti chiami?"
"Non vogliamo farti male."
"Smetti di farci del male. Vogliamo guarirti!"
I nostri richiami, lanciati in successione, fecero perdere energia al suo assalto, sentivamo il suo dolore come il nostro. Mi sentivo come se fossi stato travolto da cavalli imbizzarriti. Allungai la mano e toccai la pelle della chieren. Il suo equivalente del nostro laran umano stava ora in silenzio, attendeva. Respirava a fatica.
«Dannil. Ha bisogno di tornare in fretta in acqua» disse mia sorella, alle mie spalle.
«Sì. Non respira bene. Le branchie sono asciutte e arrossate,» abbracciai la chieren. Aveva il cuore che batteva con la rapidità di una valanga, il respiro pesante.
Ricevetti una forte spinta mentale. "Mi chiamo Nala."
«Puoi parlare?» chiesi, boccheggiando.
«Sì, carrishèivo. Ma fa male!» "Fa male! Bruciabruciabrucia!"
«Va bene. Prima ti portiamo al sicuro.»
"No! L'aria brucia! Guariscimi guarisciguarisciguarisci!"
Le mie barriere stavano crollando su loro stesse e guardando mia sorella mi resi conto che era nella stessa situazione.
«Fermati. Ci stai facendo male. Resisti al dolore e noi cercheremo di aiutarti!» dissi io.
«Se ti mettiamo in mare, sei in grado di riprenderti?»
"Affondo, non nuoto, affogo giùgiù sotto in fondo," una mazzata di potere che colpiva le barriere, cominciavo a sentirmi svenire.
«Proviamo a metterla lì,» indicò Arliss. C'erano onde che colpivano gli scogli e bagnavano gran parte di una zona libera dalle rocce aguzze, ma ci avrebbero bagnato dalla testa ai piedi con acqua gelida!
«Come?» feci io, poco convinto.
«Non lo so, bagnamoci!» disse lei. "Che altro possiamo fare?" era vero. Non avevamo la forza mentale per sollevare con la telecinesi qualcosa, già normalmente e ora ancora meno, visto la lotta effettuata finora.
"Presto prestopresto! Non respiro aria bruciasotto brucia brucia dentro!"
«Va bene,» decisi io. «Proviamoci!» Tolsi la giacca e tutti i vestiti, ragionando che bagnati avrebbero pesato come macigni, Arliss mi imitò con riluttanza ma cominciammo a trascinare la chieren in mezzo a noi verso l'acqua portatrice di vita per lei e di gelo per noi. Il freddo vento ci colpì con forza.
«Bredu, avverti Mical che va tutto bene e che venga ad aiutarci, ma da solo. Non faccia venire nessuno. Digli di portare coperte e bende,» disse mia sorella, ansando. Respirò a fondo « ...e polvere di cavalla
Sbuffai per la fatica. In fondo eravamo solo due ragazzi. Inviai la richiesta così come mi era stata data.
La prima ondata ci fece vacillare. L'acqua gelida mi fece sfuggire un grido di dolore. Arliss stava già tremando. Nala invece inciampò e ci trascinò con se per un tratto. La sorreggemmo. Realizzai che Nala da sola sarebbe stata inghiottita delle onde incessanti... ecco perché non si era azzardata a cercare l'abbraccio del mare.
La seconda ondata si abbatté forte come un ariete in un assedio, l'acqua ci spingeva in avanti e ci bagnava completamente.
«Non è stata una grande idea!» dissi a voce alta. Anche il vento stava aumentando e portava via le parole. Ma la chieren sembrava riprendersi. Altre onde ci sbatacchiarono e noi cominciammo a muoverci sugli scogli avanti e indietro, a seconda che l'onda ci sembrasse troppo alta per affrontarla oppure no. Eravamo come ubriachi che si muovevano da una taverna all'altra e camminavamo proprio nello stesso modo.
«Sembriamo banderuole al vento dei Kilghard,» sentenziò mia sorella, battendo i denti per il freddo.
Guardai la chieren e mi fermai, un'altra onda ci innaffiò d'acqua e di spuma marina. «Adesso basta, o ci ammazziamo di freddo,» arrancammo al riparo di scogli più imponenti e dal gelido freddo del vento. Poco lontano, appesantito da sacche di tela, nostro zio Mical si godeva lo spettacolo di noi seminudi e intirizziti.
«Non vi farebbe male l'addestramento a Nevarsin. Ho sentito che i buoni monaci camminano nudi nella neve dopo la prima stagione.»
«Che possano sprofondare nel più terribile inferno di Zandru,» commentai io.
«E che Naotalba gli storpi mani e piedi, tanto per andar sul sicuro,» aggiunse Arliss. Battevamo i denti in modo incontrollabile e le nostre labbra avevano raggiunto un colore azzurrognolo.
«Vieni ad aiutarci, invece di stare lì impalato!» gridai io, appoggiando il corpo di Nala a terra. Mia sorella si lasciò cadere al fianco della chieren senza un fiato. Mical mi raggiunse e mi passò una borraccia.
«È firi, butta giù un paio di sorsi e dallo a tua sorella,» si chinò buffamente alla non-umana. «Benvenuta, o potente,» accompagnando la frase a voce con quella mentale. Lei scosse la testa. «Non ti sento, figlio della terra,» strinse i denti e gli occhi, probabilmente per il dolore alla gamba. Sangue scuro fresco stava prendendo il posto di quello secco lavato via dalle onde. Il firi mi entrò nelle budella e cominciò a scaldarmi, grazie ad Evanda. Bevvi un altro sorso, piccolo poiché non amavo il liquore forte.
«Usa la polvere di cavalla,» balbettò mia sorella, «e sbrigati. La ferita è profonda!»
"Veleno di saavi-nan," ci arrivò il pensiero di Nala. Vidi l'immagine di un grosso animale coperto di una corazza scagliosa e con tante zampe, che saltava fuori o si nascondeva nei fondali sabbiosi del mare. Sentii la sua puntura come un bruciante morso alla gamba.
"E che cosa possiamo fare?" inviai io. Cominciai ad asciugarmi con la coperta e a sfregare con energia i miei arti freddi. Arliss aveva ripreso gli abiti, i miei e i suoi, si vestiva con rapidità, indossava i diversi strati e si strofinava le gambe. Balbettavamo e battevamo i denti dal freddo.
"Guariscimi, carrishèivo. Non c'è molto tempo," fece lei.
«E come?» chiese Arliss.
«La Madre della terraferma sa... non vi ha mostrato?» disse allibita la chieren. «Usate la pietra della veglia,» indicò la mia matrice, che era ancora legata al polso e ne pendeva sgraziata.
«Guarigione laran,» disse Arliss, pratica. «No, non ne sappiamo molto. Siamo giovani.»
«Io sì!» fece Mical, assentendo. «Clarissa potrebbe assistermi e lo farei io. Si deve rimuovere il veleno dal sangue, è un lavoraccio maledetto, ma lo si fa.»
«No, figlio della terra. Non ti sento: non puoi toccarmi con la mente. Ti rifiuto,» negò la chieren.
Trattenemmo il fiato. Il popolo del mare aveva usi e tradizioni incomprensibili. Maschi e femmine vivevano separati per la maggior parte del tempo. Pregavano altri dèi, non conoscevano Hastur e Sharra, ma credevano in una divinità femminile che le Aillard avevano identificato con la nostra Avarra. Le femmine chieren erano riservate, permettevano contatti mentali solo con le Madri Aillard, che in definitiva avevano tutte un grado di parentela con loro, e con i Macrae. Ci chiamavano carrishèivret, "coloro che cantano con voce profonda"; nel passato, a volte anche ora, i Macrae si accoppiavano con donne chieren così come le Aillard si concedevano (più raramente di un tempo, certo) ai maschi della specie. A quanto avevamo capito, però, tutti i dominii del mare - che loro chiamavano 'Colonie' o 'Nidi' - erano comunità indipendenti di diverse decine di individui, governate da una Madre e un signore eletto. Le femmine erano cacciatrici mentre i maschi erano allevatori. Il loro strano laran era differenziato e questo doveva aver distinto i sessi in maniera forte: i maschi usavano il potere per motivi pratici e non avevano molto senso religioso. Le femmine, invece, avevano un duplice rapporto con la natura del loro mondo. L'uso del loro laran aveva a che fare con i loro culti, scorreva potente nel loro sangue e si usava per manipolare metalli, provocare o fermare tempeste e correnti marine, cacciare e addestrare le creature degli abissi. Nessuna di loro permetteva contatti con esseri umani privi del laran giusto, tanto è vero che tutti coloro che ci avevano provato erano morti. Dovevano avere degli usi alquanto bizzarri, perché non riconoscevano neppure i figli privi di potere e li abbandonavano.
Mio zio strinse le labbra. «I tuoi mi chiamano vearrishèivo. Sono anni che parlo con Ela e Sila. Loro mi accettano. E posso salvarti la vita!»
«Non è questo d'importanza, credo di tua fede, ma non ti sento. Non permetterò un contatto con la tua mente,» rispose Nala. «Le sorelle della Colonia di Elo non sono le mie sorelle. Mala è la mia Madre e Cao il signore eletto della mia Colonia.»
"Rischi la vita, con il tuo rifiuto," le inviai io, preoccupato. Il suo modo di parlare il casta mi lasciava confuso, non ero certo che lei capisse a fondo la situazione.
«Rischio più che vita d'accettare,» restò ferma lei. "Guariscimi tu... carrishèivo. Ti sento con la coscienza."
«Ma non posso farlo, non so la tecnica!»
«Prova, Nala non ha altro che tu e la carrishèiva del tuo sangue e della tua acqua.»
Arliss stava in silenzio, ma stava riflettendo. Tra noi due era lei la più intelligente ed io speravo che avesse una soluzione più a portata di mano. In effetti non sembrava dedicare la sua attenzione al firi della borraccia, gli occhi azzurro-violacei che richiamavano quelli viola della chieren, erano concentrati invece dietro di noi, sulle onde del mare cupo e violento.
«Aspetta, Dannil. Possiamo farlo,» disse infatti, dopo pochi secondi.
«Eh? Come?» feci io, sollevato.
«Collegati con il kiyu e con me, poi sarà lui ad agire. Inoltre impareremo la tecnica guardandolo.»
«E che differenza c'è?» sbottò Mical.
Alla luce delle spiegazioni di Arliss sulla percezione dei chieren del laran cominciavo a vedere uno spiraglio. «Intendi dire che il figlio della terra sarebbe sentito da Nala?» chiese la non-umana.
«Adesso ti mostro,» feci io, mi concentrai sulla matrice e visualizzai la mia barriera laran come un potente accordo musicale. Inviai un arpeggio verso mio zio e la sua coscienza si sovrappose alla mia. Non era il collegamento da mente a mente che avveniva in una Torre, durante una seduta del Cerchio, con una Custode e un monitore. Sembrava più come veniva effettuata una sessione di addestramento, quando l'insegnante seguiva da vicino il nuovo operatore. Il risultato era che la supercoscienza acquistava le caratteristiche di una mente e ospitava entrambe le coscienze. Arliss si unì a noi rapida come un trillo di campanella, grata che avessi afferrato la sua idea con subitanea facilità. L'unione delle tre coscienze nella mia mente stava trasmettendomi chiarezza ed energia. La chieren mi guardò con quello strano sguardo viola e aperto. Il suo potere mi assalì improvvisamente, stava cercando di sondare i miei pensieri, la forza del suo laran strano e non-umano colpì le barriere come una vibrante campana antincendio con uno stridente rumore di rocce spezzate e urla di tanti banshee nella tormenta. Resistetti all'esplorazione, fortificandomi con l'energia di Arliss.
La coscienza di Mical inviò: "Mi senti, ora, o potente?"
"Ti percepisco, vearrishèivo, come hai fatto?"
"I figli della terra hanno quest'arte, non la usiamo spesso. Mi permetti la guarigione? Ci stanchiamo rapidamente."
"Ti sento e ti ringrazio. La tua acqua e quella dei tuoi, può scorrere in me. Fai presto," assentì la chieren.
"Tenetemi," inviò mio zio. Subito la sua coscienza s'immerse nella ferita alla gamba dell'essere marino, lo vidi procedere dentro e fuori i vasi sanguigni, purificandoli e estraendo il veleno. Vedevo i corrispondenti dei nostri canali all'interno della chieren illuminarsi di azzurro, mentre la colorazione rosso-cupo rappresentata dal veleno diventava più debole. La coscienza di Arliss aiutò Mical appena compreso il meccanismo della guarigione ed anch'io avevo afferrato come agire. Avrei saputo replicare il processo all'occorrenza. Per ultimo vidi le mani mentali di mio zio chiudere i vasi sanguigni danneggiati dalla puntura della bestia marina premendo e riducendo la pressione del sangue in uscita.
"Sto rimarginando la ferita, meno bene di Aliciana, ma sufficiente per quello che serve."
"La polvere di caralla e un bendaggio leggero aiuteranno poco, in acqua. Stai facendo bene," inviò mia sorella. Il rapporto si sciolse naturalmente e con soddisfazione di tutti. Intorno a noi era notte fonda. Clarissa, al limite delle nostre menti stava inviando un urgente messaggio telepatico.
"Che succede?" trasmisi.
"Juliano! Sta venendo laggiù. Non sono riuscita a fermarlo!"
«Pazzo!» urlai. Se vedeva la chieren non protetto dal donas dei Macrae, avrebbe subito il suo fascino e avrebbe perduto il senno. Inviai un richiamo forte quanto potevo verso di lui. Arliss, stanca e preoccupata, si mise a correre verso il villaggio per intercettare il mio uomo giurato.
La chieren davanti a me stava sorridendo. Ora che paura e dolore avevano lasciato la loro presa e la stanchezza la stava reclamando, il suo fascino magico stava riprendendo a colpirci. Già vedevo la volontà di Mical, più debole della mia, cedere.
«O potente, ci fai del male. Riposa su questa scogliera per questa notte. Ma domani ti preghiamo di tornare al sempresveglio e al tuo dominio.»
«Avvertirò le sorelle mie di soccorrermi. Ti ringrazio, carrishèivo. Che posso fare per ripagare tuo nido e i figli della Terra?»
Restai interdetto, che cosa chiedere? Non ero preparato ad occuparmi del commercio. Mio zio mi contattò... già ora la sua mente stava cedendo alla follia dei sensi, ma per fortuna aveva ancora tutto il suo acume.
"Domanda la possibilità di commerciare con la sua colonia... è sufficiente!" cominciò ad arrancare verso il villaggio, prima di perdere il controllo completamente. Rimasi solo. Le barriere stavano cedendo.
«Ti prego, Nala. Parla alle tue sorelle e commercia con noi e con la colonia di Elo. Sarà un dono prezioso per la mia gente.»
«Elo e Cao sono lontani con usi, ma le Madri sono vicine. Ti dico che le nostre acque si uniranno, verrò io stessa con Alu. Vai, ora. Altrimenti cadrai, carrishèivo. Grazie ancora.»
Non mi vergogno di dire che fuggii, scappai verso il villaggio e raggiunsi il kiyu in pochi passi, ci sorreggemmo fino a risalire la scogliera coperta in più punti da una buona quantità di nevischio bianco.
Incontrammo un fagotto bagnato in mezzo al sentiero: Arliss. Stava tenendo sulle ginocchia la testa di Juliano, a terra, svenuto. Il mio richiamo lo aveva raggiunto e fatto cadere addormentato. Zio Mical sorrise...
«Non è riuscito a raggiungerci. Anche quando è finito il vostro precedente richiamo, ho faticato a tenerlo all'interno della casa grande. Quando è arrivato il vostro messaggio di vittoria e la richiesta per coperte e bende mi ha fatto impazzire per accompagnarmi e gli ho dovuto ordinare di aspettare. È ovvio che Clarissa non è riuscita a imporsi a lungo.»
«Credi?» chiesi io, «la guarigione può aver richiesto tutta la notte, mi meraviglio che abbia resistito lontano da noi.»
Mia sorella sollevò lo sguardo su di me. «Aiutami a sollevarlo, bredu. Congelerà!»
«Se lo meriterebbe. Se non lo colpivo rischiavamo di perderlo per sempre. Morto o folle.»
«Non dirlo neanche per scherzo,» disse Arliss, preoccupata.
Lanciai un nuovo richiamo alla sua mente per svegliarla.
«Ci ho già provato, dorme della grossa, non si sveglia.»
«L'ho colpito con molta forza. Si riprenderà...»
«Lo spero,» ma fu una frase sussurrata a mezza voce, venata di preoccupazione. Intorno a noi la neve stava fioccando e turbinando. Prendemmo il mio uomo giurato e lo trascinammo per le spalle fino alla casa grande. Gli abitanti del villaggio si affaccendarono intorno a noi con la preoccupazione e la premura dei famigliari. Fummo messi vicino al fuoco e coperti di attenzioni. Ci fu dato il jaco, le coperte, ci fu spalmato l'unguento contro i geloni su mani e piedi. Raccontammo una versione della battaglia che necessariamente non spiegava il nostro donas di famiglia e che dava la maggior parte del merito al potere dei figli di Hastur e alle preghiere. La chieren aveva accettato di allontanarsi appena raggiunta dalla sua gente. Fino a nuovo ordine nessuno doveva allontanarsi dal villaggio, neanche per dare da mangiare alle bestie. Comunque, probabilmente l'assedio dei figli del mare non ci sarebbe stato, aggiunse ridendo Arliss, stanca del reverenziale timore di cui eravamo oggetto. Che ci lasciassero riposare fino all'indomani e prenderci cura del nostro fedele e incosciente scudiero.


barra

Il tempo non migliorava, la neve continuava a scendere e il vento ad ululare. Il giorno aveva preso il posto della gelida notte. Mi svegliai ricordando. Accudii Juliano e mi alzai. Avevamo dormito tutti in terra, come cani da caccia nel canile, nobili e popolani assieme. Aspettare era probabilmente la cosa più dura per tutti. Mi misi la giacca pesante e i guanti e feci cenno di accompagnarmi a Robard e Romal.
«Non vedo con il potere la chieren. Probabilmente è tornata nel mare, ma è meglio controllare.»
«Se la troviamo che ci aspetta?» domandò il soldato. Non aveva paura di un esercito, ma la stregoneria era un'altra faccenda.
«Non riuscirete a raccontarlo in giro,» risposi io. «Ma non credo proprio.»
Uscendo dalla casa grande ripercorsi senza fretta la strada del giorno prima fino agli scogli. Non c'era traccia di Nala, né di nulla. Tutto era coperto dalla neve e dal ghiaccio. Il mare era agitato e nero come il cuore di un kyorebni. Non c'erano animali, che stavano chiusi nelle loro tane, né uccelli nel cielo. Eravamo soli. Ci voltammo e tornammo a dare l'annuncio del passato pericolo. Adesso le cose potevano solo migliorate. Sulla soglia mi aspettavano i miei zii, poco dietro di loro, gli abitanti del villaggio. Mi feci forza, schiarii la voce e assunsi la mia posa più autoritaria. Tutti mi guardarono silenziosamente.
«La chieren è tornata al mare. Ritornate alle vostre case, è stata una terribile esperienza, ma è finita.»
I contadini mi ringraziarono e corsero alle loro case, tutti felici.
«È finita, quindi?» disse mia zia Clarissa, stava ripiegando con puntigliosa attenzione le pieghe della sua veste. Era commovente il suo bisogno di sistemarsi, come a voler scacciare con quel gesto la paura degli ultimi giorni.
«Sì, kiya. È finita. La chieren è tornata alla sua gente. Era ferita e spaventata ed è dispiaciuta di aver causato così terribili problemi a noi umani.» Le scuse dell'essere marino le avevo aggiunte io; Nala non poteva capire che il suo canto era mortale per coloro che lo ascoltavano.
«Hai fatto un buon lavoro, nipote. E il tuo dovere. Grazie,» Mical chinò verso di me la testa, già ora mi dimostrava il rispetto verso il suo signore. Ero il figlio di suo fratello maggiore e tra un solo anno sarei stato di fatto e di legge il dom di Hollow Tree e Three Widows Bay. Ero stato educato a lungo per questo momento e già venivo presentato formalmente con il titolo di dom, ma mi mancava esperienza e l'approvazione dei miei parenti adulti. Oggi avevo conquistato quella di mio zio.
«Grazie, kiyu. Ma è merito anche di Arliss, e non solo mio,» mi affrettai a intervenire. «Ora, se vuoi scusarmi. Il mio uomo giurato non si è ancora ripreso. Vado da lui.»
«Il giovane Juliano è ancora a letto?» domandò Clarissa.
«L'ho colpito con forza,» abbassai lo sguardo. Avevo fatto quel che si doveva fare, poiché se si fosse avvicinato alla chieren sarebbe caduto preda della follia del fascino. Aver fatto la cosa giusta non mi consolava, perché il mio amico era incosciente. «Ora Arliss lo sta vegliando. Speriamo che si riprenda da qui a un paio d'ore.»
«Certo sarà così, nipote. Verrò a guardarlo anch'io.»
«Ti ringrazio, zia. Ma ha tutto l'aiuto di cui ha bisogno,» mi inchinai e tornai verso Juliano. Arliss e Carnia aspettavano lì vicino.
«Che possiamo fare, vai domna?» domandò proprio la vecchia veggente.
«Non so. Non raggiungo la sua mente,» rispose mia sorella.
«Ritirati, mestra. Sarai ancora stanca... io e mia sorella penseremo al mio scudiero.»
«Z'par servu, giovane dom,» l'anziana prese il suo bastone e raggiunse il lato estremo della sala grande, dove alcune donne stavano ripiegando le numerose coperte che tutti noi avevamo usato durante la notte. Intanto il villaggio si stava animando; mia zia diede ordine alle donne di preparare per tutti la colazione e agli uomini chiese di ripristinare durante la giornata le scorte di legna e di governare gli animali, abbandonati a loro stessi per gran parte dell'emergenza. Mio zio approvò con la testa le decisione della sua signora e anch'io mi ritrovai a sorridere. I Macrae erano ben strani, avendo uomini e donne capaci e che si ascoltavano fra loro. Peccato non possedere più terre e proprietà. Ma questo poteva accadere solo in futuro e con un capo clan potente.
«Perché hai mandato via Carnia?»
«Ho pensato solo ora che c'è un modo molto semplice per rianimarlo.»
«Quale? Ho già provato il richiamo, bredu. Non ha funzionato,» negò mia sorella, con la testa.
Sorrisi. «Ah, sorella. Il tuo richiamo non ha effetto perché l'ho colpito con il mio. Ora ricordo bene.»
«Spiegati,» Arliss rimase in attesa, preoccupata per Juliano e seccata. Se non ci riusciva lei, con il richiamo, non potevo riuscirci io... avevamo lo stesso donas e lei l'aveva addestrato più a lungo e con più perseveranza di quanto non l'avessi fatto io.
«Non ti arrabbiare: intendo dire che ero nel panico e gli ho inviato un richiamo con tutta la forza, gli ho detto di dormire profondamente, di non correre da noi ma di dormire... fino a che non lo avremmo svegliato noi.»
«E quindi? Dobbiamo dargli un bacio d'amore come nella antica favola?» chiese lei.
«No. Ma dobbiamo essere in due a chiamarlo... almeno credo.»
«Credi?»
«Non sono sicuro. Te l'ho detto: avevo paura.»
«Beh, proviamo. Le altre le ho sperimentate tutte. Come agiamo?»
La mia mente vorticò saggiando le varie possibilità. «Facciamo come con la chieren: lanciamoli tutti e due insieme.»
Una volta stabilita la strategia, iniziammo a usare il laran. Eravamo ancora provati per la battaglia del giorno prima, ma la posta in gioco era la vita del nostro amico più caro e leale.
"Juliano, svegliati!"
"Caryu!"
"Ti stiamo aspettando."
"Siamo preoccupati!"
"Non dormire più, svegliati."
"Juliano!"
"Non hai più sonno!"
"Svegliati, caryu!"
"Svegliati, bredu!"
La preghiera mi salì sulle labbra appena il mio caro Juliano cominciò ad agitarsi e a sbattere gli occhi, confuso.
«Sia ringraziato Aldones!»
«Bredu!» gridò felice mia sorella. Gli saltò al collo e lo coprì di baci. E anch'io non potei fare a meno che abbracciare con forza il giovane.
«Dom, che succede? Dove sono?»
«Nella grande casa. È tutto a posto, Juliano. Il pericolo è passato.»
«Cos'è successo?»
«Hai disubbidito ad un ordine di mio fratello, bredu,» si decise a dire Arliss.
«Cosa che ci ha portato grandi grattacapi e ti ha messo in pericolo,» continuai io, avevo assunto un'espressione severa che, in verità, non poteva ingannare nessuno.
«Mi spiace, dom. Ma io devo proteggervi,» si difese lui.
«Hai rischiato di morire e di mancare al tuo dovere,» disse Arliss.
«Damisela! Io non posso che tentare di salvarvi o morire nel tentativo.»
"Cocciutissimo stupido!" inviai io, esasperato. "A che serve morire per noi!"
«Rischiavamo di perderti,» intervenne Arliss.
«Io... io lo rifarei mille volte!» disse Juliano, orgoglioso. Il suo amore per noi era evidente, non potevamo rimproverarlo oltre, di sicuro sia io che mia sorella trovavamo la cosa irritante... amavamo a nostra volta il nostro uomo giurato, ma a entrambi piaceva sopra ogni cosa metterlo a disagio o nei guai.
Infatti non passò un solo momento, dopo il sollievo di vederlo vivo, che Arliss cominciò a squadrarlo con finto astio. Mi parve di vedere degli ingranaggi e delle pulegge girare nella sua mente, tirare e sollevare corde o ruote, come in un pazzesco mulino ad acqua che aveva nel cervello.
Lei mi guardò e strizzò l'occhio. «La verità è che voleva vedere la chieren
«Già. Morire d'amore deve essere un altro dei suoi sciocchi sogni romantici,» rincarai io, sorridendo sardonicamente.
«Non è vero...» cominciò lui, querulo.
«Oh, sì che è vero! Non negarlo.»
«Non riesci a credere che noi si sia visto un elfo del mare e tu no!» disse Arliss.
«Sei geloso,» commentai, alzandomi dal giaciglio improvvisato e incrociando le braccia. «E' evidente.»
«E noi che ci siamo preoccupati e ti abbiamo preparato il letto,» sbottò mia sorella. «Ti ho vegliato tutta la notte.»
Non era vero... eravamo crollati entrambi a dormire. Ma lui non lo sapeva. Il potere del mio scudiero non era così buono da scoprire che gli avevamo mentito.
«Io... io non sono...» cominciò lui, confuso.
«Basta così!» fece Arliss, fingendo di essere furiosa. «Sarai punito: lo diremo a nostra madre.»
La sola minaccia lo spaventò a morte, lo vidi inghiottire diverse volte a vuoto. Domna Alarice era famosa per il suo carattere terribile tanto quanto per il suo laran spaventoso, con frequenti scoppi di ira e fenomeni telecinetici «Ma damisela! Mi lancerà contro tutti i mobili di casa!»
«Hai disubbidito, è quello che ti meriti!» fece lei, implacabile.
«E ti storpierà i piedi... così non ti muoverai più senza permesso,» aggiunsi io. Ma sorrisi di nuovo, abbracciandolo e stampando un bel bacio sulla guancia abbronzata del giovane.
Lui sorrise un poco e ricevette una spintarella dalla mano sinistra di mia sorella. «Quante volte dovremo salvarti, bredu? Non diremo niente.»
«Grazie,» disse lui.


barra

Il tempo migliorò un poco e il vento cessò d'improvviso. La vecchia Carnia sollevò la testa come ad un segnale che solo lei poteva ascoltare e mi guardò con gli occhi grigio ferro per un momento che mi parve lunghissimo... «Giovane dom, la neve cesserà fino a domani notte. Se vuoi tornare alla tenuta non avrai difficoltà.»
«Cosa ti fa essere così sicura? Di solito le tue previsioni sono meno precise,» chiese Arliss, sempre affascinata da quel suo potere così insolito. Ci avvicinammo entrambi alla donna, incuriositi.
«Questa volta il vento è calato innaturalmente,» disse la vecchia, un accenno di sorriso sulle sue labbra secche e rugose, i molti denti che ancora resistevano mandarono un riflesso bianco alla luce del fuoco da cui non si allontanava mai. «Hai ricevuto un segnale del favore degli elfi del mare, senza dubbio.»
Ristetti confuso. «La chieren ha fatto smettere di nevicare?» mi sembrava una sciocchezza.
«A volte lo fanno, per i loro motivi... interferiscono con le tempeste e cantano al vento. Io so sempre quando succede.»
«E dici che non nevicherà neanche stanotte, mestra?» domandò mia sorella.
«Sì, ne sono sicura,» assentì lei.
«Un bel potere, invero,» commentai. «Dominare le tempeste, far piovere a comando e far smettere di nevicare. Magari possederlo.»
«Far piovere in un posto porta la siccità in un altro,» disse la vecchia, il suo sguardo si fece vitreo e io seppi che guardava oltre noi, in qualche posto al di là del tempo. «C'è una tenuta, lontano a nord. Le nubi sono state spinte laggiù, cariche di pioggia e di elettricità. Tra i picchi di Hellers e il fiume Kadarin una tormenta seppellirà le strade. Una carovana avrà parecchi problemi.»
Tornò a vederci sbattendo gli occhi, la sua voce per un attimo aveva preso forza, era cambiata e meno arrochita. Come posseduta. La vecchia sollevò le mani verso il fuoco, per riscaldarle. Noi giovani avevamo la nostra parte di brividi, ma non di freddo.
«Oh, sì,» soggiunse Carnia, sorridendo amara. «Il dono dei chieren è terribile come quello degli dèi. State sempre attenti a cosa chiedete!»









barra









Disclaimers

Dannil e Arliss vengono chiamati con urgenza a fronteggiare un pericolo che incombe sul loro territorio e incontrano una chieren in difficoltà

Note

Ho preso numerosi spunti e la maggior parte dei nomi dai racconti "Aillard" e "L'erede di Aillard" di Diann Partridge apparsi rispettivamente sulle antologie "I Cento regni di Darkover" e "I signori di Darkover".
In ossequio alla "Darkover continuity", al "Canone Darkovano" e per la coerenza con le storie di Elvas ho supposto che: 1) La Dama Aillard in pE -2 (e eventualmente fino a dE +10) sia Liane, la madre di Sabrina, Marelie e Rohana come da "La dama di Ardais" di M.Z.B. apparso su "I signori di Darkover".
2) La Dama Aillard e la Madre del Dominio Aillard siano cariche che appartengono a persone differenti, in modo da non coinvolgere Liane direttamente nelle vicende dei miei personaggi, se non come personaggio minore.
3) Il Richiamo dei Macrae è certo un donas non comune, e tenuto segreto con tutte le arti che le Sapienti Aillard possono attuare: la Madre del Dominio Aillard possiede sempre un laran non comune e lo applica per difendere i suoi segreti. L'addestramento di un Macrae non è svolto in una Torre per buoni motivi... e i Macrae non pronunciano nessuno dei giuramenti delle Torri. Il Richiamo è quindi un'arma, usata indiscriminatamente e senza remore.


torna all'inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008